In punta di cuore
--- Per amore... ---
Il cinguettio degli uccelli cullava dolcemente i suoi sogni e le spesse tende alle finestre, preservavano il suo sonno dalla luce insidiosa di un sole dei primi giorni di maggio. Una calma rasserenante riempiva l'ampia stanza da letto, occupata solo dal corpo inerme, disteso tra leggere lenzuola di cotone.
Le coperte sottili, tirate fin sopra la testa, lasciavano intravedere solo la chioma del dormiente; una chioma scura, corta, lievemente ribelle a causa del tramestio notturno.
Un urletto argentino squarciò quel silenzio incontaminato e un attimo dopo, una piccola furia rossa, con grandi occhi azzurri e vispi, era balzata sullo stomaco del bello addormentato, destandolo da qualsiasi sogno regnasse nella sua testa.
"Per la miseria, Josephine!" sbraitò una voce rauca, da sotto le lenzuola. "Scendi immediatamente dal mio stomaco!"
"Oh no no, mon petit frère!!" si ribellò la piccola peste, scuotendo i due lunghi codini mossi color del fuoco e battendo le piccole manine bianche, gioiosa.
"Jo, parla italiano! Siamo in Italia, te lo vuoi mettere in quella testolina bacata?" puntualizzò ancora la voce, stavolta un po' meno severa e troppo impegnata a trattenere una risatina. All'improvviso due mani sbucarono da sotto le lenzuola bianche, afferrandola per la vita e solleticandola; una risata argentina riempì all'instante le quattro pareti della camera.
"Ehi voi due! Piantatela di far baccano e tu, André... fila a lavarti o perderai l'audizione!!" li riprese la voce di una donna, ferma sulla soglia della porta; le braccia incrociate e gli occhi blu scintillanti, contrastavano con i lunghi capelli rossi e lo splendido sorriso raggiante, dipinto sul volto d'alabastro.
"Agli ordini, colonnello Marie! Hai sentito, piccolo mostro?" domandò alla bambina, ancora vincente nella sua postazione sullo stomaco del giovane e per niente intenzionata a scendere dal suo comodo giaciglio. Le mani della madre la afferrarono per le braccia, facendole comparire teneri lucciconi negli occhioni chiari... non troppo convincenti.
"Andiamo Josephine, tuo fratello deve prepararsi..." fece con tono soave, prendendole una piccola manina nella sua e dandole l'orso di pelouche che, nella fretta, aveva dimenticato sul letto; la bimbetta annuì poco d'accordo e seguì la donna fuori dalla camera, appena prima che il ragazzo, ancora un po' assonnato, balzasse giù dal letto con un gesto atletico e spalancasse tende e finestra.
"Monde, bonjour!" disse aprendo le braccia e respirando l'arietta frizzante del primo mattino. La sveglia sul comodino segnava le 7.30 e ciò stava ad indicargli che, se ci teneva ad arrivare puntuale all'Accademy, aveva sì e no mezz'ora per far tutto.
* * * "Un,
deux, trois...!" Morbida
stoffa bianca e uno sbuffo di tulle a formare il grazioso tutù. Piedi ricurvi a
point, coperti da scarpette da punta, chiuse da nastri in raso allacciati
intorno alle gambe, tese e rigide come gesso. Braccia e mani elegantemente
piegate davanti al busto a formare un arco, in prima posizione. "....e
STOP!" La
figura in bianco scese dalle punte, ritornando in prima posizione e sciogliendo
le braccia lungo il busto, a passi leggeri e decisi attraversò la saletta,
abbandonando la sbarra e mantenendo una postura eretta della schiena. Afferrò
un asciugamano di spugna e se lo passò dietro il collo, stando ben attenta a
non travolgere lo chignon di capelli neri. "Si
può sapere che ti prende, Sara?!" Una voce alle sue spalle, fece voltare
spaventata la ragazza. I suoi occhi, verdi e intensi, incrociarono quelli grigi
e severi dell'insegnante di danza. "Che
intende, maitre?!" chiese, continuando ad osservare la figura vestita di
nero che si accomodava su una sedia davanti a lei. Con uno sguardo di intesa si
abbassò anche lei, scendendo in spaccata frontale e rilasciando il busto in
avanti. "Oh
non far la finta tonta con me, sai ragazzina?!" la riprese la donna,
allentando lo chignon in cui racchiudeva i lunghi capelli biondo cenere e
fissandola negli occhi. Sara sussultò e si rimise dritta, mantenendo le gambe
in posizione orizzontale e abbassando lo sguardo verso il terreno,
giocherellando con il tulle dell'abito. "Non
è niente, maitre. Credo che sia solo un po' di ansia." "Ansia?
Parbleu! Non ne hai alcun motivo!!" "Ah
no?" domandò ironica Sara, inarcando un sopracciglio e incrociando le
braccia scoperte. "Maitre, non è lei che deve fare questa prova. E' la
sottoscritta a dover ballare con un centinaio di ragazzi diversi e riuscire a
trovare il partner giusto!!... Se non fosse stato per Stephan non avrei mai
dovuto sopportare questo supplizio!!" "Mon
dieu!! Smettila di fare la bambina." strillò la donna, alzandosi dalla
sedia e mostrando la sua altezza quasi innaturale, per quel piccolo scricciolo
di un metro e 60 davanti a lei. "Stephan si è fatto male, cosa vuoi farci?
Vuoi rischiare di perdere quest'occasione, sciocca che non sei altra?! Sai bene
che a quella 'prima' ci saranno tutti i migliori coreografi, inclusi quelli del
Royal Ballet! Ebbene?" "D'accordo,
d'accordo maitre! Con lei non ci si può neanche sfogare in santa pace!!" "E'
qui che ti sbagli, ma danseur. Non è che con me non ci si possa sfogare, è
solo che TU non puoi farlo! Sei troppo brava e hai troppa poca fiducia in te
stessa e il più piccolo dei momenti neri ti mette a tappeto! Oh no, non puoi
assolutamente perdere un solo minuto. Quando ti prendono queste crisi, ma petite, devi correre da me per danzare, non per piangere sulla mia spalla. Fai
quel che vuoi: salta, gira, ruota... ma balla per la miseria, Sara.
Balla!!"
* * * "Il
prossimo e si prepari Julian Delaux!" Sara
era visibilmente a pezzi. La musica continuava a suonare ininterrotta
nell'immensa sala audizioni e lei era già stata costretta a 'testare' una
cinquantina di ragazzi. Nessuno era come Stephan. Ballavano insieme da ormai tre
anni e avevano raggiunto una tale sincronia di passi ed armonia di movimenti che
nessuno avrebbe mai potuto eguagliare. Era meglio rinunciare, dar partita vinta
alla malasorte e alzare bandiera bianca al destino; non era quello il suo anno
fortunato, non era ancora tempo di accedere ad una delle migliori scuole
mondiali di danza. Piccole
gocce di sudore scorrevano inarrestabili sulla sua pelle bianca; la gamba tesa
in prima arabesque tirava da morire, forse per colpa della stanchezza, forse per
colpa della mano del suo partner che non la sorreggeva a sufficienza. "Penche!"
La voce della coreografa la esortò ad inclinarsi maggiormente, ma aveva bisogno
di sostegno maledizione! Non era mica una bambola senza vita! I muscoli le
facevano male. La presa del suo compagno si allentò e il suo volto si avvicinò
pericolosamente al suolo prima che, con prontezza di riflessi, Sara gettasse le
mani avanti, parandosi dalla caduta. "STOP!!"
"No
dico, sei forse impazzito?! Mi devi tenere, Cristoph o come diavolo ti chiami
tu!!" "Senti
un po' tu. Non me ne frega niente di come ti chiami!!" puntualizzò lei,
alzandosi da terra e guardandolo negli occhi con espressione di sfida.
"Fino a prova contraria la prima ballerina di questo spettacolo sono io,
sono io che devo rimanere viva e quindi se ci tieni ad entrare come mio partner
devi cercare di preservare la mia salute, carino! Per quanto mi riguarda questo
è fuori, maitre!!" "Come
preferisci. Il prossimo -Julian, giusto?- si prepari Marco Moschini!" Ore
ed ore di prove. Sudore e fatica. Non poteva essere ripagata così, non con il
primo cretino apparentemente carino, ma totalmente privo di qualsiasi tecnica o
forza che le capitasse davanti. Aveva bisogno di sicurezza, le prese che c'erano
in alcune parti di quella coreografia erano impegnative per i ballerini, ma
anche per lei non era uno scherzo! Il suo corpo era totalmente nelle mani di chi
la faceva danzare. E
quello non era danzare. Ennesima
presa sbagliata, ennesimo pericolo di caduta. "Il prossimo. Dopo questo,
pausa per 30 minuti!" Alleluja
*
* * "Sara,
devi cercare di essere meno esigente. Erano 120, me ne hai scartati 110, se tra
questi dieci non ce n'è nessuno, sai chi ti tocca, vero?" domandò la
coreografa, arricciando il bel naso bianco e incrociando le braccia con aria di
sfida. Avrebbe ceduto, a quella prospettiva non poteva continuare a sbattere
fuori tutti, uno dopo l'altro. "No!!
Maitre, ti prego!! Tutti ma non Richard!!" piagnucolò la ragazza,
congiungendo le mani a mo' di preghiera e sgranando gli occhioni verdi. Tra
tutti quelli con cui avrebbe voluto danzare, Richard De Man era sicuramente
l'ultimo della lista, anzi... non c'era proprio nella lista! Era spocchioso,
troppo tecnico e sicuro di sé. Non ci metteva passione, non danzava con
l'anima, si limitava ad usare i piedi. Lei odiava il suo modo di fare. "Allora
vedi di fartene piacere qualcuno, ma danseur!" "Ok,
maitre, ci proverò!!" la rassicurò Sara, sedendosi su una poltroncina
all'esterno della sala e sorseggiando l'acqua e limone della sua bottiglietta,
mentre i suoi occhi seguivano l'insegnante che si allontanava lungo il
corridoio. Sola.
Sola nel balletto. Sola in quel corridoio. Sola davanti alla prova più
difficile della sua vita, fino a quel momento. Un
rumore di passi le fece alzare il volto; la figura di un ragazzo alto, ma non
troppo, moro con gli occhi neri e di primo acchito spaesato, le comparve davanti.
In mano aveva una sacca nera. Era là per l'audizione, era ovvio. Il fisico era
asciutto, forse troppo per essere un ballerino, per afferrare bene la partner,
per non farla ruzzolare a terra, ma lei non era nessuno per giudicare al primo
impatto, doveva farlo ballare per poter dire la sua. "Ti
sei perso?" gli domandò con calma rassicurante. Il ragazzo annuì, posando
la sacca a terra e tirando fuori dalla tasca del giubbino jeans un foglietto
bianco e stropicciato. "Cercavo...
la sala per... oddio come si pronuncia... Snaw Lake?" "Lago
dei cigni. Sì è quella sala là! Vedi di sbrigarti perché tra meno di un
quarto d'ora ricominciano le selezioni e a quanto posso vedere tu non ti sei
neanche riscaldato!" disse lei, gettando la bottiglietta vuota nel
contenitore dei rifiuti e allontanandosi da lui con passo felpato, senza il più
piccolo rumore, attutito dalle scarpette in raso e gesso. Quella
era la sua sala preferita, senza dubbio. Uno specchio, una sbarra, un po' di
spazio e un vecchio lettore CD. Là si allenava nelle pause delle audizioni,
senza alcuno scansafatiche tra i piedi o incapace pronto ad accompagnarla sulle
note di chissà quale sinfonia, per poi abbandonarla a metà lavoro perché
troppo stanco o poco abituato ad un tale ritmo. Al
diavolo... tutti quanti! Accese
la musica e passò le punte delle scarpette nella pece. Preparazione e via.
Passi elastici, armonici e veloci. Aggraziati, decisi e coordinati. L'unico modo
per dare filo da torcere a quegli incompetenti era allenarsi in continuazione,
dare il meglio, mostrare la sua parte più forte, stupirli nelle performance.
Era certa che in quel modo nessuno avrebbe resistito, nessun essere umano
-Stephan a parte- era mai riuscito a seguirla, a sostenerla nelle sue
esibizioni... nessuno. Arabesque
e relevés. Resistere. La sua immagine allo specchio era più che raffinata, la
linea del suo corpo quasi perfetta. Chiuse gli occhi e curvò la schiena
indietro, restando sulla punta del piede e attendendo che ripartisse un'altra
sinfonia. Avvertì una mano sull'addome e una sulla gamba, tesa all'indietro.
Sembrava la stretta del suo partner, decisa e sicura; non aprì gli occhi e
proseguì un'improvvisata coreografia, come sempre, stupendosi di come chiunque
la stesse accompagnando riuscisse a seguirla con prontezza. Il pas de deux non
era mai stato più sciolto e lineare. Ormai
le sue punte non toccavano più il freddo e rigido parquet di legno, no... lei
stava volando, sollecitata da mani simili ad ali e a gambe veloci come il vento
e fedeli alle sue. Neanche quello era danzare... no no! Quello era librarsi
nell'aria a suon di musica, volteggiare tra le braccia del partner e ritoccare
con mano la realtà non appena la musica terminava. Un
tira e molla di dolci accorgimenti e fredde mancanze. Sara
riaprì di scatto gli occhi, non appena scesa in spaccata laterale aveva sentito
le mani del suo compagno allontanarsi dalle sue ed era tornata bruscamente al
presente, a terra. "Ma tu...sei..." "André
Bochard, molto piacere di conoscerti." Il ragazzo che prima aveva l'aria
smarrita, nel corridoio, ora si stagliava davanti a lei in tutta la sua
sicurezza ed energia. L'aveva trovato... "E tu sei?" "Sara." "Sara...
e poi?" domandò stranito, lasciandole nuovamente la mano allungata per le
presentazioni. Ancora la mancanza di quel tocco delicato, di nuovo una
sensazione di freddezza ad accarezzarle lo spirito. "Sara
e basta." fece lei, alzandosi da terra e allontanandosi dalla sala. "E
muoviti! La tua audizione sta cominciando, André Bochard!" * * *
Come
diavolo era possibile? Trovare così facilmente un'affinità tale con una
sconosciuta. Non gli succedeva più da quando si era trasferito da Parigi a
Roma, quando aveva dovuto lasciare la sua scuola di danza e di conseguenza la
sua partner: Margot. L'unica ragazza con cui avesse mai ballato, l'unica che
aveva saputo accompagnare. Eppure con... com'è che si chiamava?... ah Sara...
aveva recuperato tranquillamente ogni sicurezza. Gli era bastato sentire quella
musica, sottile e soave, abbracciare i suoi passi e muoversi con lei. Ed era
scattato qualcosa, una magia infernale, una scarica di elettricità magnetica. Ed
era tutto finito in quel momento. Toccava a lui. La maitre gli aveva detto di
tenersi pronto, fuori dalla sala e da quello che poteva sentire neanche il
ragazzo che lo aveva preceduto al provino era stato preso. Il 119° scartato.
Lui era l'ultimo e non era per niente sicuro di essere preso. Un'infinità di ballerini
prima di lui c'aveva provato. Gente che aveva danzato con chissà quante donne;
non come lui... insicuro, maldestro, fragile... che possibilità aveva lui? "Il
prossimo!!" Un
groppo alla gola lo aveva bloccato per qualche istante. Iniziava a perdere anche
quel poco di lucidità che lo caratterizzava da sempre, in ogni occasione.
Deglutì con fatica e aprì la porticina scorrevole dell'ampia sala. "Ho
detto il prossimo!! Sei tu?" chiese l'insegnante. André annuì, ma non le
bastò. "Ho detto, sei tu?" "Sì,
maitre. Sono io." assentì, spostando lo sguardo sulla figura che, di
schiena, stava provando qualche passo di quella che doveva essere la coreografia
scelta per la prova. Un pezzo tratto dal vecchio Lago dei cigni. Perché
malediva di essere in quella stanza? Eppure era stato proprio suo padre ad
iscriverlo a quell'audizione, proprio lui. Lui che si era sempre rifiutato di
credere nella capacità di suo figlio e che se non fosse stato per Marie, sua
seconda moglie e Josephine non avrebbe mai acconsentito che lui danzasse;
neanche se quello fosse stato il suo unico sogno o la sua massima aspirazione
per la vita. "...nto?"
"Come
scusi?" André si riscosse da quei pensieri e tornò coi piedi per terra.
Ahia. Brutto segno se l'insegnante era nervosa. "Ho
detto: sei pronto? E vediamo di svegliarci. Sara non ama i tipi lenti e io ho
bisogno di un primo ballerino, chiaro?" "S-Sara?"
"Sara...
sì Sara Castelli. Prima ballerina del Lago dei Cigni in questa edizione. Cosa
non ti è chiaro, mon danseur?" Forse
non è tutto perduto. "Ciao,
André." lo salutò una voce alle sue spalle. Lei. "Maitre, io direi
che l'abbiamo trovato. Ovviamente è lei che deve decidere, ma l'avviso che lui
è l'unico con cui riesco ad avere un'affinità molto simile a quella che ho con
Stephan. Se non addirittura... migliore." * * *
"Di
dove sei?" La
voce della sua partner raggiunse le sue orecchie improvvisamente, facendolo
distrarre dal gesto di indossare nel modo corretto le scarpette da mezza punta.
Quella maledetta tuta aderente bianca gli dava un fastidio tremendo, per non
parlare della conchiglia... una tortura gratuita. "Sono
francese, perché me lo chiedi?" "Si
sente dal tuo accento, ma credevo di essermi sbagliata. Che ci fai qua in
Italia, giovane ballerino promettente?" E
il calore di un corpo accanto al suo, seduto sulla panca di legno dello
spogliatoio. Un calore confortante, avvolgente, quasi soffocante per la sua
intensità. Si voltò ad osservarla. Fragile, minuta, dall'aspetto quasi
infantile.. eppure quegli occhi verdi sprizzavano sicurezza, voglia di
mettercela tutta, un'anima cresciuta troppo in fretta. "Mi
ci sono trasferito con mio padre e la sua seconda moglie. Ah sì! E quel piccolo
mostro di mia sorella, acquisita ovviamente." "E
tua madre?" Quella
sua capacità di porre domande imbarazzanti per chiunque, eppure effettivamente
così naturali, senza neanche un briciolo di ritegno o paura di aver sbagliato
anche solo una virgola. La certezza matematica che si potesse domandare tutto al
proprio compagno di ballo. Bugia. "E'
morta. Avevo otto anni più o meno. E non dire 'Oh scusa non lo sapevo!'. Odio
certe frasi preconfezionate!" "Non
ne avevo alcuna intenzione. Anche io le odio e non credo di aver sbagliato a
domandarti nulla, in fondo io voglio conoscere a fondo la persona con cui
ballo... specie se questa persona sei tu!" Maliziosa
e infantile. Ragazzina eppure donna. Delicata e così forte. Un accozzaglia di
sentimenti e caratteristiche; l'atteggiamento di una ragazza dalle mille
sfaccettature e dalle numerose personalità. Ed
era così difficile resistere a quegli occhi verdi fissi sulle sue perle nere, a
quelle ciglia scure che sbattevano ogni tanto celando alla vista quegli smeraldi
e a quelle labbra color ciliegia a pochi centimetri dalle sue. Perché rifiutare
labbra che dicono 'baciami! baciami!'? Sarebbe stato come rifiutare di bere
quando si è assetati, di evitare di mangiare dopo giorni di completo
digiuno. "Baciami..."
Un sussurro simile ad un comando; una realizzazione di quel desiderio che
sentiva bruciare in lui sin dal primo giorno in cui l'aveva vista danzare, un
mese prima. Come negare un bacio a lei? Sarebbe stato come negarlo alla propria
anima. La
consistenza di un petalo di rosa sulla propria bocca e un sapore dolce e
delizioso che invade i sensi. Dunque questo significava baciare? Schiuse piano
le labbra, per paura di sbagliare e sentendo la stessa incertezza su quelle
tremolanti di lei. Anche per Sara, quindi, era il primo bacio? ...Uno splendido
regalo... Perdersi
in lei, affondare la lingua nella sua bocca e assaggiarne il sapore; mordere le
sue labbra e sentire il suo respiro sul proprio viso. Essere una cosa sola, per
qualche istante, forse minuto... pari ad ore e ore di fantastiche illusioni,
tradotte in realtà in così poco tempo. "S-scusa...
forse non ti andava di ...di..." Il suo tono spaventato e dispiaciuto, il
broncio di una bambina che ha appena preso una bambola alla sua amica di giochi
e non voleva farlo. Allungò
un dito sulla sua guancia, nel desiderio istintivo di calmarle quelle idee
folli. Baciare lei era stato come fare un pas de deux sulle nuvole, era come
danzare sulle punte in alto nel cielo. "No,
non dire così... ma cherie." fece lui, continuando a carezzarle la pelle. "Come
si dice 'ti amo' in francese, André?" "Je
t'aime... cherie." "J-je
t-t'aime, André..." gli sussurrò lei, avvicinando una guancia alla sua e
sospirando per paura di aver sbagliato tutto. Paura, sì lei aveva paura di
dirgli quelle parole; lo avvertiva dal leggero tremolio del suo braccio sotto la
sua presa. "Lo
dici con semplicità, ma allora perché tremi di paura, mon amour?" "Perché
sento che perderò me stessa, se mi appoggio totalmente a te. Con altrettanta
sicurezza però sento che questo succederà." Paura
d'amare. Allora esisteva davvero e forse ne soffriva anche lui. Chissà. Forse
Sara era solo molto più coraggiosa ad ammetterlo a lui e a se stessa o lui così
scemo da non accorgersene neanche. "Non
succederà se non lo vorrai." * * * Ruotò
su se stesso, districandosi dal nodo di lenzuola che lo stringevano; il cielo
all'esterno si stava illuminando di un pallido sole. L'alba era vicina. Quella
sera ci sarebbe stato l'ultimo spettacolo, dopo ormai cinque mesi in giro per
l'Italia. Cinque
mesi... cinque mesi che avevano iniziato a calcare le scene insieme, che la loro
storia era sbocciata e cresciuta sotto gli occhi vigili dell'insegnante, poco
propensa ad accettare la loro relazione. Niente
tenerezze in pubblico, evitate le effusioni se ne potete fare a meno. So che è
dura, ma dobbiamo evitare che notizie simili trapelino durante la tourné, ne va
di entrambe le vostre carriere... Lei
sapeva? Sapeva cosa significava danzare con la donna che si ama e non riuscire a
sfiorarla se non con la massima professionalità? Riusciva ad immaginare cosa
significasse vederla a serate di gala e ricevimenti e resistere all'impulso di
prenderla per un braccio e portarla fuori da lì, lontana di tutti... vicina
solamente a lui? Cosa ne poteva sapere lei? E'
come dare la marmellata in mano ad un bambino e dopo che finalmente lui l'ha
aperta e ci ha affondato le fragili ditina, strappargliela da davanti e
lasciarla sul tavolo... alla mercé di tutti, eppure un po' troppo lontana
proprio da lui. Lui...
l'unico che la volesse veramente. Ricordava
ancora l'ultimo spettacolo che avevano fatto. Una settimana prima. Subito dopo
c'era stato l'ennesimo ricevimento e loro erano stati separati da alcuni gruppi
di giornalisti e critici che avevano insistito affinché fossero intervistati
separatamente. L'aveva vista allontanarsi da lui, in quell'immenso salone da
festa, come l'aveva vista allontanarsi in punta di piedi durante l'esibizione...
graziosa e leggiadra come sempre. Aveva
bestemmiato in francese -strano a dirsi nessuno dimentica mai le parolacce nella
propria lingua madre e anzi tende ad impararne sempre di nuove- ed era fuggito
dalla calca, abbandonando il salone e uscendo in mezzo alla strada, in pieno
acquazzone di fine novembre. Aveva camminato a lungo infischiandosene dell'acqua
che lo bagnava, rischiando persino una polmonite a poche settimane dalla fine
del suo spettacolo di debutto. Ma non gli importava e la cosa lo spaventava non
poco. In quel momento gli importava solo di star da solo e di riflettere su ciò
che gli stava accadendo. Su ciò che stava accadendo ad entrambi, a dirla
tutta. Si
era fermato solo quando aveva raggiunto una specie di piazzetta. Qualche albero
fungeva da copertura in quel luogo in apparenza dimenticato da Dio e illuminato
dalla fioca luce di alcuni lampioni; niente di troppo allegro, anzi decisamente
deprimente, forse per niente adatto al suo stato d'animo. Ed aveva continuato a
vagare con la mente su quanto contasse la danza per lui. Già...
quanto contava per lui danzare? Si
era ritrovato più o più volte a rimuginarci sopra. Si era sempre detto che era
tutto per lui, non avrebbe potuto mai vivere senza la sensazione che gli
procurava il ballare. Muoversi a tempo di musica e creare nuove forme con le sue
braccia e le sue gambe, far capire agli altri cosa provava soltanto con un
gesto... un po' come fanno i cantanti quando si esprimono attraverso le loro
parole e la loro voce. Sì... per lui era così. Linfa vitale, ossigeno per i
polmoni, pane per lo spirito, cibo per il suo corpo. Solo
quando aveva sentito il rumore di tacchi dietro di lui, quasi di corsa, si era
reso conto che qualcosa o meglio qualcuno adesso aveva lo stesso effetto su di
lui, in quel momento. Solo che quel qualcuno era anche calore per il suo cuore e
quella non era una sensazione che la semplice danza gli poteva dare. O forse...
beh lui da inesperto qual era aveva paragonato la sua storia con Sara al
ballare. Perché ogni volta che incrociava il suo sguardo, assaggiava il suo
sapore o sfiorava la sua pelle, tra di loro si creava quella che gli innamorati
chiamano 'danza di due anime'. Un pas de deux un po' complicato, insomma. E
in quel momento li aveva incrociati nuovamente i suoi splendidi occhi verdi; era
là di fronte a lui, bagnata come un pulcino e ancora avvolta in quell'abito
azzurro che le si era appiccicato addosso per via dell'acqua. Ma nonostante
tutto pareva non avesse alcuna intenzione di ripararsi, sembrava volesse
studiare la sua espressione, carpire i pensieri più profondi dalla sua
mente. Penso
a te... a noi. Lo senti? No... no che non lo senti. "Lo
sento, sai?" Quando
delle parole riescono a farti sussultare? Cos'era? Riusciva anche a leggergli
nella mente? Oh, beh adesso era apposto, aveva perso tutte le difese contro di
lei praticamente. Non aveva vie di fuga. "Cosa
senti?" "Sento
che pensi a me. Sento che stai male come sto male io. Sento che stiamo
diventando vitali l'uno per l'altro." "E
cosa pensi?" "Penso
che sia sbagliato, mon amour." "Sbagliato?"
chiese voltandole le spalle e cercando di allentare la presa dell'ansia sul suo
sterno. "E poi da quando parli francese, ma cherie?" "Non
divaghiamo." fece lei avvicinandosi alle sue spalle e toccandogli la
schiena, coperta dal cappotto, con una mano. "...non importa da quanto
parlo il francese e lo sai..." "Ritorneremo
mai insieme?" Domanda
retorica, forse scontata... ma cosa gli saltava in mente? La donna della sua
vita, l'unica ragazza che avesse mai amato come compagna e come partner di ballo
lo stava mollando e lui le chiedeva se sarebbe mai ritornati insieme?
...Imbecille... Sara
fece spallucce. "Non lo so. Però so che tu sei un bravo ballerino, mon
petit coeur e io ti sarò soltanto d'ostacolo nella carriera. Lo sai tu, lo so
io... lo sa maitre. E no, non è stata lei a suggerirmi di
lasciarti." "Non
lo pensavo neppure! Sei troppo intelligente per farti suggerire qualcosa, Sara.
Solo una cosa..." "Dimmi..."
Sorrideva.
Lo stava abbandonando dopo quasi cinque mesi di idillio e aveva ancora il suo
bel sorriso bianco dipinto sul volto, come gli stesse dichiarando amore eterno o
gli stesse promettendo la luna. Gli
doveva qualcosa, no? Ebbene gli avrebbe lasciato un suo ricordo indelebile, il
primo e forse unico.
"Fai
l'amore con me, ma cherie."
Sorriso
sicuro, beffardo... faccia da -com'è che dicono qua?-... faccia da schiaffi.
Non aveva timori, non aveva incertezze, eppure adesso tentennava glielo leggeva
negli occhi. Che fare? Esibire il più irresistibile dei sorrisi e mentirle
dicendole che era uno scherzo? O approfittare della titubanza e prendersi il suo
meritato ricordo?
"Va
bene, André. Onestamente credo che non sia una cosa che si chiede così...
però..."
"Io
non te lo chiedo così, mon amour, io ti amo. Non sono stato io a lasciarti, ma
tu. Quindi sei tu a dover scegliere."
E
quello era stato il motivo per cui, esattamente un'ora dopo si erano ritrovati a
fare quello che avevano rimandato da mesi, perché non troppo sicuri. Lo stavano
facendo in quel momento, quando si erano appena lasciati. Eppure quello non era
semplice sesso, dettato dal puro istinto umano. No, quello era amore e lo si
percepiva nell'aria della camera da letto dell'albergo. Anche il più casto dei
gesti, come una piccola carezza sul volto o sulle spalle, trasudava amore
incondizionato e passione... passione delle più forti e inarrestabili.
Loro
non erano due semplici amanti, avvolti dal caldo tepore delle coperte di lana...
erano due giovani ballerini, innamorati della vita, dell'amore e della
danza. E
come ammettere agli altri e ancor prima a se stesso che avrebbe pagato tutto
l'oro del mondo per poter baciare di nuovo Sara, come in quel momento? Ma quella
era la prima e ultima volta che diventavano un corpo unico, prima e ultima volta
che la sentiva invocare il suo nome con quel tono, prima e ultima volta che la
sentiva tendersi sotto il suo tocco... se non sul palcoscenico. Prima e ultima
volta che era sua, solo sua... completamente sua.
Cinque
mesi... cinque mesi che la loro storia era terminata e che la sua vita era
dedicata solo al balletto classico. Il suo primo amore. E si sa... il primo
amore non si scorda mai.
* * * Un
anno dopo.
Camminava
per la strada, avvolta nel suo piumino bianco decorato con pelouche chiaro sul
collo. Caldo, confortevole e avvolgente come un abbraccio. Non esattamente
l'abbraccio che desiderava da poco meno di un anno.
Merda.
La vita è un vero schifo. Un terno a lotto dove vince solo chi è sleale e chi
pensa a sé stesso.
Eh
la vita è e sempre sarà così. E
lei l'aveva sperimentato sulla sua pelle. La
tourné con André era finita un anno prima, una settimana dopo la fine della
loro storia si erano detti 'addio' e per tutto il tempo, spettacolo incluso, lei
aveva mantenuto il tono pacato e risoluto di sempre, quasi freddo... per la
verità. Se ogni centimetro del suo corpo avesse potuto esprimersi avrebbe
urlato dalla rabbia e dal dolore. Ma quando si fa una cosa per amore, è il
cuore a rimetterci per primo, non il corpo. Non avrebbe più saputo cosa prova
il cuore dopo una delusione d'amore, lei... non ce l'aveva più. Si era
frantumato in mille pezzi quando la mattina dopo essersi donata a lui, si era
ritrovata nel letto da sola, in mezzo ai cuscini. Se lo aspettava... lei si era
comportata male, per il suo bene. Che cazzo di ragionamento contorto e assurdo,
eppure era così... quella era la vergognosa realtà.
Quel
rapporto così vitale e morboso non li avrebbe portati da nessuna parte e lui
meritava di andare avanti, lui era nato per ballare... certo, anche lei, ovvio.
Quando si è innamorati, comunque, si pensa all'altro e non a se stessi, forse
anche questa è una delle tante fregature di quello che chiamano 'amore'.
L'altra
fregatura, inesorabilmente, ce la infila la vita. Eh certo perché a soli sei
mesi dalla rottura del loro rapporto e dall'inizio delle loro brillantissime
carriere, lei aveva dovuto appendere le splendide scarpine color carne da punta
al chiodo. E affanculo tutto! No,
era stata tutta colpa di un fottutissimo ballerino incompetente che, sbagliando
clamorosamente un passo, l'aveva fatta cadere dalla presa ad angelo, facendole
fare un volo di quasi... uhm un metro e 90... fatale per il suo ginocchio. E
così lei si era ritrovata senza gli unici amori della sua vita: la danza e
André. Il primo per scelta non sua, il secondo... beh per il secondo se ne
assumeva ogni responsabilità. Ed
eccolo là. L'unico amore della sua vita che non gli era stato strappato dalle
mani, ma che aveva allontanato lei. Aveva imposto a se stessa di andare a vedere
il suo primo spettacolo importante e ora era là. Seduta in una delle ultime
file del teatro, ad ammirare il suo danseur esprimere tutta la sua
passione ed energia con un passo a due. Una risata di scherno sfuggì alle sue
labbra, sotto lo sguardo inorridito dei vicini di posto. Ma
cosa ne volevano capire loro? Il livello di quella ballerina era eccellente,
lungi da lei dire il contrario. Sarebbe stata pura eresia, ma non aveva
assolutamente niente a che fare con il livello di pas de deux a cui arrivavano
loro due. L'armonia era incomparabile. Si
trovò ad applaudire entusiasta della sua performance e in quel momento, come
non mai, avrebbe voluto correre sul palco e abbracciarlo perché lui era potuto
diventare ciò che lei non sarebbe più stata. Etoile. Il sogno di una vita,
frantumato come il suo ginocchio, si stava realizzando grazie a lui. E' anche
così che i sogni si realizzano... le diceva la sua coscienza. Ed era
vero. Se
la persona che ami realizza ciò a cui tu aspiri... è come se lo realizzassi
tu. Gioiscine sempre, si ripeteva lei sorridente e ci credeva. Ma aveva bisogno
di lui, per gioirne, altrimenti non sarebbe servito a niente.
Però...
come potersi fidare della vita? Infida... poco affidabile...
* * * "Mon
amour..." La
sua voce calda e suadente, gli penetrava sotto la pelle come scariche
elettriche. La sua mano, piccola e fresca posata sul suo torace gli trasmetteva
calore e sicurezza, un senso di calda protezione che aveva quasi
dimenticato. La
sensazione intensa di quel corpo sottile che scorreva sul suo era impagabile e
ora più che mai si rendeva conto di non poterne fare a meno. Sarebbe stato come
privarsi dell'aria. "Dimmi,
cherie..." Una
sua mano che scorreva tra i lunghi capelli neri, sciolti a solleticargli il
petto e l'altra lasciata libera di correre sulla pelle della schiena nuda. Una
seconda volta che sembra la prima e profuma di novità. "Sono
fiera di te. Hai realizzato il sogno di entrambi." Il
suo sorriso. Non avrebbe scommesso un centesimo sul poterlo ammirare di nuovo,
eppure ora gli si presentava davanti in tutto il suo splendore. Ancora
non riusciva a credere di stringerla tra le braccia... e al diavolo il sogno di
entrambi. Danza, danza... lui viveva 24 ore su 24 per il balletto, adesso aveva
voglia di vivere per lei. E lo aveva pensato già quando l'aveva vista prendere
un taxi, sotto il teatro. Quando si era affacciato perché aveva sentito dire da alcune
ragazze della
compagnia, che avevano visto in sala una ragazza, molto simile alla ballerina Sara
Castelli. L'aveva rincorsa come un matto e l'aveva ripescata all'aeroporto, in
piena fuga. Fuga mancata a giudicare dall'effetto che le avevano fatto le sue
parole, la sua preghiera di ricominciare da zero e le sue lacrime. Beh...
aveva pianto anche lui, quando aveva ricordato l'incubo che aveva vissuto,
appena aveva scoperto che lei non avrebbe più potuto danzare... con nessuno. "Io
ho realizzato il sogno di entrambi, è vero. Però in gran parte il tuo, dal
momento che tu non potrai più volteggiare, mon petit coeur." I
primi lucciconi nei suoi occhi. No, no non doveva piangere il suo piccolo amore.
Piuttosto l'avrebbe fatta ballare lui, tenendola sempre in braccio ed evitando
che posasse piede a terra. "No,
niente lacrime..." la bloccò, asciugandole un sottile filo bagnato sulla
guancia. "Amore... vuoi realizzare il mio sogno personale, prima di provare
a salvare il tuo?" "Cioè?"
"Stai
con me. Non lasciarmi mai più. Perché ho scoperto che la mia ragione di vita
non è solo la danza e adesso che ho tra le mie braccia l'altra, vorrei non
farla scappare mai più." Annuiva
e lo abbracciava, ma speranza di salvare il suo sogno non ne aveva e glielo
leggeva negli occhi; era felice, felice di star con lui e di aver sentito una
simile dichiarazione, ma in quel momento le era sfuggita la possibilità di far
di nuovo suo il palcoscenico di un teatro. "André...
lo so che non c'è alcuna possibilità che io ritorni a danzare, non c'è
bisogno che mi illudi. Io non ti lascerò più. Forse è egoismo, sai? Eh sì
perché in passato, quando ero ancora una ballerina, non ci ho pensato poi molto
a lasciarti. Adesso che non ho più la danza, invece, costringo te a stare con
me... perché sei l'unica cosa che mi è rimasta." ...che
schifo...
"Mhm
mhm... si siamo due belli egoisti. Hai ragione!!"
"Siamo?"
"Certo,
siamo. Perché io ti aiuterò lo stesso a salvare il tuo sogno, ma... se anche
non dovessi riuscirci sono comunque contento di averti con me. Perché la danza
non mi basta più e in fondo non me ne importa poi molto di dove andremo a
finire. Voglio riuscire a far coesistere le mie ragioni di vita e forse in tutta
franchezza al momento non so quale delle due abbia la priorità!"
"Non
importa. Mon petit danseur, danza... danza finché potrai e non ti fermare! Tu
calca il palcoscenico per entrambi e io sarò il sostegno della coppia per
entrambi. Quando sarai pronto a dare una priorità, io sarò qua accanto a
te!"
"Christopher!!" la riprese il ragazzino biondo, avvolto in una tuta
bianca, con aria di sufficienza e incrociando le braccia al petto con aria
stizzito.
Pigrizia? Un cazzo.