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Autore: MkBDiapason    17/08/2010    4 recensioni
[Star Trek TOS] Kirk VS M!Kirk (Kirk/Spock/McCoy) Della persona di James Tiberius Kirk ora non rimaneva che quell’ombra tra i due nomi.Sentiva James, o meglio ancora, “Jim”, scivolargli tra le dita e sentiva “Tiberius” artigliargli la coscienza. Jim Kirk aveva ucciso un uomo. Ed era per questo che sentiva tale nome stonare e Tiberius sghignazzare.Ed era per questo che Lui rivendicava la sua presenza...
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James T. Kirk, Leonard H. Bones McCoy, Spock
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ed eccomi di nuovo qua, a rifilarvi questa mia "roba" -.-"

Dunque, questa storia (se così si può definire) è interamente basata su di un sogno che ho fatto, anzi, sogno non è appropriato,Incubo è la parola giusta (E Tiberius lo sto seriamente aspettando al "varco"..io aspetto, non ho fretta.)

Invece che far languire questo incubo su un taccuino, gli ho voluto dare forma. Ed è così che è nata questa fic ^^.

La storia in questione, oltre che al mio bel sogno, gira attorno ad un incidente che ha visto coinvolto lo stesso Jim durante una missione. Il nostro povero capitano è stato costretto dagli aventi ad uccidere un uomo, così, d'istinto. Ed ora è roso dal senso di colpa più per il senso di piacere provato nell'aver ucciso un "pericolo", che per l'atto in sè. Ed ora se la deve vedere con se stesso. Quella parte di sé che ride al di là dello Specchio...

Ed ora posso lasciarvi a questo mio folle scritto XD

Spero che lascerete un segno del vostro passaggio!>< Grazie in anticipio.

Alla prossima!!!

 

********************************

 

 

 

“E’ stato necessario...ho dovuto colpire...”

“Guardati bene allo specchio,Jim...cosa vedi?...te lo dico io. Un uomo eccitato. Guardati, Jim...guarda come brucia il nostro sguardo!”

“Ho sparato!!E’ vero!Ma quell’uomo, quell’uomo stava per colpire a sua volta, sui miei compagni!...ho dovuto farlo!”

“Oh Specchio,Specchio!”

“Smettila!”

“Mi prenderò il posto che mi spetta.
Comincia a scendere dalla poltrona.”



***

Non mi sento bene.
La realtà s’inclina.
Sto cadendo? O sto salendo?
Uno sprofondare o un’ascesa?
Quale delle due?
Entrambe le cose?
Mi sento appena sfiorare da un pensiero nero.
Quest’ombra prende forma.
Mi assomiglia.
Mi assale.
Mi supera.
Ride di me.
Dunque lui sta salendo.
Affiorerà.

Ed io?

“Scendi, Jiim. Dormi.”

Non sento più me.

***


Della persona di James Tiberius Kirk ora non rimaneva che quell’ombra tra i due nomi.
Sentiva James, o meglio ancora, “Jim”, scivolargli tra le dita e sentiva “Tiberius” artigliargli la coscienza.
Tormentarla, sopraffarla.
Vincerla.

Jim Kirk aveva ucciso un uomo.

Ed era per questo che sentiva tale nome stonare e Tiberius sghignazzare.
Ed era per questo che Lui rivendicava la sua presenza. La urlava. Si agitava, smaniava tra le pieghe più insondabili della sua mente. Divenendo tra quelle pieghe infiammate, con le sue urla raschianti, un’autentica piaga e rendendo cenere, lentamente, burrascosamente, ogni parvenza di quel che era Jim.

Come poteva un nome fare tanto? Implicare tanto?

James Tiberius...
Una persona.
Due nomi.
Stesso “significante”.

Ma non significato.


Soleva spesso dimenticarsi di questo nome. O meglio, non si esprimeva mai sotto di lui, per lui. Non gli apparteneva.Non lo sentiva.  
Dunque questo nome si riduceva sempre ad una semplice consonante posta formalmente tra James e Kirk.

Ed ora era una consonante alquanto imponente e scomoda.
Essa campeggiava così, imperiosa. Come una croce scarlatta tra due nomi sbiaditi.
Una croce di sangue.
Il preannuncio di un martirio.

Come può un segno grafico, una semplice “ T ” diventare il simbolo di tanta angoscia?
Ebbene può. Ne ha la forza.
Ha l’arroganza di potersi insinuare tra i denti stridenti e passare a forza per affiorare sulle labbra e vincere la sua battaglia pronunciandosi per affermarsi a dovere e raccogliere il suo seguito per poter infine essere il vessillo del nome vincente e chiudersi con una smaliziata “S”  in un sibilo fastidioso,caparbio e inesauribile.

Giunto qui, giunto in questo campo, affermatasi la su presenza, Egli si sostituiva a Jim, scoprendo, falciando, abbattendo ogni rifugio della mente.  

E così tra quei nervi congestionati Egli mieteva vittime nel campo sterminato della coscienza.

Aveva vinto.
Ed ora era il suo strazio.


“Ho la tua poltrona, Jim”


***


I miei sensi.
Sono forse tornati per...me?
Ho riacquistato le mie facoltà?
 Mi distinguo nell’astrattezza.
Prendo forma.
Mi concretizzo.
Percepisco l’insieme.
Il mio insieme.


La mia libertà fisica.
La mia libertà di pensiero.

Sensibilità.

Consapevolezza.


Così rimetto in piedi il mio mondo sensibile. I miei occhi spaziano da un lato all’altro di questa camera scura o almeno di questo luogo al quale attribuisco d’istinto questa sembianza.
Metto in moto il mio mondo. Avanzo leggero tra queste quattro mure ora ristrette ora indietreggianti. Stringono. Arretrano. Sembrano volermi incontrare e al contempo allontanarsi.
Le vedo impallidire e tutta l’area, ogni suo angolo, sbianca.
Si rivelano a me delle sbarre. Dunque è una prigione...?
La loro solidità non ha alcun fondamento.
Sbarre fatiscenti, di una consistenza effimera.
Dall’altra parte delle ombre indistinte, dondolano prima leggere e poi in un lamento triste, modulate, grevi. Controllano il prigioniero svogliatamente e quindi mi prendo la libertà di scivolare tra le sbarre e di abbattere ora due guardie della mia nave. Dunque erano mie guardie?! Assumono questa forma nel momento in cui le mie mani le atterrano come ombre. Le osservo mentre diventano carne.
Allibisco.
Afferro le loro armi e il mio sguardo analizza i corridoi, le possibili uscite. E’ un luogo che non conosco. E’ un edificio i cui interni scabrosi mi confondono. Non riesco a distinguere una via d’uscita. I miei occhi inciampano costantemente in ogni elemento incoerente di questo luogo in decadenza. Sento l’odore della ruggine pungolarmi le narici.
Inizio a correre e mi ritrovo improvvisamente, con un balzo, in quella che riconosco come la mia nave!
Dunque è un sogno...
Sento le pareti di questo corridoio ronzare. Le mie orecchie con loro.
E’ un ronzio crescente, intermittente, inspiegabile, a tratti cavo, brusco. E’ possibile ricondurlo al ronzare dei motori, ma da qui non è solito sentirli. E’ un ronzio simile al coro di mille voci lontane, di mille pensieri che cozzano tra di loro e poi sfrigolano in un crescendo assordante.
Seguo questo crescendo con l’intenzione di arrivare all’origine di questa continua oscillante vibrazione.
Una voce appena percepibile dall’orecchio, ma chiara e familiare alla mia mente.Giunge da lì.
Dal mio alloggio!
Corro incontro alla porta attraversandola e mi punto l’arma addosso.
Esatto.
Sto puntando proprio l’arma verso una parte di me.
La tengo bene sotto tiro.
Lui mi guarda, mi scruta divertito il bastardo...
Intimo lui ed una donna che gli è accanto di gettare le loro di armi.
Le gettano e svaniscono.
Sembrano alzare le mani.
Ho la certezza di vedere le sue mani alzate. La consapevolezza materiale, la mia mente percepisce con logica concreta quelle braccia in aria e persino i miei occhi di primo acchito hanno la sensazione che non ci sia alcun pericolo tanta è la convinzione che tutto è come appare. Invece, improvvisamente, contro ogni logica fisica, una delle sue mani mi attacca, al contempo nell’aria e al contempo dietro la schiena, con qualcosa che identifico solo dopo come una siringa, dopo averla vista sfrecciare accanto alla mia guancia.
“Inizia a correre.”
Mi sento dire dal chiarore sulfureo dei miei occhi.
Ed io inizio a correre, come comandato da un imperativo vitale. Come in preda ad un sortilegio infinito inizio a saltare di luogo in luogo, correndo come un forsennato, contro ogni mio ideale, contro ogni mia volontà, contro la mia stessa dignità. Fuggo da me. Fuggo dal mio dolore, dalle mie responsabilità...
“Jim, dove credi di scappare?”
La sua voce, o dovrei dire la mia, mi riprende a dovere.
Non capisco i suoi discorsi, ma le sue parole mi saettano contro in veste di aghi.
Ed io rifuggo in ogni luogo possibile, dietro ogni parete, dietro ogni angolo scuro, tra le ombre di massicci palazzi, all’ombra di tetri, scarni grattacieli, tra dune di nero asfalto, nei canali opalescenti e stretti nelle morse di case buie, negli specchi d’acqua vitrei o lividi di nero pece, in ogni scuola del ricordo, tra aule spettrali, nude, corridoi spalancati... percorro strade scoscese tra macchinari della mia nave, tra ogni cosa...Rifuggo in ogni ombra possibile, in questo sfarzo di decadenza, nel quale la mia irrequietezza, la mia ansia possano eclissarsi. Sfreccio così tra le strade in ombra di questo mio mondo ristretto. In ogni anfratto possibile dei miei ricordi. In ogni città dimenticata della mia mente. Cerco di dimenticarmi, mi affanno per questo, ma gli avvilenti edifici ed elementi che compongono questa triste scena, non mi concedono rifugio se non per un secondo; e le mie gambe stanche e imperterrite continuano a correre e correre e correre...saltare da un luogo scarno ad un altro.
Le sento sanguinare eppure non mi accingo a fermarmi...  

Pur di non tornare da me...

“Jim?”

Tutto pur di non tornare da me...

“Jim!”

Ed ora dove sono?
Mi ha forse trovato?

“Per Dio, Jim!”

No.
Questa non è la mia voce.
Sento scuotermi e la mia corsa si arresta.
Il mio mondo irrequieto nell’ombra si dissolve.

Ed io affioro nuovamente lanciando un’ultima occhiata a me stesso.
Sorrido appena mentre realizzo quanto sono sciocco.
E mi osservo.
Osservo quella parte di me.
E la prossima volta l’aspetterò al varco...
“E’ una sfida? perderai.”
“Io ho già vinto. Sono fuori dal gioco. Grazie a loro.”
“Ogni volta che ti guarderai allo Specchio, Jim...io sarò lì.”
“Ed io con te. Addio.”

[Destati]



***

Dove sono adesso?

Spock...Bones...

I miei due compagni davanti a me con lo spettro di un sorriso spezzato dalle preoccupazione che ho dato loro sino ad ora...

Devo esser stato via a lungo perché ora le braccia di Bones mi avvolgono e gli occhi di Spock mi carezzano.

“Jim...è tutto finito.”

“Sì...lo so. Grazie a voi.”

Ed ora vorrei non riaddormentarmi più.
Per poter vivere al meglio, senza rifuggire in alcun luogo,
senza fuggire da me,
con tutto ciò che sono:
Jim
James
Tiberius
Kirk
in questo mio vero,
unico mondo sensibile.

 

 

 

FINE.

(almeno fino al prossimo incubo.XD)

   
 
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