Capitolo
2
Tutto
un incidente
Aprii
gli occhi al suono della sveglia e cercai di orientarmi nel caos della
mia
stanza , cercai di non pensare a nulla che non fosse la luce accecante
che mi
perforava gli occhi . Neanche un vampiro avrebbe avuto la mia reazione
a
quell’effetto luminoso . Ero ancora troppo scombussolato per
capire cosa mi
stesse accadendo in torno e meccanicamente uscii dalla mia stanza per
recarmi
in bagno . Lì presi a sciacquarmi le mani ed a lavarmi i
denti . Subito poi mi
lavai la faccia consumando metà dell’acqua che
aveva riempito il lavandino . La
reazione fu istantanea quando l’acqua tocco la mia pelle
svegliandomi .
-
Il pranzo - presi ad urlare .
Entrai
in camera mia e diedi un’ occhiata all’orologio .
erano le 11:20. Se avessi
fossi riuscito a vestirmi e a prepararmi in dieci minuti sarei riuscito
ad
arrivare in tempo al pranzo di Austen . Mi armai di pazienza e in quel
preciso
lasso di tempo acquisii una velocità spaventosa , anche
più di quella di mia
madre il giorno prima . Lasciai da parte l’indecisione sugli
abiti da mettere
quel giorno e presi le prime cose che trovai nell’armadio .
Mi sorpresi di
quanto potessi essere elegante con quelle cose che avevo scelto al
momento . In
fondo , come avevo sempre detto , avevo un futuro assicurato nel campo
della
moda . Presi il cellulare ed il portafoglio in fretta e furia , scesi
le scale
e prima di andare mi diedi un’ultima occhiata allo specchio ,
mi aggiustai il
mio ciuffo sempre curato e trattato nei minimi dettagli con il gel e
dissi :
-
Farai una buona impressione! Farai una buona impressione! - continuai a
ripeterlo almeno per altre tre volte con la speranza che mi avrebbe
aiutato ,
ma mi rese soltanto più nervoso , nient’altro .
Entrai
nella stanza adiacente , la cucina , dove trovai Bobbie seduto che si
era
appena alzato. Bobbie , aveva una caratteristica, anche se si svegliava
di
colpo , manteneva sempre una lucidità pazzesca . Non sapevo
proprio come ci
riuscisse . Se non mi lavavo la faccia almeno tre o quattro volte ,
restavo
come uno zombie dopo che si era ridestato da una tomba . era stato un
caso che
soltanto una piccola sciacquata di faccia mi ha fatto riprendere la
lucidità
questa mattina. Non appena fui entrato in cucina , presi il coraggio a
due mani
e chiesi a Bobbie :
-
Notizie del nonno ?
-
Per il momento è sempre stabile , i valori restano comunque
alterati ma la
situazione per il momento è sotto controllo.- rispose con un
po’ di malinconia
.
Era
solo da due mesi che Bobbie era entrato a far parte ufficialmente a
questa
famiglia e già voleva un ‘ infinità di
bene al nonno . Era stato trattato come
nessuno mai aveva fatto e aveva sentito l’aria di casa , come
se fosse nella
sua di casa . Continuai a fissarlo per pochi secondi , ma la sua voce
in
seguito mi portò alla realtà :
-
Ma tu , signorino , non avevi un pranzo ?
-
Oh mamma , hai ragione , per tutte le sciarpe Gucci sono
in ritardo ! - esclamai , dopo aver
guardato l’orologio .
Salutai
Bobbie in fretta e furia e uscii dalla porta principale . Corsi come un
matto
per poter raggiungere la fermata dell’autobus , ma per
fortuna riuscii ad
arrivare in tempo , giusto in tempo prima che le porte
dell’autobus si
chiudessero . Appena entrato mostrai l’abbonamento che zia
Betty mi aveva
regalato , perché non l’avrebbe usato
più e stetti in piedi . Era incredibile
quanta gente ci fosse di Domenica nell’autobus , eppure non
c’era da andare a
lavorare . Non volli perderci molto tempo su questo argomento e per
questo
decisi di svuotare la mente da ogni pensiero . Non avevo voglia di
riflettere
su nulla che non sull’appuntamento che stavo per avere con
lui e con la sua
famiglia . Cercai di accantonare in un angolo solitario della mia mente
ciò che
di più negativo avrei potuto immaginare su
quell’appuntamento e decisi di
pensare soltanto a ciò che di più positivo
sarebbe potuto accadere.
Se
non mi fossi ridestato in tempo da quel mio “esame delle
varie possibilità”
avrei anche perso la fermata e sarei stato costretto ad aspettare ore
ed ore
prima che passasse un altro autobus . Scesi alla fermata giusta e mi
avviai
verso casa sua . Austen mi aveva spiegato dove si trovasse ed io capii
immediatamente dove abitava. Avevo molta dimestichezza col luogo non
soltanto
perché avevo preso l’abitudine ad spostarmi in
autobus , ma anche perché ,
qualche anno fa abitava lì un mio vecchio amico che poi si
trasferì in Canada ,
solo perché il padre aveva avuto una promozione .
Camminai
per un po’ , giusto quei cinque minuti che separavano la
fermata dell’autobus a
casa di Austen . Non appena giunsi di fronte casa sua mi meravigliai .
Non me
la ricordavo affatto così . Sapevo che era un condominio ,
ma non mi ricordavo
che fosse così alto. Le sue pareti esternamente era azzurre
e su ogni anglo del
palazzo vi erano rifiniture marmoree . Il portone era abbastanza grande
e
lasciava intravedere al suo interno. Entrai ed una volta
all’interno mi
sorpresi di come le tonalità di blu che invadevano la parete
fossero tanto
accese . Era
bellissimo , specialmente
se pensava che quel portalettere in legno di ciliegio era assolutamente
abbinato all’ambiente circostante . Dalla parete centrale
dove era poggiato il
portalettere si diramavano due scalinate . essendo confuso e non
vedendo delle
indicazioni che potessero aiutarmi ad individuare
l’alternativa giusta chiesi
al portiere , un omone altissimo e con le spalle molto larghe vestito
di un blu
scurissimo :
-
Scusi il dodicesimo piano appartamento108 ?
-
La scalinata a sinistra - rispose freddamente
-
Grazie - risposi educatamente
Non
fece un ciglio , chinò soltanto il capo in segno di
reverenza . A quel punto mi
allontanai e soltanto in quel momento realizzai che mi sarei dovuto
fare dodici
piani a piedi. Non mi importava , per Austen questo ed altro , avrei
scalato
anche l’Himalaya per lui . Presi tutto il fiato che era in me
e cominciai la
scalata verso di lui . Per più di una volta pensai di
fermarmi , ma non diedi
particolarmente peso ai miei pensieri di resa , sarei
arrivato a quel piano a qualunque costo ,
anche se fossi rimasto senza fiato .
Ci
impiegai almeno dieci minuti prima di raggiungere il piano giusto e
appena
arrivato lì mi misi alla ricerca del numero 108 . Non ci
volle molto per
trovarlo , era il primo di fianco alla scalinata. Mi avvicinai alla
porta verde
scuro con il numero 108 intarsiato in oro e presi un respiro profondo .
Ecco
, era arrivato il momento, il momento di affrontare le paure che si
erano
stagliate nel mio cuore per tutta la giornata di ieri , o meglio da
quando
Austen mi aveva lascito nell’autobus . Presi un respiro
profondo e suonai il
campanello .
Aspettai
per un po’ e quell’attesa mi sembrò la
più lunga di tutta una vita , poi sentii
la porta aprirsi ed Austen che mi invitò ad entrare.
-
Prego - mi disse dolcemente.
Accennai
ad un sorriso ed entrai immediatamente , non me lo feci ripetere due
volte .
Appena entrato , notai che la casa non era molto grande , occupava in
media il
piano terra della mia. Non ci feci caso , ma notai immediatamente il
buon gusto
che regnava in quelle camere . La prima che vidi fu la sala da pranzo ,
molto
spaziosa e con predominanza di tonalità forti ed accese come
il rosso e
l’arancio . Ammirai i soprammobili pregiati , scelti col
migliore dei giudizi
possibili . Chissà chi era quell’essere che aveva
così tanto gusto nella scelta
degli accessori e dei soprammobili. Dovevo assolutamente conoscerlo .
Austen
capì il mio interesse :
-
Mia madre è l’artefice dell’arredamento
. Sapevo che ti sarebbe piaciuto-
precisò lui .
Mi
voltai verso la porta della cucina , capi che era la cucina dal
profumino che
emanavano i vari piatti che sua madre stava preparando . Appena entrai
nella
cucina , predominata da una tonalità gialla chiara mi
ritrovai di fronte ad un
uomo , alto e pelato , che aveva soltanto pochi capelli che gli
cingevano il
capo . Somigliava moltissimo ad Austen , quindi dedussi che dovesse
trattarsi
di suo padre . La madre di Austen invece era intenta a preparare da
mangiare .
era bella , alta e slanciata , con i capelli castani che tendevano al
ramato .
Appena si accorse che ero entrato , sospese le sue attività
e mi venne incontro
:
-
Buongiorno , tu devi essere Justin - iniziò a parlare e
continuando - io sono
Marylin Tyler e questo è mio marito George - abbiamo sentito
molto parlare di
te .
-
Vorrei dire lo stesso di voi , ma Austen non parla praticamente mai di
voi con
me - risposi in tutta sincerità e franchezza .
-
Ehm Justin vuoi venire a vedere la mia camera ? - disse Austen in ansia
-
Certamente - risposi entusiasta.
Mi
portò con lui prendendomi per un braccio . Era abbastanza
grande per sole tre
persone , Austen era figlio unico , la madre ed il padre gli volevano
un bene
dell’anima e per questo il più delle volte lo
avevano assecondato . Austen nel
corridoio mi disse che sua madre era una casalinga , e che suo padre
era un
dirigente scolastico, non navigavano nell’oro ma lo stipendio
del padre gli
permetteva di soddisfare tutti i suoi bisogni . Giungemmo di fronte
alla porta
della sua camera , lui la aprì e mi invitò ad
entrare . Ero contentissimo ,
finalmente conoscevo qualcosa di più su di lui , o meglio
conoscevo proprio lui
, era difficile da spiegare , ma sentivo che adesso le nostre vite
erano più
collegate rispetto a prima più unite , ed era la magia di
questo incontro che
stava provvedendo al miracolo . La sua stanza era proprio come me
l’ero
immaginata . Non c’era un colore predominante , mi aveva
sempre detto che gli
piacevano tutti . Aveva un armadio abbastanza grande formato da due
ante . Di
fronte all’0armadio vi era il suo letto e sopra il letto un
orologio bianco
sormontava la parete .
Vi erano poster
di alcune grandi stiliste , e vicino al suo letto vi era la biografia
della
grande Coco Chanel . Non avevo mai immaginato Austen in questa veste ,
avevo
sempre pensato che lui fosse il più
“maschio” tra i due . Adesso mi rendevo
conto che non eravamo tanto diversi , che il filo sottile che ci
congiungeva
diventava più spesso ad ogni lato che scoprivo di lui . Che
bella sensazione ,
avrei voluto che quel momento non finisse più .
Ad
un tratto mi sedetti sul suo letto , ammirando la scrivania azzurra che
si
stagliava più lontano dal letto e di fronte la finestra .
Austen chiuse la
porta e mi disse :
-
Ti piace ?
-
Assolutamente sì - risposi soddisfatto
-
Ne sono felice - ricambiò
-
Perché ti nascondi ? Perché non mostri te stesso?
- domandai incuriosito dalla
situazione .
-
Ho provato a dirglielo ieri , ma non mi hanno voluto ascoltare , o
meglio non
mi hanno lasciato l’opportunità di parlare , erano
troppo contenti che
finalmente qualcuno venisse qui a casa per passare del tempo con me .
-
Non ti preoccupare , non ti giudico per questo , in fondo non
è stata colpa tua
- risposi alquanto deluso. Non mi piaceva l’idea che non
sapessero di noi , mi
faceva andare in bestia , e l’unica cosa che riusciva a
calmarmi era il solo
pensiero che tra un poco sarebbe finito tutto . Non sapevo in quale
momento
glielo avrebbe detto, ma una strana sensazione mi suggeriva molto
presto le mie
paure sarebbero svanite. Non potevo mentire a me stesso , ma le paure
di Austen
si riversavano su di me , mi bruciavano l’anima. Desideravo
enormemente che Austen
dicesse la verità ai suoi ma non potevo costringerlo . il
momento giusto
sarebbe arrivato .
-
A tavola - urlò la signora Tyler.
Austen
aprì la porta e mi invitò ad uscire per recarmi
in sala da pranzo . Appena
entrati mi trovai di fronte ad una tavola imbandita . La tavola non era enorme ma poteva benissimo contenere almeno
quattro persone .
La signora Tyler designò la disposizione dei posti a sedere
e chiamò il marito
affinché andasse lì e pranzasse con tutti loro .
Intravedere la figura del
signor Tyler che spuntava da dietro la porta era a dir poco opprimente
più di
quel soprammobile che regnava su uno scaffale della libreria del
soggiorno .
Era un pappagallo rosso e aveva gi occhi talmente neri che emanavano
una tale
energia negativa da mettere di malumore chiunque lo avesse guardato .
Distolsi
subito i miei pensieri dal pappagallo e cercai di concentrare la mia
attenzione
sul pranzo . La madre di Tyler si era cimentata con alcuni piatti
messicani ,
poiché Austen le aveva raccontato delle mie origini latine ,
ma non le
riuscirono particolarmente bene , o meglio non come le faceva nonno
Ignacio
questo era sicuro , ma per non essere scortese annuii e continuai a
mangiare.
La
madre di Austen non era certo una persona che adorava il silenzio a
dispetto
del padre che durante ogni piatto non spiccicò una parola .
Fu proprio la
signora Tyler che ruppe lo specchio del silenzio e iniziò a
parlare :
-
Allora Justin che lavoro fa tua madre ?
-
Mia madre Hilda gestisce un piccolo salone di bellezza che ha adibito a
casa
nostra . Per il momento è l’unica impiegata , ma
spera di avere al più presto
più personale - risposi , cercando di essere il
più esaustivo possibile.
-
Ah un salone di bellezza - ripetè la signora Tyler
entusiasta - Ed invece tuo
padre ?
Austen
mi guardò negli occhi , sapeva che per me quello era un
tasto dolente e che
difficilmente pigiavo . Di solito quando ripensavo a mio padre
iniziavano
immediatamente a scorrermi le lacrime dagli occhi
non riuscivo a smettere i piangere se non
passavano almeno cinque o dieci minuti . gli ero molto legato e quando
ci
lasciò si aprì una piaga dentro di me , una piaga
insanabile , che sapevo
nessuno sarebbe mai riuscito a medicare . Forse il tempo
chissà , sarebbe
riuscito a colmare tutto . Per non trattenere ancora il silenzio al mio
guinzaglio decisi di rispondere alla domanda con più
fermezza possibile , per
non lasciare trasparire alcuna emozione :
-
Mio padre … è morto tre anni fa , durante la
sparatoria in un negozio del
Queens , il mio quartiere natale .
La
madre di Tyler abbassò lo sguardo per un po’ di
tempo , giusto il tempo di
chiudere gli occhi per pochi secondi e tirare su un sospiro . Poi
alzò di nuovo
lo sguardo , aprì gli occhi e scoprì uno sguardo
lucido , probabilmente
commossa dalla storia che , molto brevemente , le avevo raccontato.
-
Scusa , mi dispiace di averti fatto una domanda così
indelicata . Perdonami . -
si scusò
-
Non si preoccupi , sto ancora superando il lutto , ma più
tempo passa , più il
ricordo ella perdita si fa sfocato . Sarà per sempre
indelebile , ma nessuno
toglie che possa sfocarlo , tagliando minuziosamente le varie parti che
desidero cancellare - risposi
-
Hai perfettamente ragione ragazzo .
Austen
mi guardò negli occhi , ed ancora una
volta mi persi nel blu perenne di quell’ abisso
. Il suo sorriso mi
infondeva sicurezza , calore e sapevo che senza di lui non ce
l’avrei mai fatta
, tutto sarebbe stato sfocato , tutto sarebbe stato più
incerto . Io lo
ricambiai con uno sguardo deciso, sperando che lui comprendesse il mio
invito a
non mollare .Speravo di si altrimenti quel pranzo sarebbe stato tutto
inutile .
Arrivammo al dessert in un battito di ciglia ma erano già le
due del
pomeriggio. La madre di Austen ci servì gelato con panna e
cioccolato . Mi
metteva appetito , ma ne avrei mangiato poco , in fondo dovevo
mantenere la
forma fisica , come un normale fanatico di moda dovrebbe fare.
Il
silenzio regnava , e la mancanza continua di rumori cominciava a
mettermi
soggezione , ma non riuscivo a guardare nessuno dei presenti . Austen
si
guardava in torno in cerca di qualcosa , in cerca di uno sguardo , in
cerca di
qualcosa che potesse infondergli coraggio , avrei tanto voluto
guardarlo ma in
quel momento la paura cominciò ad attanagliare anche me .
Decisi quindi di non
parlare , e nel silenzio una voce , con tono abbastanza alto
urlò :
-
Io sono gay !
Spalancai
gli occhi come se una freccia mi avesse colpito dritto al cuore .
Cupido non
avrebbe avuto una mira migliore di Austen , che con le sue parole mi
aveva
letteralmente sorpreso . Non volli ancora alzare lo sguardo , non
volevo che
alzando lo sguardo si potesse spezzare la realtà , che il
sogno che stavo
vivendo potesse finire . Ma non potevo perdere altro tempo , dovevo
vedere
assolutamente la reazione che aveva provocato nei parenti di Austen
quella
rivelazione che per loro sarebbe potuta essere scioccante.
Alzai
lo sguardo e appena mi girai vidi immediatamente la figura del padre di
Austen
con gli occhi azzurri letteralmente spalancati , la madre aveva uno
sguardo un
po’ pacato e guardava il figlio accennando quasi un sorriso ,
come se in cuor
suolo avesse sempre saputo , come se in qualche modo fosse sempre stata
a
conoscenza che il figlio fosse “diverso”.
Austen
, avvilito , si mordicchiava le labbra e cercava in tutti i modi di non
dare a
vedere quella paura che gli lacerava il corpo. Incrociò lo
sguardo del padre
che severo risultava però sempre assente . Guardavo la scena
esterrefatto ,
incuriosito da come uno sguardo lasciasse intendere tutto . Guardai
Austen con
fare preoccupato e lui continuando a fissare il padre trovò
il coraggio per
riuscire a parlare :
-
Papà …
-
Papà? - ripetè il padre di Austen .
La
sua voce era profonda e pesante , non come quella del figlio che aveva
sicuramente
ereditato il suo tono di voce dalla madre , molto più pacata . Con quelle sue sole
sillabe riuscì a farmi
tremare il cuore , mi scosse perfino il ciuffo . Continuai a fissare il
signor
Tyler ma vedevo soltanto la rabbia prendere il sopravvento su di lui .
Hai
ancora il coraggio di chiamarmi “Papà” ?
- domandò lui al figlio.
Austen
abbassò il capo . Forse era per questo che non aveva voluto
dire niente fino a
quel momento , soltanto perché aveva paura di
un’esagerata reazione paterna.
Suo padre
però non demorse e continuò a
rimproverarlo , come facendogli una colpa se il figlio fosse
così :
-
Hai idea di cosa stai dicendo ? Spero che tu stia scherzando!
-
Sì … - e per un momento il padre riuscii a
prendere calma - … sono consapevole
di ciò che sto dicendo papà!
Il
signor Tyler a quel punto fu di nuovo preso da quella sua ira latente e
rispose
al figlio ignorando totalmente la mia presenza :
-
Io non voglio che tu sia così , non puoi essere
così
-
Non è questione di volerlo papà , io SONO
così . Non posso scegliere se
esserlo o meno io sono gay e lo sarò fino alla fine dei miei
giorni . Potrai
non accettarlo , ma non puoi cambiare ciò che io sono ,
nessuno potrà mai . -
ribatté saggiamente
-
Per tutto questo tempo ho cercato di inculcarti i valori fondamentali
per
essere un uomo . ti ho portato alle partite di Football dei Mariners
…
Austen
lo fermò, non voleva che continuasse ad elencare
ciò che il padre aveva fatto
per lui , sarebbe stato inutile ai fini della discussione , per questo
prese la
parola , non dandogli il tempo neanche di rispondergli :
-
Avrai anche fatto tutte queste cose , ma a me non interessavano , non
mi hanno
mai interessato , venivo a quelle stupide , e sottolineo stupide ,
partite
soltanto perché era in quei pochi momenti che tu potevi
prenderti una pausa e
passare un po’ di tempo con me
-
Forse se avessi fatto di più …
-
Non potevi fare di più , non avresti potuto fare di
più , più di quanto non
avessi già fatto , io sono così
.
Accettami!
-
No! Io non ci riesco , e suppongo che questo qui sia il tuo fidanzatino
, il
tuo amichetto gay personale , con cui potrai essere te stesso - disse
il signor
Tyler indicandomi .
Io
mi alzai dal mio posto ed anche la signora Marylin lo fece . A quel
punto lei
intervenne nella discussione :
-
Non essere scortese , George , se Austen ha trovato un “amico
speciale” , un
“ragazzo” , con cui passare il tempo
perché devi allontanarli .
-
Allora anche tu lo sapevi - disse rivoltosi di fronte alla moglie
-
No! Una madre sa tutto anche se il figlio non parla e sta in silenzio
-
Dimmi Austen è il tuo “ragazzo”? -
chiese il signor Tyler incurante delle
parole della moglie
-
No … Cioè sì … No
… Non lo so - rispose Austen insicuro .
Come
prima anche queste parole mi colpirono dentro il cuore , ma tutto
ciò che
provai era solo ira rabbia , come aveva potuto dire che non stavamo
insieme
dopo tutto quello che avevamo passato , dopo tutto ciò che
era accaduto ? Mi
aveva tradito . Se le parole di prima erano state come una freccia
lanciata da
Cupido , queste invece erano come una ferita lasciata dalla falce della
morte ,
indelebile allo stesso modo . Non poteva essere vero m, non poteva dire
sul
serio. Appena lo guardai e vedendo che lui non ricambiava il mio
sguardo ,come
era solito fare , capii che forse ciò che aveva detto era
tutto vero .
Non
sarei stato in quella casa un minuto di più. Per questo spostai la sedia
educatamente e dissi alla
signora Tyler :
-
Mi scusi ma adesso vado . Pranzo eccellente . Solo una cosa vi devo
rimproverare : il dessert era leggermente avvelenato - pronunciai
quella parola
guardando Austen e continuai - come anche questa discussione . Grazie
per la
vostra ospitalità
Presi
il cappotto che prima avevo posato sul divano e deciso andai verso la
porta . Sentii
dal fondo della sala da pranzo :
-
Justin No!
Era
Austen , forse voleva rimediare , o forse voleva solo mettere la parola
fine ,
non sapevo cosa pensare , era tutto troppo confuso . Mi lasciai
sfuggire una
lacrima e poi aprii la porta giusto in tempo per sentire Austen inveire
contro
il padre :
-
Grazie per avermi rovinato la vita
Scesi
le scale velocemente e mi sorpresi di quanto fossi veloci nel
percorrere uno
per uno i gradini e saltare piani su piani . Mi sentivo scorrere una
forza
nuova nelle vene , una forza che mi veniva regalata dalla tristezza che fungeva da convertitore di
emozioni in quel
momento. Appena arrivato al piano terra sentii una mano sulla mia
spalla
trattenermi e
rigirandomi vidi Austen .
Era stato velocissimo era riuscito ad arrivare nello stesso mio tempo
anche
se era partito con
qualche secondo di
ritardo . Notevole . Non era il tempo di elogiarlo , non avevo
assolutamente
voglia di fargli complimenti o di lodare le sue fantastiche
abilità fisiche ,
che avevo sempre invidiato e desiderato. A quel punto Austen
iniziò a parlare
distrutto :
-
Mi dispiace
Mi
voltai , non volevo sentire niente del genere , ma almeno una risposta
se la
meritava :
-
Un “Mi dispiace” non credo che basti . Austen tu mi
hai tradito , hai tradito
la mia fiducia , mi hai voltato le spalle in preda alla paura , in
preda a ciò
che non dovrebbe mai esserci in un rapporto. Amare significa saper
rischiare .
E tu hai dimostrato di non essere adatto all’amore . O almeno
al mio .
-
Io ti chiedo perdono , ma in quel momento l’ansia mi ha fatto
dire cose che non
pensavo - tentò di obiettare lui , ma era tutto inutile
-
O meglio ti ha fatto dire cose che pensavi ma che non avevi mai avuto
il
coraggio di dirmi - risposi io
-
Non è così - poi lo interruppi
Avevo
intenzione di concludere , non mi piaceva litigare , anche se devo
ammettere
lui era il primo con cui non ero arrivato alle mani . Cominciai a
piangere in
preda all’emozione e tentai di non dare a vedere quanto fossi
avvilito ma le
lacrime cominciavano a sgorgarmi dagli occhi senza un motivo , senza un
perché
. Lui avvicinò un dito vicino a quel piccolo frammento di
anima che mi usciva
dagli occhi , come pezzi di un cristallo indistruttibile , ma io
allontanai il
viso e dissi :
-
Lasciami parlare ! Perché illudermi ? Perché
farmi credere che tra noi poteva
funzionare quando sapevi benissimo che non era così ?
Perché mi fai soffrire ?
Non capisco , e non capisco neanche come sia potuto essere talmente
sciocco da
non accorgermi che stavo sbagliano a fidarmi di te , che stavo
sbagliando ad abbandonarmi
a te , che stavo sbagliando ad amarti . Non credo che ti
guarderò più allo
stesso modo.
Finii
ma prima di andarmene via da quel palazzo interamente dipinto di blu
gli diedi
un ultimo bacio , era freddo e distaccato , non volevo deluderlo ma non
volevo
neppure che avesse una bel ricordo di me , avrei tanto voluto che
soffrisse
anche lui ma non potevo augurargli questo , non dovevo . Mi staccai
dalle sue
labbra con gli occhi intrisi si lacrime e mi diressi verso il grande
portone
che dava alla strada . Lui rimase fermo per qualche istante , giusto il
tempo
di vedermi uscire , poi prese una rincorsa e cercò di
raggiungermi . Avevo
appena attraversato la strada quando sentii un urlo squarciare
quell’immensa
rissa di rumori :
-
Justin !
Era
Austen , era fermo lì al centro della strada , con gli occhi
pieni di lacrime ,
io seguivo il suo ritmo e dai miei occhi sgorgavano le lacrime che non
avevo
mai voluto versare . Restai a fissarlo per un po’ e la
malinconia mi prese ,
speravo nell’apatia del distacco , ma niente tutto inutile .
Niente era come
doveva essere . La vita sembrava di nuovo tutta sottosopra. Stavo per
girarmi e
per dargli le spalle quando spalancai
gli occhi all’improvviso e gridai :
-
Austen attento ! - Lui si girò , guardò la
macchina che gli venne in contro ed
in quel momento non potei trattenermi , gli andai incontro , non
l’aveva
scansata , non aveva avuto tempo , come avrebbe potuto , era intento a
fissare
me . Era come se il mondo mi fosse crollato addosso . In quel momento
presi in
mano la situazione e , rivolgendomi alla folla di gente che si era
accalcata
intorno a noi , dissi :
-
Chiamate un’ambulanza !