Fictional Dream © 2010 (22 marzo 2010)
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e ai distributori internazionali che detengono i diritti sull’opera. Nessuna violazione dei diritti legalmente tutelati in merito ai succitati
copyright si ritiene intesa. L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright dell’autrice (Callie Stephanides -
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totale né parziale, a meno che non sia stata autorizzata dalla stessa tramite
permesso scritto.
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Sarebbe stato facile dire che sì, tutto era cominciato perché
il mondo era pieno di stronzi che odiavano i froci, e perché un atto vandalico
non era bastato ai soliti idioti; che non era giusto che un ragazzo gay del
tutto innocuo, sopravvissuto per miracolo a un attentato, si ritrovasse il
negozio sfasciato per la seconda volta in un pugno di mesi; che non era giusto e
basta che ti dicessero come vivere la tua vita e te lo facessero capire anche
con le cattive.
Oppure sarebbe stato facile dire che sì, tutto era cominciato
per colpa sua, perché se n’era andato di casa, perché non era quel che avresti
detto un figlio modello; perché vivere la strada gli aveva insegnato a tagliare
prima di tutto la corda, poi a guardarsi indietro.
Sarebbe stato facile dire che sì, tutto si legava alla sua
immaturità, al suo egoismo, e a quei diciassette – quasi diciotto – anni in
fuga.
A essere onesti, però, di facile non c’era un bel
niente, né era sua la colpa se suo padre – uno dei due, almeno – era un nerd
all’ultimo stadio. Un nerd feticista di calzamaglie.
“Finiscila, Hunter.”
La voce di Ben – un altro che di Batman se ne strafotteva, ma
che aveva molto a cuore l’aspirante Robin della situazione – l’aveva
raggiunto dal retro del negozio, mentre un altro scatolone di fumetti gli
planava addosso.
“Ma… Ancora?”
Ben si era asciugato il sudore con un paio di manate decise,
stravaccandosi subito dopo sul bancone. “Dobbiamo togliere di mezzo anche quel
cartonato di Rage. Bruciacchiato com’è, non fa neppure una gran figura,
non ti sembra?”
Hunter si era disfatto di una colonna dorica di carta e
polvere, e aveva liberato un sospiro dalla consistenza di un rantolo.
“Me lo dici perché tocca a me?”
L’inverno del duemilasei era appena cominciato. Pittsburgh
stagnava in una quiete fatta di neve e ghiaccio, come pure la proposizione
quattordici, bloccata da un centinaio di emendamenti che, con un po’ di fortuna,
gli avrebbero almeno permesso d’essere adottato.
Il negozio di Michael, però, recava per l’ennesima volta
impresse le stigmate di una negoziazione impossibile. Per qualcuno il mondo si
divideva in froci e in tutti gli altri. Forse avrebbero dovuto
prima chiedere a uno degli altri come fosse vivere con i froci:
non faceva poi tanto schifo – anzi, andava benissimo.
“Perché è la festa per la nuova inaugurazione del negozio di
Michael. Perché tu sei nostro figlio. E perché quando c’è stata la prima di
Batman Begins…”
“… Io facevo il settimo nano a Orlando, Florida. Lo-so.
Quanto ancora conti di rinfacciarmelo?”
Ben aveva fatto spallucce e replicato alla sua perorazione
abbastanza patetica con un ghigno polare. “Finché non andrai via di casa per il
college. Come tutti i bravi genitori normali.”
Hunter aveva roteato gli occhi e raddrizzato le costole
colorate di una lunga teoria di pubblicazioni per bambinoni mai cresciuti.
“Ma che ci trova in questi tipi? Sono tutti uguali e ce
l’hanno piccolo, se vuoi sapere come la penso!”
Ben aveva riso di gusto, mentre la neve, oltre le vetrine,
riprendeva a fioccare indisturbata. “Ce l’avranno piccolo, ma è grazie a loro se
ho trovato Michael, perciò...”
“Ti-prego. Avrò sentito questa storia un milione di volte!”
Ben l’aveva lasciato dire, mostrando la noncuranza con cui
ogni genitore accettava l’indifferenza e l’intransigenza dei figli – e tutti i
figli erano un po’ gelosi dei genitori, dei loro segreti di cuore e di letto.
“Attento con quello scaffale. L’ho puntellato con un paio di
chiodi, ma non so quanto resisterà.”
La nuova inaugurazione del negozio di Michael era attesa
dagli affezionati della Liberty Avenue quasi quanto la riapertura del Babylon.
Per la comunità gay di Pittsburgh, sembrava che la dimenticanza fosse il solo
esercizio di memoria possibile; lasciare un’orbita cieca là dove si era
consumata la notte la vita l’amore – anche marchettaro – dei cosiddetti
diversi, importava giocare il gioco dei repubblicani: un gioco troppo
noioso.
In quell’inverno sonnolento e sempre uguale a se stesso, il
bisogno di normalità passava anche per un ridicolo cineforum dedicato ai froci
che avevano fatto grande l’America: i supereroi.
E chi era più gay di Batman?
Uno, per altro, che andava persino a ragazzini?
“Sarà... A me ‘sta storia di Robin fa senso,” aveva osservato
critico Hunter, mentre cominciava a riempire lo scaffale con le pubblicazioni
sopravvissute al vandalismo crudele dei soliti vigliacchi.
Che schifo di persona poteva prendersela con uno come
Michael?
Era quasi più facile di quanto non fosse lapidare un piccione
stordito dal freddo.
“Se hai finito con quei fumetti,” l’aveva richiamato Ben, “Ci
sarebbe ancora da...”
Hunter aveva roteato gli occhi, preparandosi a ricevere
l’ennesima consegna. “Almeno Debbie mi paga!” aveva grugnito, realizzando
d’essere rimasto impigliato a un chiodo di quel maledetto scaffale. “Un momento
che...”
Aveva cominciato a strattonare per un lembo il maglione,
ottenendo come unico effetto quello di far traballare il frutto della scarsa
manualità di Ben – mai fidarsi degli intellettuali, se c’era da riparare
qualcosa.
Come se non bastasse, in quello stesso istante, Michael aveva
pensato bene di fare irruzione nel negozio, trafelato quasi lo stesse inseguendo
una torma di repubblicani.
A guardarlo bene, però...
Da quando Michael portava improbabili occhiali da
professorino anni Settanta?
Da dove, soprattutto, spuntava fuori quel terrificante
maglioncino fatto a mano con tanto di coniglio in rilievo?
O Debbie si era data a un hobby da nonna, oppure uno dei suoi
padri aveva problemi più gravi che non prenderlo nel culo.
“Ehi! Io pensavo di...”
“Adesso non ho tempo!” era stata la brusca risposta che aveva
ottenuto da un interlocutore strampalato almeno quanto impegnato a svellere lo
scaffale.
“Attento, Ben dice che...”
“Non ho tempo, non ho tempo!” aveva rantolato ancora una
volta Mikey-Bunny, prima d’essere inghiottito da una misteriosa caverna
che si era aperta nella parete del negozio.
“E questa? Vuoi vedere ch’è roba dei tempi del
Proibizionismo? Be’, male che vada, tiro su qualche bottiglia,” aveva mugugnato,
affacciandosi con timida cautela oltre il bordo dell’orbita cava che
occhieggiava nel muro.
“Non si vede niente. Magari prendo una torcia.”
Se l’idea suonava ragionevole e sensata, l’applicazione si
era rivelata più impegnativa del previsto: prima ancora che riuscisse ad
articolare il minimo suono, infatti, la parete aveva ceduto ed era stato
inghiottito dal buio.
“Cazzo,” aveva rantolato, avvertendo attorno a sé solo il
vuoto della caduta libera. “Questa è la volta buona che smetto di preoccuparmi
per l’Aids. Ci resto secco subito!”
A dispetto delle sue aspettative, invece, l’atterraggio era
stato morbido e molleggiato: ad attutire la caduta, un vecchio materasso
imbottito.
“Ah, ah... Ora ho capito! Questi si sono fatti... No, non ne
avrebbero bisogno. Scopano abbastanza a casa.”
Si era guardato attorno perplesso. L’illuminazione era scarsa
e di Michael neppure l’ombra. Contro una parete che il riflesso tinteggiava
d’ambra, una porticina tanto minuscola che nemmeno il settimo nano vero
vi sarebbe passato.
“Tutto questo mi ricorda qualcosa...” aveva bofonchiato tra
sé, prima di accorgersi di un basso tavolino alla sua destra. Sulla lucida
superficie di ciliegio, un confettino azzurro.
“Sono un acido. Calami.”
Hunter aveva sbattuto perplesso le palpebre. “Com’è che
funziona, qui? T’invitano pure?”
Un’occhiata alle spalle, guardingo. Michael e Ben si erano
volatilizzati. La posizione di Batman in fatto di droghe non gli interessava, e
i servizi sociali si erano rassegnati a lasciarlo vivere positivo e contento tra
i froci.
“Speriamo che sia un bel viaggio.”
Eppure, malgrado tutta la buona volontà nel violare le
regole, non gli era parso di registrare questo gran cambiamento.
O era un acido timido, o l’avevano fregato con una mentina.
“‘Fanculo,” aveva grugnito, salvo realizzare che la
porta era finalmente abbastanza cresciuta da concedergli di passare. Oltre la
soglia, ad accoglierlo, un mondo su cui sembrava che Dio avesse vomitato
arcobaleni: ce n’erano in cielo, ce n’erano in terra e, soprattutto, falciavano
una flora e una fauna improbabili.
“Scusa, acido. Ho detto una stronzata. Sei roba
forte,” aveva esalato con un filo di voce, prima di avviarsi lungo uno stretto
viale.
“I casi sono due. O sono fatto, o tutte le fate amiche di
Emmett si sono date appuntamento da queste parti,” aveva mormorato sgomento,
mentre drappelli di drag queen vestite da farfalla sciamavano nell’assolata
prateria.
“Scusa... Ma dove state andando?” aveva domandato timido a
una stampellona tinta sul genere Priscilla, la regina del deserto.
“Al party della Regina di Cuori, caro,” era stata la flautata
replica.
“Cioè... Una festa?”
“Sì, una splendida festa.”
Hunter si era arruffato pensoso i capelli. “Io stavo cercando
mio padre.”
“Oh, poverino... Ti sei perso?”
Prima che riuscisse a rendersene conto, si era formato un
folto capannello di transgender, la più discreta delle quali aveva le ciglia
tempestate di cristalli Swarovski – nulla, insomma, che potesse salvarti da una
ragionevole sensazione di disagio.
“Forse possiamo aiutarlo, ragazze!” aveva cinguettato
un’enorme mulatta dal seno siliconato.
“No, sul serio... Non ce n’è bisogno. Posso...”
Ma non c’era la benché minima possibilità di sfuggire al
controllo di mitologiche, perverse creature in cui la determinazione tutta
tignosa e femminile si fondeva a muscoli maschili. Detto altrimenti: era
fottuto.
E se quella era la via d’accesso nascosta per Gotham City, la
pedofilia era proprio l’ultimo problema di Batman.
“Possiamo portarlo dal Brucaliffo. Gli darà un valido
suggerimento!”
“Bru-che?”
“Il Brucaliffo, ma puoi chiamarlo Ted. Non si formalizza
troppo.”
Ciò detto, era stato spintonato lungo una strada che suonava
persino più ambigua della Liberty Avenue.
Il Brucaliffo se ne stava arricciato sulla sommità di un
gigantesco peyote, fumando con aria esistenzialista una pipa ad acqua.
“Ted è un bravo ragazzo, però è incline a deprimersi. Se ti
domanda qualcosa sul suo aspetto, digli che sarà una farfalla meravigliosa.”
Hunter aveva aperto la bocca, ma non aveva trovato alcuna
valida obiezione da porre. Il bruco, nel mentre, era scivolato nella sua
direzione, mostrandosi un Ted di nome e di fatto, visto ch’era – in blue
– la copia sputata del contabile di Kinney.
“Sal-ve,” aveva rantolato, sollevando d’istinto il braccio
destro. “Come va?”
“E come vuoi che vada? Il Nasdaq in calo, i bei ragazzi si
fidanzano e quelle svampite delle fate sempre a fare baldoria come se non ci
fosse un domani!”
Indubbiamente stava parlando con Ted: bruchiforme o meno, ne
aveva sentite abbastanza per identificarlo.
“La faccio breve. L’hai visto un uomo più o meno sul metro e
sessantacinque, con l’aria sognante e lunghe ciglia da cerbiatto?”
“Se l’avessi visto, pensi che me lo sarei fatto sfuggire?”
Reset: il bru... Ted, aveva un debole per Michael.
“Come non detto. Sai se c’è qualcuno che controlla ‘sto
posto... Tipo... Che conosce gli spostamenti di tutti?”
Il bruco aveva liberato un grosso anello puzzolente, senza
mostrare particolare interesse per il suo dramma. “Potresti chiedere allo
Stregatto. Ammesso che voglia risponderti.”
“E perché non dovrebbe?”
“Perché gli hanno appena cestinato un romanzo ed è molto
depresso.”
Hunter aveva tratto un sospirone esasperato. “Ho capito.
Vedrò di trovare ‘sto Stregatto.”
“Errore. Non sei tu che trovi lo Stregatto; è lo Stregatto
che trova te.”
“Be’... Basta che qualcuno mi aiuti a recuperare mio padre e
anche la caposala del manicomio.”
Il bruco, per tutta risposta, aveva liberato un altro anello
di fumo, celandosi oltre la nebbia puzzolente e le tumescenze del peyote.
“Altro che acido... Qui sembra che mi sia fatto tutta la
farmacia.”
Il vialetto scivolava lungo il clivo, morendo in direzione di
una vasta radura.
“Oh, visite...”
Di punto in bianco, una voce l’aveva sorpreso alle spalle.
Si era guardato intorno perplesso, senza individuarne la
fonte.
“Sono quassù!”
“Su dove?” aveva chiesto, finché non aveva scorto un volto
che gli sarebbe parso familiare, se solo non fosse stato troppo peloso e,
soprattutto, accompagnato da una livrea da soriano.
“Fammi indovinare... Sei lo Stregatto, ma posso chiamarti
Ben, vero?”
“Ci conosciamo?”
“Forse. Diciamo che sono un ragazzo sveglio.”
Lo Stregatto si era strofinato perplesso una vibrissa.
“Sto cercando mio padre. L’hai visto?”
“Dipende.”
“Da cosa?”
“Com’è tuo padre?”
“Il tuo tipo, te l’assicuro.”
“Timido ma passionale, non troppo alto, con un bel culo e
lunghe ciglia da cerbiatto?”
“Esattamente.”
“Allora per di là. Ho visto passare un delizioso coniglietto
non più tardi di un’ora fa. Potrebbe essersi fermato dalle parti del Cappellaio
Sadomaso.”
“Matto non bastava?”
“Mi pare che sia anche quello.”
“Incoraggiante.”
Non aveva ancora mosso un passo, tuttavia, che il gattone
intellettuale gli si era materializzato di nuovo davanti. “Fai attenzione ai
suoi indovinelli! Se non riuscirai a scioglierli...”
“Cosa?”
“Diventerai il suo schiavo sessuale!”
“Per caso si chiama Brian Kinney?”
Il fantafelino l’aveva fissato obliquo. “Tu sai davvero
troppe cose!” era stata la replica piccata, che aveva anticipato una nube di
fumo arcobaleno. “Come se ci volesse questa gran fantasia,” aveva osservato
esausto, pronto all’ennesimo incontro.
La base operativa del Cappellaio Sadomaso era un formidabile
letto rotondo di velluto cremisi, su cui il suddetto cappellaio stava per
l’appunto possedendo una lepre marzolina molto glabra e molto bionda.
“Justin Tylor, come volevasi dimostrare. Chissà se è partito
di proposito da New York per trovarsi in testa quelle ridicole orecchie?” aveva
sospirato tra sé. “Ehm... Ehmm,” aveva tossicchiato, mentre Kinney proseguiva
nell’appassionata esplorazione di un buco che, se non altro, un fondo ce l’aveva
– forse.
“Scusate, non vorrei disturbare, ma...”
“Ma disturbi, cazzo!” aveva sibilato Kinney. “Ci sarà una
ragione per cui vengo sempre interrotto proprio in quel momento? Ma che
hanno gli sceneggiatori e... Oh, sei carino!”
“Grazie, lo sapevo che prima o poi l’avresti detto, ma avrei
una discreta...”
Brian l’aveva afferrato per il collo del maglione,
squadrandolo con discreto interesse.
“Fretta? Un vero peccato, avere fretta.”
Hunter aveva deglutito a fatica. “Sto cercando mio padre. Lo
Stregatto mi ha detto...”
“Ben, il solito, maledetto Ben lo Zen!”
I suoi due padri avevano ragione: la droga era cattiva e
pericolosa.
“E cosa ti avrebbe detto Ben?”
“Che un uomo alto più o meno così, con la faccia da passivo,
è passato da queste parti!”
Il Cappellaio Sadomaso si era sistemato con voluttà i
pantaloni di pelle all’altezza dello scroto e l’aveva fissato con compassione.
“Qui, di passivi, ne passano un sacco. Conoscendo Ben, però, direi che si
riferisse a Mikey-Bunny.”
“Ecco... E dove è andato?”
Brian l’aveva fissato lubrico e sornione, senza che tanto gli
impedisse di lavorarsi comunque il cazzo del leprotto in una sega esemplare.
“Prima rispondi al mio indovinello!”
Hunter aveva roteato gli occhi. “Spara!”
“In cosa una ciambella e un gay si somigliano?”
“Troppo facile: li riconosci entrambi dal buco.”
Brian l’aveva fissato sconvolto. “Ma... Ma come hai fatto?
Non sarai mica...”
“Sì, sono eterosessuale. E ora posso sapere dov’è andato mio
padre?”
Il Cappellaio Sadico, dopo aver rassicurato il leprotto in
merito al fatto che l’orientamento sessuale non fosse contagioso, si era
premurato di rispondergli. “Lo trovi da sua madre, la Regina di Cuori. Fossi in
te, però, eviterei quella zona.”
“E perché?”
“Perché è il cuore di Gayaland. Gli etero non possono
entrare!”
“Gayaland? Pensavo fosse Gotham City.
Meglio così,” aveva sospirato. “A questo punto ci mancava solo Batman.”
Il Cappellaio Sadico l’aveva guardato con compassione. “Hai
ragione... Ce ne sono di pervertiti che adescano minorenni!”
“Perché? Tu cosa saresti, Kinney?” aveva flautato il
leprotto.
A quel punto, nondimeno, Hunter aveva già deciso di evitarsi
l’ennesimo accoppiamento e voltare le spalle alla lussuriosa radura.
Il viottolo proseguiva indisturbato sino a una conca color
ciliegia, al centro della quale sorgeva una turrita tavola calda.
“Qualcosa mi dice che conosco anche la Regina di Cuori.”
Nei pressi del bancone, una dama biancovestita elargiva
sorrisi e consigli di look.
“La duchessa Emmett. Non è fa-vo-lo-sa?” gli aveva
squittito all’orecchio un camionista gay da un quintale almeno.
“Come no,” aveva replicato senza calore, prima di guardarsi
intorno alla ricerca di qualche altra faccia nota.
Quale fosse l’acido che aveva inghiottito, era essenziale
rimuovere quanto prima l’esperienza – soprattutto, evitare che i suoi due padri
venissero a saperlo.
“Che vuoi?” l’aveva apostrofato una vociaccia che conosceva
benissimo.
Aveva sollevato lo sguardo, incrociando quello di una Debbie
più kitsch che mai.
“Sto cercando mio padre. Il Cappellaio Sadomaso mi ha detto
che...”
E una rabbia primordiale aveva sfigurato il volto di una mai
amorevole nonna.
“Hai incontrato quel gran pansessuale di Kinney e non sei
stato ridotto in schiavitù?”
“N... No.”
“Dunque hai risolto il suo indovinello?”
“S... Sì.”
Tutti gli sguardi dei presenti in sala si erano volti
disgustati nella sua direzione.
“Tu sei un eterosessuale!” aveva ululato la Regina di Cuori.
“A morte!”
“Ehi, un momento! Mi prostituivo... Ho l’hiv, lo giuro!”
“Non conta! Vali doppio!”
“Oh, cazzo,” aveva rantolato, tentando di guadagnare
l’uscita.
Aveva dribblato per il rotto della cuffia un manipolo di
lesbiche, scartato le fate in assetto di guerra, evitato un placcaggio a uomo di
Drew – il cavaliere della dama bianca – ma non era riuscito a evitare uno
stupido, insensato pozzo piantato nel bel mezzo del niente.
E puff: di nuovo al buio.
“E non dire che non te l’avevo detto!”
A svegliarlo, chissà in quale secolo e chissà dove, una voce
che conosceva benissimo.
“Michael? L’avevo avvertito. Gli avevo detto di stare
attento, e...”
Aveva battuto più volte le palpebre, guardandosi intorno. Non
c’erano arcobaleni, non c’erano fate e, soprattutto, l’aria non puzzava di
canna.
“Che cazzo di sogno...” aveva bofonchiato, sedendo tra le
lenzuola. “E che male,” aveva piagnucolato, portandosi d’istinto la mano alla
fronte. C’era un bel bozzo.
“Dovevi fissarlo come si deve! E se ci fosse stata Jenny
Rebecca in quel punto?”
“Jenny Rebecca non cammina ancora, Michael, e per quel giorno
avremo comprato uno scaffale nuovo!”
Sì, sono a casa, aveva pensato con sollievo.
Aveva abbandonato il letto, trascinandosi in cucina, là dove
i suoi due padri giocavano a scaricare reciprocamente responsabilità come tutti
i genitori normali.
“Ehi... Io sto bene. Ho pure voglia di guardare Batman,
pensate un po’.”
Ben aveva scosso il capo. “Allora devi aver preso proprio una
bella botta!”
“No. Ho capito che c’è di peggio di un pipistrello pedofilo!”
“Tipo?”
“Ci sono cose che i gay non devono sapere, non te l’hanno
insegnato?”
“E questo chi lo dice?”
“Un sopravvissuto, Ben. Un sopravvissuto.”