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Autore: RubyChubb    24/08/2010    1 recensioni
Un giorno in più o in meno dentro a quel carcere non faceva ormai molta differenza per lei, che ormai vi aveva passato tre anni e mezzo della sua vita per un fatto che aveva commesso con piena e riconosciuta colpa. Non si era mai dichiarata innocente, la coscienza e l’evidenza dei fatti non glielo avevano permesso. Un mese in più o in meno, invece, cominciava a fare sentire il suo peso. Se poi pensava a quattro anni tagliati tutti d’un colpo, Meg poteva mettersi a piangere dalla felicità. E fu infatti quello che fece. Camminava e piangeva, con le mani bloccate all’altezza del bacino non poteva asciugare le lacrime, ma non le importava. Una volta tornata in istituto avrebbe chiamato i suoi, a casa, per riferire la notizia. Non erano venuti: papà si era fatto prendere dalla febbre stagionale ed il tribunale scatenava in mamma dei violenti attacchi di panico. Diciotto mesi e tutto sarebbe finito.
Genere: Drammatico, Generale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Quattro - FW
CAPITOLO QUATTRO


Le sue mani erano fredde, molto fredde, se ne chiese il perché. Poi se ne rese conto, la superficie che percepiva sotto le dita non poteva trasmetterle altro che quella sensazione: era vetro, elemento inanimato, fragile e resistente al medesimo tempo. Sotto di esso legno vecchio, pieno di minuscoli fori di tarlo.
Meg sbatté gli occhi più volte.
Non aveva la più pallida idea del posto in cui si trovasse, si sentiva come se fosse stata strappata dalla propria vita per essere gettata in un luogo nuovo e sconosciuto, agli antipodi del mondo. La testa le girava vorticosamente, tanto che ebbe un forte senso di nausea: trattenne il conato, prese un respiro profondo e si impose si calmarsi. Avrebbe risolto anche quella situazione, ormai era capace di ovviare ai problemi della sua vita senza il sostegno di nessuno, quindi doveva solo attendere di realizzare dove si stesse trovando.
Lentamente, la vista mise a fuoco quello che la circondava.
Vide il pavimento di parquet sotto ai suoi piedi, qualche ninnolo sul bancone davanti a lei, poi il luogo assunse rapidamente la sua naturale profondità tridimensionale e si allargò in ogni direzione. Meg ebbe altra nausea, si appoggiò alla superficie di vetro ed attese che la sua mente smettesse di farle quei giochetti idioti.
Si voltò e quello che trovò non le piacque affatto. Meg portò le mani alla bocca, stupita e incredula.
Era nel vecchio negozio di articoli per la casa. Tutto quello che vedeva era come se lo ricordava: le lampadine alle sue spalle, insieme alle batterie ed ai piccoli oggetti elettrici ed elettronici. Alla sua sinistra scaffali pieni di piatti, bicchieri, forchette e di ogni altro oggetto per la cucina. Davanti a lei stoffe, lenzuola, tovaglie e tende; sulla sua testa qualche lampadario…
Meg si toccò, trovandosi reale e viva. Non stava capendo niente di quello che le succedeva. Alla sua sinistra scorse uno specchio, quello nel quale era abituata a riflettersi per cercare capelli fuori posto o trucco sbavato: i suoi capelli erano color carota, esattamente come tanto tempo fa… O forse li aveva sempre avuti in quel modo? Non seppe darsi una risposta, non era certa di quello che la sua mente le suggeriva: aveva la sensazione di vivere il presente, di essere una ragazza di diciotto anni, di lavorare in quel negozietto per racimolare qualche soldo e di avere un importante compito di letteratura da affrontare tra qualche giorno, ma c’era comunque un fondo di dubbio.
Un deja-vu? Poteva darsi, i pomeriggi passati in quel buco di negozio erano tutti uguali.
Sentì la porta del negozio aprirsi ed il tipico scampanellare segnalare la presenza di un nuovo cliente. Come se fosse stata un automa programmato per vendere articoli d’arredamento, sfoderò il suo migliore sorriso migliore ed accolse il signore.
Buon pomeriggio!”, gli disse, “In cosa posso esserle utile?”
Vorrei una lampadina, le ho finite.”, disse l’uomo, con tranquillità.
Meg notò la sua barba lievemente incolta e brizzolata, così come i capelli che spuntavano sotto al berretto.
Certo, mi dice quale voltaggio le serve? E’ per un lampadario o per un abat-jour?”, gli domandò.
Duecentoventi.”, rispose l’uomo seccamente.
Perfetto.”
Meg gli dette le spalle e cercò la lampadina giusta per il signore. Ne individuò tre tipi diversi, ognuna con un suo prezzo, e ne prese qualcuna per mostrargliele. Si voltò, ma lo spavento le fece cadere le piccole scatole a terra. Meg si appiattì allo scaffale, in preda al panico ed al terrore.
L’uomo le puntava una pistola contro, diretta al cuore, che pulsava impazzito dentro di lei.
Svuota la cassa.”, le disse, “Ed anche la cassaforte.”
Meg fissava l’arma, non sentiva le sue parole e tremava, incapace di parlare.
Dammi i soldi!”, gridò l’uomo, sporgendosi sul bancone ed afferrandola per il maglioncino che indossava.
La strattonò e i fianchi di Meg si scontrarono sulla superficie, tanto che il dolore la accecò.
Ti ho detto di darmi i soldi, puttana!”, urlò ancora, “Muoviti!”
Ma le grida di panico di Meg lo sovrastarono, e lui si scatenò.
Piantala! Muoviti!”
La spinse contro allo scaffale, scatole di lampadine e cavi elettrici caddero rovinandole addosso e colpendola ovunque. L’uomo reagì ancora: prese la cassa e, dopo un paio di pugni e gomitate, la aprì. I soldi entrarono presto nelle sue tasche, Meg non aveva la capacità di fermarlo.
Puoi farlo…
No, non era possibile, era piantata a terra dalla paura e dal terrore.
Puoi, e sai come.
L’uomo tornò a minacciarla con la sua arma e le sue grida.
Apri la cassaforte! Ce l’hai davanti agli occhi!”
Meg piangeva, singhiozzava e mugolava. L’uomo si innervosì e, con un gesto rapido, sgombrò il bancone, gettando tutto a terra in un colpo solo. Ninnoli di vetro e plastica si frantumarono contro il pavimento.
Sbrigati!”
Puoi liberarti di lui.
Meg allungò le dita verso la rotella e, sebbene stessero tremando come una foglia, riuscì ad aprire il portellone individuando la combinazione giusta.
Dammi tutto quello che c’è dentro!”
C’erano tante scatole, Meg non sapeva cosa contenessero ma conosceva quella che l’uomo voleva più di tutte. Si trovava in fondo, dietro a tutte le altre: quando la prese e la estrasse, quelle caddero e riversarono il loro contenuto sul parquet.
Prendila.
Gli occhi di Meg si fermarono sul metallo nero che, uscito da una scatola, si era fermato vicino ai suoi piedi.
Stringila.
La mano si avvicinò e toccò il metallo, trovandolo ancora più gelido del vetro che rivestiva il bancone.
Muoviti!!!!”, gridò ancora l’uomo.
Proteggiti.
Le dita si impossessarono dell’arma. Una volta che il calcio venne stretto, come la voce nella sua testa le aveva ordinato, la pistola divenne improvvisamente calda. Si ricordò anche quello che il proprietario del negozio le aveva detto, qualche settimana prima: ‘Dopo l’ultima rapina, ho deciso di proteggermi. Ma tu non la devi usare. Mai.’.
Liberatene.
Meg tremava, era scossa da brividi ovunque, ma riuscì comunque ad alzarsi. Impugnò la pistola con entrambe le mani, la sentiva così pesante che non aveva abbastanza forza da sorreggerla con la sola destra. L’uomo impallidì ed indietreggiò, ma il suo spavento durò solo pochi secondi.
Mettila giù!”, urlò di nuovo.
Si avvicinò velocemente, Meg lo vide ancora allungare la mano per scuoterla e spingerla a terra, ma un tonfo sordo e potente la assordò. Un improvviso odore di bruciato e poi un grido rinnovato, gli occhi si aprirono e trovarono il buio. Immediatamente luce venne fatta e percepì ancora quella sensazione di freddo, alle mani.
Anzi, ai polsi.
La signorina Howard ha volutamente”, sentì dire da una voce lontana, che rimarcò quell’ultima parola, “impugnato l’arma, puntandola al petto dell’uomo e sparando, sebbene le fosse stato proibito categoricamente di farlo”, ci fu una pausa, “come ha testimoniato il suo datore di lavoro, il signor Bell. Nonostante ciò, ha violato la regola ed ha sparato, ferendo a morte il rapinatore, il defunto signor Kendara, lasciando sua moglie e suo figlio privi di un buon padre di famiglia.”
Obiezione, signor giudice!”, disse allora una voce femminile, “Come si può dire che un rapinatore sia un buon padre di famiglia? E’ una contraddizione bella e buona!”
Meg comprese di trovarsi in aula di tribunale, ma la luce era così forte ed abbagliante da non permetterle di vedere alcunché. In aggiunta, se prima la sensazione di deja-vu era solo tenue, adesso era quasi insopportabile.
Il signor Kendara”, riprese subito l’odiosa voce precedente, “aveva perso il lavoro da mesi, era disoccupato e doveva trovare un modo per sfamare suo figlio, di appena sei mesi!”
Ma questo non giustifica…”
Il giudice interruppe la difesa dell’avvocato di Meg.
Respingo la sua obiezione.”, disse, perentoriamente.
Ci fu del silenzio. Nessuna parola venne più spesa né in sua accusa, né a difesa, ma la luce era ancora lì, persisteva a toglierle la vista. Poi qualcun altro parlò.
Il tuo caso è perso.”, disse il suo avvocato, la signorina Dean, “Devi accettare la pena.”
Sentì un pianto, riconobbe sua madre.
So di essere colpevole!”, ribatté allora Meg, istintivamente, “Ma quello avrebbe potuto uccidermi! L’ho fatto per difesa…”
La sua pistola era finta, Meg!”, la zittì l’avvocato, “Chiunque avrebbe potuto accorgersene, era un giocattolo!”
Un giocattolo piuttosto realistico!”, disse ancora Meg.
La luce si spense, Meg si trovò nell’oscurità più totale. Si fece prendere dal panico e la sua fronte diventò imperlata di minuscole gocce di sudore. Si rese conto di essere in un incubo, uno di quelli che non faceva orma da almeno due anni, ed attese con rassegnazione che i flash del passato si esaurissero, come era capito in precedenza. La realizzazione di vivere i ricordi, comunque, non era sufficiente a farla svegliare: era la sua mente a decidere quando interrompere la catena.
Rivisse così le fasi più importanti del suo processo, da quando la condannarono a dieci anni di reclusione con l’accusa di omicidio volontario a quando ridussero la pena di un anno in un primo stadio di ricorso, avvalendosi della buona condotta personale precedente il fatto. Inoltre, il suo avvocato puntò sulla tesi della difesa personale e dello stato di panico in cui Meg si era trovata per colpa di un’arma, seppur finta, puntata contro il viso. Ricordò i momento peggiori spesi in carcere: le botte ed i soprusi, il cibo rovesciato a terra, le offese e gli scherzi idioti; le giornate passate a piangere, la voglia di fuggire. I tentativi… Di uccidersi, perché no? Ma li aveva solo pensati, era sempre stata troppo codarda per farlo davvero. Rammentò di come Rachel venne trasferita nella cella, che prima non condivideva con alcuna detenuta, e di come lei la difese, una volta, dalle angherie di una storta.
I flash durarono con continuità, forse per tutta la notte, e quando Meg si svegliò le sembrò di aver passato un anno intero sonnambula.
Hey… Cosa hai fatto stanotte?”, le fece Rachel, quando la vide in viso, “Ti hanno camminato sulla faccia? E poi hai mugolato come un pulcino… Che ti succede?”
Niente…”, le rispose, “Brutti sogni…”
Ah… Ho capito.”, disse l’altra, “Vedi di rimetterti.”



Non era la giornata giusta per alzarsi ed andare al lavoro, e non era colpa della sua allergia primaverile, che il suo corpo stava combattendo aiutato dai medicinali e dalla sua forza di volontà. Aveva fatto un brutto sogno, quella notte, un incubo pessimo in cui si era trovato chiuso dietro alle sbarre di una delle tante celle della Holloway, mentre fuori i detenuti festeggiavano la rivolta messa in atto, e lui se ne stava imprigionato per mano loro. Era un sogno che si presentava con una cadenza incredibile, una volta al mese disturbava il suo sonno, forse era il caso di andare in cura da qualche psicologo, oppure da uno psichiatra, per farsi curare.
Entrò in servizio scacciando ogni pensiero, imponendosi di stare calmo e di non ritenere quella eventualità come un dato di fatto: in Inghilterra, un avvenimento del genere non era statisticamente raro, ma neanche frequente, quindi non doveva preoccuparsene. I detenuti della Holloway, inoltre, non avevano tendenze riottose e la sorveglianza stretta su quelli più pericolosi ed a rischio allontanava tale ipotesi.
Perché preoccuparsene?
Ecco, stava già meglio.
Megan! Carlos!”
La voce stizzita ed acuta di Daisy, evidentemente arrabbiata con i due reclusi, entrò potentemente nelle sue orecchie. Si chiese cosa fosse successo in quei suoi momenti di assenza cerebrale.
Mi avete stufato!”, continuò Daisy, “Andate in serra e pulite le vetrate!”
Signorina, non abbiamo fatto niente!”, rispose Carlos, in sua difesa.
Danny guardò verso la sua nuova collega, l’agente Morris, che aveva già conosciuto in precedenza, e le chiese cosa fosse successo.
Ridevano durante la lezione.”, gli spiegò, “Perché Daisy si è rovesciata una brocca d’acqua sui pantaloni.”
Trattenne qualsiasi risatina, nascondendola sotto i baffi.
Avanti!”, esclamò ancora Daisy, “In serra!”
Ubbidite.”, rinforzò Morris, “Jones, tienili d’occhio.”
No, pensò lui, adesso che stava un po’ meglio non poteva farsi sottoporre a quella tortura un’altra volta.
Non è che potresti…”, disse alla collega, “Andarci tu? E’ che non sto tanto bene…”
Nemmeno io.”, gli sorrise lei, beffarda.
Ok, non ti preoccupare.”, le rispose, poi si rivolse ai due detenuti mancanti di rispetto verso la lezione, “Andiamo.”
Li seguì, osservandoli avvicinarsi a passi lenti verso la serra. Come loro, Danny non era affatto entusiasta di passare del tempo lì dentro, ma vi erano stati tutti costretti e non potevano rifiutarsi, chi per una ragione, chi per un’altra.
Iniziamo da fuori o da dentro?”, chiese Carlos.
Ovviamente da dentro!”, rispose la ragazza, “Non vedi come sono sporchi all’esterno?”
Ed entrò con loro. Subito, l’odore opprimente ed il caldo tropicale gli serrarono la bocca dello stomaco e, qualche minuto più tardi, arrivarono i primi starnuti ed i colpi di tosse.
Agente Jones…”, gli disse Carlos, che premeva la spugna sui vetri, seguito dalla ragazza che li asciugava e li lucidava, “La sua allergia è ogni giorno sempre più terribile.”
Lo so.”, gli rispose Danny, “Ma sta migliorando.”
Dice?”, fece l’altro, un po’ ironico, “A me non sembra. Lo pensi anche tu, Meg?”
Lo penso, lo penso.”, borbottò lei.
Preoccupatevi solo di fare un buon lavoro.”, disse ai due.
Si guardarono, poi guardarono lui, a qualche metro di distanza. Forse era stato un po’ troppo duro, ma non aveva l’umore adatto né la salute per reagire in maniera migliore. Tornarono alla loro occupazione in silenzio, cosa che lui apprezzò, ma fu solo un benessere temporaneo.
Che cos’hai, Meg?”, le chiese Carlos, “Ti hanno camminato sul viso?”
La ragazza rise brevemente.
Me lo ha detto anche Rachel, la mia compagna di cella.”, rispose, “Non ho dormito bene.”
Si vede!”, esclamò Carlos, “Mi spaventi ogni volta che ti guardo!”
Risero ancora insieme, sembravano divertirsi in compagnia dell’altro, come Danny aveva già avuto modo di notare.
Perché hai dormito male?”, le domandò ancora Carlos, “C’è stato qualche sogno che ti ha disturbato?”
Sì.”, rispose lei, “Di quelli che non terminano mai.”
Bizzarro, pensò Danny, che si era svegliato pessimamente per colpa del medesimo motivo.
Uh, mi dispiace.”, ironizzò Carlos, “La prossima volta datti una botta in testa, così non correrai il rischio di sognare!”
Lo farò.”
Cosa hai sognato?”, ripropose lo spagnolo una nuova domanda, sembrava piuttosto curioso.
Beh… “, balbettò l’altra, “Cose vecchie.”
Indovino.”, fece l’altro, fermando il suo lavoro, “Hai sognato… Che Daisy ti imponeva di passare del tempo con me e con l’agente Jones, chiusa in serra, a pulire le vetrate!”
La ragazza rise con sincerità, anche Danny non poté evitare di allungare in su gli angoli della sua bocca.
Puoi parlarne.”, riprese poi Carlos, “Sai che sono uno zingaro gitano, so tutto dei sogni e di come interpretarli.”
Il mio non era proprio un sogno.”, precisò Meg, “E comunque non ne voglio parlare.”
L’uomo dovette arrendersi alla volontà di Meg. Il lavoro dei due riprese in silenzio, Danny percepì una sorta di tristezza calare sulle loro teste, ma poteva anche essere una sua impressione. Dopo quelle chiacchiere, metà serra era stata pulita.
Riguarda quello che ti ha portato qui, vero?”, disse Carlos, dal nulla.
Esatto.”, rispose la rossa, “Hai indovinato.”
Beh, cara mia.”, fece l’altro, “Rivedere il volto di chi hai ucciso, anche dopo tanti anni come nel mio caso, è sempre un dolore anche per me.”
Danny tese le orecchie, spinto da una curiosità che solitamente non gli apparteneva. La ragazza sospirò e parve concentrarsi nel lavoro.
Pensavo che uno come te fosse abituato.”, gli disse, quasi sottovoce.
Quando ero libero, certi pensieri non mi tormentavano.”, rispose lui, “Ma qua dentro sono diventati un’ossessione.”
Mi sembri sano di mente.”
Anche tu, ragazzina.”, le sorrise l’altro, “Ma una persona sulla coscienza non è facile da sopportare, nemmeno per me. Figuriamoci per te, che sei una persona essenzialmente buona, finita in un luogo essenzialmente cattivo, popolato da individui del medesimo calibro…”
Danny aveva finito di stupirsi dei motivi che spingevano la gente a farsi rinchiudere in prigione, ne aveva sentiti di tutti i colori, ma c’erano casi particolari in cui doveva sempre ricredersi. Ciò che aveva imparato sulla ragazza, spifferato da Carlos e catturato con la curiosità, lo lasciava senza parole, si sentiva amareggiato. Quella detenuta, Meg, se ne stava in prigione da quando aveva diciotto anni, evidentemente per aver tolto la vita a qualcuno, sprecando così tutta la propria con un peccato mortale indicibile a pesarle sulla testa.
Perché? Cosa rendeva una persona capace di uccidere un suo simile? Soprattutto, una persona così giovane, una ragazza apparentemente brava ed onesta? Invidia, gelosia verso qualcuno? Danny non capiva, non sapeva come si potesse essere capaci di un gesto così.
Se fossi stata davvero essenzialmente buona”, disse la ragazza, “perché mi trovo qui?”
Che domanda retorica e stupida, permettimi di dirtelo!”, esclamò Carlos, ridendo, “Se finisci in carcere, è perché hai fatto qualcosa di male. Indipendentemente dalla percentuale di bontà di cui è fatto il tuo cuore.”
Non ho detto di essere innocente.”, replicò lei, “Ma solo di essere una persona sbagliata capitata nel posto sbagliato, al momento sbagliato.”
Sono rari i casi in cui qualcuno è contemporaneamente prigioniero ed innocente.”, ribatté Carlos.
Non mi sto riferendo alla mia posizione attuale.”, si spiegò ancora Meg, “Ma a quella che mi ha portato qui.”
Perdonami ma non ti seguo.”, la interruppe lo spagnolo.
Nemmeno Danny la seguiva, tanto che non aveva osato fiatare un pensiero durante quel dibattito.
Intendevo dirti…”, disse la ragazza, lasciando perdere il suo straccio, “Che se quel giorno avessi rinunciato al mio turno per studiare letteratura, non sarei qui.”
Ovvio!”, esclamò l’altro, “Ma la storia non si fonda sui se e sui ma. E’ questo l’universo parallelo in cui vivi.”
Ed infatti mi fa schifo.”, obiettò l’altra, gettando tutto a terra, “Non dovrei essere qui. Deve esserci stata una sorta di… Di interruzione temporale del cazzo, o come si chiama, che mi ha trasportato qua.”
Carlos interruppe il suo insaponare e si voltò verso di lei.
Vedi il lato positivo di tutto questo.”, le fece, raccogliendo lo straccio e porgendoglielo, “Avresti mai detto che prima o poi ti saresti trovata chiusa in una serra con due bei maschioni come noi?”
Danny si vide indicato dalla mano forte e massiccia di Carlos, che sorrideva e cercava di trascinare anche la ragazza nel divertimento della sua battuta di spirito. Megan guardò nella sua direzione, gli schioccò un’occhiata piena di sufficienza.
Finiamo il lavoro, oppure la fidanzata di Paperino si incazzerà.”
Prese lo straccio dalle dita di Carlos e tornò a strofinare. Lo spagnolo lanciò un occhiolino complice a Danny, che contraccambiò con un cenno di testa ed un sorriso. Qualsiasi cosa avesse fatto quella Meg, era evidente che fosse il suo tormento più grande. Le parole che aveva udito da lei non erano di sincero pentimento verso il suo crimine, ma di frustrata rassegnazione di fronte a ciò che le era capitato, e che lei non aveva mai preventivato nella sua vita. Danny non credeva che i detenuti fossero vittime delle situazioni in cui si trovavano, non appoggiava la teoria per la quale un individuo diventava cattivo se immerso in un universo altrettanto cattivo.
Credeva bensì che tutti gli esseri umani agissero, causando delle naturali conseguenze, positive o negative. Lei aveva agito, aveva sbagliato e doveva pagare, volente o nolente, ma soprattutto indipendentemente dall’età, dall’essenza buona del suo cuore e da tutti i pregi che possedeva.
Se non errava, inoltre, sarebbe uscita presto. Quello voleva dire due cose: che la giustizia avesse fallito e stesse rilasciando qualcuno che si meritava lo sconto della sua punizione fino all’ultimo giorno, oppure che il detenuto si fosse pentito seriamente. Non sapeva quale fosse stato il caso di Meg, gli sarebbe piaciuto approfondirlo ma, essendo lei una donna e lui un agente uomo, non rientrava nella sua giurisdizione.
Eppure, se ci pensava bene, la ragazza si era contraddetta. Aveva dubitato del suo essere una persona buona, ma poi si era ritenuta vittima di coincidenze della vita. Affermava di non essere innocente ma colpevole, e poi accusava una congiunzione astrale sfavorevole.
Che caso complicato.

***

La sua mattina era sgombra da ogni tipo di impegno e di lezione. Meg si trovò nulla facente, chiedendosi come avrebbe potuto passare quella giornata senza appassire. La prima scelta che le affiorò in mente fu andarsene in biblioteca, ma non aveva voglia di chinarsi su un qualsiasi volume. Fuori il sole era così fresco che allungando lo sguardo oltre l’orizzonte si poteva vedere il mare… Ma quale mare, borbottò stanca la mente annoiata di Meg, da Holloway si potevano vedere solo altri edifici, tetti ed antenne a non finire, al massimo qualche campagna lontana.
Sospirò e prese la sua decisione, se ne andò in biblioteca.
Hey!”, la chiamò subito Annelise, una volta che i secondini all’entrata del luogo l’ebbero fatta entrare.
Meg si voltò verso di lei, che passeggiava tra gli scaffali con una pila di libri tra le braccia.
Vuoi che ti venga un’ernia?”, scherzò con lei, “Oppure vuoi farti una cultura enciclopedica?”
No!”, rise l’altra, “Voglio solo aumentare una parte della mia conoscenza vivaistica.”
Meg le si avvicinò subito, incuriosita. Stentava a credere a ciò che la bocca di Annelise le aveva permesso di sentire, ma era sicura di non aver frainteso alcuna parola. La donna appoggiò i libri su uno dei tanti lunghi tavoli di legno lucido e Meg si sistemò davanti a lei. Non pensava che Annelise si sarebbe interessata ad approfondire alcuni degli aspetti delle loro lezioni quotidiane, ma evidentemente si era sbagliata.
Voglio impegnarmi.”, le spiegò Annelise, vedendola stupita e al contempo perplessa, “Perché se tra un paio di anni sarò fuori, vorrei davvero creare qualcosa di buono.”
Quindi niente più colpi duri alle casse del fisco?”, ironizzò Meg, sperando che la donna non fosse troppo suscettibile a quel genere di battute.
Beh… Chissà!”, rispose l’altra, ridendo ancora una volta, “Ma per il momento, è meglio studiare, dato che non ho nient’altro da fare.”
Meg annuì e le strizzò un occhiolino, per darle tutto il suo distaccato sostegno. Così, la donna aprì il primo volume tra quelli selezionati e si mise a leggere.
Dovresti farlo anche tu.”, borbottò poi Annelise, “Non sei così male come giardiniera…”
Grazie.”, rispose lei, “Ma è perché i miei hanno tuttora un vivaio.”
Se hai il verde nei geni, perché sprecarlo facendo innervosire Daisy?”, domandò Annelise, “Tieni, prendi un libro e studia!”
Tutto tranne quello.
Mi vedo costretta a rifiutare con gentilezza.”, le disse, restituendole il volume, “Quello che imparo ascoltando Daisy mi basta ed avanza.”
La donna si strinse nelle spalle.
Come vuoi.”, disse, senza insistere, “E’ la tua scelta.”
Si rimise sulle sue parole scritte e Meg fu costretta a lasciarla sola, altrimenti l’avrebbe solamente disturbata. Osservò tutti gli scaffali, quella volta ancora più distratta delle altre, tanto che un paio di suoi colleghi uomini -la biblioteca era un luogo unisex, sebbene fosse piuttosto difficile incontrare detenuti maschi- la rimproverarono e fu costretta a prendere un libro a caso ed a sedersi.
George Orwell.
Fantapolitica, aveva già letto uno dei suoi lavori e le era piaciuto, perché non tuffarsi ancora? Aveva macinato qualche capitolo, vedeva solo animali in rivoluzione, quando una mano si posò sulla sua spalla.
Mi ha detto Annelise che eri qui.”
Carlos.
Hey… E’ una congiura contro di me?”, scherzò Meg, “Volete tutti farmi diventare l’asina del corso, mettendovi a studiare floricoltura alle mie spalle?”
No, non mi permetterei mai di lasciarti indossare da sola il cappello con le orecchione.”, rispose l’altro, “Piuttosto, cosa stai leggendo?”
Allungò il suo braccio tatuato ed afferrò una sedia, che usò per accomodarsi al suo tavolo, sedendosi a cavalcioni su di essa.
Orwell, conosci?”, gli disse, mostrandogli la copertina del libro, tutta stropicciata ed ingiallita.
Certo che sì.”, rispose lui, allontanando le parole per leggere meglio.
Meg lo osservò prendere un paio di occhialetti dalla tasca della sua camicia quadrettata e spiegazzata ed indossarli. Era comico vedere un gigante come lui leggere con quegli strani affari sulla punta del naso, tanto che se ne accorse.
Non vedo bene da vicino.”, disse, sorridendole, “E so che sono buffo, li indosso solo qui per evitare di essere preso in giro.”
Uno come te può schiacciare chi lo ridicolizza!”, obiettò Meg, di nuovo stupita.
L’uomo la guardò, oltrepassando la montatura fine e nera degli occhiali.
Ogni chiacchierata che facciamo mi porta a capire che tu hai un’idea di me che non mi piace affatto.”, disse, per poi mettersi a sfogliare il libro, “Oh! La fattoria degli animali di Orwell, pensavo ti fossi buttata sul classico 1984.”
Meg non ascoltò il suo commento, era rimasta male per le parole precedenti. Carlos notò anche quello.
Non ti preoccupare, non sono scocciato.”, la tranquillizzò, “Ormai sono abituato alla gente, quella che pensa che io sia solo capace di fare prepotenze sul suo prossimo… Vedrò di farti cambiare idea!”
Le sorrise e le porse la sua mano destra: Meg mise la propria nella sua, lasciando che lui l’avvolgesse completamente e la stringesse, suggellando quel piccolo patto tra loro.
Adesso torniamo al libro.”, disse Carlos, porgendoglielo, “A che punto stai?”
Gli animali hanno appena eliminato il signor Jones.”, spiegò Meg, “E vogliono fondare questa nuova comunità basandosi sulle regole dettate dal maiale più vecchio, che è morto da poco.”
Come vorrebbero chiamare questa nuova società?”, domandò ancora lui.
Meg riflettè.
Animalismo.”, disse poi, certa della risposta.
Bene!”, esclamò l’altro, togliendosi gli occhiali, “E non ti sembra di aver già sentito parlare di questo animalismo?”
In che senso?”, Meg non lo capiva.
Questo libro”, disse Carlos, indicandolo, “è l’allegoria di un determinato modello politico di società esistente, non te n’eri accorta?”
Assolutamente no, si disse Meg, l’aveva preso solo per un libro di fantasia, niente più.
Mi deludi, ragazzina.”, fece l’altro, “Ti facevo più intelligente.”
Fammelo almeno finire!”, si difese Meg.
Certo! Appena lo terminerai, mi piacerebbe davvero poterne discutere con te. Chissà cosa potremmo capire l’uno dell’altro ragionando sulla tematica di questo libro!”
Le stranezze di Carlos si sommavano. Non lo faceva tipo da biblioteca, né da occhialetti per la lettura, né così ferrato sulla letteratura inglese di metà secolo. Forse lo aveva davvero sottovalutato, addirittura completamente frainteso.
E poi”, continuò lo spagnolo, con aria sarcastica ma tono basso, “non prendere in giro l’agente Jones per essere omonimo del signor Jones creato da Orwell, che viene trucidamente spodestato da capo della sua fattoria, dopo una rivoluzione guidata da cani e porci…”
Ovvio che, nella mia testa, le due persone coincidevano!”, gli fece, ridendo.
Ti lascio alla lettura.”, disse Carlos, alzandosi, “Sono certo che ci incontreremo presto per parlarne, mi fido della tua testolina, anche se è un po’ bacata.”
Grazie del sostegno!”, rispose Meg, cacciando fuori la lingua e salutandolo.
Quando si fu allontanato, tornò alle vicende della nuova società animalista, fondendosi tra i personaggi e le loro vicende rivoluzionarie. Ben presto capì a cosa si stava riferendo Carlos e, in preda all’impazienza, lo cercò ovunque in biblioteca, ma non ne trovò traccia. Chiese di lui ad Annelise, ma rispose negativamente, così come un altro paio di agenti. Lo spagnolo non era un fantasma, nessuno poteva non averlo notato, ma si disse che molto probabilmente c’era stato un cambio di turno tra i poliziotti.
Vide l’ora, erano le sei, tra poco sarebbe stata ora di pranzo, doveva tornarsene in cella ed attendere che dessero a tutte le detenute il permesso di recarsi in massa nella mensa.


Accompagnava Barreiro alla lezione. Danny starnutì e si prese una compressa di antistaminici: sebbene giugno fosse quasi finito, il lungo contatto con le piante stava prolungando il suo stato allergico e, con la sincerità nella mente, ne aveva le palle piene.
Agente Jones”, gli disse Carlos, mentre si soffiava il naso, “sa che il suo cognome è molto comune qua in Inghilterra?”
Se non erro ha il secondo posto nella classifica dei cognomi più diffusi.”, gli spiegò, si era ricordato di averlo letto qualche anno fa, molto probabilmente la situazione non era cambiata di molto.
E’ anche un piuttosto anomimo.”, disse l’altro, “Come Smith.”
Già…”, rispose Danny, senza interesse.
Ad esempio, se fossi uno scrittore”, continuò lo spagnolo, “lo userei per il mio personaggio.”
Beh, allora ti ringrazio per dare al mio cognome tutta questa importanza.”
L’ennesimo cancello venne aperto, lasciando via libera ad entrambi.
In molti hanno fatto come farei io, in prima persona.”, riprese Carlos, una volta superato quel piccolo posto di blocco tra i diversi corridoi, “Come Orwell, lo conosce?”
Orwell.
Intendi quello del Grande Fratello?”, domandò Danny.
Esattamente.”
Sì, lo conosco, ma non ho mai letto niente di suo.”, fece, chiedendosi quale fosse lo scopo di quella conversazione.
Ecco, uno dei suoi personaggi porta il tuo cognome.”, precisò Carlos, “Nel romanzo La fattoria degli animali, il padrone si chiama Signor Jones.”
Interessante.”
Gli animali gli si rivoltano contro e prendono possesso della fattoria, ma è un personaggio piuttosto significativo.”, approfondì Carlos.
I suoi pensieri dirottarono verso il suo sogno più brutto, lo aveva fatto un paio di settimane prima, e si chiese quanto potesse essere strano il mondo, ma soprattutto pieno di coincidenze. Gli venne quasi da sorridere: Signor Jones di Orwell e Agente Jones di Holloway che subivano la medesima fine, distrutti dagli animali e dalle persone che tenevano in gabbia, l’uno in un libro, l’altro nel sogno.
Bizzarro.
Questa coincidenza me l’ha fatta notare Megan.”, aggiunse lo spagnolo, con aria furba.
Danny aggrottò la fronte.
Ah sì?”, gli chiese, incuriosito, “E cos’altro ti ha fatto notare?”
Beh…. Temo di non poterglielo riferire, Agente Jones.”, si ritrasse Carlos, sottolineando la sua posizione all’interno del carcere, “Non andrebbe a favore della ragazza.”
Lo chiederò direttamente a lei.”
Non le faccia capire che le ho riferito qualcosa. Altrimenti quella mi uccide…”, borbottò Carlos, ridacchiando.
Erano quasi arrivati, Danny spese quegli ultimi minuti pensando a ciò che aveva saputo, ma non gli dette molta importanza. Quando poi intravide la ragazza, che chiacchierava con la detenuta Annelise, la curiosità tornò a bussargli in testa. Per quel momento decise di lasciar perdere la questione, l’avrebbe tirata fuori al momento più opportuno.
Doveva ammetterlo, la sua curiosità non era del tutto positiva. Non gli piaceva sapere che qualche detenuto parlava male di lui alle sue spalle, sebbene fosse un fatto inevitabile, ma non riusciva comunque ad allontanare il fastidio quando accadeva. Molto probabilmente quella Megan, o Meg, come la chiamavano tutti solitamente, non aveva detto niente di ché sul suo conto, ma voleva comunque accertarsene.
Concluse il suo turno con tranquillità, la lezione fu noiosa come tutte le altre ed alla fine Danny ne avrebbe saputo più di sua madre sul conto delle piante, esseri viventi che odiava dal profondo del suo cuore per tutto il periodo che si estendeva tra il solstizio di primavera e quello d’estate. Scacciò via ogni malessere fisico e umorale e, non appena fu a casa, cenò con tranquillità davanti alla tv. Solo, nel suo appartamento, si prese ogni comodità necessaria per buttare il lavoro e tutte le sue conseguenze alle spalle, doveva prepararsi per uscire.
Con un discreto ritardo, Dougie suonò alla sua porta. Danny lo trovò sul pianerottolo con sei lattine di birra.
Perché le hai portate?”, gli chiese, “Non usciamo?”
No!”, esclamò lui, “Ti sembra che sia dell’umore adatto?”
Evidentemente no, così Danny gli permise di entrare. Si tolse la giacca, seguì il suo amico dall’aspetto isterico e si accomodò nel suo soggiorno, attendendo che Dougie gli spiegasse cosa stesse accadendo.
Ho bisogno di un avvocato!”, disse lui, “Ne ho bisogno!”
Chiama Harry.”, gli disse, tentando di calmarlo, “Ha superato l’esame e può darti della consulenza su chi contattare… E poi perché vuoi un avvocato?”
Gli devo chiedere cosa mi accade se tento di uccidere la mia vicina di casa.”, spiegò Dougie, “Voglio sapere se posso difendermi con la scusa dell’infermità mentale.”
Dougie e la sua vicina di casa. Quando l’aveva sentita nominare per la prima volta, aveva pensato ad una vecchiettina sorda che teneva la televisione a tutto volume, ad una madre con bimbi isterici, una donna impicciona. Niente di tutto quello: era una studentessa universitaria loro coetanea che non aveva mai accettato di uscire con Dougie, che ci provava da almeno due anni. Danny l’aveva conosciuta, era una bella ragazza e non lo aveva mai negato; oltretutto gli era sembrata abbastanza fuori di testa per potersene stare con Dougie, che spesso e volentieri era da manicomio. L’evidenza era che non lo filava, nemmeno lo salutava quando si incrociavano sul pianerottolo.
Perché dovresti farlo!”, esclamò allora Danny, divertito, “Se morirà, non potrai uscire con lei in nessun modo!”
E allora?”, sbottò l’altro, “Sto meglio adesso, per caso?”
Dougie, te lo dico per esperienza. Non pensarle queste cose, neanche scherzando.”
Non ci andrò in prigione.”, lo rassicurò Dougie, “Il giudice mi darà ragione.”
Danny posò una mano sulla sua spalla.
Smettila.”, gli disse, con tono calmo, “Non sono cose di cui ho piacere parlarne, quando mi vedi senza divisa.”
Lo so, scusami.”
Usciamo, allora? Prenderò le birre come un pegno per il disturbo.”
Certo…”, borbottò Dougie, “Harry ci aspetta al pub ma non credo che Tom verrà, dice che non si sente molto bene.”
Ok, faremo senza di lui.”
Prese di nuovo la giacca ed uscì. Si trovava a metà strada per il locale, quando il suo cellulare squillò. Era Sophie, con la sua chiamata del dopo cena.
Hey! Come va?” le fece.
Sono a casa tua, dove sei?”, domandò lei.
Danny ebbe il presentimento di aver preso qualche decisione sbagliata. Con un gesto, fece comprendere a Dougie di starsene zitto e di abbassare il volume dello musica.
Mi sono assentato un attimo.”, disse, in attesa di ulteriori delucidazioni, “Perché?”
Perché dovevamo vederci. Oggi dovevo esporre il mio lavoro di ricerca… Non ti ricordi?”
Sgranò gli occhi ed incrociò quelli dell’amico. Se n’era completamente dimenticato, era necessario fare dietrofront.
Beh… Scusami, non è stato volontario…”
Non ti preoccupare.”, disse Sophie, “Ci sentiamo più tardi, ok?”
Sophie, aspetta…”
La chiamata venne interrotta bruscamente. Aveva combinato un bel guaio, era ovvio.
Successo qualcosa?”, domandò Dougie, accostando l’auto al ciglione della strada.
Niente, andiamo pure al pub.”, rispose Danny.
Appoggiò il gomito alla sporgenza sulla portiera e guardò fuori dal finestrino.
Se vuoi che ti porti da Sophie…”, avanzò Dougie.
No, non ti preoccupare. Si sistemerà presto.”
Non ne era convinto, ma per il momento era una convinzione confortante.




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Eccomi qua! :) Spero che il capitolo sia di gradimento. So quanto possa essere difficile seguire questa storia, così immobile e inconcludente.... Suvvia, la pianto di fare la piagnona e confido nelle vostre capacità di comprensione!  Soprattutto, di contestualizzazione dei fatti :)

Cito La fattoria degli animali di  George Orwell per molti motivi: mi piace Orwell, mi piace la fantapolitica, mi piace il libro, lo sto riportando sul palcoscenico con il laboratorio teatrale di cui faccio parte... E lo conosco molto a fondo! Se la mia interpretazione del libro non corrisponde con alla vostra o a quella del libro, non datemi dell'ignorante :D
Sia questo scritto che 1984 sono stati citati senza scopo di lucro.

Ringrazio chi mi legge e chi mi recensisce! :D
   
 
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