titolo ff: Was it a Dream?
raiting: verde
autore: Micky86 o Micky6277
DISCLAIMER: non possiedo i diritti
su nessun personaggio esistente citato in questa OS. I fatti descritti
sono di
mia invenzione.
Note del autrice: dedico questa OS ad una
amica davvero
speciale, con la speranza che la faccia sorridere e divertire almeno un
po’ ;)
Mi trovavo
seduta in uno di quei tipici bar di Parigi, eleganti e raffinati sia al
interno
che al esterno, con le persone che non ti degnavano nemmeno di uno
sguardo e
con la possibilità di poter leggere un libro senza che nessuno mi
dicesse che
non era il luogo adatto per farlo. Già, uno degli aspetti più belli di
Parigi
erano proprio quei bar in cui potevi rimanere seduta per ore, ordinando
un solo
caffè e leggendo uno dei libri che trovavi al suo interno, o magari uno
che ti
eri portata da casa. Ormai quei bar erano diventati la mia unica fonte
di gioia
perché quella che – a detta di mia sorella - doveva essere la più bella
vacanza
della mia vita, si trasformò presto in un incubo per me.
I nostri
genitori le avevano regalato per la maturità, una vacanza a Parigi. Un
soggiorno di un mese, in quella magnifica città per due persone.
Ovviamente, i
miei genitori volevano che portasse una amica, non un ragazzo e lei
decise –
per la gioia dei miei genitori - di portare me, perché infondo noi
eravamo
davvero ottime amiche. Quando arrivammo a Parigi, mi sentivo carica e
piena di
energie, pronta a conquistare la città, a visitare ogni luogo artistico
e alla
moda che ci potesse offrire e così sembrava volesse fare anche mia
sorella, ma
due giorni dopo il nostro arrivo, in un ristorante francese, conoscemmo
un
ragazzo di nome Luc. Era un ragazzo gentile, alla mano e con un
bellissimo
sorriso. Mia sorella sembrava avere avuto il classico colpo di fulmine
con lui,
cosa, che al giorno d’oggi negherebbe con tutte le sue forze, ma che in
quel
momento era davvero avvenuta. Durante la cena – in cui lui si era auto
invitato
– parlarono molto e scoprirono di avere molti interessi comuni, e visto
che lei
era in vacanza, lui le propose di farle da guida turistica e di
mostrarle i
luoghi più belli e segreti della città. Al inizio anch’io andavo via
con loro,
anche perché non mi fidavo di lasciarla sola con uno sconosciuto,
nonostante
lei fosse più grande di me, ma dopo qualche giorno lasciai perdere e
inventando
strane e a volte stupide scuse, declinavo i loro inviti. Infondo a chi
piacerebbe uscire da solo con una coppia di neo-piccioncini?
Beh, quel
giorno, al contrario di quanto era accaduto nelle due settimane
precedenti, avevo
deciso di andare a visitare bene i monumenti di Parigi che più mi
interessavano
e così andai verso Les Halles per ammirare la seconda chiesa più bella
di
Parigi ovvero la chiesa di Saint Eustache
che sembrava dominare quella zona con la sua imponente
struttura. Quando
entrai ed iniziai a visitarla, rimasi così affascinata da tanta
bellezza che mi
girai subito per sentire l’opinione di mia sorella e vedere i suoi
occhi
brillare, come accadeva sempre quando vedevamo chiese e monumenti così
belli,
ma non la trovai e io mi resi conto che andare a visitare monumenti da
sola,
non mi rendeva per nulla felice. Mi recai in un bar vicino, sperando
che le ore
passassero in fretta per poi poter tornare in hotel, fingendo davanti a
lei di
essermi divertita un Mondo.
Ero
concentrata nella lettura de “il principe” un vecchio romanzo di
Machiavelli, quando una voce dall’altra parte del tavolino e con un
inglese
poco comprensibile, mi disse: “it’s a beautiful day, right?”. Io non
alzai lo
sguardo, ma continuai a leggere con decisione quel libro. Non ricevendo
alcuna
risposta da me, gli venne il dubbio che io non lo avessi capito e mi
chiese “do
you speak english?” io sbuffai e lui continuò “parlez-vous française?”
Chiusi il libro di scatto e dopo averlo
sbattuto sul tavolo, alzai lo sguardo verso quel tipo per dirgli di
lasciarmi
in pace perché non ero in vena di chiacchierare con nessuno,
figuriamoci con
uno sconosciuto inglese.
Quando alzai
lo sguardo verso il suo, rimasi però paralizzata nel vedere quei suoi
occhi blu
mare guardare dritti nei miei. I pensieri mi si scomposero in testa e
non
riuscì più a dire nulla. Era davvero un ragazzo bellissimo. Indossava
dei
pantaloni di una tuta nera, una t-shirt bianca e ai piedi aveva degli
infradito
neri. Nel vedere una persona vestita in quel modo si poteva pensare che
fosse
uno straccione o che non avesse stile, ma il suo sguardo era fiero e
intelligente e questa cosa mi colpi molto, soprattutto perché in quel
periodo
ero solita giudicare le persone al primo sguardo, ma con lui non riuscì
a
farlo.
Mi sorrise e
mi richiese se parlavo una lingua a lui comprensibile o se ero per caso
sorda o
muta. Quelle parole, dette con leggerezza mi risvegliarono e con tono
piatto
gli dissi che conoscevo abbastanza bene l’inglese, ma che non sapevo
una parola
di francese. Lui si mise a ridere di gusto e mi rispose che nemmeno lui
non
conosceva il francese, a parte la frase che mi aveva detto
precedentemente. La
sua risata era così sincera e serena che mi contagiò.
Nel vedermi
così tranquilla e rilassata, si rilasso anche lui e provò ad iniziare
una
conversazione con me. “se non sai il francese, significa che non sei di
qui… di
dove sei allora?” io ero ancora un po’ titubante nel parlare con quello
sconosciuto di me, ma gli risposi comunque. “io sono italiana.”
“beh, direi che
si nota che sei una ragazza mediterranea.”
“da cosa,
scusa?”
“dalla
carnagione scura della tua pelle.” Mi disse lui, facendomi
l’occhiolino. Io
avrei potuto spiegargli molto su di me e sulla “mia carnagione scura”
ma preferii
non farlo e gli porsi la stessa domanda che lui aveva fatto a me.
“Io? Beh, io
sono americano, anche se ho dei parenti francesi e direi che ho anche
origini
italiane.” Disse ridendo. In quel istante non capì il senso di quella
battuta,
ma non gli diedi molto peso.
“e cosa fai a
Parigi in piena estate? Sei qui per una vacanza o per un lavoro?”
“beh, diciamo
un po’ e un po’.” Mi rispose lui sempre con quel suo magnifico sorriso
stampato
in bocca. “e tu?”
“io sono qui
in vacanza con mia sorella. Questo viaggio è il suo regalo di diploma
da parte
dei nostri genitori.”
“quindi, hai
una sorella più piccola?”
“no. Ho una
sorella più grande!” dissi in tono seccato.
“oh, scusami,
non volevo offenderti, è solo che… beh, tu sembri già una ventenne,
almeno era
quello che credevo io.” La sua voce era sincera e sembrava davvero
dispiaciuto
per avermi offesa, così feci un respiro profondo e mi spiegai. “non ti
devi
preoccupare, non mi hai offesa… tutti pensano sempre che tra le due sia
io la
sorella maggiore e comunque mi danno sempre più anni di quanti ne ho in
realtà…”
“e posso
chiederti quanti anni hai veramente o mi sbrani?” mi sorrise divertito.
“ne ho
diciassette..” lui fischiò in segno di approvazione.
“ok, è vero,
ti facevo molto più grande.”
“esattamente..
quanto più grande?”
“sui ventidue,
ventitre anni…” mi disse con uno sguardo che implorava di non
ucciderlo.
“beh, fa
niente… forse se avessi quel età la mia vita sarebbe più serena e
completa.”
“non sperare
mai di crescere in fretta o te ne pentirai. Gli anni passano e
inesorabilmente
si portano via i tuoi ricordi più belli, la tua infanzia, la tua
giovinezza e
ti ritrovi presto catapultato nel mondo del lavoro, che è fantastico se
hai la
fortuna di fare qualcosa che ami …ma fidati che anche in quel caso la
vita non
è tutta rosa e fiori. In effetti pagherei per poter tornare nella mia
vecchia
scuola ed essere il nerd che tutti mi consideravano, beh, nonostante
l’aspetto
fantastico che già avevo.” Si indicò con le mani e io non potei fare a
meno di
pensare che in effetti, per quanto quelle ultime parole suonassero
presuntuose,
in realtà erano vere. Aveva davvero un aspetto fantastico.
“Sono pensieri
piuttosto maturi per un ragazzo della tua età, complimenti!” dissi io,
cercando
di tornare in me e levando lo sguardo da quei suoi occhi blu mare, da
quelle
sue labbra da baciare e da quel corpo da esplorare.
“ok, ora tocca
a te.” Lo guardai confusa e lui rise. “vediamo se indovini quanti anni
ho.”
Incrociò le braccia sul petto e mi lanciò uno sguardo di sfida.
“beh, io direi
che non ne hai più di venticinque.” Poi con uno sguardo indagatore
continuai ad
osservarlo bene. “Ma forse ho esagerato” dissi in fine con un tono di
voce
basso.
Lui scoppiò a
ridere.
“perché ridi?”
“e se ti
dicessi che ho quasi ventinove anni e che quindi si potrebbe dire che
sono un
trentenne tu che mi diresti?”
“che non ci
credo!” rise di nuovo di gusto e io rimasi a bocca aperta capendo che
non mi
stava prendendo in giro.
“ma, hai
davvero ventinove anni? È impossibile!”
“beh, ne
compio ventinove a dicembre, comunque si, sono davvero così grande...
rispetto
a te.” Disse facendomi l’ennesimo occhiolino. Io era ancora allibita
per aver
ricevuto quella informazione quando lui mi parlò di nuovo.
“sei rimasta a
bocca aperta perché hai capito che stai parlando con un trentenne o
perché sei
stupita che io sia così grande?”
“la seconda
direi...” rise di nuovo nel vedere la mia faccia scioccata.
“beh direi che
formiamo davvero una bella coppia. Tu hai ventidue anni e io
venticinque.”
Continuava a ridere affascinato da una cosa tanto banale. A quel punto
però mi
alzai in piedi e presi tutte le mie cose per allontanarmi dal bar.
Infondo, non
era una bella idea rimanere da sola con un quasi trentenne, ma appena
lo
superai per andare verso l’uscita, la sua mano mi bloccò il braccio. Il
respiro
stranamente si fece più veloce e io mi portai di istinto la mano sul
cuore.
“dove te ne
vai? Non mi vorrai già lasciare solo?” non riuscivo più a respirare. Mi
sentivo
attratta da quel ragazzo, ma nello stesso tempo la mia mente mi
intimava di
fuggire. “e queste, cosa sono?” mi girai di nuovo verso lui per vedere
di cosa stava
parlando e vidi che teneva in mano i fogli con le poesie che avevo
scritto quel
giorno. Dal mio sguardo scioccato lui capì che mi stava spaventando,
così mi
lasciò andare il braccio e io tornai in me. “sono delle poesie che ho
scritto
io.”
“wow, quindi
sei una poetessa?”
“ehm, non
direi, ma mi piace scriverle di tanto in tanto perché è uno dei pochi
modi che
conosco per sentirmi davvero libera di esprimere le mie emozioni.”
Abbassai gli
occhi sentendomi stupida per aver detto una cosa simile. “si, insomma,
so che
sembra una cosa stupida ma…”
“in realtà io
ti capisco benissimo. Non sono un poeta e non saprei nemmeno da dove
iniziare
per scrivere poesie, ma scrivo canzoni.” Lo guardai stupita e lui mi
sorrise
felice e soddisfatto quando vide che mi stavo riaccomodando nel mio
posto. “tu
scrivi canzoni?”
“si. Vorrei
poter sfondare con la mia band. Per ora è ancora un sogno, ma, magari
tra
qualche anno riusciremo a diventare famosi.” Mi fece l’occhiolino e io
gli
sorrisi in una maniera stupida ed imbarazzata. Ormai, ero completamente
impazzita per quel uomo, ma cercai di non darlo troppo a vedere, anche
se per
quanto mi sforzassi, sapevo che le mie guancie rosso fuoco mi stavano
già tradendo,
rivelando un po’ troppo di me e delle emozioni che provavo in quel
istante.
“tu invece?
Vuoi scrivere poesie o che altro?” stavo per rispondergli, quando il
mio
telefono iniziò a squillare.
“scusami, devo
rispondere… è mia sorella.” Lui mi disse di non preoccuparmi e così io
le
risposi. Al telefono mia sorella sembrava scossa e triste per qualcosa
e così,
capendo che aveva bisogno di me, decisi, anche se a malincuore, che
dovevo
andare subito da lei.
“mi dispiace,
devo proprio andare da lei ora.”
“ok, ma… ci
rivedremo?”
“uhm, si...
cioè, quanto grande può essere una città come Parigi?” lui rise
divertito e io
presi in mano le mie cose per andare subito in hotel. Quando lo superai
lui mi
afferrò di nuovo per il braccio. “scusa.” Mi disse subito. “è che non
so ancora
come ti chiami…”
“ah già,
scusa. Io mi chiamo Alessia, e tu?” dissi porgendogli una mano per
presentarmi
con educazione, lui si alzò in piedi e me la strinse.
“io sono
Jared. Jared Leto. Non dimenticare questo nome perché presto diventerò
famoso.”
“non lo farò.
Lo prometto.”
Mi girai di
nuovo per andarmene, ma ancora una volta mi afferrò per il braccio e
quando mi
girai per vedere cosa volesse ancora, lui mi baciò. Quel bacio mandò
una
scarica elettrica al mio cervello, facendolo andare in cortocircuito al
istante.
Quando si
staccò da me, io rimasi a fissarlo per qualche secondo, cercando di
riprendermi
dalle meravigliose e poco caste emozioni che quel bacio mi aveva
suscitato. Poi
mi girai e con la testa confusa, iniziai a camminare velocemente per
arrivare
da mia sorella, ma lo sentì comunque dirmi. “ehi, torna qui domani così
parliamo un po’.” Mi girai per guardarlo negli occhi, gli sorrisi ed
annuì con
la testa.
Quando arrivai
in hotel, mia sorella si gettò tra le mie braccia piangendo ed iniziò a
raccontarmi tutto quello che era accaduto con Luc, che le aveva
spezzato il
cuore.
Il giorno dopo
la accompagnai al Louvre per distrarla un po’, dimenticandomi
completamente del
“appuntamento” che avevo con quel ragazzo e quando mia sorella mi
chiese delle
poesie, il volto di lui mi comparì davanti agli occhi e io capì che non
lo
avrei più trovato al bar essendo già passate le otto di sera. Provai a
tornarci
il giorno dopo e quello dopo ancora, ma di lui non c’era traccia e così
rinunciai a cercarlo, concentrandomi sulla vacanza e su quella
bellissima
città.
Forse Jared non si ricorda di me, ma ancora oggi quello è uno dei miei ricordi più belli. Non perché in passato ho avuto la fortuna di incontrare e parlare con il grande ed unico Jared Leto e nemmeno perché ho ricevuto un bacio da lui, ma perché quel ragazzo dal bel aspetto e dalle forti speranze, mi ha insegnato che se ci credi, i sogni si possono davvero realizzare e per questo non lo ringrazierò mai abbastanza.