La fic è immaginata dell’ “universo”
in cui ho scritto queste drabble :3 non dovete leggerle per capire XD da sapere
c’è solo che sono Heide e Ed in un universo
alternativo in cui si amano tanto. ♥
La canzone che canta Heide è
quella della Bella e la Bestia in inglese ♥ è molto dolce e molto bella,
cercatevela sul tubo ;_;
Ever just the same, ever a surprise.
Se il sole smettesse di illuminare il pianeta e lo
stesso fosse attaccato da un enorme stormo di piccioni assassini, a malapena si
accorgerebbe del trambusto: il suo cervello troppo occupato lo tradurrebbe come
un fastidioso ronzio; basterebbe tirare le tende per lasciarlo nel mondo
esterno, incapace di interferire con i suoi estremamente delicati preparativi.
“Ever just the same, ever a surprise, ever as before,
ever just as sure, as the sun will rise…”
“… Disney?”
Si gira verso Edward con sguardo omicida, quello che gli
rivolge sempre quando lo disturba e quello che, ogni volta, lui non coglie; o
forse sì, ma se ne frega. Forse la seconda ipotesi è più in linea col suo
carattere. Vedendolo sorridere – ghignare è più corretto – Alfons sbuffa,
roteando gli occhi.
“Sì, ergo?”
“Noto che sei agitato.”
E lui come diavolo fa a non esserlo?
“Mi fa troppo ridere che parli come un damerino dell’Ottocento
quando sei agitato e quando sei incazzato. Mi fa sempre venire troppa voglia di
prenderti per il culo.”
“Dovevano darti una laurea in logica e tatto, altro che
in matematica.”
“Sarà la prossima che prenderò, stai tranquillo.”
“Ti ci vorranno almeno vent’anni, se continui ad essere così… così…”
“Così come?”
Sospira, non sbuffa, perché come al solito è una partita
persa prima addirittura di pensarla.
“… così Edward, cazzo.”
“Sono una nuova specie di animale?”
“… vattene via, neppure dovresti essere qua, non si vede
lo sposo prima della cerimonia!”
“Ma quale cerimonia, ma quale non devi vedermi, siamo io
e te e quattro gatti che conosco a memoria, fosse stato per me sarei venuto in
bermuda.”
“Lo so, evita di ricordarmi sempre quanto male ti
vesti.”
“Lo chiamavano il nuovo Prada.”
“Edward, se non vuoi che ti ficchi un tagliacarte su per
il culo, esci dalla mia stanza.”
“Guarda che è anche la mia! E poi neppure ce lo abbiamo
un tagliacarte, poi non so se lo hai comprato per farmi del male con le tue
strane pratiche sessuali.”
“Ho detto esci.”
“Sì, sì, okay, vado a profumarmi di rose.”
Copre il rumore leggero della porta che si chiude
sospirando pesantemente.
“… tale as old as time.”
Il nodo alla cravatta che non viene, la camicia infilata
storta – e anche allacciata male - e i polsini troppo inamidati; la macchietta
minuscola e quasi invisibile che il suo occhio agitato nota subito, quasi fosse
un grosso scarafaggio sulla tovaglia pulita della domenica – e via, il quarto
cambio della mattinata.
Ringrazia di non essere una donna e di non doversi
truccare, il sudore lo farebbe assomigliare ad una qualche maschera brutta ed
oscena.
“Respira, Alfons, respira, non è la prima volta che ti
sposi. … sì, cazzo, è la prima volta — calmati. Sposi un deficiente, non il Re.
Andrà tutto bene. Non ti mollerà sull’altare — ommioddio,
e se lo facesse? Okay, Alfons Heiderich, ora stai veramente raggiungendo il tuo
apice di ridicolità – ho appena pronunciato una
parola che neppure esiste – ho detto pronunciare, ora ho bisogno di calmarmi.”
Si siede sul mobile ai piedi del letto, sospira, guarda
il soffitto. Tiene le mani sulle cosce, sospira profondamente e stringe la
carne sotto le dita, ma smette immediatamente per paura di stropicciare i
pantaloni (sono neri, e il nero sta bene con tutto, e sono così belli che
rovinarli anche solo momentaneamente sarebbe un delitto).
“Vuoi tu, Alfons Heiderich prendere in sposo il qui
presente Edward Elric come tuo legittimo sposo blablabla?
Sì. Ci mancherebbe anche, dopo tutta la fatica che ho fatto con sto ragazzo. Vuoi
tu, Edward Elric, prendere Heide come tuo sposo blablablabla? No. Ma come no!! Così seccamente, poi!”
“… tesoro, stai parlando da solo? E ti dai pure buca da
solo? Ma sei proprio disperato.”
Neppure si volta ma sa perfettamente che, dietro alle
sue spalle, il suo futuro marito ha le guance gonfie d’aria per evitare di
scoppiare a ridere, forse solamente per evitare un occhio nero. Heiderich sarà calmo
e carino e dolce, ma i suoi geni tedeschi si sono sempre ben palesati nel suo
aspetto – o, almeno, nella forza dei pugni che dà.
“Edward, fuori da questa stanza fino a quando non vengo
a prenderti nel soggiorno!! Anzi, nella stanza degli ospiti!! Cambiati lì!!”
“Guarda che sono già pronto.”
Lo odia fortissimamente per quanta calma sgorga dalla
sua voce come acqua dolce di fiume; lui è l’oceano in tempesta, inquieto e
buio, e lui si permette di sorridere ed essere sereno come un bambino che
prende il sole nell’erba appena tagliata.
“Di sicuro hai qualcosa fuori posto, conoscendoti. Vai,
cazzo! E non tornare assolutamente!!”
“La smetti di parlare da solo?”
“Se non te ne vai e non mi fai uscire di testa.”
“Lo sei già.”
“Se tu fossi una persona normale avresti già finito di
parlare per evitare di essere pestato a sangue.”
“Non è questo, è che so bene quanto mi ami.”
“Questo non mi potrebbe impedire di prendere a pugni da
qui a Timbuctu.”
“Me ne vado, me ne vado, ci vediamo in macchina allora.”
“Guidi tu?”
“Messo male come sei potresti cominciare a parlare coi
fantasmi e ci faresti schiantare contro un albero. Avevo immaginato di morire
in modo più dignitoso. Facendo bungee jumping, tipo.”
“Edward Elric, ti prego nel nome di ogni dio conosciuto
e meno, vai via.”
“A dopo, amore.”
Non riesce a non sorridere, è così raro sentirlo parlare
così, quel ragazzo che ride tantissimo ma che non si permette mai una parola
dolce di troppo.
Non riesce più neppure a stare seduto; appena sente il
rumore della porta appoggiata allo stipite, comincia a girare in tondo, e lo fa
così tante volte che quasi potrebbe scavare un fosso – che bello, un fosso
piccolo e tondo in cui mettere i pesci rossi. A Ed piacerebbe di sicuro. A lui
piacciono le cose strane.
Non sa neppure perché la sta facendo così tragica. È solo
un matrimonio, una stupida firma su uno stupido foglio. Hanno anche i soldi per
divorziare, nel caso. Fortunatamente non hanno ancora figli, sarebbe tragico
per quelle povere creature; già essere figli di Edward Elric dev’essere una bella botta di sfiga, figli di uno che può
svegliarsi al mattino, prenderti e andare a ballare (malissimo) per strada con
un cappello davanti per fare l’elemosina; passino se lo fanno due adulti, ma
non vorrebbe mai traumatizzare così tanto delle povere creature indifese – e poi
se li vedessero i vicini non parlerebbero bene di loro, si vergognerebbero così
tanto che potrebbero diventare alcolizzati/drogati/prostituti/e.
Divorziare lo metterebbe meno in agitazione, di sicuro, quello non apre una
marea di incertezze, quello ti butta in un baratro (o no, dipende da come
arriva, il divorzio) e sei sicuro che per un po’ ti devi fare un fuocherello e
cibarti in quel buco.
“Ma perché chi me lo fa fare? Non potevamo essere una
normale coppia di froci come in altre parti del mondo in cui non hanno il
matrimonio? Ah, i diritti, è vero, mi scordo sempre di quel piccolo
particolare. Che palle. Tutta sta agitazione per degli accidenti di diritti. Non
potevo firmare e mandargli il foglio per posta? Fax? Email?”
Si impone di darsi una calmata, se tornasse Ed e lo
sentisse questa volta non la smetterebbe più di ridere, e non vuole ritrovarsi
a picchiarlo. Gli sporcherebbe la camicia bellissima che gli ha comprato la
settimana scorsa, e non ha mai avuto una nonna che gli insegnasse come togliere
il sangue dai vestiti con semplici ingredienti come olio di gomito e sapone di
Marsiglia – suppone non servirebbero davvero.
Non ha davvero senso tutto ciò. Cosa cambierà rispetto
ad ora? Rispetto a ieri?
(“Domani ci sposiamo, Ed, te ne rendi conto?”
“Oh, tesoro mio, mai mi sarei ricordata che domani
divento la tua mogliettina adorata!”
“Ma non ti si inceppa mai il bottone del sarcasmo?”
“Lo tengono sempre sotto controllo, sia mai che ti
risparmi le mie perle stronze.”
“Sia mai. Beh, ci sposiamo. Non sei agitato?”
“Dovrei? Non cambia nulla. Siamo sempre io e te e basta,
solo che i nostri figli, se muori, li posso crescere io e non un orfanotrofio
russo.”
“Perché dovrei morire io?”
“Sei nato prima di me, sei più vecchio.”
“Sono nato tre mesi prima di te, Ed.”
“Sempre prima.”
“Sei orrendo. E noi domani ci sposiamo e non te ne frega
nulla.”
“Ommioddio, ho detto questo? No.
Calmati. Ho solo detto che non cambia nulla.”
“Però è un giorno importante, insomma…”
“Non ero agitato neppure alla laurea, figurati.”
“Al diploma di Al sì però.”
“Non mettere sempre Al in mezzo che non c’entra nulla,
ora.”
“Ah n—no, non litigherò con te per colpa di tuo fratello
per l’ennesima volta. Ripeto, sei un mostro insensibile.”
“Oh, Dio, Alfons… è solo che
ti fai prendere troppo dall’agitazione, tu. Non cambia nulla, nulla, hai
capito? Saremo solo un po’ più sicuri e un po’ più…
protetti, diciamo. Cambia solo in meglio. Lo sappiamo già, in fondo, com’è
essere sposati, sono più di sette anni che conviviamo. Quindi, basta. E passami
il the, ho bisogno di zuccheri.”)
Non
cambierà nulla.
È tutta colpa della Disney, quell’agitazione: ha
conosciuto e conosce tutt’ora molte ragazze che si lamentano delle loro
aspettative troppo alte nei confronti degli uomini a causa dei principi azzurri
della Disney; a lui hanno lasciato l’angoscia delle principesse per il
matrimonio, per quanto non si siano mai visti matrimoni, nei film – ma era
facile immaginarsela; a lui hanno lasciato i sospiri e il batticuore.
“Ma porca puttana, io non sono una stracazzo di
principessa Disney.”
“Ci mancherebbe altro, sai l’orrore di sposare una
svampita del genere?”
“Edward!!”
“Scusa, stavo andando in bagno, non è colpa mia se parli
da solo con un tono di voce così alto, per la miseria!”
Il viaggio in macchina più lungo e angoscioso della
storia. di sicuro Maria Antonietta era meno agitata quando l’hanno portata
sulla ghigliottina – fermo restando che lei non era in macchina, ma se fosse
andata in macchina sulla sedia elettrica sarebbe stato meno pesante.
Non parlano per tutto il viaggio, Edward fischietta
qualcosa che Alfons non capisce, o forse conosce ma non riconosce al momento
perché è troppo impegnato a pensare come un qualsiasi particolare possa andare
male e ridurre tutto ad una pagliacciata o comunque un disastro.
Edward è così tranquillo e menefreghista che Al è sicuro
che stia solamente pensando al pranzo dopo. Quello è stato facile da
organizzare: ha fatto tutto lui, senza lasciare mezza decisione a Ed, che
semplicemente avrebbe voluto ubriacarsi in un qualche locale sudicio per dare
spettacolo di sé. Come se già non succedesse abbastanza, pensa Heiderich
sospirando.
“Ed,
non c’è assolutamente dubbio che il mio primo pasto come tuo marito siano
quattro salatini affogati nella birra.”, gli aveva detto appena aveva
accarezzato l’idea.
“Puoi
anche prendere un Bloody Mary, c’è il pomodoro, è
come mangiare la pasta ma senza pasta e un po’ alcolica.”
“Ed,
vuoi che Al beva alcolici e dia così l’opportunità al primo maschione vichingo
che lo abborda di scoparselo senza preservativo o di mettere incinta la prima
sgualdrina che tenta alla sua virtù?”
Com’è facile ammaestrare Edward; basta accennare a suo
fratello che si ammutolisce e fa tutto quello che gli si dice, come un bravo
cagnolino.
Edward lo sente sospirare, gli chiede cos’ha ma non
riceve risposta; se la ride sotto i baffi osservando il suo sguardo assente e
vagante, che fuori dal finestrino vaga sulle nuvole, sul cielo azzurro; sospira
ancora, il mento sulla mano e l’aria da quadro romantico, con protagonista un
poeta o uno scrittore. Se non stesse guidando, lo fotograferebbe. Per sfotterlo
dopo, ovviamente.
“Siamo arrivati, scemo.”
Alfons si risveglia come da un coma; sì, siamo arrivati.
Vedono tutti sulle scale del comune: Winry, Al (“Guardalo,
guardalo, non è bellissimo? È proprio mio fratello!”), la zietta, i genitori di
Heide (anche il padre, nonostante tutto), Ashley,
Celine, Marie, Roy, Riza, Enrique, Antonio, Matthew,
Carla. I loro cari, gli amici più stretti, le fanciulle coi fiori nei capelli e
i ragazzi vestiti benissimo, tutti sorridono come se fosse il loro matrimonio;
Alfons non ha mai visto prima d’ora suo padre in abito elegante, né sua madre
così bella.
“Ed?”
“Sì?”
“Sono agitato.”
“Nessuno in sala se ne era accorto.”
Lo bacia sulle labbra e sbuffa.
“Sei troppo grande per fare la ragazzina agitata.”
Al deglutisce, drizza la schiena, mette in fuori il
petto.
“Marsch, soldato.”
“Ed, mi prometti una cosa?”
“Certo mio tenero fringuello.”
“… ommioddio. Comunque. Non prendermi
in giro, almeno oggi.”
“D’accordo.”
Al gli stringe la mano, e la scopre sudata. Allarga gli
occhi, con un’espressione incuriosita. Non lo guarda in faccia, sa che lo
agiterebbe ancora di più. Sorride, è meravigliosamente grato di avere un
cretino che lo sorregge così tanto.
“Entriamo?”
“Entriamo. Sappi che in caso di divorzio Saw 3D è mio.”
“Ma non era un mio regalo?”
“No, è solo in affidamento congiunto.”
“Ma se a te manco piace — okay, smettiamola.”
“D’accordo. Ti amo.”
“Anch’io, cazzo. Mi sta esplodendo il cuore.”
“Allora, entriamo.”
“Entriamo.”