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Autore: Luxiwan    03/09/2010    3 recensioni
*Spoiler 2 libro*
[Magnus/Alec]
Debolezza. Profonda ed inestirpabile debolezza.
Prova di umanità e fragilità.
E le paure, i timori... I complessi. E le ansie, e le speranze.
La profondità dei sentimenti e la tortura per la loro intensità.
La disperazione di uno, il dolore dell'altro.
È come esser prigionieri di una gabbia senza consistenza, ed essere privati della possibilità di evaderne.
È come affogare, perché l'amore è simile alla paura: spaventa,tortura, distrugge... Ricostruisce.
Unisce.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Debolezza: Incoscienza.

Titolo: Debolezza.
Pairing: Magnus x Alec
Fandom: Shadowhunters (Cassandra Clare)
Avvertenze: Ambientato durante il secondo libro: Shadowhunters-Città di Cenere.


Incoscienza
:
Come scivolare tra le tue braccia mentre il soffio di Morfeo carezza la mia anima.



Un silenzio pressante aleggiava, serafico, presso quel salone spoglio eppure vivace, sobrio eppure turbinante di colori; un raggio rosato di un sole ormai quasi del tutto tramontato introduceva l'imminente venuta di un crepuscolo alquanto tetro, decisamente fosco.
Tenui, i riflessi della luce illuminavano, delineando, i lineamenti eleganti del ragazzo che si ergeva contro il vetro della sala in tutta la sua flessuosa quanto nobile figura.

Alec fissava assente la vetrata dinnanzi sbirciando con falsa curiosità l'ambiente al di là del fitto strato di polvere che copriva, compatta, la trasparenza della finestra.
Era teso, terribilmente agitato, e ciò era comprensibile dalla postura forzatamente eretta, dalle spalle fin troppo rigide, dalle labbra serrate in un eloquente silenzio. Gli occhi erano scaglie di oceano annerite: socchiusi analizzavano il nulla, socchiusi, al bagliore di un' infante sera, parevano colorarsi di ebano, mentre il pacato blu che li caratterizzava sembrava liquefarsi e rifluire nelle tenebre più oscure.
Perso nelle proprie riflessioni non avrebbe saputo dire quanto tempo era trascorso da quando Jace, Clary e Simon avevano varcato la soglia di quell'appartamento per dirigersi presso la dimora della Regina delle Fate, sicuramente qualche ora, avrebbe ipotizzato, sebbene il sospetto che, invece, non fossero altro che pochi minuti lo assalì nell' attimo in cui percepì l'uomo alle sue spalle dissetarsi dell' ennesimo sorso di the, e sapeva benissimo, o meglio, aveva imparato diligentemente quanto lo stregone amasse il the caldo.

Di lì, passarono ancora diversi minuti, eppure Alec appariva come se fosse stato tramutato in una bellissima statua marmorea: il corpo immobile, la voce impercepibile, lo sguardo vacuo, solo il furente battito del cuore tradiva la sua vitalità.
Per un attimo ebbe la sensazione di annegare, il respiro bloccato nel petto, la gola in fiamme, le labbra dischiuse ad annaspare silenziosamente. Poi, l'aria tornò e con essa un'angoscia ancor più densa.
Un brivido, fugace ed impercettibile, lo scosse mentre un lieve rossore dipinse il suo pallore in prossimità delle guance.
Poteva avvertire i suoi occhi sulla propria schiena, la sua bocca sfiorare delicatamente il bordo dell'elegante tazzina ancora fumante, il suo respiro tanto regolare che riusciva, misteriosamente, a trasmettergli, di volta in volta, un'innata tranquillità nel profondo dell'animo.
A quella consapevolezza, terribile e quasi devastante, il cacciatore non poté evitarsi un ulteriore attacco di panico; i suoi amici, la sua famiglia erano lì fuori a rischiare la vita contro Valentine e lui... Lui era ... In procinto di avere una crisi isterica poiché era troppo, davvero troppo chiedergli di reprimere ancora il suo ego, scalpitante e deturpante, rovinato e devastato da anni e anni di umilianti menzogne.

E magari il mago lo avrebbe capito, avrebbe compreso il dolore, la tristezza, la solitudine, il suo travaglio, se semplicemente Alec gliene avesse parlato.
Ma non lo fece, e non perché non volle, bensì poiché le parole gli morirono in gola, la voce gli scemò sulle labbra, il coraggio, di nuovo, si suicidò in una tenera bugia.
"Va tutto bene, Alec..." Si disse. Ormai era un rituale, il suo.
E frattanto che s'illudeva, poggiò, titubante, la mano sul cornicione delle vetrate; tuttavia, per quanto si sforzasse, il tremore delle dita non celava la sua incertezza, il suo spavento, il suo tentennamento.

“Vedrai, anche oggi...”
Il flusso dei suoi pensieri si interruppe non appena che la mano dello stregone si sovrappose a quella del ragazzo trasmettendole stabilità e fermezza.
E dunque Alec sussultò nel percepire il petto dell'uomo ergersi contro la propria esile schiena, come se volesse ricoprirla di calore, rafforzarla con l' imperturbabilità, proteggerla con tutta la carne e le ossa del proprio scheletro.

“Alec...” L'amorevole sussurro del Nascosto carezzò dolcemente la nuca del Cacciatore, scompigliandogli lievemente qualche ciocca di capelli.

Il giovane tremò più violentemente a quell'elettrico contatto: mentre il corpo mostrava la sua umana debolezza, la mente tesseva la sua mostruosa perversione... Lo immaginava.

Immaginava Magnus Bane, in tutto il suo splendore mentre gli baciava, affettuoso, il capo, facendo aderire i loro corpi maggiormente; lo immaginava mentre un sorriso divertito si disegnava sul suo volto imprimendoglielo, così, sulla pelle attraverso i capelli; si capacitò d' immaginare il suo sguardo vivace e compassionevole mentre si focalizzava sul riflesso della finestra fissandosi sugli occhi increduli del giovane, i suoi propri occhi increduli.

E più la visione si faceva chiara, limpida, nota nella sua testa, più il suo cuore batteva celere, più il suo animo si inferociva spietato, più il terrore, ignobile nemico, si impadroniva delle sue sensazioni e... Più i suoi occhi bruciavano.

Alec stette sul punto di piangere, di crollare a terra mosso da un' imbattibile disperazione che gli smussava, malvagia, ogni barlume di speranza, di cedere a quell' inappagato desiderio che gli comandava, sadico, di porre fine a quell' inaccettabile tormento... E forse lo avrebbe fatto.
Lo avrebbe fatto veramente se non ci fosse stato Magnus ad arrestare la sua sottomissione, ad afferrarlo nel bel mezzo della sua caduta.



In preda ad una scossa di tremiti tanto accentuati quanto brutali, il ragazzo si accasciò a terra cedendo al proprio peso troppo stanco, maledettamente stremato, o quantomeno lo avrebbe fatto qualora non vi fosse stato lo stregone ad issarsi addosso il suo corpo e a condurlo, senza alcun apparente sforzo, presso un divano dalle tinte rosate estremamente cangianti, eccessivamente aggressive alla vista.
Magnus quasi non si riconobbe nei gesti dolci e premurosi appena compiuti  per il Cacciatore, insomma, la sua antipatia per i Nephilim era ormai nota; eppure... Eppure Alec era differente.
Qualcosa in lui lo attraeva, lo stuzzicava, lo istigava... Un' intima bellezza forse?
O forse era lo sguardo, intenso e limpido.
E la voce, sempre incerta, titubante.
E la figura nel suo complesso, elegante e seducente.
E le movenze, delicate e leggiadre.
O il carattere, ingenuo e testardo, riflessivo e pacato.


Urlò.
Alec avvertì su di sé le fiamme dell'inferno, e benché non vi fosse mai stato, in quell'attimo di immensa sofferenza non ebbe dubbio che quelle dovessero appartenere al fuoco dell'eterna perdizione; in lontananza, un gelido grido di dolore, IL PROPRIO, fendette l'aria vomitando delirio, paura, spavento. Steso sul divano si contorceva, le mani sulle guance a scavare profondi graffi con le unghie, e piangeva, e si lamentava, e impazziva...
Finalmente, si disse lo stregone, finalmente impazziva.

Magnus Bane osservava, analizzava, scrutava attento e curioso: una scintilla di malvagio piacere gli animava le pupille, un flebile sorriso conferiva saggezza e amara consapevolezza al suo volto d'improvviso provato, d'improvviso scavato.

“Alec...”
Nell'abisso di torbida incoscienza nel quale era precipitato, il ragazzo si stupì di poter distinguere con razionale lucidità il fioco sospiro dell'uomo; proruppe nella sua mente, la squassò e lo mise vergognosamente a tacere.
E davvero il giovane si zittì sotto il vigile controllo dello stregone.
Nel precario istante di confusione che lo attanagliò, Alec poté distinguere la figura snella e armonica di Magnus a pochi centimetri dal suo viso, ora ritratto dell'orrore, ora della rassegnazione, ora di una frustrata sofferenza. I suoi occhi si velarono, un alone sottile che deformava la figura inespressiva dell'uomo e le lacrime presero a cadere, emblema di debolezza nonché simbolo di una eterea bellezza.
Fu una carezza a fermare il pianto; Magnus adagiò la mano sulla fronte del Cacciatore per farla di lì scivolare, gentile e soave, presso i topazi che lo fissavano increduli ed inebetiti, e con lentezza e cura glieli fece serrare. Un istinto primordiale gridava al suo ego che, sì, era il momento ideale per abbracciarlo, stringerlo e inondarlo di passione.
Ma lo stregone non era così, o non era del tutto così.
Attese solo il momento in cui le labbra gli si mossero autonome... Si concentrò in una cantilena che stentava egli stesso a riconoscere, ma che nel profondo riscopriva come famigliare e dimenticata: era una ninna nanna amorevole che indirizzò il giovane ad un sonno quanto più ristoratore.
   
 
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