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Autore: The Guardians    01/09/2010    9 recensioni
L'Effetto Osmosi.
Chi ci dice che anche i Templari non ne conoscano le possibili applicazioni?
La Casa Farmaceutica sta ampliando i suoi orizzonti. Concluso l’assemblamento delle 190 celle di sincronizzazione, con i rispettivi Animus, le Abstergo Industries avviano il progetto di prova e collaudo delle stesse. I "campioni", scrupolosamente selezionati tra la massa, sono persone che hanno perso la loro dignità di uomini e donne nel momento in cui la società moderna le ha messe da parte. I soggetti del Progetto Delta combattono una guerra virtuale attraverso i ricordi genetici dei rispettivi Antenati: pupazzi computerizzati adattati a modelli rinascimentali preesistenti.
Al centro delle vicende Arder Hayes, uno scrittore caduto in depressione dopo la morte della sorella, nonché l'uomo che convenzionalmente chiameremmo il Soggetto Masnadiero. Quando l’Abstergo confesserà la sua essenzialità nel progetto, Arder sarà riluttante ma, a differenza dei suoi compagni e mentre i morti continueranno ad aumentare, cercherà in tutti i modi di rovesciare la sorte del proprio destino. Così facendo, scoprirà le carte di guerra ancora più spietata: quella contro se stessi.
Estratto dal capitolo 7°
Mi tende la piccola mano. E' poco più di una bambina. “Tu devi essere Arder.”
“Sì,” balbetto, sfiorandole appena la pelle. “Sono io.”
Al contrario, lei mi stringe le dita con forza, sicura di sé e molto professionale. “Io sono Hannah. Benvenuto all’Abstergo.”
A quel punto non dico più nulla, limitandomi ad inarcare un sopracciglio e dimenticare aperta la bocca. Era probabile che alla sua età non sarei mai riuscito a pronunciare senza sforzo una parola tanto difficile come Ab… Abresergo, no. Abtsre…Abtersgo, Ab…
“Abstergo,” mi corregge lei.
Genere: Introspettivo, Science-fiction, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Warren Vidic
Note: AU, Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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Project Delta (Beta in linguaggio civile) è una fan fiction liberamente ispirata alla saga Assassin’s Creed, ma nel preciso riferente ad eventi immaginari ambientati nel complesso della funzionalità multigiocatore. Ciascuno dei personaggi impersonabili nel multiplayer ha il proprio soggetto ed è, a tutti gli effetti, un essere vivente con la propria storia. Le vicende si collocano poco prima, se non parallelamente, alla linea temporale di Brotherhood. La trama esplora l’esperienza on-line e l’adatta a thriller rivivendola attraverso gli occhi dei protagonisti: Arder Hayes, Cherish Marshall e Dorian Fletcher, rispettivamente Cacciatore, Cortigiana e Soldato.
Gli Autori: The Guardians sono, in sedete separata, Cartacciabianca e Pennanera. Questa fan fiction è ancora in fase sperimentale e necessita del maggior numero di critiche costruttive possibile. Pertanto, siate spietati se proprio volete recensire.
Fiduciosamente sperando che la curiosità vi abbia logorarti e lo stia facendo tutt’ora, Anemone e Dominìc vi augurano buona lettura :)
Avvertenze: linguaggio colorito.

Πroject Δelta
Capitolo 1. Prologo

“Quand’ero giovane mi piaceva pensare che il mio corpo fosse una sorta di scudo per tutti quei peccati dei quali poteva macchiarsi un’adolescente. Oggi lo penso ancora: quando seghetto la giugulare del mio bersaglio, gli schizzi di sangue non passano oltre il mio ventaglio. La mia anima è intatta.”
C.M.

Ha aperto la portiera mentre la macchina era ancora in corsa; struccata, con le lacrime agli occhi e i capelli arruffati, è smontata dall’auto trascinandosi dietro il suo piccolo bagaglio. Sotto la pioggia, quel poco di ombretto che aveva sulle palpebre si è dissolto via e l’è colato sulle guance come la pittura di un piccolo Pierrot francese (1.).
“Stronzo!” ha gridato, ma il frastuono dell’intemperia ha coperto buona parte del suo urlo; si è allontanata con gran foga, ma è inciampata. Gli abiti, una camicetta di cotone a maniche gonfie, la gonna jeans, i pantacollant e le ballerine, sono affondati assieme a lei in una pozza, dove l’asfalto non era colato regolare e si era formata un’insenatura abbastanza profonda da raccogliere acqua.
“Troia!” le ha strillato in risposta l’autista. L’uomo, sulla trentina, ha allungato un braccio ad acciuffare la maniglia della portiera che la ragazza ha lasciato spalancata e l’ha ha richiusa prima di bagnare i sedili interni. Lo sguardo rabbioso e insoddisfatto era quello di un mastino che si sfama di croccantini per gatti.
Poi la macchina è filata via, ma nel farlo ha urtato accidentalmente una pozzanghera e un’onda anomala di acqua piovana l’ha travolta.
Lei ha gridato di nuovo, ‘sta volta permettendosi anche di piangere e unendo le sue alle lacrime del trucco. Ha guardato il cielo nero sopra la sua testa, mentre la violenza del temporale le sferzava la faccia con i suoi soldatini di cristallo liquido.
Mai avrebbe pensato di cadere così in basso. Mai.
La sua vita era stata sempre perfetta. Lei era stata sempre perfetta. Nessuno osava farle torti se non era la prima a farne, nonostante preferisse avere comunque l’ultima parola e non permettesse al suo avversario di uscirne con la parità.
Ma improvvisamente i suoi sogni fanciulleschi s’infrangono, le sue aspettative si riducono a pochissimo, ed è costretta a fare l’autostop sul ciglio della strada, dove qualche ora prima l’ha abbandonata un autista poco gentile.
Adesso si sistema la gonna, che, per l’intera nottata di cammino lungo il ciglio dell’autostrada, è diventata logora, ma non è solo quell’indumento ad esserlo: anche lei inizia a sentirsi male, i morsi della fame si stanno facendo più forti e ore di digiuno completo non aiutano. Ha rinunciato a portarsi dietro il piccolo trolley, che ha abbandonato qualche chilometro indietro poco dopo che ha smesso di piovere, selezionando l’essenziale. Con sé non ha neppure un cellulare: si è lasciata tutto alle spalle per necessità: deve essere irrintracciabile. Poi a peggiorare la situazione c’è il freddo intenso della notte, che, nonostante il felpino estratto dalla valigetta, punge sulla pelle come avvalendosi di mille aghi. Ha le gambe irrigidite dalla stanchezza, non le sente quasi più, e nemmeno i piedi, rigonfi nelle ballerine consumate, rispondono all’appello. Sulla strada completamente avvolta dall’oscurità, all’orizzonte, proprio dove cielo e terra si confondono e tra qualche istante si delineerà l’alba, appaiono delle pigrissime luci. Luci = un posto dove poter sedersi a riposare.
La ragazza sgambetta verso quella direzione, ma un rumore inconfondibile l’accompagna: nel silenzio della notte, le si affianca una macchina. In un primo momento lei accelera l’andatura delle gambe: non ha proprio voglia di qualcun altro che la pianti in asso sotto la pioggia, ed è troppo stanca per fare… quelle cose che aveva promesso all’autista di poco fa in cambio di un passaggio. Il gesto di proseguire dritto è abbastanza eloquente, pensa, allora perché quella macchina si ostina ad inseguirla, procedendo a passo d’uomo pochi metri indietro?
Ad un tratto, assieme al tuono di una nuova tempesta in arrivo, la ragazza ascolta il suono del finestrino che si abbassa. Vorrebbe ignorare chiunque sia alla guida dell’auto e piuttosto essere cieca per non poter guardare la faccia schifosa di un altro ubriaco, ma improvvisamente dallo spazio creatosi sbuca una mano guantata di velluto nero, tutt’altro che da ubriachi… ora che ci fa caso, poi, solo la carrozzeria di una marca così famosa graviterà sui 20 mila dollari.
La suddetta mano, con un gesto eloquente, le intima di avvicinarsi.
Lei sbuffa: non ha tempo da perdere e non è il caso farsi pedinare tutta la notte.
Si avvicina all'auto, ma quando è a pochi centimetri da essa, lo sportello posteriore si spalanca con un rumore sordo e lei è trascinata dentro come un sacco di patate. Per lo spavento chiude gli occhi, e nel momento in cui li riapre, qualche istante più tardi, si risveglia magicamente seduta tra due uomini completamente vestiti di nero, su un comodo sedile imbottito. In quell’auto dai vetri oscurati è così buio che non riesce quasi a distinguerli. L’auto riprende a camminare, superano la stazione di servizio che la ragazza aveva intravisto da lontano ad una velocità ben oltre i cento chilometri, ma gli ammortizzatori fanno incredibilmente bene il loro lavoro. Non le viene concesso nemmeno il tempo di bestemmiare che subito l'uomo alla sua destra le chiede:
“Cherish Marshall?”
Alla ragazza si blocca il fiato in gola. Comincia anche ad avere una mezza paura di cosa le sta succedendo.
“In persona” mormora.
L’altro uomo, sulla sinistra, prende parola:
“Figlia di Joseph e Marie Marshall?” domanda.
Cherish, sempre più spaventata, annuisce: “Sì, sì… Ma voi come sapete queste cose?”
I due continuano, alternandosi:
“Residente a Baltimora?”
Lei insiste: “Mi volete rispondere? Come diavolo fate a sapere queste cose?!” è ufficiale, i giochi di ruolo non le piacciono e questo sta diventando anche piuttosto antipatico degli altri. Ammette di essersi sentita più al sicuro tra le gambe di un ubriaco.
L'auto frena di colpo, l'uomo al posto di guida la guarda, senza voltarsi, attraverso lo specchietto retrovisore.
“Noi sappiamo quanto basta, signorina Marshall” spiega con naturalezza. Fa una breve pausa, durante la quale il suo sguardo si sposta sul sedile vuoto del passeggero, dove sono adagiati alcuni fascicoli aperti. Cherish riconosce per un solo istante, grazie al bagliore di un fulmine, delle foto che le sono state scattate nella villa di famiglia a Baltimora; l’uomo, con una mano sul volante e aggiustando lo specchietto con l’altra, continua:
“Io e l’azienda che rappresento abbiamo una proposta da farle, Mrs. Marshall. Vuole gentilmente prestarci orecchio, o preferisce riprendere il suo viaggio?” all’insegna di un tuono funesto, fuori dall’auto ricomincia a piovere e col doppio della foga precedente. “Saremmo ben lieti di accompagnarla ad una stazione ferroviaria e versarle dei soldi per un biglietto, nel caso decida d’ignorare questa conversazione.”
Dove sono i distintivi? Azienza? Deve essere la mafia…
Cherish riconosce il pericolo, ma soprattutto una bugia quando ne sente una, perciò la sua risposta è immediata:
“No, non voglio né ascoltare le vostre immonde proposte né il vostro sporco denaro; e adesso fatemi scendere, per piacere.”
L’uomo alla sua destra le apre la portiera e con le rughe in fronte e gli occhi stretti Cherish abbandona l’auto. Riprende il suo cammino sotto la pioggia, ora forte a tal punto da sembrare grandine, puntando nella direzione opposta: la stazione di servizio che hanno passato forse è l’unica nel raggio di cento chilometri e l’idea di sdraiarsi su una confortevole poltroncina imbottita è l’unica consolazione. Magari mette anche qualcosa sotto i denti, se riesce ad impietosire il responsabile del locale.
Comprarle un biglietto… pensavano davvero che fosse così stupida? Il minimo che avrebbero potuto fare, in culo al suo rifiuto, sarebbe stato chiuderla in un sacco dentro il bagagliaio e scaricarla nell’immondizia con un foro di proiettile in fronte. La prospettiva di morte è allettante. Dopotutto, più in basso di così restano davvero poche alternative…
Percorre pochi metri prima di accorgersi che il rumore lento e costante della cilindrata della macchina ancora la segue. Si ferma di colpo, quasi arrabbiata da tanta insistenza e scortesia.
E assieme a lei, la macchina inchioda alle sue spalle. Si volta all’improvviso, col viso attraversato dall’ira funesta di Achille in persona, e stringendo i pugni lungo i fianchi strilla come ha strillato qualche ora fa a quell’autista poco gentile:
“Ho detto di no, pezzi di merda! Andate a fare in culo da un’altra parte e lasciatemi stare, dannazione!” la pioggia le entra in bocca, sfumando il poco rossetto rimasto, e finisce dritto in gola quasi strozzandola.
Un medesimo lampo squarcia il cielo e quando Cherish ricomincia a camminare, tossendo e ignorando cosa accade alle sue spalle, e più turbata che mai. La macchina la sta seguendo, ancora, ma le sue orecchie piene d’acqua sminuiscono qualsiasi altro suono al di fuori del battito forsennato del suo cuore. Quelle foto come le hanno avute? Perché insistono? Di che proposta si tratta? La curiosità è un bisogno bestiale che le attanaglia lo stomaco, sussurrandole di prestare attenzione a nuovi orizzonti e possibilità. Terribilmente in lotta con se stessa, Cherish viene assalita dai ricordi di quei giorni felici, quando poteva permettersi di abitare nella villa di famiglia e organizzare feste mozza fiato in compagnia degli amici del college.
Senza accorgersene ha rallentato l’andatura delle gambe fino a fermarsi del tutto, con le spalle curve, sotto la pioggia che picchia sia lei sia l’asfalto. La luce dei fari sferza l’oscurità proiettandole la sua ombra sotto al naso. Non sente più il freddo per quanto i bollori la tengono accaldata: la battaglia che combatte in questo momento la sua anima, contendendosi la giurisdizione del corpo, è delle più strazianti e violente che abbia mai percepito sulla pelle. Dopo tutta quella pioggia, Cherish s’immagina già in un letto col termometro in bocca e la pezza umida in fronte; ma la febbre è una preoccupazione minima rispetto a tutte le altre.
Cherish indugia troppo a lungo. Terribili pensieri animano la sua mente, mentre sul suo viso si dipinge una smorfia antipatica: sta pensando a molte cose della sua vita che non sono andate come dovevano e a tutte quelle che non andranno mai. Solleva un istante gli occhi per guardare le luci della stazione di servizio, così lontane… e poi quelle dell’auto, così vicine.
Pare che io non abbia scelta… sospira nel fare dietrofront.
La portiera si apre, ma questa volta Cherish si accomoda spontaneamente nel posto vuoto accanto al finestrino, che resta abbassato permettendole di guardare fuori.
La macchina si allontana e scompare nella pioggia.

  
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