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Autore: crimsontriforce    20/08/2010    3 recensioni
Ultima tappa: tracciare la propria rotta su un mare calmo.
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kimahri Ronso, Yuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Scritta per due concorsi: “Vedo, sento, scrivo – immagini, musica, storie”, di elos.gordon e SaliceMcMay, con i prompt di quest'immagine e questa canzone, e “Six months” di Shippy_19, con le parole Pescatore e Sole. Al primo concorso si è giuoiosamente classificata terza su... uno scatafascio di gente X3 Per il secondo si vedrà. Quant'è bello il mio bannerino, eh? Quanto?
Bannerino *o*
Di già che ero lì, acchiappato di straforo il prompt di Yuna in braccio a Kimahri per il Fanon Fest...

In realtà è dal 2008 che voglio scrivere le parti mancanti de Il sole non tramonta... questa è l'ultima fase (di cinque) di quel pellegrinaggio inverso che lì avevo solo accennato; quando/se arriveranno le altre gliele metterò davanti. Dovendo risultare leggibile per un concorso, mi scuso se nel primo paragrafo ripete un po' i concetti principali della fanfic da cui ha origine.
(Sì, giralamoda!Yuna di qui, Gentle Breeze e Il sole non tramonta è una vendetta trasversale, perché chiedete?)







Il sole non tramonta – pellegrinaggio inverso

Scalza su un tappeto di pioggia




Here I go out to sea again
the sunshine fills my hair
and dreams hang in the air
Gulls in the sky and in my blue eyes
you know it feels unfair
there's magic everywhere

Look at me standing
here on my own again
up straight in the sunshine
(Black – Wonderful Life)





Anche questo viaggio finisce in nave, notò Yuna stropicciandosi gli occhi. Si sedette, appoggiando l'asta e uno strofinaccio alla parete della cambusa alle sue spalle. L'aria era ferma e umida; l'acquazzone che l'aveva svegliata continuava a rovesciarsi al largo di Djose, picchiettando il mare piatto. Solo all'orizzonte si vedeva una falce di azzurro. Per Yuna era una giornata splendida.

Amava notare i paralleli: significava aver vissuto abbastanza da veder accadere le cose due volte.

Quella seconda fine non era paragonabile alla grandiosità di due mesi prima, quando avevano solcato i cieli di Spira sulla scia di luce della caduta di Sin e il canto di tutte le genti aveva celebrato la loro vittoria. Nemmeno vi aspirava. Lì, in acque calde e calme, rotte all'orizzonte dalle cupole di rovine inesplorate, stava per terminare un percorso più intimo, un dialogo fra l'ultima Alta Evocatrice e la sua terra. Il suo pellegrinaggio inverso, come l'aveva descritto due mesi prima a un attonito Cid: aveva scelto di abbandonare l'aeronave per tornare con le sue forze da Zanarkand a Luca, a piedi, in carovana, a dorso di chocobo e di shoopuf, infine su uno dei lenti trasporti merci che timidamente tornavano a salpare da Djose come da ogni altro porto. Viaggiava per conoscere Spira da viva, per i vivi. Per accertarsi che non tutti gli addii erano per sempre – e avrebbe potuto giurare che la terra fertile della Piana della Calma avesse ricambiato il suo abbraccio, ritrovandola. Per camminare abbastanza a lungo in silenzio da trovare la forza di alzarsi di fronte a una folla e dire loro che Sin era morto e Spira era libera e il tempo degli Eoni era passato, ma che come evocatrice non avrebbe mai smesso di provare a essere un raggio di luce per Spira. Per trovare l'umiltà di offrirsi di guidarli, in qualità di Gran Magister, Alta Evocatrice o semplicemente Yuna, per cercare insieme la libertà da mille anni di comandamenti.
C'era quasi. Aveva trovato il suo silenzio e le sue parole. Entro due giorni o tre, se il vento avesse ripreso a soffiare alle loro spalle, sarebbe sbarcata nel luogo pieno di vita e di entusiasmo che aveva scelto per il suo discorso inaugurale: lo stadio di blitzball. Per il momento, poteva limitarsi al riposo.

Una barca da pesca li incrociò affrettandosi verso il tempio. Non aveva ancora smesso i colori della festa e i due pescatori si sbracciarono, ricambiati, per salutare il capitano della chiatta. Sotto la pioggia torrenziale, la loro sagoma sfumò presto in una macchia indistinta.
Ce l'ho fatta, mamma. Ora il mare è sicuro.

Yuna sedeva su una panchina rivolta a poppa, riparata da una tettoia gialla e verde rame, mentre il ponte attorno a lei veniva battuto dal fortunale. Un gradino ampio quanto la tettoia le teneva i piedi all'asciutto: se si fosse distesa tutta fino alla punta dell'alluce, sarebbe arrivata a farsi toccare da qualche goccia. La tentazione di stiracchiarsi era forte, in quella mattina sfaccendata di maltempo e bonaccia, ma se ne guardava bene: i calzettoni rigati che indossava erano un vecchio regalo di Chappu e, oltre a rappresentare un caro ricordo, erano talmente spessi che asciugarli richiedeva tempi geologici. “Yuna, così compassionevole, non farebbe mai un torto a dei calzini”, l'aveva presa in giro Wakka anni prima. “Yuna, così educata, non farebbe mai un torto a chi glieli lava”, aveva fatto eco Lulu come monito. Caro Wakka, cara Lu. Li avrebbe ritrovati presto.

Così Yuna rimaneva rintanata sotto la tettoia gialla e verde rame, con i suoi calzettoni e una veste viola più adatta a un pigiama che a una personalità di spicco, anche se nessuno aveva avuto il cuore di farglielo notare. C'erano tutti i colori dei tessuti di Besaid là dentro, diceva con un sorriso, e tanto bastasse. Salutò il mare.
Stabilito che il sonno non sarebbe tornato restando a letto con quel tramestio (e ammesso a se stessa che era meglio così, perché dai sogni di quei primi giorni avrebbe voluto non svegliarsi più), era uscita per svuotarsi la testa, portando con sé l'asta e il necessario per lucidarla. Passare la mano lungo il metallo circolare l'aveva sempre tranquillizzata: era solita seguire con lo straccio prima i cerchi, poi i petali, in un unico movimento ripetuto, immaginandola sbocciare sotto le sue cure.

Si interruppe sentendo la porta della cambusa aprirsi e i passi familiari del suo unico compagno in quel viaggio, fedele e generoso nei suoi silenzi.
“Kimahri fiero di viaggiare con Yuna”, le disse il Ronso senza altri convenevoli. Non era la prima volta, negli ultimi due mesi, che esprimeva un pensiero simile, ma dall'intensità con cui gliel'aveva confidato doveva essergli molto caro in quel particolare momento.
“L'onore è mio, Kimahri”, rispose facendogli cenno di accomodarsi. “Sei un caro amico e un fratello”, sottolineò, anche se sapeva di metterlo a disagio togliendolo dal ruolo di guardiano in cui si identificava. Ma Sin era morto e Spira era libera e Yuna voleva poter chiamare i suoi affetti con il loro nome. Gli si sedette in braccio.
“Sei la mia linea retta e il mio sostegno, Sir Auron non avrebbe potuto trovare successore migliore per le volontà di mio padre. E ti conosco da allora, sai”, aggiunse prima di uno sbadiglio, “so cosa ti fa sorridere e cosa al contrario ti ferisce ancora. Lo stesso vale per te. Non sei più lo straniero che non riesce a capire perché un cucciolo umano non ha gli artigli – e anche lì non c'era nulla di male, era solo buffo... abbi fiducia in questo legame.”
Appoggiò la testa nell'incavo del collo e, anche se non ricevette risposta, fu felice di sentirsi cullare fra le sue braccia come quando era bambina.
“Raccontami ancora del Gagazet, ti prego”, gli sussurrò.
“Kimahri non ha parole buone per raccontare.”
“Nella tua lingua, allora! Ha il suono stesso della montagna...”
Si fece piccola piccola in quell'abbraccio sicuro. Il lento brontolio del racconto nato fra le rocce innevate tenne lontani i brutti pensieri, e i sogni troppo belli, e la accompagnò in un riposo sereno, scuro come la terra.

*


Yuna si stropicciò gli occhi e starnutì: un ciuffo di pelo azzurro le aveva solleticato il naso fino a farla svegliare.
“Guarda, Kimahri, è spuntato il sole!”, disse stringendosi al Ronso.
“Pioggia smesso quando Yuna dormiva. Pioggia non disturba Yuna.”

“Voglio...”
Yuna sciolse l'abbraccio e si avvicinò al bordo della nave, con lo sguardo fisso all'orizzonte ora sgombro.
“Voglio tornare...”, aggiunse sottovoce.
Un gabbiano volò in circolo sopra l'imbarcazione e si allontanò a oriente.
“Mi chiama!” Inspirò a fondo. “Mi chiama, Kimahri! Vado!”
Si voltò a offrirgli un sorriso prima di appoggiarsi al parapetto e scavalcarlo con un salto.

“Yuna sa quello che Yuna decide”, commentò Kimahri annusando tranquillo il profumo del mare. Raggiunse il punto in cui era scomparsa Yuna e vi si pose a guardia a braccia conserte.

Quando il dito di Yuna toccò l'acqua, Yuna si unì al mare. Sentì le gocce di pioggia appena cadute, le correnti, l'acqua profonda; sentì le luci fatue disciolte in una rete sottile che copriva tutta Spira, dai mari caldi di Besaid al ghiaccio perenne a nord di Zanarkand. Con umiltà ne richiamò qualcuna in superficie, tirando gentilmente le maglie di quella rete fino a che il suo piede trovò un appoggio solido. Respirò a fondo il profumo del mare, che si stendeva di fronte a lei come un campo infinito e piatto, del blu più profondo. Fece un altro passo lontano dalla protezione della barca. Il mare la sosteneva, cedendo solo con le sue gocce più recenti, che si spandevano in cerchio al suo tocco. C'era ancora magia, nell'arco della terra e nel cielo.
Con una giravolta, Yuna si lanciò in una corsa a braccia aperte fino alla fine del mondo, sentendo sotto di sé Spira unita, pulsante e viva. C'era ancora magia.

Si fermò al largo, col fiato corto e la testa ebbra del tappeto di luci su cui si sorreggeva, scintillante sotto i raggi del sole. Si riempì i pensieri di quel blu – acqua, cielo, nuvole, la costa lontana e azzurrina, di ricordi del mare, dell'eco di un sogno. Se lo sentiva attorno come un abbraccio e non dubitava che lo fosse davvero: era nelle luci fatue e nel vento, un primo, timido refolo che spirava dal nord e la circondava con amore. E Yuna si permise di scoppiare a piangere, lì, in piena solitudine, per tutto quello che aveva perso, che anche dopo quei mesi di tregua restava ingiusto e ingiusto sarebbe sempre stato, e pianse anche per tutto quello che aveva guadagnato, che era immenso e maestoso e terribile e ancora tutto davanti a lei. Pianse perché non era sola e non lo sarebbe mai stata, e quello sfogo che non avrebbe creduto di avere ancora in sé divenne un pianto di gioia, in piedi a braccia aperte sul mare e sotto il sole.

Tornò alla nave con passo lento, due calzini al macero e il cuore sereno. Poteva già vedere Kimahri attenderla oltre il parapetto.





   
 
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