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Autore: marghepepe    23/08/2010    7 recensioni
Non ti serve controllare sul dizionario, Yamato; lo vedrai, lo proverai sulla tua pelle il significato di quella parola.
La odierai con tutte le tue forze quella parola, quasi fosse una bestemmia.
Risposte alle recensioni di R e s p i r a
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Yamato Ishida/Matt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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[Divorzio]

 

[You fight about money, about me and my brother
And this I come home to, this is my shelter
It ain't easy growin up in World War III
Never knowin what love could be, you'll see
I don't want love to destroy me like it has done my family]

[In our family portrait we look pretty happy
We look pretty normal, let's go back to that]

 

Yamato, non si sbircia dalle serrature.

Apri la porta, da bravo, fa' vedere la tua presenza; fai ammutolire i tuoi genitori - che ora stanno gridando - perché sei stanco di sentire, perché sennò Takeru si sveglia.

Eppure non varchi la porta: te ne stai lì, con le manine sullo stipite; stai fermo perché non sai cosa fare, perché ti senti così impotente e così sbagliato per fare un solo passo avanti.

Allora ne fai uno indietro, indeciso. Le tue labbra tremano, Yamato - hai paura, ammettilo -. Piano, apri la porta e sbirci dentro. Quello che vedi non ti stupisce, ormai succede ogni giorno e tu guardi, osservi e ti chiedi perché.

I tuoi stanno litigando; lo sai benissimo, forse meglio di loro.

Tua madre urla, il volto sfigurato da una lunga ruga in mezzo alla fronte, congestionato dalle lacrime e dalla sofferenza; non sono gli anni a renderla così brutta - così non mamma - ai tuoi ingenui occhi azzurri. Sono le parole che dice, il modo in cui le pronuncia e forse anche il tuo non capirci niente.

Lei sbraita e picchia le mani sul tavolo, come una bambina capricciosa.

Stringi le dita allo stipite, ma non ti fai ancora vedere. Vuoi capire il perché di quelle urla, di quelle lacrime - vuoi capire perché non c'è più la mamma.

Sì, la mamma se n'è andata; è inconcepibile che quella donna, con la lacrima facile, gli strepitii della sua voce, gli occhi spenti e bassi, la carnagione cadaverica e i vestiti stropicciati, perché nella foga non ha fatto altro che scompigliarsi, più di quanto lo sia già - più di quanto la sua vita lo sia già -, sia tua madre. No, quella non è tua madre.

Mamma non farebbe mai così. Vero, Yamato?

Vero che quelli non sono i tuoi genitori? Vero che i tuoi genitori si tengono sempre la mano passeggiando fianco a fianco per le strade di Odaiba e parlano, sussurrano battutine negli orecchi l'un dell'altra, quelle battute che tu non capivi e non capisci tutt'ora.

No, quella non è mamma.

Mamma, per te, è sorrisi, occhi color del cielo e morbidi capelli d'oro, è mani che ti accarezzano, è torta al cioccolato, è profumo di vaniglia e pesca, è la ninna nanna prima di andare a dormire, è la splendida voce che ti chiama per il pranzo e quella che ti rimprovera perché sei ancora davanti alla televisione, è quella che ti legge le fiabe per bambini - che ti piacciono tanto, ma non sai ammetterlo -, è quella che ti dà il bacio della buonanotte, è quella, quella che ti vuole bene, non questa.

Anche papà è strano - devi ammettere - in questo periodo; torna tardi dal lavoro, parla al cellulare, ha lo sguardo serio, ma impaurito, come se avesse qualche segreto nascosto e, quando mamma grida, lui si chiude in un silenzio estenuante e deleterio.

Sposti lo sguardo su di lui; da quando ti sembra così vecchio?

Da quando quelle rughe sono così incise e le zampe di gallina gli contornano gli occhi scuri, da quando chiude gli occhi come per isolarsi dal mondo e l'unica espressione che rimane di lui è quella fronte corrucciata in un milione di inutili rughe? Da quando, da quando, da quando?

Da quando non lo ricordi e, forse, nemmeno vuoi farlo; vuoi solo tornare indietro nel tempo, quando eravate felici.

Oh, come rimpiangi quei tempi, Yamato, così tanto che la stretta sullo stipite aumenta e il tuo volto si fa più vicino alla porta per sentire meglio, per capire meglio quelli che ora sono sussurri da parte di tua madre.

Ha il volto basso e i capelli davanti agli occhi e non riesci a capire. Non capisci se mamma stia male - devi chiamare l'ambulanza? -, o se sia normale.

E ti chiedi se anche i genitori di Taichi litighino così?

Non lo vuoi sapere: Yuuko Yagami arrabbiata ti farebbe paura, invece tua madre non sembra nient'altro che una bambola di porcellana, rotta.

Hai paura anche tu di spezzarla con le tue sconvenienti parole di conforto o con le critiche. Non vuoi schierarti, ma sembra che tu sia costretto a farlo. Chi sono i bambini ora, Yamato?

E continui a chiederti perché.

Non mentire, Yamato, dalla tua bassezza di bambino di sette anni - lo sai anche tu di essere piccolo - scruti, accigliato, le persone a cui tieni di più litigare e continuare a farlo ignorandoti, ignorando la tua presenza.

Ma a te non importa, vero, Yamato?

Tua madre ha ripreso ad urlare e tu non sapresti proprio che fare se Takeru si svegliasse e iniziasse a piangere.

Non lo sai perché sei troppo piccolo, troppo impotente, troppo Yamato per fare gli occhi dolci e commuovere tutti e farli smettere con due lacrimoni da coccodrillo - non sei Takeru.

Invidi Takeru per questa sua capacità, anche se è poco più che un poppante.

Vorresti crescere, essere grande e sistemare le cose, oppure rimpicciolirti così tanto da non esistere nemmeno, per non soffrire, per non far soffrire i tuoi genitori.

O tornare indietro, a quei giorni felici.

Quando tu prendevi la mano di mamma e lei la tua, dall'altra parte Takeru ti stritolava il mignolo e faceva lo stesso a sinistra con tuo padre. Sorridevate, felici, al parco di Hikari Ga Oka.

Sorridevate.

Imperfetto.

Passato.

Te l'hanno spiegato a scuola, ma sembra che con il futuro invece tu non sia ancora tanto bravo Yamato, non preoccuparti nessuno lo è.

Neanche i grandi, neanche il cielo così infinito.

Eppure, i parchi e le passeggiate, le gite al mare e i baci di nascosto per non farsi scoprire - fallendo miseramente nel loro intento - sembravano così reali, eppure erano tutte bugie.

Menzogne, davanti a un bambino di sette anni, dette solo perché non poteva capire, per imbrogliarlo, per tenerlo fuori dalle discussioni, ignorandolo.

Bugie solo bugie.

Bugie d'oro, ovvio.

Però  comunque bugie e ciò che t'infervora di più è che sia stato loro possibile mentire, perché tu ci hai creduto; - oh sì, lo hai fatto, Yamato, - ci hai creduto con tutto te stesso.

Ora non solo ti riprometti di essere forte, ma anche di non creder più a nessuno, di non fidarti, perché la fiducia quando si perde brucia e fa male come sale su una ferita.

Non rischierai più - mai più -, hai troppa paura di cadere e farti male e non avere più nessuno che ti aiuti a rialzarti.

Perché se ti illudi, Yamato, se lo fai ancora una volta, ne rimarrai deluso e non vuoi più sentirti così.

E' molto più semplice chiudersi al mondo, non far entrare più nessuno nella tua vita, nel tuo cuore.

E allora cos'aspetti?

Nessuno te lo impedisce, è così semplice la solitudine, così conveniente perdersi nelle proprie fantasie e non uscirne più.

Sentirsi vivi e, dopo due secondi, morire fa male, allora perché non viviamo morti, privi di quelle illusioni che tanto ci feriscono, ma che altrettanto accendono la nostra speranza?

Dai, Yamato, diventa un morto vivente, amalgamati in questa società grigia di adulti dagli occhi severi. Chiudi i tuoi in due falci azzurre e non piangere, ricordatelo: non ti è permesso.

Non vivere per non soffrire; sì, questa è la via più facile.

Allora fingi, Yamato, non stare lì con le mani in mano, non tremare, non desiderare che la mamma ti canti una nenia per farti addormentare, né che interrompa quel litigio per te.

Eppure c'è sempre quella dannatissima aspettativa verso le persone che amiamo.

Tuo padre d'improvviso si alza e sbatte un pugno sulla tavola, non si accorge di te, è troppo impegnato a ribattere alle offese, a combattere le sue stesse paure.

Non ti guarda, non gioca con te - non guardate più neanche la televisione insieme, ormai. Proprio ora che c'è il tuo programma preferito. Proprio ora che ne hai più bisogno, che hai bisogno di capire.

Perché? Perché? Perché?

E quegli occhi, sbarrati, intimoriti e vaticinanti - perché tua madre ha appena lanciato una delle sue preziose ceramiche per terra - cercano una risposta nei due sconosciuti davanti a te, non sapendo che nemmeno loro la conoscono.

Di nuovo sguardi bassi, lontani, parole sussurrate e fruscianti, vischiose come melma, ma che scivolano addosso come acqua bagnata. Inzuppano, inzuppano e ti fanno pesare i vestiti, come quella volta in cui Takeru ti ha fatto cadere in una pozzanghera e poi avete riso e riso e ancora riso perché, nonostante tutto, era stato divertente trovarsi per terra, tutti bagnati, e poi aiutarsi a vicenda a rimettersi in piedi e ridere. Non lo sapevi, ma ora l'hai capito: gli adulti fanno fatica a rialzarsi nella vita, vedi le articolazioni scricchiolanti, vedi la mancanza di qualcosa o qualcuno a cui aggrapparsi, vedi la mancanza di speranza e di voglia di provare, ritentare, fino allo svenimento, vedi l'attitudine particolarmente confacente a due coniugi di ferirsi a vicenda, o forse si addice di più a due innamorati.

Poi quelle parole, ancora più lente e racchiuse in un ansito orgoglioso, in uno dei difetti umani più plausibili e più crudeli: «Forse... Forse è meglio se ci lasciamo»

Ed è un attimo: tuo padre sbarra gli occhi, tua madre li chiude: incomprensioni che non fanno vedere i loro volti sotto quelle maschere di cera, maschere che si sciolgono vicino al fuoco e questo è sicuramente un argomento scottante.

Eppure, Yamato, non capisci; non sono abbracciati, non si danno la mano, perché si devono lasciare andare nel baratro dell'oblio, perché non possono aiutarsi a rialzarsi, perché?

Quasi lo urli dentro di te, Yamato, eppure nessuno ti sente.

«Voglio il divorzio, Hiroaki» tua madre ha riaperto i pozzi azzurri e, nel frattempo, tuo padre li ha ridotti a due falci di luna nera. Una lacrima ribelle cade dagli occhi stanchi di sua madre, solitaria, come ultimo pegno di una storia infinita, come ultimo sfogo. Non senti più niente, Yamato, ne hai già abbastanza; solo quella domanda rimbomba nella sua testa, facendoti venire l'emicrania.

Perché? Perché? Perché?

Non che tu possa sapere cosa significhi divorzio, non che tu riesca a capire bene le parole di tua madre; eppure lei che esce dalla cucina trafelata e in lacrime - senza vederti, ancora una volta - sbattendo la porta, quello, lo avevi capito.

Vedi anche tuo padre immobile, seduto su quella sedia vecchia, logora e cigolante, come il matrimonio dei suoi genitori. Lo guardi e ti sembra veramente desolante quella cucina, vuota, con un uomo distrutto dalle guance scavate. Papà sembra così vecchio ormai, con la camicia sgualcita e la cravatta allentata, i capelli scombinati, la mano che regge la testa e quella minuscola lacrima che scappa dalla prigione dei suoi occhi. Corre verso il mento quella birichina e Yamato non sai, se raccogliendola farai un torto a tua madre; così ti fermi, prima di scatenare un'altra tempesta e altra distruzione, infine rimane solamente desolazione. Quella in cui sarai costretto a vivere.

E la vedi tua madre trafelata, scompigliata, sola e impaurita, fare le valige a casaccio e prendere Takeru in braccio e ignorarti. La vedi eccome.

Non tendi le braccia verso mamma, Yamato, sei grande ormai e non sei Takeru; non ne hai bisogno, urla il tuo orgoglio, quando li vede scomparire dietro la porta.

Takeru ti fa ciao con la manina libera, l'altra è in bocca a succhiare il pollice - perché Yamato sai che mamma ha dimenticato il ciuccio in stanza, quello era il tuo compito, non di mamma -, poi si aggrappa ancora alla madre, come farebbe un koala con la propria. Tu, invece, non saluti. Rimani lì nella tempesta a cercare un relitto ancora intatto per navigare verso la felicità, come fanno alla televisione, ma non è rimasto nient'altro che dolore e un cuore spezzato; forse due, ti dici, mentre vedi tuo padre davanti alla tele spenta, a fissarla e con un birra che non riesce a bere in mano.

Yamato, entra in cucina, prendila e versala nel lavandino, buttala, facendo slalom tra i cocci rotti.

Non raccoglierli, abbandonali lì, dove sono, hai paura di tagliarti, di farti male.

Ti siedi e contempli, anche tu, il vuoto dopo la tempesta e non capisci perché non ci sia l'arcobaleno, né perché ci siano così tante nuvole all'orizzonte, così tanti ostacoli da affrontare.

E vuoi crescere, per addossarteli e non sentire il loro peso, ma non sai della stanchezza che i problemi della vita portano con sé. Non sai che forse la colpa non è di nessuno, allora la attribuisci a sé stesso, oppure no - meglio attribuirla agli altri, Yamato?

E' tua madre che urla troppo e tuo padre che tace troppo, è che non esistono intesa e vie di mezzo, che per te la vita è bianca o nera, Yamato. E forse vederla così bianca prima ha reso molto più doloroso vederla così nera adesso. Ti siedi e non parli.

Un automa. Tuo padre, che non si chiede se tu stia soffrendo, che non risponde ai tuoi quesiti.

Un automa. Uno di quelli incapaci di spiegare, di capire qualcosa al di fuori di loro, dei loro circuiti.

Una macchinina telecomandata che può andare solamente a destra e a sinistra, che viene comandata.

E allora sì, dai, Yamato, diamo la colpa al destino, perché è crudele.

Perché il mondo ce l'ha con noi e nessuno ci vuole bene, neanche quella bambina che ti guarda sognante dalla terza fila.

Tzé, femmine, con le loro vocine lagnose troppo alte per le tue orecchie.

Non le sopporti perché se vogliono la sanno alzare, la voce - come la mamma, quando è diventata madre. 

E' per questo non sopporti neanche Taichi e la sua parlantina.

Eppure la solitudine ti ricorda qualcosa, quella in cui ti sei rinchiuso tu, poi, è identica a quella di tuo padre, che ora se ne sta lì nel suo silenzio assoluto e risolutivo a fissare un punto imprecisato della stanza, forse cerca risposte anche lui? Non lo sai, Yamato. Non lo puoi sapere, come lui non conosce il tuo dolore e il tuo cuore spezzato.

Vuoi capire, ma anche essere capito - ed è estenuante, per te, non poter fare nessuna delle due.

Per gli altri lo è?

Riusciranno mai a comprendere almeno una minima parte della tua sofferenza?

Non ti dai risposta, sei troppo piccolo per conoscerla e lo sai, come sai che forse è ora di andare a letto, che domani c'è scuola; ma mamma non c'è e tu non sei obbligato, non spegne la televisione - che è già spenta, ma non ci hai fatto caso a causa della marea di pensieri che ti hanno travolto -, non ti racconta una storia, non ti ricorda di lavare i denti.

Dettagli.

Tu puoi fare quello che vuoi ora, ma le lacrime, agli occhi, pungono sempre, ribelli, bastarde - ora lo puoi dire, tuo padre non ti sgriderà come lei.

« Papà » lui si volta lentamente « Cosa significa la parola divorzio? » - e lui, così come si era voltato, si rigira, chiuso nella sua malinconica angoscia.

Non ti serve controllare sul dizionario, Yamato; lo vedrai, lo proverai sulla tua pelle il significato di quella parola. La odierai con tutte le tue forze quella parola, quasi fosse una bestemmia.

 

 

 

 

 

Ora hai trent'anni, Yamato, e tua figlia quasi tre.

L'hai portata al parco: lei ti stringe la mano, mentre osserva gli altri amichetti con entrambi i genitori.

« Papà, dov'è mamma? »

«  A casa » le rispondi, in un sorriso lesto « a preparare una sorpresa per il tuo compleanno » ti abbassi alla sua altezza, mentre due genitori iniziano a discutere, come dicono gli adulti.

Sora è veramente a casa, a preparare una megatorta al cioccolato - sembra che la ricetta gliel'abbia prestata tua madre.

Sorridi e non chiudi gli occhi, fissi quelli di tua figlia e lei fissa i tuoi.

Vi parlate un po' così, voi.

Con gli sguardi.

Cielo nel cielo.

Azzurro nell'azzurro.

La parole di sottofondo si fanno più alte e dure, sono i genitori di Kouji Minamoto, te l'ha detto lei, tua figlia, ma per te quelle voci sono di Nastuko e Hiroaki.

Sorridi amaro verso quella coppia, se la si può definire tale, poi prendi la mano della tua bambina e la stringi stretta; lei ricambia e sorride con gli occhi, immergendoli di nuovo nei tuoi, arrossando le guance e il nasino per il freddo.

« Andiamo a casa, mamma ci aspetta » lei sorride e ti chiedi come tu sia riuscito ad essere così stupido, a pensare che tutti fossero stati come Natsuko e Hiroaki.

Vi voltate, date le spalle alle discussioni e tornate a casa, dove vi aspetta una vera famiglia.

 

 

[Spazio autrice]

Questa one-shot mi ha coinvolto in modo particolarmente personale.

L'ho scritta mentre i miei genitori litigavano e io mi sentivo così Yamato per non scriverla.

E' un periodo in cui mi sento spesso Yamato, non che mi piaccia particolarmente il suo personaggio e il suo carattere - io ho sempre preferito Taichi, per la sua spontaneità e per l'humor.

Eppure in questo momento sono uguale a quel piccoletto della prima serie, scontroso e antipatico.

Mi faccio i complimenti da sola XD.

Per il brutto periodo che ho passato l'anno scorso - e sto continuando a passare, anche se meno intensamente - la mia famiglia si è quasi sfasciata e io mi sono sentita esattamente come Yamato.

Ho pianto tutto il tempo mentre la scrivevo.

Mi ha preso così tanto che non sono riuscita neanche a correggerla grammaticamente, ma la mia splendida beta Kim ha fatto un lavoro spettacolare.

Avete presente quando vi prende l'ispirazione e se non scrivete poi state male - e vi viene voglia di attaccarvi a una bottiglia di vino o di dormire tutto il giorno? -

Beh, per me è stato così: mi ha aiutato a sfogarmi.

L'ultima parte è molto tenera e disillusa, distante dalla realtà, però volevo almeno un lieto fine - sì, ci spero ancora -

Il Sorato mi prende sempre di più e io ne sono così inorridita che non so come spiegarmelo XD.

E' dovuto dire che il personaggio di Kouji Minamoto è preso da Digimon Frontier.

A proposito delle altre serie, avete visto Digimon Xros Wars? Che ve ne pare? A me non è che piaccia molto, se non per il fattore 'ritorno Taiora' con Taiki e Akari.

*_* Sono troppo teneri.

Anche ora che scrivo lo spazio autrice di questa storia tremo - ho un po' paura a pubblicarla - , ma per me è stata davvero importante, spero che vi piaccia.

La citazioni all'inizio della storia è tratte da 'Family Portrait' di Pink; mi sono innamorata di questa canzone, leggete le lycris sono fantastiche.

Le due citazioni in italiano:

*Litigate per i soldi, per me e mio fratello/e questo è ciò che trovo tornando a casa, questo è il mio rifugio/non è facile crescere nella terza guerra mondiale/senza sapere come sarebbe potuto essere l'amore, vedrai/io non voglio che l'amore mi distrugga come ha fatto la mia famiglia

*Nel nostro ritratto di famiglia sembriamo abbastanza felici/sembriamo abbastanza normali, torniamo indietro a quei tempi

Delphinium_Love: Grazie mille, anche a me piace moltissimo la Takari e ci sto lavorando su, ma per ora accontentiamoci del Sorato che mi viene spontaneo e dire che l'anno scorso lo odiavo XD. Baci!

Padme Udomiel: Grazie mille per la recensione! ç_ç Averne ricevuta una di questo genere da una scrittrice che stimo come te è veramente gratificante. Sono felice che la storia ti abbia coinvolta. Ti svelo un piccolo segreto, mentre la scrivevo trattenevo il respiro! XD Mi sentivo così Sora, così innamorata, così persa, anche se non lo ero per niente. Per gli errori, ho provveduto appunto facendo correggere le mie storie alla mia attuale beta, vedendo le correzioni mi rendo conto che devo ripassare grammatica XD. Grazie ancora. Baci.

Grazie a tutti.

Marghepepe.

 

  
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