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Autore: la Crapa    19/08/2010    3 recensioni
Il vento scostò ancora la polvere, e quando questa si fermò di nuovo riprese a parlare: «Una volta anche noi eravamo uomini.»
«È stato un peccato dimenticarcelo.»
«Ormai non ha più importanza.»
Annuì piano.
«Ormai è tardi» continuò la polvere «Per me è ormai arrivata l’ora di andare.»
Si sentì fremere, e desiderò di vivere come mai gli era successo. Nemmeno quando tra i Menos aveva dovuto arrancare e strappare sangue e ossa con le forti zanne, nemmeno quando era caduto di nuovo in basso, menomato di un braccio e del proprio onore. Nemmeno allora aveva temuto tanto la morte.
«Posso restare ancora un po’? »
Breve fiction tendenzialmente nonsense su Grimmjow e Ulquiorra.
Genere: Sovrannaturale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jaggerjack Grimmjow, Schiffer Ulquiorra
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Come l’aria prima che il vento ci porti via

 

 

 


Personaggi: Grimmjow Jaegerjaques {ma che diavolo di cognome è quello riportato su EFP?}; Ulquiorra Schiffer
Genere: Sovrannaturale, suspence
Rating: Arancione?
Avvertimenti: Flashfic

Note: Non lo so. Non lo so nemmeno io. Non sono convintissima e chiunque potrebbe smontarmela subito. L’idea di Ulquiorra morto che parla a Grimmjow morente mi piaceva davvero troppo. Peccato che il fandom di Bleach ormai mi ispiri poco. Mi ispira così poco che probabilmente non continuerò la raccolta di song-fic e non scriverò più su quello che è stato il mio primo manga. Ho modificato un verso della canzone Ti vorrei sollevare di Elisa per il titolo. Non mi dite che Ulquiorra che ride è OOC, perché tutti noi alla fine lo volevamo.

 

 

 

 

Si sentiva bruciare e aveva la gola arsa.

 

L’unica cosa che riusciva a vedere era la distesa celeste che l’aveva visto nascere, e che ora vegliava in silenzio sui suoi ultimi istanti.
Era sicuro che da qualche parte, fuori dal suo campo visivo, si innalzasse un’alta torre bianca, erosa dal fumo e dalle fiamme. La sentiva sgretolarsi, cadere giù per essere inghiottita dalla sabbia ed unirsi ad essa indissolubilmente.
Era sicuro, non poteva sbagliarsi.
Conosceva Las Noches come nessun altro, già da quando era un semplice verme incapace di alzare la testa e guardare quel cielo traditore. Tra i pensieri sconnessi emerse il ricordo di se stesso, piccolo e insignificante, che scrutava le torri bianche da un punto remoto, nascosto tra le dune, aspettando il momento opportuno per irrompere nei vasti saloni del palazzo latteo ed esclamare: «Ehi! Sono io il vostro re!». Gli venne da ridere, ma si trattenne sentendo il volto martoriato dalle ferite avvampare dal dolore. Nemmeno allora, pensò, un vento di morte così compatto si era mai alzato su quel deserto che lui chiamava casa.

Proprio in quel momento la brezza soffiò contro di lui, e fu investito da una folata di cenere. Non riuscì a trovare le forze per dimenarsi, e sentì un sibilo.

«Guardati.»

Sbuffò, stizzito, chiedendosi per quale motivo dovesse sentire quella voce fastidiosa in un momento del genere. Ma la polvere non accennava ad allontanarsi dal suo campo visivo, e forse era il caso di rispondere.

«Non mi dire che ti sei fatto ammazzare.»

«Potrei rigirarti la stessa domanda.»

«Ma io sono ancora vivo, a differenza di te, povero sfigato.»

«Non per molto, immagino.»
Digrignò i denti e gemette, desideroso di trasformarsi in una ventola e spedire via quella fuliggine insopportabile.

«Ti togli, per piacere? Stavo ammirando quel bel cielo prima che tu venissi a rompere. Sei irritante pure da morto. Mi fai venire l’ulcera.»

«Mi chiedo come,» ribatté la cenere «quando il tuo stomaco è sparpagliato qui, per terra.»

«Era esattamente di questo che stavo parlando.»

Udì un sibilo paurosamente simile a una risata, e in vento portò la polvere lontano dai suoi occhi.

«Questo credevo che non l’avrei mai sentito. No, davvero. Devo essere impazzito.»

«Non potrei pretendere nulla di diverso da una spada spezzata

Mentre una ventata scompigliava i suoi improbabili capelli e i suoi nervi affioravano sulle tempie, la cenere constatò: «Un moribondo che parla con un morto. Chiunque penserebbe che si tratta di pura follia.»

«Ho visto di peggio in questo posto. Questa situazione non è poi così incredibile.»

«È vero, non lo è.»
Il vento soffiò in direzione contraria rispetto a prima, e la cenere gli passò accanto.

«Perché siamo morti?»

«Perché Kurosaki era più forte.»

«Perché un semplice umano come lui era più forte di una Espada. Come è possibile questo?»

«E io che diamine ne so?» ringhiò offeso, sentendo bruciare sul petto il peso della sconfitta più di ogni altra ferita. Quante volte se l’era chiesto? Lui era il migliore, ed era stato sconfitto da una nullità.

«Io credo» continuò la cenere «Che quel ragazzo possiede qualcosa che noi non abbiamo. Io l’ho visto. Ma tu no. È per questo che non puoi ancora arrenderti alla nostra Signora?*»

«Stai farneticando.»

Ispirò velocemente, poi chiuse gli occhi. Cos’aveva visto quello che una volta era stato il suo compagno? Quale segreto portava con sé quel vento funereo?

«Perché siamo morti?»

«L’hai già chiesto.»

«Non intendevo questo.»

«E allora cosa?» sbottò stanco, sentendo le forze che lo abbandonavano al punto che di lì a poco non sarebbe stato in grado di continuare quella conversazione.

«Abbiamo vissuto. Da Menos siamo diventati Arrancar e poi Espada. Da insetti insignificanti, spazzatura, siamo diventati temibili armi al servizio del nostro signore. E ora siamo morti. Perché? Perché l’abbiamo fatto, Grimmjow?»

«Non dovresti essere in grado di darti una delle tue stupide risposte nichiliste?» proruppe seccato, sebbene poco convinto.

«Evidentemente no.»

«L’avevo notato.»

Scese il silenzio, e per un po’ credette che la cenere fosse andata via, sospinta da una folata di vento. Poi questa riprese piano a parlare: «Tu credi che ne valga la pena? Che ne sia valsa la pena vivere fino alla fine?»

«Cos’hai trovato, tu, in loro?»

La fuliggine esitò e capì di aver trovato la risposta alle domande di entrambi.

«Cosa ti ha mostrato quella donna? Ti ha disegnato tanti cuoricini sul petto e ti ha detto che sarete amici per sempre e saltellerete insieme sui prati?»

Non sentì ancora nessuna risposta, e chiese ancora con voce strozzata: «È questa la loro forza, Ulquiorra?»

Il vento scostò ancora la polvere, e quando questa si fermò di nuovo riprese a parlare: «Una volta anche noi eravamo uomini.»

«È stato un peccato dimenticarcelo.»
«Ormai non ha più importanza.»

Annuì piano.

«Ormai è tardi» continuò la polvere «Per me è ormai arrivata l’ora di andare.»

Si sentì fremere, e desiderò di vivere come mai gli era successo. Nemmeno quando tra i Menos aveva dovuto arrancare e strappare sangue e ossa con le forti zanne, nemmeno quando era caduto di nuovo in basso, menomato di un braccio e del proprio onore. Nemmeno allora aveva temuto tanto la morte.

«Posso restare ancora un po’? »

Sentì ancora quella risata così inaspettata, surreale.

«Andrai via col prossimo vento.»

La brezza soffiò forte e la fuliggine fu portata in un luogo lontano, e Grimmjow non vide mai più il suo tanto odiato rivale.
«Come se non lo sapessi, chi vincerà questa partita.»

Rise piano, rendendosi conto che Ulquiorra aveva acceso in lui un dubbio atroce.

Ce l’aveva Aizen, un cuore?

«Buona fortuna, Kurosaki.»

Ce l’avrebbe fatta quel ragazzo a detronizzare un dio? Sarebbe stato in grado di compiere quell’impresa che lui sognava da sempre di intraprendere, ma che mai aveva osato?
Ricordò le parole di Ulquiorra e pensò a quanto avrebbe voluto alzarsi sulle sue gambe e gettarsi a capofitto in battaglia e fare quel folle tentativo.

Almeno così ne sarebbe valsa la pena.

 

Si sentiva bruciare e aveva la gola arsa.

 

 

 

 

*Ogni Espada rappresenta un diverso tipo di morte. Quindi la morte è la loro Signora.

   
 
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