Vedevo
ancora quella figura davanti a me, quell’immagine che mi tormentava sia di
notte che di giorno, senza darmi un attimo di pace. Sentivo ancora quella voce
soave e profonda, così sensuale che, al solo ricordo, mi faceva rabbrividire.
Avevo ancora negli occhi quel suo viso allegro e sempre sorridente, le mani
grandi e affusolate che si muovevano sulla mia pelle, quelle labbra così
morbide e delicate che accarezzavano le mie. Tutti i particolari di quell’uomo
si figuravano nella mia mente come ricordi vivi e indelebili.
Erano anni che quelle reminiscenze mi
tormentavano, e ormai non avevo idea di come poter smettere di pensare a lui,
il mio unico amore, che ora non era più con me. Mi sentivo colpevole di averlo
fatto andare via, e il pensiero che forse, se lo avessi aiutato subito, non
sarebbe scomparso, mi attanagliava. Si, Alessio era fuggito via per sempre,
lasciandomi sola in balia di un dolore lancinante che sembrava squarciarmi il
petto.
Il giorno del suo funerale c’erano tutti i nostri
amici che piangevano la sua morte, ma nessuno di loro lo conosceva come avevo
imparato a conoscerlo io.
Io e Alessio eravamo sposati da cinque anni, ma il
nostro amore cresceva di giorno in giorno. Io lavoravo come cameriera in un bar
del centro di Firenze, dove abitavamo, mentre lui era un musicista di successo,
sempre in giro per il mondo per i tour con la sua band, da Londra a Roma, fino
a Los Angeles e New York. Avevamo tutto sommato una vita felice; stavamo poco
insieme, ma lui trovava sempre tempo per me.
Ricorderò sempre quando mi disse: - Ti amo,
Matilde – Era il giorno della sua partenza per Miami, tre anni fa, e lui stava
per imbarcarsi sul suo jet privato. - Per quanto il tempo possa tentare di
dividerci, tenendoci lontani, tu saprai sempre che ti amo – mi baciò
delicatamente sulle labbra per poi salire, sorridente e allegro, sull’aereo.
Non poteva certamente sapere che la morte ci avrebbe separati un anno dopo. Era
nitido il ricordo delle parole del suo dottore dopo un’ulteriore visita, la quinta
nel giro di un mese.
- Signorina, mi duole annunciarle che suo marito è
in condizioni critiche: il tumore ai polmoni che eravamo convinti di aver
sconfitto due anni fa è ritornato fuori, e ormai è troppo tardi per poterlo
rimuovere: è troppo esteso. – fu un colpo al cuore. Mi sentii cedere le gambe e
le lacrime sgorgavano dai miei occhi come un fiume in piena. Ero incapace di
sopportare un tale peso: avevo solo ventisei anni, non potevo già perdere mio
marito. Ma per quanto non volessi lasciarlo, la malattia lo avvolse
completamente nel giro di poco tempo, per poi costringerlo a restare in un
letto d’ospedale, aspettando coscientemente che la sua fine arrivasse, finché,
una mattina di maggio, quando fui svegliata dal sole che entrava nella sua
stanza e illuminava il letto dove si trovava, mi accorsi che il suo corpo aveva
smesso di lottare: la sua pelle, da rosea, era diventata pallida e cerea, e i
suoi occhi verdi e profondi, adesso, erano vuoti e spenti. Gli strinsi la mano
come per tenerlo attaccato alla vita, ma ormai sapevo che l'aveva abbandonata
definitivamente.
Per i primi mesi mi sembrava impossibile che
Alessio non ci fosse più, e ogni mattina mi svegliavo con il pensiero che lui
fosse sdraiato accanto a me, ma poi mi resi conto che lui non era più al mio
fianco e avrei dovuto abituarmi a questa condizione. Non riuscivo più a fare
niente, avevo bisogno di sentire la sua voce, di sentire il suo respiro.
- Basta! – gridai dopo l’ennesima crisi, chiudendo
gli occhi e scuotendo la testa. Ero seduta sul divano e stavo piangendo da più
di un’ora, tanto che gli occhi e la gola mi facevano male. - Non posso andare
avanti così, Ale non avrebbe voluto che mi riducessi a vivere in questo modo.
Lui avrebbe desiderato che la mia felicità durasse tutta la vita, con o senza
di lui – mi dissi asciugandomi le lacrime. Respirai a fondo, poi, mentre mi
alzavo, mi cadde l’occhio su una nostra fotografia: eravamo in Giappone, a
Osaka, durante la nostra luna di miele. Guardando i suoi occhi luminosi e pieni
di vita capii che era giunto il momento di lasciarmi alle spalle la mia
depressione, e decisi che avrei cominciato a vivere di nuovo. Volevo tornare a
essere la ragazza solare che ero un tempo; non avrei certo dimenticato Alessio,
sarebbe stato impossibile, ma sarei tornata a vivere la mia vita con serenità,
facendo fronti a tutte le difficoltà.
Adesso, anche se sono passati molti anni dalla sua
morte, vado spesso a fargli visita al cimitero; gli racconto delle mie giornate
e delle mie piccole avventure quotidiane, come se lui fosse davvero lì con me,
e sono sollevata quando sento un filo di vento che soffia tra i miei capelli,
perché penso sempre che, forse, quel leggero alito d’aria possa essere il suo
respiro, e che con esso voglia farmi capire che lui, come aveva detto quel
giorno all’aeroporto, non mi lascerà mai.