Dolce
{ Il Primo Bacio }
Prima che L diventasse il famoso
detective numero uno al mondo, la Wammy’s House era un normalissimo
orfanotrofio inglese che ospitava numerosi bambini che, come lui, non avevano
nessuno al mondo. Tuttavia, L si distinse subito da tutti i suoi coetanei per
via della brillante intelligenza che possedeva.
Nonostante questo, però, era anche un
ragazzino alquanto ribelle e non sempre seguiva le regole che vigevano
nell’orfanotrofio, come rispettare il coprifuoco notturno o mangiare solo le
pietanze che venivano distribuite loro. A tal proposito, il 13 Marzo 1993
accadde un evento curioso e nuovo per l’allora tredicenne L.
Per festeggiare il compleanno di un
bambino della House era stata preparata una torta al cioccolato, che fu
distribuita equamente a tutti gli orfani. L, però, non si accontentò di un solo
pezzo di torta, non tanto per pura e infantile golosità, bensì perché, abituato
a studiare molto e a mantenere la mente sempre vigile e recettiva ad ogni
evento, il suo cervello richiedeva costantemente una quantità di zuccheri esorbitante;
così, finita la sua fetta di torta, si aggirò tra i tavoli circospetto, nella
speranza di ottenere quella seconda porzione che mai la cuoca Dorothy gli
avrebbe concesso.
Il suo sguardo si soffermò su un tavolo
dove sedevano quattro ragazzine della sua stessa età e notò che una di loro
aveva assaggiato solo un minuscolo pezzo di torta e il resto della sua fetta
giaceva ancora integro sul piatto in attesa di essere mangiato. Dedusse subito
dal suo sguardo vacuo che non l’avrebbe mangiata, così le si avvicinò calmissimo.
L, nonostante non fosse un tipo
estremamente socievole, conosceva i nomi di tutti gli altri orfani della House
e anche le loro peculiarità caratteriali. Per esempio, ricordava che Peter, un
bambino di nove anni, amava andare sui pattini a rotelle e non li toglieva mai,
se non quando andava a dormire o a mensa; oppure c’era Susan che aveva una
collezione numerosa di bambole di pezza; e così via con tutti gli altri.
Ovviamente L conosceva anche quella ragazzina che non sembrava amare
particolarmente quel dolce che aveva tra le mani: si chiamava Emily e anche lei
non aveva una personalità molto socievole, anche se la sua laconicità non
sembrava dovuta a timidezza, bensì ad una sua libera scelta di non parlare con
gli altri se non il minimo indispensabile, come se dialogare fosse un’attività
secondaria da svolgere.
“La mangi quella?” chiese L diretto, una
volta arrivato abbastanza vicino a lei. Emily sollevò flemmaticamente gli occhi
castani, dei quali solo uno era visibile, essendo l’altro celato dai capelli
ondulati rosso scuro, per guardare in volto chi le avesse fatto quella domanda
e, intuendo cosa volesse da lei l’altro ragazzino, gli porse il piatto con la
fetta di torta praticamente ancora integra.
“Non è una buona torta.” disse pacata e
sicura, alzandosi poi per andare via, sotto lo sguardo leggermente incuriosito
di L.
Il modo in cui Emily aveva asserito che
quella torta, a parere di L deliziosa, non era buona, aveva destato nel
ragazzino un moto di curiosità: era come se la sua supposizione fosse basata su
dati empirici e quindi misurabili in modo esatto con un metodo scientifico, e
non su una semplice questione di gusto soggettivo. Nessuno ci avrebbe fatto
molto caso, ma L, che era un attento osservatore di tutto ciò che lo circondava,
aveva colto quella sfumatura singolare nella frase della ragazzina. Non stette
tuttavia a rimuginarci troppo sopra e felice si sedette sulla prima sedia
libera che trovò disponibile, gustando le seconda fetta di quella torta al
cioccolato.
La sera stessa, L, insofferente a
restare nella sua stanza a causa della mancanza di sonno, decise di uscire per
dirigersi alle cucine di nascosto, magari nella speranza di riuscire a trovare
qualche buon dolce da mangiare.
Quando giunse alla meta, notò che una
luce era accesa e trovò l’evento insolito, visto che a quell’ora non doveva
esserci nessuno oltre lui e il guardiano in giro per l’edificio. Si accostò con
cautela all’uscio della porta e spiò all’interno per vedere chi altri non
rispettava gli orari dell’orfanotrofio: si stupì quando vide la ragazza dalla
chioma rosso scuro camminare tra i vari ripiani e aprire i vari pensili dove
erano riposti gli alimenti.
Aprì la porta senza esitazione,
consapevole che non vi era alcun rischio a mostrarsi, visto che entrambi
avevano disobbedito alle regole. Emily, sentendo che qualcuno era entrato, si
voltò di scatto spaventata e, quando vide il suo coetaneo osservarla dalla
porta, si rilassò di poco.
“Credevo di essere l’unico ad aggirarmi
di notte per le cucine.” disse L, non ricevendo alcuna risposta da Emily che,
come se non fosse successo niente, continuò ciò che stava facendo. Aveva
raccolto i capelli ondulati in una coda alta, così che L vide per la prima volta
il viso rotondo di lei in maniera integra: la carnagione lattea metteva in
risalto le numerosissime efelidi presenti sul viso e sul collo, che davano
comunque un tocco di colore alla pelle altrimenti troppo pallida.
Aveva sistemato sul grande tavolo della
cucina diversi ingredienti quali zucchero, farina, uova, cacao ed L intuì che
si stava apprestando a cucinare qualcosa: un dolce, per essere precisi. Per
ultimo, Emily aprì il tiretto delle posate, da cui prese numerosi cucchiaini e
li adagiò accanto agli alimenti. L si avvicinò, guardando attentamente ogni suo
movimento, e si sedette ad uno sgabello lì vicino mordicchiandosi l’unghia del
pollice.
“Vuoi cucinare una torta migliore di
quella che abbiamo mangiato oggi.” dedusse sicuro.
“Sì.” rispose lapidaria lei, finendo di
sistemare tutti gli attrezzi che le servivano per preparare quella che, con certezza,
sarebbe diventata una torta al cioccolato.
“Perché non era buona la torta?”
interrogò L, sempre più incuriosito dai modi insoliti e misteriosi di Emily,
che lo trattava alla stregua di un fantasma.
“Troppo zucchero e…” prese una pausa
come se stesse cercando il vocabolo giusto che era associato all’alimento a cui
si voleva riferire “… poco cacao.” concluse, dopo una pausa di tre secondi. L
si domandò su quali basi Emily aveva capito che le quantità di zucchero e cacao
non erano nelle proporzioni giuste, avendo assaggiato solo un minuscolo
pezzetto di torta, ma per il momento preferì osservare prima di fare ulteriori
domande.
Prendendo un cucchiaino, Emily lo
intinse nella farina e sollevando solo una piccolissima quantità di questa,
l’assaggiò soppesando accuratamente il sapore, per poi riporre la posata sul
tavolo e afferrare il pacco della farina. Ne versò una certa quantità nella
grande ciotola che avrebbe da lì a poco accolto tutti gli ingredienti per
l’impasto ed L si sorprese nel vedere come Emily avesse versato la dose che le
serviva senza adoperare una bilancia da cucina.
Fece la stessa operazione anche con
tutti gli altri ingredienti, usando per ognuno un cucchiaino pulito e, dopo
averli assaggiati, li versava attentamente misurando solo con gli occhi la
quantità ottimale. Un altro particolare notò L: lei non usava un libro di
cucina; stava preparando una torta semplicemente usando la memoria e il gusto.
Cos’era di preciso: passione per la
cucina o una dote naturale? A giudicare dal singolo metodo che usava per
misurare gli ingredienti, ovvero affidandosi alle proprie papille gustative, L
intuì che doveva essere la seconda opzione.
Quando tutto fu versato nella ciotola e
mescolato per rendere l’impasto omogeneo, la ragazza versò l’impasto nello
stampo rotondo che aveva sistemato lì vicino, per poi infornare. Nell’attesa
continuò la sua ricetta, occupandosi della glassa al cacao che avrebbe usato
per ricoprire la torta e la crema per la farcitura interna.
La cura e l’attenzione che Emily stava
riponendo nel cucinare quel dolce, non facevano dubitare ad L della bontà della
torta che sarebbe stata sfornata. Il tutto avvenne in un rigoroso silenzio da
parte di entrambi, ma che sembrava non imbarazzarli minimamente.
Il suono della campanella del forno
rimbombò tra le pareti della cucina ed Emily, estratto il dolce e adagiato su
un piatto da portata, lo divise in due, riempiendolo della crema al cioccolato
che aveva preparato in precedenza e, riposto su di esso lo strato superiore,
ricoprì la sua piccola delizia con la glassa marrone scuro, stendendola
accuratamente sulla superficie per rendere il tutto uniforme.
“Adesso è una buona torta.” asserì con
la stessa sicurezza con cui aveva affermato che quella di cuoca Dorothy non lo
era.
“Non puoi saperlo se prima non
l’assaggi.” constatò L, ancora intento a scoprire in che modo esattamente Emily
era riuscita a creare quel dolce senza l’uso di un ricettario, ma avvalendosi
semplicemente del suo metodo di assaggio di ogni ingrediente. In risposta, la
ragazza tagliò una fetta di torta e la porse ad L, come a sfidarlo ad affermare
il contrario. L accettò la fetta che gli era stata offerta, quando un rumore di
passi si udì nel corridoio esterno “Sotto il tavolo.” suggerì il ragazzino ed
entrambi si fiondarono nel luogo indicato, coperti dalla grande tovaglia che
arrivava quasi al pavimento, nascondendoli perfettamente dagli occhi del
guardiano.
“Chi c’è qui?” si sentì la voce
cavernosa dell’uomo affacciatosi alla cucina, avendo notato la luce accesa. I
due trasgressori, rintanati sotto il tavolo, attesero silenziosi che l’uomo
andasse via, ma la torta che era rimasta abbandonata sul tavolo attirò
l’attenzione di questi.
Udirono i passi avvicinarsi
pericolosamente e attraverso la stoffa videro l’ombra delle gambe spostarsi
verso l’estremità del tavolo. Un mugolio di approvazione si udì dall’alto ed
entrambi i giovani capirono che l’uomo si stava apprestando a mangiare una
fetta. Quando Emily voltò lo sguardo verso L, lo vide accovacciato con le
ginocchia ripiegate verso il petto, mentre, assolutamente sereno, mangiava la
torta osservando quell’ombra nera oltre la tovaglia.
Restò ipnotizzata dal modo in cui il ragazzo
gustava il suo dolce, evidentemente apprezzandone il sapore. La forchetta che
infilzava la morbida pasta di cioccolato portava il boccone alla bocca che si
schiudeva per lasciare libero il passaggio, per poi venir sfilata dalle labbra
serrate, come se ne accarezzassero la superficie di metallo, cercando di
trattenere all’interno della cavità orale ogni possibile particella di quella
leccornia.
Incantata dal modo di mangiare di lui,
ella non si avvide del guardiano che intanto era andato via. Solo quando gli
occhi neri come la liquirizia di L si voltarono per osservarla, Emily si
ridestò da quello stato di torpore e si avvide che stava mordendo nervosamente
il labbro inferiore come per trattenersi dal fare qualcosa.
“Buona.” disse semplicemente L, porgendole
il piatto ormai vuoto e uscendo allo scoperto per tornare nella sua stanza,
lasciando la ragazza ancora seduta sul pavimento, contemplando la forchetta
giacente solitaria sulla bianca porcellana.
L’afferrò osservandola attentamente nei
minimi dettagli, guardando le striature di cioccolato residuo su di essa e
l’opacità del metallo a causa del cibo rimasto. Una morbosa curiosità si
impadronì di lei e, senza un motivo apparente, portò alla bocca quella
forchetta intrisa di cioccolato e saliva di L, lambendone i denti metallici con
la lingua e sfruttando ogni singola papilla gustativa per recepire i sapori
presenti su di essa. Erano miscelati in un unico intruglio, ma lei era in grado
di discernere ogni singolo gusto di quel miscuglio, riconoscendo tutte le più
piccole particelle di sapore.
Sentiva chiaramente il cioccolato, l’impasto,
la crema, il metallo della posata e poi vi era un altro sapore, diverso da
qualunque altro alimento avesse mai assaggiato. Non riusciva a riconoscerlo,
era buono e forte al contempo, ma le era difficile coglierne appieno l’essenza.
Succhiò con vigore la forchetta fino a ripulirla del tutto e, quando si avvide sconsolata
di aver ingoiato completamente ogni rimasuglio di quel gusto nuovo e
sconosciuto, lasciò andare rumorosamente la posata sul piatto e uscì dalla
cucina come aveva fatto L poco prima.
Quella notte Emily non riuscì a dormire:
continuava a pensare a quel sapore delizioso che aveva sentito sulla lingua,
incapace di classificarlo in alcun modo o anche semplicemente di associarlo ad
un altro gusto che avesse mai assaggiato.
Fin da piccola era sempre stata capace
di percepire i sapori in modo differente dagli altri, quasi analizzandoli
scientificamente tramite il proprio senso del gusto. Le bastava assaporare i
diversi ingredienti che dovevano essere adoperati per una ricetta e subito
riusciva a capire in quale proporzione era meglio miscelarli per ottenere l’impasto
ottimale; allo stesso modo, le era sufficiente assaggiare anche un solo boccone
di un cibo per distinguere al suo interno le diverse componenti alimentari e la
quantità di queste.
Era stato così per la torta di cuoca
Dorothy, in cui aveva chiaramente sentito una dose eccessiva di zucchero e una
più modica di cacao: probabilmente si era affidata troppo al libro di cucina
che aveva, ma Emily aveva imparato a non fidarsi di quei libri, in quanto ogni
ingrediente ha un sapore diverso e quindi non può essere misurato sempre nella
stessa quantità. Ogni farina ha un suo sapore, ogni zucchero ha un suo sapore,
ogni uovo ha un suo sapore: per chiunque dotato di un senso del gusto mediocre
certe sfumature non erano percettibili, ma Emily le sentiva e, una volta
assaggiata l’essenza di ogni alimento, era in grado di stabile la proporzione
ideale con cui unirli.
La sua mente ruotava costantemente
attorno all’arte culinaria e gli altri coetanei credevano che lei fosse
stupida, ma in verità Emily si concentrava così tanto sul mondo dei sapori che
trovava tutto il resto futile e superfluo. Adoperare la lingua per assaggiare e
scoprire nuovi gusti era molto più eccitante di usarla per parlare con gli
altri: le parole sono vuote e insipide.
Tuttavia, quel sapore estraneo che aveva
sentito sulla forchetta, per quanto si sforzasse non riusciva ad inquadrarlo al
meglio. Il suo cervello non riusciva a pensare ad altro: doveva assolutamente
sentirlo di nuovo e l’unico modo per coglierne la vera e pura sostanza era
lambirlo direttamente dalla fonte.
Il giorno dopo, cercò L per tutto
l’istituto e dopo due ore di ricerche lo trovò seduto solitario ad una poltrona
della sala ricreativa, con in mano un gigantesco volume dell’enciclopedia.
Sulla copertina rigida c’era scritto “Volume
III – C”.
Quando Emily gli si avvicinò, L non
distolse lo sguardo dalla sua lettura: un paragrafo interamente dedicato al
cacao e alla sua storia. Aspettò che la ragazzina dai capelli rossi parlasse,
ma non udendo alcuna sua frase, sollevò annoiato la testa dal tomo e quando la
sua bocca oltrepasso il confine superiore della copertina, Emily si chinò su di
lui, catturando le sue labbra in quello che agli occhi di un osservatore
esterno poteva sembrare un bacio.
L restò immobile, gli occhi sbarrati che
vedevano ogni singola lentiggine presente sulla fronte della ragazza, ogni
singolo pelo delle sopracciglia rosse, ogni singola ciglia e il suo riflesso
negli occhi castani di lei, anch’essi aperti come i suoi. Un secondo dopo quel
contatto, le labbra di Emily si dischiusero imprigionando il labbro superiore
di L e facendo passare per pochi millimetri sotto di esso la punta della
lingua.
Una sensazione di bagnato e caldo
insieme, e con la stessa velocità con cui le loro bocche si erano unite, L si
ritrasse all’indietro continuando a mantenere lo sguardo fisso in quello di
lei.
Era proprio come Emily aveva immaginato.
Era di L quel sapore unico e delizioso che aveva sentito sulla forchetta la
sera prima. Si leccò le labbra per catturare ancora il suo gusto rimasto
intrappolato tra le pieghe della morbida pelle. Avrebbe voluto gustarlo ancora,
ma era evidente che non poteva dal modo in cui L era all’erta nel caso si fosse
avvicinata ancora e si rammaricò di questo, come un’affamata che non può
mangiare neanche un bocconcino di pane dinanzi ad una tavola imbandita di ogni
leccornia.
“Buonissimo sapore.” disse soltanto, per
poi allontanarsi da lui.
Il ragazzo si sfiorò il labbro superiore
con il polpastrello del pollice e lo avvertì ancora bagnato. Tirò fuori dalla
tasca dei jeans un fazzoletto di stoffa e si ripulì la bocca con esso, non
perché disgustato da quell’intimo contatto, bensì perché sentiva il bisogno di
detergersi la bocca essendo stata a contatto con quella di un’altra persona e
quindi vi era stato uno scambio di germi e batteri che andavano asportati prima
che proliferassero.
Era forse un bacio quello? Il primo
bacio? Tecnicamente, si definisce bacio l’unione delle bocche di due persone,
quindi quello poteva ben essere inteso come tale, ma L era sicuro di non
poterlo definire propriamente così in quanto, solitamente, un bacio costituisce
un gesto di affetto e amore, e nel caso suo e di Emily questi sentimenti non
erano presenti.
Allora come doveva tradurlo? Emily più
che baciarlo sembrava che lo stesse assaggiando e anche ciò che aveva detto
lasciava intendere quale fosse lo scopo del suo gesto.
Sorrise obliquo L, avendo trovato nella
sua mente la definizione più calzante a ciò: il primo assaggio! Sì, era
decisamente il termine più appropriato.
Terza classificata allo Sweets’ Contest indetto da Only_Me
-
Originalità ed attinenza: 15/15 → decisamente ottime: l'originalità c'è,
senza dubbio, perché non credo di aver mai letto una fic di questo genere, in
Death Note; stesso discorso per l'attinenza.
- Grammatica e forma: 15/15 → a dir poco perfette; non ho trovato nemmeno
un errore.
- Caratterizzazione personaggi: 5/5 → molto buone. Emily mi è piaciuta
molto, il suo 'dono' che la porta alla solitudine anche. E L.. be', lui mi
piace sempre.
- Gradimento personale: 3.5/5 → è una fic molto carina, però.. non lo so,
forse avrei preferito leggere qualcosa di più dettagliato, magari qualcosa di
più attraverso gli occhi di L.
Totale: 38.5/40.
Sono felicissima del risultato ottenuto, non me lo aspettavo
proprio! Non è un gran ché come fic devo dire, ma visto che il risultato in
classifica non mi dispiaceva ho deciso di pubblicare!! Grazie a chi leggerà e
vorrà recensire!
Questa fic partecipa alla challenge indetta da starhunter Vitii et Virtutis, i vizi e le virtù.