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Autore: Mikaeru    21/08/2010    5 recensioni
“Respira, Alfons, respira, non è la prima volta che ti sposi. … sì, cazzo, è la prima volta — calmati. Sposi un deficiente, non il Re. Andrà tutto bene. Non ti mollerà sull’altare — ommioddio, e se lo facesse? Okay, Alfons Heiderich, ora stai veramente raggiungendo il tuo apice di ridicolità – ho appena pronunciato una parola che neppure esiste – ho detto pronunciare, ora ho bisogno di calmarmi.”
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alphons Heiderich, Edward Elric
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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La fic è immaginata dell’ “universo” in cui ho scritto queste drabble :3 non dovete leggerle per capire XD da sapere c’è solo che sono Heide e Ed in un universo alternativo in cui si amano tanto.

La canzone che canta Heide è quella della Bella e la Bestia in inglese ♥ è molto dolce e molto bella, cercatevela sul tubo ;_;

 

Ever just the same, ever a surprise.

 

Se il sole smettesse di illuminare il pianeta e lo stesso fosse attaccato da un enorme stormo di piccioni assassini, a malapena si accorgerebbe del trambusto: il suo cervello troppo occupato lo tradurrebbe come un fastidioso ronzio; basterebbe tirare le tende per lasciarlo nel mondo esterno, incapace di interferire con i suoi estremamente delicati preparativi.

“Ever just the same, ever a surprise, ever as before, ever just as sure, as the sun will rise…”

“… Disney?”

Si gira verso Edward con sguardo omicida, quello che gli rivolge sempre quando lo disturba e quello che, ogni volta, lui non coglie; o forse sì, ma se ne frega. Forse la seconda ipotesi è più in linea col suo carattere. Vedendolo sorridere – ghignare è più corretto – Alfons sbuffa, roteando gli occhi.

“Sì, ergo?”

“Noto che sei agitato.”

E lui come diavolo fa a non esserlo?

“Mi fa troppo ridere che parli come un damerino dell’Ottocento quando sei agitato e quando sei incazzato. Mi fa sempre venire troppa voglia di prenderti per il culo.”

“Dovevano darti una laurea in logica e tatto, altro che in matematica.”

“Sarà la prossima che prenderò, stai tranquillo.”

“Ti ci vorranno almeno vent’anni, se continui ad essere così… così…

“Così come?”

Sospira, non sbuffa, perché come al solito è una partita persa prima addirittura di pensarla.

“… così Edward, cazzo.”

“Sono una nuova specie di animale?”

“… vattene via, neppure dovresti essere qua, non si vede lo sposo prima della cerimonia!”

“Ma quale cerimonia, ma quale non devi vedermi, siamo io e te e quattro gatti che conosco a memoria, fosse stato per me sarei venuto in bermuda.”

“Lo so, evita di ricordarmi sempre quanto male ti vesti.”

“Lo chiamavano il nuovo Prada.”

“Edward, se non vuoi che ti ficchi un tagliacarte su per il culo, esci dalla mia stanza.”

“Guarda che è anche la mia! E poi neppure ce lo abbiamo un tagliacarte, poi non so se lo hai comprato per farmi del male con le tue strane pratiche sessuali.”

“Ho detto esci.”

“Sì, sì, okay, vado a profumarmi di rose.”

Copre il rumore leggero della porta che si chiude sospirando pesantemente.

“… tale as old as time.

Il nodo alla cravatta che non viene, la camicia infilata storta – e anche allacciata male - e i polsini troppo inamidati; la macchietta minuscola e quasi invisibile che il suo occhio agitato nota subito, quasi fosse un grosso scarafaggio sulla tovaglia pulita della domenica – e via, il quarto cambio della mattinata.

Ringrazia di non essere una donna e di non doversi truccare, il sudore lo farebbe assomigliare ad una qualche maschera brutta ed oscena.

“Respira, Alfons, respira, non è la prima volta che ti sposi. … sì, cazzo, è la prima volta — calmati. Sposi un deficiente, non il Re. Andrà tutto bene. Non ti mollerà sull’altare — ommioddio, e se lo facesse? Okay, Alfons Heiderich, ora stai veramente raggiungendo il tuo apice di ridicolità – ho appena pronunciato una parola che neppure esiste – ho detto pronunciare, ora ho bisogno di calmarmi.”

Si siede sul mobile ai piedi del letto, sospira, guarda il soffitto. Tiene le mani sulle cosce, sospira profondamente e stringe la carne sotto le dita, ma smette immediatamente per paura di stropicciare i pantaloni (sono neri, e il nero sta bene con tutto, e sono così belli che rovinarli anche solo momentaneamente sarebbe un delitto).

“Vuoi tu, Alfons Heiderich prendere in sposo il qui presente Edward Elric come tuo legittimo sposo blablabla? Sì. Ci mancherebbe anche, dopo tutta la fatica che ho fatto con sto ragazzo. Vuoi tu, Edward Elric, prendere Heide come tuo sposo blablablabla? No. Ma come no!! Così seccamente, poi!”

“… tesoro, stai parlando da solo? E ti dai pure buca da solo? Ma sei proprio disperato.”

Neppure si volta ma sa perfettamente che, dietro alle sue spalle, il suo futuro marito ha le guance gonfie d’aria per evitare di scoppiare a ridere, forse solamente per evitare un occhio nero. Heiderich sarà calmo e carino e dolce, ma i suoi geni tedeschi si sono sempre ben palesati nel suo aspetto – o, almeno, nella forza dei pugni che dà.

“Edward, fuori da questa stanza fino a quando non vengo a prenderti nel soggiorno!! Anzi, nella stanza degli ospiti!! Cambiati lì!!”

“Guarda che sono già pronto.”

Lo odia fortissimamente per quanta calma sgorga dalla sua voce come acqua dolce di fiume; lui è l’oceano in tempesta, inquieto e buio, e lui si permette di sorridere ed essere sereno come un bambino che prende il sole nell’erba appena tagliata.

“Di sicuro hai qualcosa fuori posto, conoscendoti. Vai, cazzo! E non tornare assolutamente!!”

“La smetti di parlare da solo?”

“Se non te ne vai e non mi fai uscire di testa.”

“Lo sei già.”

“Se tu fossi una persona normale avresti già finito di parlare per evitare di essere pestato a sangue.”

“Non è questo, è che so bene quanto mi ami.”

“Questo non mi potrebbe impedire di prendere a pugni da qui a Timbuctu.”

“Me ne vado, me ne vado, ci vediamo in macchina allora.”

“Guidi tu?”

“Messo male come sei potresti cominciare a parlare coi fantasmi e ci faresti schiantare contro un albero. Avevo immaginato di morire in modo più dignitoso. Facendo bungee jumping, tipo.”

“Edward Elric, ti prego nel nome di ogni dio conosciuto e meno, vai via.”

“A dopo, amore.”

Non riesce a non sorridere, è così raro sentirlo parlare così, quel ragazzo che ride tantissimo ma che non si permette mai una parola dolce di troppo.

Non riesce più neppure a stare seduto; appena sente il rumore della porta appoggiata allo stipite, comincia a girare in tondo, e lo fa così tante volte che quasi potrebbe scavare un fosso – che bello, un fosso piccolo e tondo in cui mettere i pesci rossi. A Ed piacerebbe di sicuro. A lui piacciono le cose strane.

Non sa neppure perché la sta facendo così tragica. È solo un matrimonio, una stupida firma su uno stupido foglio. Hanno anche i soldi per divorziare, nel caso. Fortunatamente non hanno ancora figli, sarebbe tragico per quelle povere creature; già essere figli di Edward Elric dev’essere una bella botta di sfiga, figli di uno che può svegliarsi al mattino, prenderti e andare a ballare (malissimo) per strada con un cappello davanti per fare l’elemosina; passino se lo fanno due adulti, ma non vorrebbe mai traumatizzare così tanto delle povere creature indifese – e poi se li vedessero i vicini non parlerebbero bene di loro, si vergognerebbero così tanto che potrebbero diventare alcolizzati/drogati/prostituti/e. Divorziare lo metterebbe meno in agitazione, di sicuro, quello non apre una marea di incertezze, quello ti butta in un baratro (o no, dipende da come arriva, il divorzio) e sei sicuro che per un po’ ti devi fare un fuocherello e cibarti in quel buco.

“Ma perché chi me lo fa fare? Non potevamo essere una normale coppia di froci come in altre parti del mondo in cui non hanno il matrimonio? Ah, i diritti, è vero, mi scordo sempre di quel piccolo particolare. Che palle. Tutta sta agitazione per degli accidenti di diritti. Non potevo firmare e mandargli il foglio per posta? Fax? Email?”

Si impone di darsi una calmata, se tornasse Ed e lo sentisse questa volta non la smetterebbe più di ridere, e non vuole ritrovarsi a picchiarlo. Gli sporcherebbe la camicia bellissima che gli ha comprato la settimana scorsa, e non ha mai avuto una nonna che gli insegnasse come togliere il sangue dai vestiti con semplici ingredienti come olio di gomito e sapone di Marsiglia – suppone non servirebbero davvero.

Non ha davvero senso tutto ciò. Cosa cambierà rispetto ad ora? Rispetto a ieri?

(“Domani ci sposiamo, Ed, te ne rendi conto?”

“Oh, tesoro mio, mai mi sarei ricordata che domani divento la tua mogliettina adorata!”

“Ma non ti si inceppa mai il bottone del sarcasmo?”

“Lo tengono sempre sotto controllo, sia mai che ti risparmi le mie perle stronze.”

“Sia mai. Beh, ci sposiamo. Non sei agitato?”

“Dovrei? Non cambia nulla. Siamo sempre io e te e basta, solo che i nostri figli, se muori, li posso crescere io e non un orfanotrofio russo.”

“Perché dovrei morire io?”

“Sei nato prima di me, sei più vecchio.”

“Sono nato tre mesi prima di te, Ed.”

“Sempre prima.”

“Sei orrendo. E noi domani ci sposiamo e non te ne frega nulla.”

Ommioddio, ho detto questo? No. Calmati. Ho solo detto che non cambia nulla.”

“Però è un giorno importante, insomma…

“Non ero agitato neppure alla laurea, figurati.”

“Al diploma di Al sì però.”

“Non mettere sempre Al in mezzo che non c’entra nulla, ora.”

“Ah n—no, non litigherò con te per colpa di tuo fratello per l’ennesima volta. Ripeto, sei un mostro insensibile.”

“Oh, Dio, Alfons… è solo che ti fai prendere troppo dall’agitazione, tu. Non cambia nulla, nulla, hai capito? Saremo solo un po’ più sicuri e un po’ più… protetti, diciamo. Cambia solo in meglio. Lo sappiamo già, in fondo, com’è essere sposati, sono più di sette anni che conviviamo. Quindi, basta. E passami il the, ho bisogno di zuccheri.”)

Non cambierà nulla.

È tutta colpa della Disney, quell’agitazione: ha conosciuto e conosce tutt’ora molte ragazze che si lamentano delle loro aspettative troppo alte nei confronti degli uomini a causa dei principi azzurri della Disney; a lui hanno lasciato l’angoscia delle principesse per il matrimonio, per quanto non si siano mai visti matrimoni, nei film – ma era facile immaginarsela; a lui hanno lasciato i sospiri e il batticuore.

“Ma porca puttana, io non sono una stracazzo di principessa Disney.”

“Ci mancherebbe altro, sai l’orrore di sposare una svampita del genere?”

“Edward!!”

“Scusa, stavo andando in bagno, non è colpa mia se parli da solo con un tono di voce così alto, per la miseria!”

 

Il viaggio in macchina più lungo e angoscioso della storia. di sicuro Maria Antonietta era meno agitata quando l’hanno portata sulla ghigliottina – fermo restando che lei non era in macchina, ma se fosse andata in macchina sulla sedia elettrica sarebbe stato meno pesante.

Non parlano per tutto il viaggio, Edward fischietta qualcosa che Alfons non capisce, o forse conosce ma non riconosce al momento perché è troppo impegnato a pensare come un qualsiasi particolare possa andare male e ridurre tutto ad una pagliacciata o comunque un disastro.

Edward è così tranquillo e menefreghista che Al è sicuro che stia solamente pensando al pranzo dopo. Quello è stato facile da organizzare: ha fatto tutto lui, senza lasciare mezza decisione a Ed, che semplicemente avrebbe voluto ubriacarsi in un qualche locale sudicio per dare spettacolo di sé. Come se già non succedesse abbastanza, pensa Heiderich sospirando.

“Ed, non c’è assolutamente dubbio che il mio primo pasto come tuo marito siano quattro salatini affogati nella birra.”, gli aveva detto appena aveva accarezzato l’idea.

“Puoi anche prendere un Bloody Mary, c’è il pomodoro, è come mangiare la pasta ma senza pasta e un po’ alcolica.”

“Ed, vuoi che Al beva alcolici e dia così l’opportunità al primo maschione vichingo che lo abborda di scoparselo senza preservativo o di mettere incinta la prima sgualdrina che tenta alla sua virtù?”

Com’è facile ammaestrare Edward; basta accennare a suo fratello che si ammutolisce e fa tutto quello che gli si dice, come un bravo cagnolino.

Edward lo sente sospirare, gli chiede cos’ha ma non riceve risposta; se la ride sotto i baffi osservando il suo sguardo assente e vagante, che fuori dal finestrino vaga sulle nuvole, sul cielo azzurro; sospira ancora, il mento sulla mano e l’aria da quadro romantico, con protagonista un poeta o uno scrittore. Se non stesse guidando, lo fotograferebbe. Per sfotterlo dopo, ovviamente.

 

“Siamo arrivati, scemo.”

Alfons si risveglia come da un coma; sì, siamo arrivati.

Vedono tutti sulle scale del comune: Winry, Al (“Guardalo, guardalo, non è bellissimo? È proprio mio fratello!”), la zietta, i genitori di Heide (anche il padre, nonostante tutto), Ashley, Celine, Marie, Roy, Riza, Enrique, Antonio, Matthew, Carla. I loro cari, gli amici più stretti, le fanciulle coi fiori nei capelli e i ragazzi vestiti benissimo, tutti sorridono come se fosse il loro matrimonio; Alfons non ha mai visto prima d’ora suo padre in abito elegante, né sua madre così bella.

“Ed?”

“Sì?”

“Sono agitato.”

“Nessuno in sala se ne era accorto.”

Lo bacia sulle labbra e sbuffa.

“Sei troppo grande per fare la ragazzina agitata.”

Al deglutisce, drizza la schiena, mette in fuori il petto.

“Marsch, soldato.”

“Ed, mi prometti una cosa?”

“Certo mio tenero fringuello.”

“… ommioddio. Comunque. Non prendermi in giro, almeno oggi.”

“D’accordo.”

Al gli stringe la mano, e la scopre sudata. Allarga gli occhi, con un’espressione incuriosita. Non lo guarda in faccia, sa che lo agiterebbe ancora di più. Sorride, è meravigliosamente grato di avere un cretino che lo sorregge così tanto.

“Entriamo?”

“Entriamo. Sappi che in caso di divorzio Saw 3D è mio.”

“Ma non era un mio regalo?”

“No, è solo in affidamento congiunto.”

“Ma se a te manco piace — okay, smettiamola.”

“D’accordo. Ti amo.”

“Anch’io, cazzo. Mi sta esplodendo il cuore.”

“Allora, entriamo.”

“Entriamo.”

  
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