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Autore: DanyCullen89    23/08/2010    0 recensioni
Ormai non contava può quello che chiedeva la mia testa, era tempo perso ragionare e cercare soluzioni.
Era il mio cuore a comandare, a manipolare ogni mia scelta. E il mio cuore…non chiedeva altro che lui.
PROLOGO
Pioveva. Pioveva davvero di brutto.
A New York è impossibile trovare un taxi disposto a portarti all’aereoporto, di sabato notte naturalmente.
Ero zuppa d’acqua, senza ombrello, e tentavo di proteggere la custodia della mia Nikon D3X, per evitare di danneggiarla. Mi era costata le mie vacanze, trascorse a lavorare su una nave da crociera a scattare foto ai turisti. Immortalare visi sorridenti sotto il sole cocente del Mediterraneo, non è proprio il massimo a dirla tutta, ma era un sacrificio da sopportare. D’altronde è stato grazie al tramonto italiano che ora avevo finalmente un lavoro che amavo. Era una sera d’agosto, la nave aveva appena abbandonato la banchina e in quel preciso istante ho visto tutto.
Le prime luci della città, il sole che scompariva dietro l’orizzonte, e per finire, una coppia ke camminava mano nella mano lungo la banchina. E’ bastato postare la foto sul mio facebook, e dopo soltanto due giorni, vengo contattata da Vanity Fair. Ricordo quella telefonata come fosse ieri.
“Pronto parlo con la signorina Croft?Sono la redattrice di vanity fair, immagino conosca la nostra rivista. L’aspettiamo domani mattina per un colloquio nei nostri uffici di New York” e tutto quello che riuscii a dire fu “ok”.
Ed eccomi lì, avevo appena attenuto un lavoro che non mi occupava tutto il tempo, e poco importava se dovevo fotografare per di più modelle, bombe sexy, o fenomeni da baraccone…l’importante è iniziare a far diventare lavoro quello che più amavo fare. Ma ero zuppa d’acqua, come dimenticarlo.
Iniziai a fantasticare sulla coppia che avevo ritratto in quella foto. Chissà se stavano ancora insieme, chissà quale era la loro storia, chissà se erano felici o la mia foto ritraeva solo una stupida fantasia. Ed era proprio mentre fantasticavo che si ferma una limousine.
< Mi scusi ha bisogno di un passaggio?> non so perché, ma mi sentii insultata, mi aveva per caso preso per una squillo? < No , grazie> il suo viso mi era stranamente familiare, ma non riuscivo a ricordare dove l’avevo già visto < Senta non faccia la sciocca, non sono mica un estraneo?>
Ecco dove l’avevo visto, l’avevo incrociato proprio quella mattina all’ufficio durante il colloquio, era un cantante emergente o qualcosa del genere, Lucas Smith. A quel punto decisi di accettare il passaggio, almeno la mia nikon sarebbe stata al coperto.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Robert Pattinson
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Correvo ed avevo paura. Sentivo i suoi passi pesanti alle mie spalle, l’affanno era tale da non permetermi di pensare ad altro. Una sola cosa era certa: dovevo correre, correre più veloce. Il corridoio stretto e buio non sembrava avere fine, avevo paura e i passi erano sempre più vicini. Avevo paura, nonostante sapessi esattamente dove mi trovavo. Era un incubo. Lo stesso incubo che accompagnava tutte le mie notti da un po’, lo stesso incubo che tentavo inutilmente di evitare con gli ansiolitici; lo stesso incubo, lo stesso finale. Cado. Mi prende. E inizio ad urlare. C’era una sola cosa che riusciva a calmarmi in quei momenti, una sola persona che sapeva dei miei incubi. Le sue braccia forti mi avvolsero nel suo caldo abbraccio, e soltanto in quel istante rinvenii. Gli incubi erano iniziati qualche mese prima, dopo un litigio furioso con Lucas. Era strano pensare al nostro trascorso, ed era strano che la cosa che mi faceva più male, era scaturita dalla persona che avevo amato di più. Dopo quel incontro a New York sono passati ben due anni, ma la mia storia con Lucas iniziò poco dopo. Avevo travato un appartamento, era solo in affitto ma la sentivo casa mia. La mia vicina di casa era la mia migliore amica e vivevo niente poco di meno che a Los Angeles. Il mio fidanzato era un noto attore e cantante, lavoravo ormai da tempo da Vanity Fair ed avevo guadagnato anche un ufficio tutto mio. Avevo tutto quello di cui avevo bisogno, Amore, Amici,Lavoro…ma nonostante questo non ero felice,e ancora oggi non so trovare un motivo. La mia continua infelicità portò alla rottura inevitabile con Lucas, ero sempre esasperata, scontrosa e non sopportavo neanche più di averlo tra i piedi. Così decisi di scappare. Accettai un incarico a New York, 5 mesi lontana da tutto e tutti, magari al mio ritorno sarebbe andata in un modo migliore. Al mio ritorno, nonostante mi aspettavo un accoglienza al dir poco gelida, tutti era cambiato. Lucas, senza avvisarmi, aveva comprato la casa che avevo in affitto, nonostante nei cinque mesi avevo continuato a pagare l’affitto al proprietario. Era tornato con la sua ex, era felice e a quanto pare non aveva intenzione nemmeno di ridarmi il mio arredamento. Ero furiosa, e le sue parole non facevano altro che irritarmi sempre di più. Aveva preso il mio unico punto d’appoggio a Los Angeles, e a parole sue , me l’ero cercata. Erano i miei dvd sulla parete, c’erano i miei post-it sul frigo, e cosa ancor più grave la mia foto, la foto che mi aveva fatto diventare una fotografa professionista, quella attaccata alla parete della mia camera da letto...anzi la sua. Lo odiavo, lo odiavo con tutta me stessa. Volevo ribellarmi, spaccargli la faccia, ma tutto quello che riuscii a fare fu piangere, lacrime amare che mi rigavano il viso senza un reale senso. Perché mi mostravo così debole? << Lara, dovresti andartene, sta per arrivare la mia ragazza>> le sue parole mi trafissero l’anima, come poteva essere cambiato così? Pochi istanti dopo mi strinse i polsi, mi sbattè al muro e mi baciò con prepotenza. Nel suo bacio non c’era nulla, era il vuoto al centro del tutto, ed io non riuscivo a reagire. <> aveva la voce interrotta dai singhiozzi << Sei andata via, mi hai distrutto, sono stato un vegetale per più di 2 mesi…ma ora le cose sono cambiate, ora sono felice, e non voglio vederti mai più…sparisci!>>.Mi gettò con forza verso la porta, e non potei far altro che sussurrare <>. <> Chad mi guardava con aria stanca ma allo stesso tempo premurosa. << Si…a quanto pare neanche le medicine risolvono qualcosa>> - <>. Aveva ragione…erano passati 6 mesi, e Chad era l’unica persona che mi era rimasta.
  
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