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Autore: KymLYCANTHROPE    02/09/2010    4 recensioni
Impeccabili, rilassati, sorridenti, dolcissimi, ammirati, venerati, rispettati: così appaiono i Tokio Hotel a milioni e milioni di fan. Qualche cenno, qualche grazie, qualche sorriso, qualche battuta; poi spariscono dietro le quinte, e tutto assume un altro aspetto. Distrutti, frustrati, rabbiosi, incoscienti. Di una passionalità perversa, un'interiorità saffica, un masochismo inconscio. L’inferno crudelmente cresce, ed invade i loro corpi. Con la spietata lentezza di una candela che si accende, brucia, consuma e infine muore nel suo buio, si rintanano per qualche ora in quell'unica via di fuga dal mondo che sembra stargli troppo stretto. Cosa succederebbe se i Tokio Hotel fossero nel giro della droga? Se si infiltrassero in quel tunnel senza uscita? E se quell’unica, estrema, dolcemente folle uscita fosse proprio quella che prenderà Bill? [One-Shot già postata e rivisitata del tutto, in chiave più forte, con un raiting giallo-arancione anziché verde.]
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Heroin, be the death of me
Heroin, it's my wife and it's my life
Because a mainer to my vein
Leads to a center in my head
And then I'm better off and dead
Because when the smack begins to flow
I really don't care anymore.
(Velvet Underground – Heroin)



Un sorriso, un autografo, una foto, una stretta di mano. A loro basta questo.
Per fortuna gli occhi gonfi sono coperti dai grandi occhiali da sole: cosa penserebbero le fan nel vedere quegli occhi arrossati, stanchi, cerchiati da occhiaie e borse molto poco invitanti? Quanto caos verrebbe generato da quell'aspetto insano?, o dai nasi sporchi di bianco?, dalle braccia livide di buchi?
Bill sollevò un angolo della bocca, chiuse gli occhi sotto le lenti scure, mentre la fan lo avvicinava a sé tirandolo per la manica della giacca di pelle e scattava una foto, i loro volti vicinissimi: sotto gli occhiali quella ragazzina non avrebbe mai notato come il vocalist abbassava le palpebre, come sonnecchiava, anche se solo per pochi secondi. Bill le scoppiò a ridere in faccia compiaciuto da quel pensiero, mentre si allontanava verso la Berlina, e lei prese quella risata di scherno quasi come una dichiarazione d’amore.
Il ragazzo piombò sul sedile e gettò la testa all’indietro, continuando a ghignare. Quel che doveva fare lo aveva fatto, adesso un po’ di sano relax. Gli altri della band presero posto al suo fianco; mentre l'auto partiva, Tom tirò fuori una bottiglia di vodka dal minibar davanti al suo sedile e la aprì svogliatamente, avvicinando le labbra al bordo. Gustav si calò la visiera del cappellino sugli occhi, quel mal di testa lancinante non era proprio gratificante alla stanchezza. Georg e Bill frugavano nervosi sotto i sedili e nei vari sportellini dell’auto.
“Cazzo!”, mormorò il vocalist, richiudendo con un botto uno dei vani portaoggetti. “Quel bastardo di David c'ha tolto pure queste… Tom le aveva rollate stamattina. Vorrei tanto sapere dove le va a mettere.”, una risatina sommessa del rasta colse la sua attenzione.
“Normale, no? Se le fuma lui. Non fai in tempo a girare la cartina che già se l’è fregate di nuovo.”
“Non dire cazzate, sei tu che non sei buono nemmeno a nascondere quattro fottutissime canne.”, ringhiò il gemello, tirando un calcio al sedile avanti al suo. “E poi David non fuma quella roba. Lui... non lo farebbe mai. David non ha le palle, come noi.”
“Allora nascondile tu in un posto decente, genio!”, rispose il rasta, i nervi che leggermente smettevano di restare saldi, la mascella che si contraeva e le dita che si stringevano convulse attorno alla bottiglia. “Lo sai che casino succede se uno straccio di fotografo ci fa una foto mentre siamo fatti? O mentre fumiamo anche solo un misero spinello? Ci tagliano fuori, Bill, fuori!”, la voce si incrinò. Il moretto lo fissò di sottecchi, in fin dei conti non aveva tutti i torti. “Accontentati di una sigaretta.”, concluse lanciandogli addosso il pacchetto bianco e rosso. Bill mormorò qualcosa di incomprensibile e sollevò il coperchietto di carta. Guardò all’interno della confezione apparentemente innocua e si voltò verso il fratello, che sorrideva contro la bottiglia a cui era attaccato da ormai cinque minuti.
“Sei un genio.”, ghignò il vocalist, mentre le labbra si serravano mollemente attorno a uno degli spinelli che Tom aveva riposto con cura nella confezione di Marlboro la mattina stessa.
“Sorpresa!”, ridacchiò il chitarrista, porgendogli l'accendino. Bill inspirò una densa boccata di fumo; il sapore era dolciastro, l'odore decisamente soffocante, eppure acre. Non li infastidiva mentre riempiva l’abitacolo dell'auto. Georg e Gustav gli strapparono il pacchetto di mano, imitandolo.
“In mancanza di altro...”, borbottò il bassista, abituato a droghe di gran lunga più pesanti.
“Accontentati: in albergo c'è una sorpresa ancora più grande.”, ridacchiò Tom, a una spanna dal suo viso. L'odore di alcool impastava il suo alito, l'amico lo avvertì forte mentre il rasta posava le labbra sulle sue.
“Ma che fai?”, indietreggiò Georg.
“Oh, andiamo, Georg. Divertiti.”, bofonchiò Bill, posando la testa sulle ginocchia del gemello. Il bassista sorrise malizioso.
“Tu vuoi divertirti, Bill? Ci divertiremo. Ci divertiremo tanto.”, soffiò a quel punto, tirandosi i capelli lisci indietro con una mano. Il vocalist si tirò su a sedere e gli sfiorò il labbro inferiore con la lingua; il fumo che fuoriusciva dalle loro bocche si mescolava, denso. Spariva dietro a quel bacio proibito, invisibile attraverso i vetri scuri.
Un bacio insano, insano come loro quattro.
Insano come le mani di Tom che si posavano sui pantaloni di Gustav, come le loro instabili risate di fronte a quei gesti inusuali dovuti al fumo, all'alcool.
“Siamo quattro puttane.”, sbottò Bill, la sua risata che si amalgamava a un fiume d'alcool. Le dita di Georg cercavano la chiusura dei suoi jeans. “Troppo tardi. Non si fanno queste cose, Georg. Non faremo niente. Dovevi sbrigarti.”, ghignò il cantante quando la Berlina accostò davanti all'Hotel. “Siamo giovani, siamo forti ragazzi. Siamo liberi. Ci divertiremo. Noi sappiamo divertirci.”

***

Tom canticchiava rilassato sul letto, i jeans sbottonati, una mano poggiata sui boxer neri, attaccato alla bottiglia dello sconosciuto superalcolico di turno. La passava a Bill, sul pavimento ai piedi del materasso, che alternava a ogni sorsata una pastiglia colorata; Gustav, seduto al tavolino in fondo alla stanza, ordinava con cura delle strisce bianche e polverose su della carta stagnola.
“Dai, Gustav, non essere egoista.”, Georg gli si avvicinò un po’ barcollante, poggiando una mano sulla sua spalla. Aveva negli occhi la scintilla di una risata vagamente isterica. “Dicci dove l’ hai messa.”, Gustav sollevò un angolo della bocca, mentre arrotolava con cura meticolosa un pezzo di carta.
“Dovrei dirtelo?”, Georg inarcò un sopracciglio a quelle parole. “Comprala, e non venire a piangere da me.”, il bassista lo afferrò violentemente per il collo della maglia, urtando il tavolino. Le righe bianche, ordinate in strisce perpendicolari al bordo della carta stagnola, si sparpagliarono. Quel gesto sembrò non turbare il batterista.
“Tra mezz’ora c’è lo show, coglione! Non fare scherzi!”, Gustav lo guardò per un momento, tranquillo. Posò la mano sul suo polso robusto, staccandola dalla maglietta. Si soffermò nel guardare le sue braccia, sembrava stesse contemplando la costellazione di buchi rossastri che ne adornavano la pelle chiara, nordica.
“Rilassati, amico.”, rise, con quell'aria pacata che non lo abbandonava nemmeno quando si trovava sotto effetto delle droghe. Tornò a sedersi accanto al tavolino e risistemò le sue strisce, con la stessa precisione maniacale di prima. “E' sotto al letto, dove vuoi che sia? Stavo scherzando.”, Tom si sporse dal bordo del materasso, alla ricerca di ciò che sfortunatamente serviva anche a lui. Porse un sacchetto trasparente a suo fratello e uno al bassista, particolarmente nervoso. Poi, con tutta la calma del mondo, i tre posarono la carta stagnola sul tavolino e si concentrarono sul loro lavoro.
“Buon appetito.”, rise Tom, isterico, posando un dito sulla narice destra e avvicinando l'altra ad un tubicino di carta.
Si voltarono tutti in direzione della porta quando sentirono la serratura scattare. David Jost entrò dentro la stanza, trafelato, prima che potessero muovere un solo muscolo. Il manager si richiuse la porta alle spalle e a passi decisi raggiunse i membri della band, impresentabili e di colpo euforici, scacciando con le mani il fumo che opprimeva la camera.
“Oh cazzo.”, sospirò l'uomo, passandosi una mano sulla fronte imperlata di sudore. “Cos'è questa roba? Fate sparire tutto!”, urlò. Tom rise, distratto.
“Perché? Cosa fai sennò?”, si alzò in piedi, sovrastando con la sua slanciata persona il manager. David lo scostò senza troppi sforzi: in quel momento Tom era tanto imponente quanto instabile. L'uomo si chinò sul tavolino sporco di droghe di ogni genere e alcool e lo ripulì con dei fazzolettini di carta.
“Sta arrivando il vostro produttore, Peter. Cercate almeno di avere un’aria composta! Non vi reggete in piedi!”, sbottò disperatamente, le mani nascoste tra i capelli scuri. Gettò dentro a una busta trasparente tutte le confezioni contenenti pillole colorate e non, nascondendola nel bagno. Spalancò la finestra per togliere l’odore di fumo e alcool, sventolando le mani in aria. Bill si accasciò sulla moquette scura, sorridendo. Disegnava cerchietti immaginari con il dito, mentre Tom si trascinava fino al letto, reggendosi i jeans oversize che gli scivolavano giù dalle cosce. Georg era rimasto accanto al tavolino, si grattava il naso imbiancato tenendo la fronte posata sul palmo di una mano.
David si guardò attorno, nel panico. Si asciugò le mani sudate lisciando la camicia grigia quando, accanto al termosifone spento, notò quattro siringhe sporche gettate in terra, e i cocci di una bottiglia di birra che facevano capolino tra le coperte disordinate del grande letto. Si mise le mani tra i capelli per l'ennesima volta, mentre componeva il numero di cellulare del bodyguard. “Saki, vieni subito qui, per favore.”, mormorò con un filo di voce, accasciandosi su una sedia. Non aveva davvero più la forza di reagire a quella situazione.
La guardia del corpo arrivò, obbediente, un attimo dopo. Quando fece capolino dalla porta, Jost era chino sul letto e gettava i vetri rotti in un sacco di plastica.
“Ho trattenuto Hoffman il più possibile…”, balbettò Saki. Si guardò attorno, i ragazzi erano stravaccati chi a destra, chi a sinistra, in condizioni spaventose. L'uomo rabbrividì, muovendo qualche passo verso il manager nella stanza maleodorante.
Bill era più pallido del solito, ancora raggomitolato su sé stesso, sul pavimento ai piedi del letto. David correva da una parte all’altra della camera, nascondendo bottiglie e sacchetti di droghe.
“Sta arrivando?”, chiese: negli occhi un lampo di esasperazione.
“Il tempo di bere un tè con Dunja, che è riuscita a trattenerlo, ma non abbiamo più di 15 minuti, credo… ha detto che aveva appena mezz’ora, dopo ha un altro impegno.”, rispose distrattamente l'altro. Prese le buste che il manager aveva ammucchiato in un angolo della stanza e le chiuse nel box della doccia, in bagno.
David si piegò sul vocalist della band, nel tentativo di tirarlo su dalla moquette. “Ti ammazzerai per overdose.”, bisbigliò, mentre gli colpiva delicatamente la guancia con il palmo della mano, nel tentativo di rianimarlo. “Siete impazziti? Bevete, poi sniffate, vi impasticcate...”, si rivolse anche agli altri, che per tutta risposta gli lanciarono un'occhiata vaga, distante. Sembrava non si trovassero nemmeno in quella stanza. Mentre strattonava il braccio di Bill il suo occhio cadde sull'avambraccio coperto di buchi, lividi. Uno era più marcato dell'altro. Il manager lo sfiorò. “...e vi bucate.”, concluse, trascinando Bill fino in bagno. “Chiudilo qui, è in condizioni allucinanti.”, ordinò alla guardia del corpo, evitando di incrociare lo sguardo perso del diciottenne. L'uomo fece sedere Bill sulla tavoletta chiusa del water.
“Stai buono qui.”, gli disse, come se potesse sentirlo. Gli occhi vacui di Bill erano probabilmente impelagati in mondi distanti, diversi dalle pareti celesti di quel bagno.
David sollevò Gustav, che sembrava avesse la fronte incollata al tavolino; con uno sforzo non indifferente lo costrinse a sedersi su una sedia. Fecero lo stesso con Georg e Tom, lasciandoli distesi sul materasso.
Bill, chiuso in bagno, era quello che fisicamente stava peggio di tutti. Barcollante, si sollevò dal water avvicinandosi al lavandino. Si fissò nello specchio e si passò una mano sulla guancia cadaverica e gelida.
La testa girava vorticosamente, si osservò la punta delle dita, che gli appariva sbiadita e sfocata, tremolante quasi fosse liquida. Vide una trousse rossa, probabilmente lasciata dalla ragazza che aveva alloggiato la notte prima in dolce compagnia di suo fratello, posata sopra al bordo del lavello. La aprì, alla ricerca di qualcosa di impreciso. Tirò fuori un bastoncino, simile a uno spazzolino senza setole. Se lo infilò in gola, lo spinse lungo la lingua, contro il palato, con forza. Voleva vomitare la sua stessa anima, che aveva deturpato con le proprie maledettissime mani. A dire il vero voleva vomitarsi addosso tutti gli insulti di cui era capace. Era un drogato, un alcolista, un mezzo anoressico, ecco cos’era.
Sentiva l'acre sapore del vomito misto a quello dell'alcool che gli risaliva su dallo stomaco, percorreva l'esofago e, bruciando, passava per la gola, che ora gli sembrava minuscola. Gli pareva di soffocare... forse era quello che voleva. Gli faceva male, era questo che contava. Sentiva lo sterno pigiare sulla cassa toracica e sorrideva. Era felice di quel dolore. Poi il sorriso svanì mentre chiudeva gli occhi e ricordava.
Maledisse il momento in cui aveva provato quella maledetta canna, e dopo quelle pasticche, poi la coca. E infine tentò di dimenticare come aveva preso tra l'indice e il dito medio quella siringa e poggiato l'ago sull'avambraccio, spingendolo sotto la pelle… poi, con il pollice, aveva spinto lentamente lo stantuffo. Il liquido trasparente era sceso nelle sue vene, le aveva riempite, si era mescolato al sangue già infettato dall'alcool.
Si tolse il bastoncino dalla gola e aprì l’acqua del rubinetto. Lo fissava scorrere via, lungo la ceramica bianca; seguiva con gli occhi le ipnotiche spirali che la sostanza creava sulla superficie liscia mentre spariva nello scarico e gli bastavano quei maleodoranti giochi a distrarlo dal filo dei suoi pensieri.
Saki e David continuavano a girare per la camera nervosi come due giaguari in gabbia. Poi, due colpi secchi sulla porta e una voce tonante li fece sobbalzare. Il manager corse ad aprire, ed un furioso Peter Hoffman picchiettava insistente la punta dell’elegante scarpa a terra.
“Spero abbiate un'ottima motivazione per tutto il tempo che mi avete fatto perdere.”, sibilò, mentre tra le mani ruvide stringeva quelli che sembravano proprio dei contratti per i Tokio Hotel.
“Scusaci, i ragazzi dormivano: ieri hanno avuto molto da fare, abbiamo voluto renderli presentabili...”, abbozzò David, passandosi nervosamente una mano nei capelli scuri. Aveva la fronte imperlata di sudore, così come le sue mani umidicce.
Bill, oltre la porta chiusa a chiave, ascoltava in silenzio, l’orecchio poggiato contro il legno chiaro e liscio. Una lacrima scese sul suo viso quando sentì il rumore di alcuni fogli di carta che venivano strappati con forza, e le urla furiose del produttore. “Jost, chi credi di prendere in giro? So tutto! Tutti lo sanno!”, urlò, rosso in viso per la rabbia. “Hai tirato su dei drogati! La gente lo sa, li chiamano “le nuove Britney ed Amy Winehouse!”, le persone gridano che dobbiamo mandarli in rehab! Cosa credevi di mollarmi, David? I primi quattro barboni alcolizzati che avresti trovato per la strada? Quattro diciottenni che sanno solo farsi canne e buttare giù pasticche di tutti i generi? Puntavo molto sul concerto di stasera, ma ora...”, lasciò la frase in sospeso. David deglutì faticosamente, quel groppo nella sua gola non voleva saperne di scendere.
“Ora...?”, tentò il manager. Il colletto della sua camicia sembrava stretto. Troppo stretto.
“Mi rifiuto di produrre la loro spazzatura. Non meritano un centesimo dei soldi che prendono. Per cosa li spendono, poi? Per droghe!”, strappò l'ennesimo foglio, nelle sue parole un sorriso amaro.
“Quando hanno cominciato non erano così, Peter!”, reagì David. “Hanno iniziato senza che io lo sapessi. Quando l'ho scoperto era troppo tardi, andava avanti già da mesi. Abbiamo provato di tutto, non siamo riusciti a farli tornare indietro.”, il produttore ascoltava in silenzio, ma non voleva saperne.
“Non propinarmi queste stronzate! La Universal puntava su di loro. Tutti puntavano su di loro. Ora sarebbe meglio buttarli nel cesso.”, David tacque, le spalle si incurvarono leggermente verso il basso e gli occhi si puntarono sulle scarpe. Bill si tappò le orecchie, si accucciò sul pavimento, la schiena poggiata contro la porta chiusa. Strinse i denti mentre le lacrime piene di odio, rabbia, ribrezzo verso sé stesso scendevano copiose sul viso chiaro. Si sdraiò a terra, sulle mattonelle celesti. Il suo sguardo finì verso il mobiletto sotto il lavello: tra il pavimento e il fondo della piccola cassettiera vi era uno spazio; in fondo, contro il muro, notò una fiala di vetro marrone. Allungò il braccio fin sotto il mobile e l'afferrò. L'avvicinò ai suoi occhi per osservarne il contenuto, era un liquido opaco. Sul lato c’era un'etichetta bordeaux, minuscola: Heroine. Si trascinò verso la doccia e aprì il box. Strappò con le mani uno dei sacchi di plastica nero e frugò tra i cocci, le bottiglie d'alcool e le confezioni di pastiglie. Trovò una siringa usata; la prese e poggiò la schiena al muro, asciugandosi una lacrima sfuggita dai suoi occhi spenti con il dorso della mano. Infilò l'ago attraverso il sigillo della fiala di eroina. Con il pollice tirò su lo stantuffo; la siringa si riempì del liquido rosato. La estrasse dalla boccetta e avvicinò la punta all'avambraccio. Lo osservò senza muoversi di un millimetro. Di cosa aveva paura ora? Non era la prima volta. Cos'era che lo bloccava? La testa che girava? La nausea? Quella sensazione di oppressione che soffocava il suo petto? No, no.
Chiuse gli occhi, ma le palpebre sembravano scoppiare mentre le lacrime sgorgavano giù a fiotti e le spalle iniziavano a tremare, scosse da fremiti ancora leggeri. Guardò solo per qualche secondo il suo braccio sinistro, e posò l'ago su un lembo di pelle sul quale spuntavano le ombre di vecchi buchi. Con una leggera pressione spinse la punta della siringa sotto la pelle, nella carne, attraverso le vene. Pigiò sullo stantuffo ma non guardò la sostanza scivolare nelle sue braccia. Pensò a come rideva mentre lo faceva di solito, in compagnia di Georg, Gustav e Tom. Pensava alle risate nervose quando era Tom a iniettare la droga nelle sue braccia, a come lo facevano a vicenda. Bill drogava Tom e Tom drogava Bill. Come fosse un gioco. Come quando da bambini si impiastricciavano a vicenda il viso di farina mentre la mamma cucinava. Ora si leccavano a vicenda le dita sporche di coca... che idioti.
Rivedeva Georg pigiare una pillola sulle sue labbra dischiuse, cavalcioni sul suo bacino nel bagno di qualche locale. Pensava a Gustav che gli porgeva il tubo di carta e a come lo invogliava a chinarsi sulle strisce di polvere bianca. Era tutto un divertimento, tutto un gioco. Uno scherzo. Per sentirsi forti, per godersi la vita.
Sfilò l'ago dal braccio e si stropicciò il naso umido, mentre gettava la siringa sul pavimento e la scalciava con i piedi, lontano, accanto alla parete che aveva di fronte. “Ti ammazzerai per overdose.”, pensava alle parole esauste di David e ghignava. Un fremito più forte degli altri lo fece letteralmente sobbalzare. Colpì piano il muro con la nuca e si asciugò con un dito un rivolo di saliva che era sceso dal lato della sua bocca mentre i fremiti si intensificavano. Si chinò su un lato, raggomitolandosi su sé stesso tra il box doccia e il bidet. Strinse forte le ginocchia al petto mentre sentiva la droga improvvisamente eccessiva nel suo corpo, troppo potente per permettere al suo organismo di reagire positivamente.
In un barlume di lucidità, mentre sorrideva e piangeva nervosamente, prese il telefonino dalla sua tasca e, con qualche difficoltà, viste le mani che continuavano a traballare, tentò di scrivere un messaggio. Una pagina bianca si aprì sul display luminoso. “Ci sentivamo forti... ma era solo un'illusione. Ciao Tom.”
Già. Un'illusione. La stessa illusione che provavano quando tutto attorno a loro sfumava, diventava più divertente; quando la testa sembrava così leggera e i pensieri così poco fitti da permettergli di uscire per un po' dalle reali pareti del mondo che li circondava. Ed era così bello mentre tutto girava, mentre qualunque cosa sembrava compiacersi per loro. Li avrebbero invidiati, tutti quanti: avrebbero invidiato il loro modo di divertirsi, avrebbero invidiato il loro successo, il loro sporco, ricchissimo successo.
L'eroina: la più potente. La più forte. Wonder Woman, quella si che era un'eroina. Non questa stupida dose di sostanze allucinogene. Eppure era facile giustificare il suo nome. Ti faceva sentire potente, importante, un eroe, appunto. Era Bill l'eroe? Sono io?, si chiedeva.
Frustrazione.
Il cuore sembrava scoppiare nel petto, nella testa i neuroni esplodevano come fuochi artificiali.
Bill chiuse gli occhi; un
passionale, distruttivo, folle gesto per scappare. Stavolta per sempre.
...Dietro a ogni eroe c’è sempre una grande eroina.




Eccomi qui con questa OS completamente rivisitata e ristrutturata da capo a piedi :D
Avevo postato questa storia già qualche anno fa, in chiave molto più elementare, breve e grammaticamente inferiore.
L'altro giorno rileggendola mi sono resa conto della forza dell'argomento. Trattare il tema droga con quella leggerezza e con un raiting verde mi sembrava quasi una presa in giro.
È un tema forte, scriviamo una OS forte, mi sono detta. U_U
Non ero soddisfatta di questa storia all'inizio, ma una volta risistemata mi sembrava accettabile, quindi ho eliminato l'altra e postato questa, con diversa introduzione e forma completamente differente. La trama è identica, ma ho rivoluzionato il tutto.
Non è granché nemmeno questa, ma sinceramente è più appagante leggere questa dell'altra XD
Ho inserito un po' di... yaoi, per così dire. Non so, tanto per rinforzare xD, mi sembrava ci stesse bene.
Detto questo, aspetto e accetto vostri commenti, apprezzamenti, e ovviamente e
soprattutto critiche. Mi sono molto utili per crescere e le accetto tutte di buon grado ^^
Apprezzo anche paragoni con l'altra versione, per chi in passato l'avesse letta.
Che altro dire...?
Enjoy :D

=Alice=

  
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