HO CHIUSO IL CASO, CALLAHAN
1.
Il secondino lo guardò stupito.
- Ma sei uscito stamattina o no? - lo apostrofò con tono scortese.
- È orario di visite o no? - la risposta, gutturale, aveva lo stesso tono.
- Certo. Hai già nostalgia? - il secondino ghignò, pensando di essere spiritoso.
- Fai quello che devi fare e togliti dai coglioni.
Prese il badge e gli caricò il permesso di visitatore, in modo che potesse accedere
al parlatorio. Ma non disse altro. Il tono cattivo e la reputazione che accompagnava
la persona che aveva davanti lo sconsigliavano dall'insistere.
Ritirato il badge con l'autorizzazione salvata all'interno, valida per un solo accesso
al parlatorio, con quello superò il primo sbarramento. Altri agenti della polizia
penitenziaria lo fermarono per fargli delle domande: alcuni lo riconobbero, altri no. Riuscì
ad arrivare fino allo sbarramento trasparente, una spessa parete lungo la quale erano state
ricavate delle cellette per i colloqui. Si accomodò sullo sgabello e presto un secondino,
dall'altra parte della parete trasparente, venne ad appiccicare la ricetrasmittente che avrebbe
consentito il colloquio censurato. Da qualche parte c'era una cabina di regia dove tutte le
conversazioni venivano ascoltate. Guardò la ricetrasmittente dal suo lato: una capsula rotonda
ingiallita e storta, forata. Era stato da entrambi i lati di quella barriera e in quel momento,
per il suo stato d'animo e per ciò che vedeva, stentava a percepire la differenza.
Poi lei arrivò. Sentì stringersi il cuore: sapeva tutto, ormai. Il secondino dava una manganellata
nelle reni a chiunque camminasse a testa alta e lei si presentò con lo sguardo fisso a terra,
leggermente zoppicante. L'aveva appena ricevuto, quel colpo che toglieva anche la forza di
pensare. Sapeva già tutto, ma faceva male lo stesso.
Le apparenze ingannano, si disse. Stava quasi bene nella divisa da carcerato, i capelli in
ordine e la pelle così pallida da sembrare splendente. Solo quelle lentiggini che parevano
dipinte una a una con un pennello intinto di vernice arancione distraevano da quel pallore. Le
lentiggini e i lunghi capelli rossicci, cupi, autentici. L'aveva vista un milione di volte
mettersi le mani nei capelli per legarli, aggiustarli, scioglierli, cercare di sgarbugliarli. Sapeva
perfettamente come funzionava: era obbligatorio essere puliti e sistemarsi i capelli per i
colloqui e guai a chi avesse disubbidito. Perfino lui era stato costretto a pettinarsi e
radersi accuratamente ogni volta che Lilly era venuta a trovarlo. La guardò sedersi. Il suo
fisico asciutto ed essenziale, un po' troppo mascolino, era messo in evidenza dalla divisa
del penitenziario troppo grande che le cadeva addosso come un sacco. Aveva indossato una maglia
bianca sotto la giacca: altrimenti dalla scollatura, sebbene fosse abbottonata fino all'ultimo,
sarebbe stato possibile vederle perfino l'ombelico.
- Callahan! - esclamò quando alzò lo sguardo, seduta davanti a lui. Prima le lesse le labbra,
poi udì la sua voce provenire dalla ricetrasmittente. Ci voleva del tempo a censurare la comunicazione,
ricordò lui.
- O'Malley. Come sei carina pettinata così.
Non era vero. Aveva i capelli lunghi e ondulati raccolti in una coda ordinata che metteva in
evidenza l'ovale del viso, affilato e angoloso. Non era affatto una bella donna, una di quelle
che fanno voltare la testa. Nessuno la considerava degna di nota: le colleghe del Distretto la
chiamavano “lui”, alle spalle ovviamente. Per i colleghi, una volta realizzato che non era una
facile, anzi, semplicemente aveva cessato di essere una donna. Ma a Callahan quel complimento
venne spontaneo. Lei sorrise e mosse le labbra.
- Grazie, anche tu sei carino.
Lui piegò la bocca in una smorfia. Non aveva mai scambiato più di quattro chiacchiere di
circostanza con O'Malley, anche se nella stessa squadra all'interno del medesimo distretto. Avevano
zone diverse che non si sovrapponevano mai.
- Sai che sei il primo che viene a trovarmi?
- Ho dovuto aspettare l'istanza di scarcerazione, per quello ci ho messo tanto – Callahan rispose
con voce bassa. Vide un sorriso e una smorfia amara contendersi le labbra di lei. Non era certo
benvoluta: a causa sua i mass-media tenevano la polizia sotto attacco da settimane. Quelli della
Disciplinare sembravano insetti impazziti: sciamavano ovunque.
- Che discorsi da galeotti... e pensare che siamo due poliziotti.
Aveva gli occhi lucidi. Occhi verdi, strani. Callahan ci vide riflesso un mondo da scoprire.
- Mi hanno tolto la placca – le disse. La censura non scattò, ma probabilmente aveva raggiunto
il confine. Lei non gli chiese come mai, si limitò ad annuire. Ognuno conosceva le vicende
dell'altro, non era necessario scendere nei dettagli.
- Custodia cautelare – disse lei indicando se stessa, sorridendo.
- Posso tornare a trovarti? - le chiese.
- Dovrai aspettare il tuo turno – rispose lei, ironizzando sul fatto che sarebbe stato l'unico
dei suoi colleghi. Anche lui aveva potuto apprezzare quanto fosse ben voluto al Distretto: la
prima volta che era finito dentro, l'unica persona venuta a trovarlo era stata una prostituta. Lilly,
che fine hai fatto, si chiese.
- Ora che ho un sacco di tempo libero, avrò molto da fare – le disse, ma lei non sembrò raccogliere
l'allusione. Meglio, si disse.
- Trattati bene – aggiunse subito dopo. Ormai il colloquio stava per terminare.
- Anche tu – rispose la donna. Un istante dopo dalla ricetrasmittente gracchiò a tutto volume una
voce che intimava la fine del colloquio. Un secondino giunse a prelevare O'Malley che a testa china
ciabattò via uscendo rapidamente dal campo visivo di Callahan, limitato dalle paratie laterali
opache. Lo stesso secondino staccò la ricetrasmittente dal lato di O'Malley e fece a lui un
inequivocabile quanto sgarbato cenno di allontanarsi.