You were
alone before we met
No more forlorn than one could get
How could we know?
[Placebo, Ashtray Heart]
***
Praga. Non si sarebbe mai stancato di vederla.
Una città semplice e affascinante, abbastanza piccola da poter essere girata tranquillamente a piedi, ma non abbastanza da annoiare un visitatore saltuario.
Gustav aveva perso il conto delle volte che era già stato lì, ma non riusciva a ricordarne una sola in cui non aveva avuto il desiderio di sacrificare qualche ora di sonno in favore di una passeggiata tra le caratteristiche vie della città, anche solo per rilassarsi e godersi un po’ il paesaggio.
Il tempo, stavolta, però, sarebbe stato inclemente: erano arrivati il giorno stesso del concerto, e la sera successiva sarebbero subito ripartiti per Lille, e questo lasciava poco tempo al turismo. Tuttavia, già appena messo piede in terra ceca, Gustav aveva deciso che non si sarebbe negato qualche ora tutta per sé, e adesso che i Pristine Blue avevano lasciato il palco e la folla già acclamava i Tokio Hotel, l’adrenalina e la voglia di musica prendevano il sopravvento sullo spirito di solitudine.
“Tokio Hotel! Tokio Hotel! Tokio Hotel!”
C’era Vibeke che stava baciando Tom nel suo solito modo molto discreto, la chitarra di Tom già a tracolla premuta tra i due. Bill li guardava sdegnoso, Georg si limitava a ignorarli, appoggiato a un amplificatore in disparte.
“Tokio Hotel! Tokio Hotel! Tokio Hotel!”
Kuu e Kaaos erano appena rientrati nel backstage. Kaaos non doveva essere di umore proprio ottimo: piantò la chitarra in mano a uno dei tecnici e si dileguò in fretta e furia. Kuu, la quale sembrava invece perfettamente rilassata, passò elargendo sorrisi ai complimenti di Griet e degli altri.
“Tokio Hotel! Tokio Hotel! Tokio Hotel!”
Georg diede a stento segno di aver registrato la sua presenza. Bill le sorrise distratto, e lei ricambiò, passandogli accanto.
“Tokio Hotel! Tokio Hotel! Tokio Hotel!”
“Ragazzi, svelti, andate ai vostri posti!” ordinò loro Willi nell’auricolare.
Gustav si era aspettato un sorriso anche per sé. Quando Kuu passò accanto a lui, invece, chinò il capo e si lasciò portare via da Griet, che l’aspettava con una felpa in mano, lasciandosi dietro nient’altro che un flebilissimo ‘Ciao’, che Gustav non era nemmeno del tutto sicuro di non essersi immaginato.
“Tokio Hotel! Tokio Hotel! Tokio Hotel!”
“Gustav, muoviti, manchi solo tu!”
Si riscosse, come risvegliandosi da uno stato di trance, e sia frettò a raggiungere i ragazzi sul palco.
“Tokio Hotel! Tokio Hotel! Tokio Hotel!”
Era ora di iniziare. Rimasero qualche minuto fermi nelle loro posizioni, immersi nelle ovazioni che invocavano il loro nome.
“Tokio Hotel! Tokio Hotel! Tokio Hotel!”
Quando la musica partì, la sua testa era ormai da un’altra parte.
***
Ahoy, people!
This is Kuu, writing right
after the show we
just had here in Prague. The gig was awesome, great audience and even
greater chemistry
with the music, you can’t imagine how proud we are of the
response we are
getting. Kaaos is wailing on the sofa with the worst headache
he’s ever had in
his whole life, or so he says. If any lady is willing to come and nurse
the big
boy, he’s free and available (well, not emotionally, I must
say). Tokio Hotel
are on stage right now, rocking the place among screams and the loudest
praises
I’ve ever heard. I spotted French, Italian and Russian flags
in the crowd… I
find it amazing that there are fans going all around Europe to follow
their
idols.
You can’t imagine how much fun I had tonight!
Czech people are very welcoming and let us feel a wonderful atmosphere
during
the show. I’m touched.
We have a couple of spare days now, so I really
hope to have some rest and manage to visit this beautiful city as well,
since,
as many of you surely know, I was never much of a traveler in my life.
Follow the link below to watch the first video
that was shot during the rehearsals and some backstage pics. More to
come soon,
I promise.
Thanks everyone for your messages on Facebook
and Myspace, keep them coming, we try to read them all, even though we
don’t
have enough time to reply to everyone.
Lots of love!
Kuu
Posted
by: Kuu; on Mon, 15th
Mar 2010 @ 22.36
***
Non era questo che io volevo. Non era
quello che cercavo.
Volevo solo smettere di essere me, comprarmi una maschera e
verstirmene per sempre. Un nuovo volto, un nuovo nome, una nuova vita.
Ma ora alzo lo sguardo e nello specchio sono nascosta solo
a metà.
Come hai fatto a farmi questo?
Non era questo che io volevo.
Non era te che cercavo.
***
La mattina del sedici di marzo c’era un sole accecante a brillare nel cielo più terso e turchino che avesse visto negli ultimi due mesi. Non faceva nemmeno particolarmente freddo, e questo rendeva la giornata l’ideale per un sano svago turistico. Si era svegliata con la voglia irrazionale di uscire dall’hotel e rubarsi qualche ora tutta per sé, per sé e nessun altro, e fare ciò che voleva senza avere il fiato di Luke sul collo. Non era granché popolare al di fuori dei confini tedeschi, quindi erano scarse le possibilità che qualcuno la potesse riconoscere.
Scese nella hall che era ancora presto, lasciando a Kaaos un biglietto che diceva semplicemente ‘Ci vediamo stasera’. Occhiali da sole e cappotto nero le erano parsi adatti all’anonimità che le sarebbe servita per passare inosservata, ai limiti dello scrupolo. Si sistemò la grossa borsa di Gucci al braccio e uscì dall’ascensore. Per qualche strano motivo, non si stupì quando, avviandosi verso la porta, il suo cammino si incrociò con quello di qualcun altro.
“Hey!” esclamò, ritrovandosi di fronte a un paio di occhi che quella mattina erano inusualmente chiari, di un castano dorato che finora aveva avuto il piacere di vedere solo in fotografia.
“Buongiorno.” Salutò cordialmente Gustav. Il suo viso stanco si era come illuminato nel vederla, e questo la lusingò più di quanto avrebbe potuto fare qualsiasi complimento esplicito.
Gustav era, come suo solito, il ritratto della semplicità: jeans, giubbotto scuro, occhiali e un’aria decisamente più disinvolta di lei.
“Dove te ne vai a quest’ora del mattino?” gli domandò, benché conoscesse la risposta: sapeva che gli piaceva dare un senso ai suoi pochi giorni liberi godendosi le città in cui si trovavano di passaggio.
“Sono le otto.” Le rispose lui con un sorriso.
“Considerando che siamo andati a dormire sei ore fa…”
“Già, ma non mi pare di stare parlando da solo, ora che ci penso…”
Kuu apprezzò l’arguzia, ma non se ne lasciò intimidire.
“Oh, io ho in programma un giro in città.”
Lui parve sorpreso.
“Sul serio?”
“Che c’è di strano?” fece lei, sulla difensiva.
“Niente.,” si schermì lui, tranquillo. “Solo credevo di essere l’unico interessato alle città che giriamo.”
Improvvisamente un’idea si fece strada nella sua testa: entrambi avevano intenzione di visitare Praga ed entrambi lo avrebbero fatto da soli. Inoltre, lui conosceva la zona senz’altro meglio di lei, visto che ci era già stato spesso. Mentre abbracciava quell’idea con più entusiasmo di quel che si sarebbe aspettata, Kuu cercò di convincere sé stessa che fosse perché, accompagnata da lui, semplicemente avrebbe potuto ottimizzare i tempi e orientarsi con più sicurezza.
“Praga non l’ho mai vista prima d’ora, come del resto tutte le altre,” confessò, con una punta di risentimento, ma con il bocciolo di una segreta speranza che quelle parole scelte con cura sortissero l’effetto che lei si augurava che le tremava dentro. “E sembrerebbe avere molto da offrire.”
Gustav annuì.
“È bellissima, noi ci siamo già stati qualche volta.” Lasciò cadere una breve pausa e abbassò lo sguardo, rialzandolo subito dopo, quasi con timore. “Se vuoi…”
Il bocciolo di speranza si spalancò in un fragile fiore di entusiasmo, che fu tuttavia abilmente tenuto a bada. Kuu allargò gli occhi qual tanto che bastava per simulare una sorpresa intenzionalmente trattenuta.
“Mi faresti da guida?”
“Ti va?”
Gustav le sorrise, un sorriso che le guardò giù, in fondo, là dove lei stessa da secoli aveva smesso di guardare, forse per il timore di non ritrovarsi più. Avrebbe voluto poterselo comprare, quel sorriso. Avrebbe voluto poterlo conquistare come faceva con tanti altri sorrisi: uno sguardo languido, un movimento sinuoso della mano, delle labbra, una parola pronunciata nel tono giusto. Ma con Gustav non funzionava così: lui sorrideva poco, e di rado, quelle poche volte, i suoi sorrisi si allargavano abbastanza da rischiarargli il volto come era appena successo.
Kuu si fece una fotografia mentale di quel regalo. La impresse bene dentro di sé, custodendola gelosamente, conscia che più di così non avrebbe mai potuto ottenere.
“Volentieri.”
Kuu sentiva di essersi persa un passaggio. Da qualche parte, nelle settimane precedenti, ci doveva essere stato il momento in cui lei aveva deciso che fosse giusto smettere di fare la glaciale stronza sopra le righe e addolcirsi quanto bastava per essere considerata una compagnia appena passabile. Non riusciva a ricordarlo, però. E non riusciva a ricordare nemmeno quand’era stato che dall’essere una compagnia appena passabile si era completamente abbandonata all’assoluta naturalezza. Aveva perso il controllo di sé, per qualche ragione. Era come se le avessero strappato uno scudo che da anni si teneva incollato addosso e lei non se ne fosse neanche resa conto.
No, non era
questo che
io volevo…
“Andiamo?”
Kuu tornò in sé, e non si sentiva umiliata come avrebbe creduto, bensì stranamente leggera.
Gustav le cedette il passo per uscire e da lì, dopo che ebbero messo piede fuori dall’hotel, il tempo se ne volò via con un’inclemenza che lei non gli avrebbe perdonato.
***
Bill si domandava dove diavolo fossero finiti tutti quanti. Aveva appurato che Georg era rintanato nella sua stanza, immerso in una conversazione via Skype con Nicole ed Emily da cui non si sarebbe staccato facilmente; Tom e Vibeke, invece, erano ufficialmente dispersi, dopo essere stati persi di vista al party della sera prima. Bill era abbastanza sicuro che si fossero ubriacati e se ne fossero andati a smaltire una sbornia con una bella notte di sesso sfrenato. Il solo pensiero gli fece venire il voltastomaco.
Nessuno sapeva con esattezza dove fosse andato Gustav, ma era normale. Sicuramente era uscito a farsi una delle sue solite passeggiate a tempo perso per la città.
Era già quasi mezzogiorno, e Bill era tutto solo nel salottino della sua suite a guardare un orribile quiz ceco il cui presentatore somigliava in modo impressionante a Tom Cruise, solo con una ventina d’anni di più. Odiava stare solo, soprattutto se la giornata era teoricamente dedicata al riposo. Non sapeva nemmeno perché fosse sveglio. Erano andati a dormire alle tre passate, la sera precedente, e aveva bevuto così tanto che a un certo punto si era ritrovato in braccio a Mike, che lo stava riportando in camera in condizioni a dir poco pietose. Per sua fortuna, tutto il resto lo aveva rimosso.
Amareggiato, cambiò canale. Trovò Viva, ma le canzoni che trasmettevano o non le conosceva, o gli facevano schifo, quindi alla fine si arrese e spense. Aveva appena riappoggiato il telecomando al tavolino, quando sentì bussare alla porta. Non rispose, temendo che fosse qualche fan in cerca di avventure. Avrebbe fatto finta di non esserci. Un attimo dopo, però, bussarono di nuovo.
“Servizio in camera.”
Se non altro era una voce maschile, non fosse che lui non aveva ordinato niente.
Aprì, per pura curiosità, e si ritrovò davanti uno sgargiante sorriso a trentadue denti e un paio di occhi grigioverdi che lo disorientarono per un momento.
“Overraskelse!” ("Sorpresa!")
Bill
faticò a trovare la voce, tra lo stupore e la gioia di
quell’inaspettata
sorpresa.
“BJ!”
ululò, gettandosi tra le braccia spalancate
dell’amico. “Oddio, che bello
vederti!”
Forse
il suo entusiasmo sarebbe stato molto meno violento se BJ non fosse
capitato in
un momento così deprimente.
“Santo
cielo, questa sì che si chiama accoglienza!” rise
BJ, quando finalmente si
separarono. “Dovevi proprio sentire la mia mancanza,
eh?”
Bill
si
imbronciò e lo invitò a entrare.
“Non
vale che debba essere solo io a fare il fratello single che si sorbisce
quei
due piccioncini disgustosi.”
“Io
ci
metterei la firma, invece,” ammise BJ, abbacchiato.
“La mia Vibekina mi manca
tanto…”
Solo
allora Bill si accorse che, assieme a un borsone da viaggio, BJ reggeva
sotto
al braccio un orsacchiotto vestito alla tirolese. Li
abbandonò entrambi ai
piedi del divano e vi si lasciò cadere stancamente.
“Sono
ore che provo a chiamare questa disgraziata, ma ha il cellulare spento.
Allora
ho provato a chiamare Tom, ma nemmeno lui è raggiungibile.
Alla fine mi sono
arreso e ho chiamato Benji, e lui mi ha detto di venire qui.”
“Ho
la
sensazione che non rivedremo Tom e Vibeke prima di sera,” gli
comunicò Bill. “E
nemmeno gli altri, direi. Mi hanno abbandonato a me stesso.”
“Ma
tu
guarda!” BJ incrociò le braccia, fingendosi
offeso. “Uno si fa due ore di aereo
per fare una sorpresa a sua sorella e ai suoi amici, e loro sono tutti
in giro
a spassarsela! Gran bel riconoscimento.”
“Riconoscenza.”
Lo corresse Bill, ridendo.
“Sì,
quella cosa lì.”
BJ
era
vestito molto sportivo, con una tuta blu e bianca firmata Adidas e
scarpe da
ginnastica, e ciononostante sembrava comunque pronto per una serata
glamour in
discoteca. I suoi capelli erano sempre più lunghi, biondi
come non mai, e la
barba chiara del suo pizzetto era appena più lunga del
solito.
“Starai
con noi qualche giorno?” si informò Bill, che,
benché portasse una tuta molto
simile a quella dell’amico, si sentiva tutt’altro
che presentabile.
“L’intenzione
sarebbe quella. Mi piacerebbe molto conoscere i Pristine
Blue.”
“Non
è
che abbiano granché da offrire…”
buttò lì Bill, mentendo spudoratamente.
BJ
saltò su come una molla:
“Stai
scherzando?” esclamò, sgomento. “Ma
sì, è ovvio che scherzi. Del resto ormai
è
un mese che te ne vai in giro assieme a loro. Che invidia.”
Nonostante
i ventitré anni abbondanti che il suo fisico dimostrava alla
perfezione, BJ era
un ragazzino nello spirito e non se n’era mai vergognato.
Forse era anche per
quello che a Bill piaceva tanto.
“Se
penso ai testi che scrivono, alle musiche che
compongono…” BJ sospirò. “Hai
mai
sentito Let Juliet Die?”
“Be’…”
Bill si morse il labbro inferiore, avvampando. L’aveva
sentita un sacco di
volte, durante i concerti, e la musica gli piaceva, ma non si era mai
soffermato ad ascoltare le parole. Non gli era poi così
immediato capire
l’inglese cantato.
“Leggiti
bene il testo, appena ne hai occasione.”
Ciò
detto, BJ si alzò in piedi, si stiracchiò per
bene e si voltò verso Bill carico
di una ritrovata energia.
“Su,
vestiti,” gli disse. “Ce ne andiamo a fare un bel
giretto praghese.”
Bill
batté le ciglia, confuso.
“Non
vorrai restartene rinchiuso qui dentro con una giornata bella come
questa,
vero?” esclamò BJ, puntando un dito verso la
finestra, al di là della quale un
sole accecante scintillava nel cielo blu.
Bill
tentennò.
“Be’,
io…”
Un
po’
temeva di uscire così, senza bodyguard e senza meta, ma era
un giorno della
settimana, le ragazzine sarebbero state tutte a scuola e non aveva
motivo di
temere assalti ormonali. Gli sarebbe bastata un po’ di
discrezione e sarebbe
stato fattibile.
“Avanti,”
lo spronò BJ, con un sorriso incoraggiante. “Ci
divertiremo, e se dovesse
succedere qualcosa, ti proteggerò io!”
Sollevò
il braccio contratto e gli mostrò un muscolo, o perlomeno
quello che sarebbe
dovuto apparire come tale, dato che il bicipite di BJ non era poi tanto
più
sviluppato di quello di Bill stesso.
“Oh,
be’…” Bill non ebbe bisogno di fingersi
convinto: lo era e basta. “D’accordo,
andiamo.”
Una
giornata in giro per Praga assieme a BJ. Qualcosa gli diceva che
difficilmente
avrebbe scordato l’esperienza.
***
Avrebbe voluto che non fosse così bella.
Avrebbe voluto che fosse solo una come tante, a vedersi, una ragazza normale.
Avrebbe voluto poter guardare Kuu senza che il suo sguardo si perdesse a contemplare il suo viso, cercando di intravedere gli occhi nascosti dalle lenti scure, sfiorando le labbra perlacee di gloss, per scendere poi sul collo sottile, e scivolare sulle clavicole appena esposte sotto alle pieghe del cappotto, e poi ancora giù, fin dove la discrezione consentiva.
La osservava guardarsi attorno avida, con l’insaziabile curiosità di una bambina, e si arrendeva alla nascente consapevolezza che lui, di Praga, quel giorno non avrebbe visto niente.
E lei gli indicava tutto – edifici, monumenti, costruzioni – e gli chiedeva qualche informazione, e lui a tratti snocciolava quel poco che aveva imparato, e altre volte, con un timido sorriso di scuse, era costretto ad ammettere che non ne sapeva nulla, e allora la ascoltava ridere, e trovava la sua risata strana, quasi stentata, sommessa dalle stesse incertezze di chi parlava una lingua poco conosciuta.
Gustav si chiese dove fosse rimasta la ragazza glaciale e diffidente che aveva conosciuto qualche settimana prima, perché quella che c’era lì con lui adesso non era – non poteva essere – lei.
Sascha…
Avrebbe davvero voluto che non fosse così bella, solo perché almeno sarebbe stato tutto molto più semplice.
Erano in tanti a girarsi a guardarla, quando passava. Poteva essere la sua bellezza che non poteva certo essere nascosta da un paio di occhiali da sole, o forse semplicemente il suo portamento da regina sdegnosa, ma attirava l’attenzione come una fiamma nella notte.
“Quel ponte laggiù è famoso, vero? Wolf?”
Tornando in sé, Gustav si accorse di essere rimasto indietro. Qualche metro avanti a lui, Kuu indicava il ponte e lo guardava con impazienza.
Gustav la raggiunse trattenendo a stento un sorriso divertito.
“Quello è Ponte
Carlo,” le spiegò. “E quella
là davanti a
noi è
Kuu considerò la torre con aria scontenta.
“È così scura e sgraziata… Mette inquietudine. Come mai si chiama così?”
“Non ne ho la più pallida idea.” Confessò lui, infilandosi le mani in tasca.
Kuu si sfilò gli occhiali da sole, imbronciandosi.
“Credevo che tu fossi più preparato, onestamente.” Sbuffò. Un permaloso come Bill non avrebbe mai colto lo scintillio di malizia che le riverberò negli occhi.
Le sorrise, scrollando le spalle.
“Gratis… Cosa ti aspettavi?”
Kuu si voltò a guardarlo negli occhi.
Era stano. Era strano e anche vagamente destabilizzante. Era come se il vetro attraverso il quale l’aveva sempre guardata si fosse assottigliato, o fosse diventato più trasparente, e lei fosse più nitida davanti a lui, più vicina.
“Dovresti farlo più spesso.” Gli disse.
“Che cosa?”
“Sorridere,” replicò lei con ovvietà. “Dovresti imparare a farlo di più, soprattutto in pubblico, davanti alle telecamere.”
Senti un
po’ da che
pulpito…
“Sorrido quando ho qualcosa per cui sorridere.”
Kuu sollevò il mento con fare insinuante, le labbra dischiuse.
“E per cos’è che stai sorridendo, adesso?”
Gustav si bloccò. La sua testa gli disse che, per il proprio bene, avrebbe fatto meglio a non rispondere, a non dirle che a farlo sorridere era il sorriso di lei, così diverso dai primi che gli aveva rivolto da poter a malapena credere che fossero le stesse labbra a dipingerlo. Non sembrava più una simulazione cortese, non era più un’asciutta gentilezza piegata in forma di bugia.
“Tra qualche minuto sono le undici,” divagò, controllando l’ora. “Possiamo andare a vedere l’orologio astronomico della Torre.”
Se Kuu non aveva gradito quell’elegante diversivo, non lo diede a vedere.
“Che cos’ha di speciale?”
“Ci sono le statue che si muovono allo scoccare di ogni ora. Niente di speciale, ma è un must turistico, un po’ come il Big Ben a Londra, o il Colosseo a Roma…”
Lei assottigliò lievemente gli occhi e lo sogguardò con fin troppa consapevolezza, tanto che lui si chiese se una risposta non se la fosse presa da sé, strappandogliela dagli occhi.
“Va bene, Wolf,” disse con disinvoltura, prendendolo sottobraccio. “Andiamo a vedere questo famigerato orologio.”
***
“Mi sa che ci siamo persi.”
“Ho idea di sì.”
“BJ, eri mai stato a Praga, prima d’ora?”
“Assolutamente no.” Fu la sbarazzina risposta.
A Bill scappò una risatina disarmata. BJ era fatto così: prendeva tutto a modo suo, senza mai farsi turbare dalle sciocchezze. A volte, anzi, Bill aveva la sensazione che forse si preoccupasse un po’ troppo poco, ma in fondo era quello il bello di lui.
Erano stati in giro a zonzo tutto il giorno, a mangiare strani dolcetti alla cannella ricoperti di zucchero e ammirare l’aria da paese della favole che Praga aveva in certi quartieri. Non sapevano nemmeno dove fossero stati: avevano girato a casaccio, ma si erano divertiti.
Benché gran parte dei ragazzi che circolavano per le strade fossero biondi e discretamente alti, BJ spiccava comunque in mezzo a loro, con quel suo soprabito bianco che faceva male agli occhi, quel giorno di sole, e che lo faceva rassomigliare più che mai a un modello in incognito. Ma per quel che Bill ne sapesse, i modelli non se ne andavano in giro divorando frittelle su frittelle con la bocca tutta sporca di zucchero.
“Che facciamo, adesso?”
Stava facendo buio. Era ancora presto, ma l’idea di continuare a vagare dopo il tramonto sorrideva poco a entrambi, anche perché nessuno dei due era in grado di orientarsi alla luce del sole, figurarsi dove sarebbero potuti andarsi a cacciare di notte.
BJ fece spallucce.
“Potremmo andare a mangiare qualcosa e poi tornare in hotel in taxi.”
“Ma tu hai ancora fame?” si stupì Bill, la ancora pancia strapiena delle varie schifezze con cui si erano rimpinzati per tutto il giorno.
Bastò il gorgoglio che emise lo stomaco di BJ a rispondergli.
“Be’, abbiamo camminato tanto! Consumo un sacco di energie, io.”
Solo a quell’osservazione Bill si accorse di quanta strada avessero effettivamente fatto, da che erano usciti. Non avrebbe mai creduto di poter camminare tanto senza avvertire nemmeno un minimo di stanchezza.
“Tom non ci crederà mai che mi sono fatto tutta Praga a piedi.”
“Ehm… Excuse me.”
Bill si voltò, sentendosi toccare una spalla. Dietro di lui c’era un nugolo di ragazzine, e una brunetta stringeva una fotocamera. L’accento sembrava spagnolo o italiano.
“Hi.” Rispose, incerto. Si strinse inconsciamente al braccio di BJ.
Aveva paura, senza sapere perché. Era lì, in una città di cui non conosceva la lingua, e il solo pensiero che in men che non si dica si potesse formare la solita orda di facce sconosciute ed assillanti gli fece mancare l’aria.
Fa’
che non siano
fans. Fa’ che non siano fans…
La ragazza indicò la sua fotocamera con un sorriso gentile.
“Picture, please?”
Voleva una foto.
Parlava un inglese molto stentato, ma Bill quasi non se ne accorse, agitato com’era. Le ragazze erano tranquille, ma bloccavano il passaggio sul marciapiede affollato, e molte persone si fermavano a vedere costa stesse succedendo. Avrebbe voluto che Mike fosse lì.
“Yes, sure!” intervenne BJ, notando che Bill era come rimasto pietrificato. “Go ahead, pose, I’ll take it.” (“Sì, certo! Avanti, mettetevi in posa, ve la faccio io.”)
Bill si aspettò di essere assalito da una moltitudine di braccia bramose, invece nulla di tutto ciò accadde. Le ragazze si sistemarono tutte assieme di fronte alla balaustra del fiume e si fecero fare un paio di scatti.
Nessuna gli chiese un autografo. Nessuna gli chiese di farsi fotografare con lui. Nessuna gli disse che lo amava.
Erano solo un gruppetto di liceali in gita scolastica, e nessuna di loro aveva preteso di invadere il suo spazio personale.
“Thank you!” esclamò la ragazza, tornando a prendersi la sua fotocamera. “Go, all together!”, aggiunse poi, facendo cenno a Bill e BJ di raggiungere le sue amiche, ancora ferme in posa.
Bill cercò tentennante lo sguardo di BJ.
“Dai, andiamo!” gli disse l’amico, trascinandoselo dietro.
Si sistemarono in mezzo alle ragazze e la brunetta scattò. Ne fecero anche un’altra, in cui BJ ebbe la folle idea di prendere in braccio la più piccola ed esile delle ragazze, che arrossì furiosamente nel ritrovarsi all’improvviso tra le sue braccia, ma rise di cuore assieme alle amiche.
Alla fine ringraziarono tutte un’infinità di volte e li lasciarono, allontanandosi in un coro di risolini e fitte chiacchiere incomprensibili.
“Molto beneducate, vero?” si compiacque BJ.
Bill era ancora un po’ frastornato. Non riusciva a capacitarsi di aver fatto delle foto con delle ragazze che nemmeno sapevano chi lui fosse, a cui non interessasse farsi vedere con lui.
“Ti sei un po’ spaventato, vero?”
La voce dolce e comprensiva di BJ fece sentire Bill quasi in colpa.
Anni e anni di tolleranza verso fans fameliche lo avevano reso un idiota paranoico e iperansioso?
“Io…” Bill si morse il labbro, vergognandosi di sé. “Sì, un po’.”
Ma BJ, che non era come chiunque altro, non gli diede né del paranoico né dell’iperansioso. Si limitò ad appoggiargli un braccio sulle spalle e sfoderare il tono più tranquillo che si potesse immaginare:
“Che sciocchino che sei. Ci sono qui io a proteggerti!”
A quel punto, a Bill non restò che rilassarsi in una risata.
“Dai, andiamo,” senza lasciarlo andare, BJ se lo trascinò via, puntando una pizzeria dall’altro lato della strada. “Sto morendo di fame.”
Un giorno di libertà senza guinzagli e museruole, pensò, Bill, seguendolo soddisfatto. Dovrei farlo più spesso…
***
Dovrei farlo più spesso, si disse Kuu quando, ormai all’ora di cena, rientrò nella hall dell’hotel assieme a Gustav, dopo quella che era stata la giornata più bella che avesse avuto da molto tempo a quella parte.
Il tempo era volato così in fretta che non si era accorta che la luce era calata e l’aria si era fatta fredda. Non si era accorta nemmeno che, tra una cosa e l’altra, avevano saltato il pranzo.
Ma non aveva fame, né si sentiva stanca o anche solo affaticata. Aveva gli occhi ancora pieni delle molte bellezze di Praga, i polmoni colmi dei profumi che aveva sentito tra le bancarelle, e sotto alle dite sentiva ancora il braccio solido di Gustav a cui si era aggrappata tra la confusione, un po’ per il terrore di perdersi, un po’ perché, semplicemente, le piaceva la sensazione di sicurezza che le dava.
“Pare che siamo riusciti a tornare all’ovile sani e salvi.”
Gustav rispose con un sorriso, uno di quelli da cui Kuu aveva ormai capito che non avrebbe mai imparato a difendersi, così bello e devastante da mandare in frantumi ogni sua barriera difensiva in meno di un battito di ciglia.
“La fortuna dei principianti.”
“Sì, può darsi.”
Gli stava ancora tenendo il braccio. In qualche modo, riuscì a convincere sé stessa che sarebbe stato meglio per tutti che non si facessero vedere così, e lo lasciò andare con garbo, mentre una parte di lei urlava proteste che lei non voleva ascoltare.
“Sono stata bene, oggi.” Gli disse, chinando lo sguardo, quando ebbero raggiunto il corridoio delle loro stanze. “Grazie per la bella giornata.”
Parole banalissime, di circostanza, che toglievano spazio ad altre che non avrebbe nemmeno saputo come pronunciare. C’era troppa confusione nella sua testa intorpidita dall’improvviso calore dell’hotel.
Avrebbe voluto poter leggere la mente di Gustav, per capire cosa significasse quella sua espressione così maledettamente neutra e pacata, che pensieri celassero quegli occhi insondabili, ora di nuovo scuri, che la scrutavano con un misto di curiosità, timidezza e qualcos’altro che le sarebbe stato impossibile decifrare, se non prendendogli il viso tra le mani e letteralmente tuffandosi dentro le sue pupille.
“Grazie a te di avermi fatto compagnia.”
Era uno di quei momenti che sembravano lasciare qualcosa in sospeso, una parentesi aperta che nessuno se la sentiva di chiudere. Troppi rischi, troppe incertezze, troppi inganni che le illusioni potevano giocare.
“Bene, allora… Buonanotte, Wolf.”
Un piccolissimo sorriso incurvò le labbra di Gustav.
“Buonanotte, Sascha.”
Kuu odiava quel nome. Lo odiava con tutta sé stessa perché aveva accompagnato un passato che non sentiva più suo. Eppure, nonostante quell’odio viscerale, il suono che aveva sulla voce di Gustav le provocava un formicolio piacevole dietro al collo, come una carezza lasciata per caso.
Restarono immobili un attimo, sospesi sulle loro stesse frasi, finché lei decise che prima fosse entrata in camera, meglio sarebbe stato.
Fece per voltargli le spalle, e così fece lui, ma poi all’ultimo istante ci ripensò.
“Wolf?”
Gustav si voltò, stupito dietro ai suoi occhiali.
“Dimmi.”
“Magari ti sfrutterò di nuovo, nella prossima città.”
Lo stupore di Gustav divenne incredulità, poi, per qualche ragione, si dissolse in un’espressione di vaga malinconia.
“Sì,” mormorò. “Magari.”
E con un ultimo sorriso, si allontanò nel corridoio deserto, senza guardarsi indietro, e Kuu rimase a guardarlo, senza sapere cosa pensare.
***
I feel so wrong when I
look at you
I feel so fake, ‘cause
you are so true
All this time I
thought it was right
Burying all truths
under my lies
But I feel so alone
when I look at you
‘cause you’re only a
dream in my head
We could never be
close enough
We will never be
Too many fallen heroes
Too little time
Never look back at me
Just let Juliet die
[Let Juliet Die,
Pristine Blue]
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Note: tre mesi. TRE maledettissimi MESI. Mi domando se i miei lettori si ricordino ancora che io esisto, a questo punto, e che questa storia è ancora in corso. Più che domandare venia, non so che altro fare. Inizierò, anzi, accampando qualche scusa, tanto per: primo, ho avuto un calo di ispirazione verso giugno che mi ha portata a rimandare ogni volta che aprivo una nuova pagina di Word; poi a fine luglio sono partita per la Sicilia (di cui mi sono innamorata) e ci sono rimasta un mese, senza quasi avere modo di attaccarmi a internet o anche solo avvicinarmi a un pc. Sono tornata da pochi giorni e, rinvigorita dalla mia vacanzina marittima, ho aperto il documento di Word che avevo lasciato in sospeso eoni or sono e a quanto pare sono riuscita a mettere insieme abbastanza idee da giungere a quel che oso definire un capitolo di senso compiuto. Lascio a voi giudicare se sia effettivamente degno di tale definizione o meno. XD
Un grazie di cuore, intanto a
NeraLuna:
meglio
tardi che mai, come si dice, no? ;) Ebbene sì, il mio
intento è proprio gettare
lo sprovveduto lettore nella confusione! XD Che vuoi, sono una
sadichella. ^^
CatGirl483:
sei nata
lo stesso giorno di Vi?! Ma allora ieri era il tuo compleanno!
Auguroni! E grazie
dei complimenti!
tokiettinaa:
ma
grazie! *__* troppo gentile!
Eclectic_Doll:
ebbene, credo che la tua recensione ne sia valsa almeno una
decina… e ho detto
tutto. Grazie, non so come spiegare quanto mi abbia fatto piacere ogni
tua
singola parola.
Tigre
Bianca:
questa è la volta delle recensioni sciogli-cuore e
gonfia-ego, mi sa… troppi
complimenti! Ç__ç grazie!
Conz483:
be’, forse
non ho aggiornato presto come speravi, ma spero che almeno gradirai
questo
capitolo quanto il resto. XD grazie mille!
Ary_Engel:
taccio commenti sulle tue osservazioni per amore della mia sadica
segretezza…
ma DANKE!
Rhebekka:
ma che
parole meravigliose! *__* “Vortice
sensuale”… uno dei complimenti più
belli che
mi abbiano fatto! Oh, vedrai quanta sensualità ho in serbo,
sissì! ;)
Serenity_Moon:
ma
grazie! *__* Eh, lo so, sono un vulcano di idee, peccato solo che a
metterle
nero su bianco poi servano sempre certi travagli
lunghissimi… fammi sapere che
ne pensi di questo sospirato aggiornamento!
Lales: ma nooo! Io voglio tanto bene alla mia piccola dolce Diva! Avrà anche lui le sue occasioni, vedrai. u.u Mai dire mai, fino all’ultimo!
Baby_Barby:
mi sa
che, se prima credevi che avessi abbandonato la fic, adesso avrai
pensato che
io sia morta o abbia rinnegato la Tokio-religion… XD
Invece… sorpresa! Viva,
vegeta e più tokiomane che mani! ;) Gongolo di fronte alla
tua osservazione sul
nome Sascha: hai azzeccato in pieno il punto della questione, mia cara!
;) Noterai
che i nomi raramente li scelgo a caso, che hanno sempre delle
affinità con i
caratteri di chi li porta, e quello di Kuu è stato maturato
dopo lunghe e
attente riflessioni. u.u
Muny_4Ever:
so che
hai una preferenza per il nostro meraviglioso biondone con gli occhi da
cerbiatto, quindi penso che tu abbia almeno un po’ apprezzato
questo capitolo.
;)
creamy:
hai usato un
aggettivo molto acuto, secondo me…
“spensierato” è proprio quello che avrei
voluto fosse associato allo scorso capitolo, che infatti si chiama
“Just
Breathe”. E mi sa che ci vorrà ancora un poco di
pazienza per inquadrare meglio
Kuu come personaggio… mancano ancora dei tasselli da
sistemare nel puzzle.
rose_:
brava, dico
solo questo. Ottimo spirito di osservazione, sì. ;)
Utopy:
benvenutissima! Per la situazione tra Georg e Nicole, ci
sarà presto un
eventuale sviluppo, ma non dico altro. ^^ stessa cosa dicasi per Sissi.
Anche a
te devo dare dell’acuta osservatrice per tante cose.
Complimenti!
UuhDaphne:
ci
sono tante sfaccettature di Bill, a mio parere, e finora ne sono emerse
solo
una minima parte. Verranno i momenti in cui anche tutte le sue altre
facce
verranno fuori, a suo tempo, promesso. ;)
_Pulse_:
curiosa,
vedo… bene. XD porta pazienza, però, siamo solo
al nono capitolo e la storia è
ancora tutta da raccontare!
CowgirlSara:
mi
manchi! Spero di trovarti presterrimo su msn!
Asia74m:
non sai
quanto mi faccia piacere sapere che delle tre storie della saga, finora
questa
è quella che ti coinvolge di più! Ci tengo molto
a Once, e ci tengo che
comunichi qualcosa di importante, quindi se ti coinvolge
così non posso che
esserne davvero felice!
ElleClamp:
penso che
ormai si sia capito che c’è un’abissale
differenza tra la versione di sè che
Kuu presenta pubblicamente e quella che è davvero, quindi in
un certo senso da
un lato è una stronza snob superficiale e
dall’altro è decisamente più umana. In
quanto alla questione Bill vs Gustav… si vedrà. ;)
alien81:
grazie, cara! ^^
_lile_:
che
fosse o meno la tua prima recensione a una mia storia, spero almeno che
non sia
l’ultima! ;) Spero che tu abbia avuto la pazienza di
aspettare questo
sacrosanto aggiornamento e che ti sia piaciuto. :)
macoth93:
alla fine sei scappata a leggere e non mi hai più fatto
sapere cosa ne hai
pensato del capitolo! XD Spero che stavolta la foga non rapisca di
nuovo le tue
buone intenzioni! ;)
Orbene,
penso di aver adempiuto ai miei doveri, quindi vi lascio alla lettura,
mentre
io vado a espiare i miei peccati su un cuscino di ceci e puntine.
ç___ç Mi
raccomando, le recensioni sono sempre gioia per me e la mia Musa,
quindi se in
qualche modo vi è piaciuto, fatemelo sapere. ;)
A
presto! (anche se ormai non ci crede più nessuno XD)