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Autore: Snafu    07/09/2010    4 recensioni

Buongiorno e benvenuti nella mia fiction!
Allora, prima di cominciare un po' di cosette:
> Innanzi tutto è una fiction slash, quindi chi non apprezza il genere o tenta la fortuna o cambia fiction ahah
> E' la prima fiction su Legolas/Aragorn che scrivo, quindi, per piacere, siate clementi! Non ho ancora deciso se scrivere dal punto di vista di entrambi e neanche di che cosa parlerà la fiction (vado all'avventura) però intanto ho un inizio :)
> Ringraziamenti: innanzitutto un “grazie” globale, con tanto di baci e abbracci, a tutte le ragazze del Wicked Games Forum. Questa è la prima fiction scritta di mio pugno che leggono (o che mi auguro leggeranno ahah) e spero di non deluderle, è anche grazie a voi se questa fiction è arrivata.
Di tutte le ragazze, un ringraziamento particolare ad Helin, è a lei che voglio dedicare questa mia fiction ed è a lei che mi sono ispirata per il personaggio di Micol. In realtà non so perché, però mi ha insegnato tanto da quando l'ho conosciuta e questo è un pensiero per lei!
Poi una nota ad Enedhil. Ho scritto questi primi capitoli, dopo aver visto il tuo video. Mi si è aperto un mondo. Avevo continuato a frequentare il WG nell'ombra, leggendo le vostre fiction, ma non ero mai riuscita, per così dire, a mettermi in gioco. Adesso vediamo che salta fuori. Un ringraziamento a te, Michiru ed Helin per aver letto per prime le vostre opere :)
> Desclaimers: i diritti sui personaggi appartengono al maestro J.R.R. Tolkien!

e ora passiamo al sodo! Buona lettura!
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aragorn
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Aragorn

Era lì, in piedi, in mezzo al corridoio.
Alto. Biondo. Occhi azzurri. Fisico statuario. Lineamenti dolci.
Mi fissava con aria di disapprovazione, come se qualcosa stesse andando storto rispetto a quello che aveva programmato. Aveva la testa leggermente piegata a sinistra e gli occhietti indispettiti. Continuava a scrutarmi, sbattendo ritmicamente le palpebre senza che la cosa lo facesse sembrare un tic. Sembrava un bambino.
Indossava un abito un po' logoro, che gli stava divinamente, del resto come ogni altra cosa. Le vesti avevano sempre stuzzicato la mia fantasia, sufficientemente per tentare di immaginare che cosa ci fosse sotto.
Forte come il sole che filtra dalle nuvole dopo una tempesta, bello come un pavone che fa la ruota e che reclama le sue attenzioni, Legolas non si metteva in mostra, lui non ne aveva bisogno. Sarebbe stato bellissimo anche nei panni del “Cenerentolo” degli Elfi.
Non era cambiato molto nell'aspetto, dall'ultima volta che l'avevo visto.
La pelle candida come un prezioso tessuto d'oriente, il sorriso d'avorio e gli occhi di qualcuno che ha visto tanto, attraversati da quella serpentina azzurra tanto da sembrare gioielli. Se da quegli occhi avessi potuto accedere ai suoi pensieri come lui poteva accedere ai miei, sarebbe stato tutto più semplice per me.
Anche se pareva stanco, aveva decisamente un bell'aspetto, con la lunga cascata di fili d'oro sciolta sulle spalle e le sue membra fresche, muscolose, toniche.

Alto. Biondo. Occhi azzurri. In groppa ad un cavallo bianco. Fisico statuario. Lineamenti dolci, come il suo cuore, come le sue parole per me.
Tanta dolcezza, sì, eppure quanto era amaro ogni respiro, ogni battito del mio cuore, ogni mattina, quando al mio risveglio guardavo Arwen, distesa nel letto accanto a me.
Il rimpianto. Il rimorso. Il rimprovero. La tristezza.
Vedere quel cavallo bianco andare via dai confini che potevo esplorare dall'alto di Minas Tirith.
“Era la cosa più giusta da fare” era una bugia a cui non credeva più neanche il mio cuore.
Dopo tanti viaggi e battaglie non mi ero neanche riservato il diritto di essere felice, o perlomeno di provare ad esserlo.
La verità, probabilmente, era che ero felice in quel perpetuo peregrinare in cui lui era al mio fianco.
La verità, probabilmente, era che ero felice durante quelle battaglie in cui ogni nostro momento insieme poteva essere l'ultimo.
La verità, sicuramente, è che lo amo.
In genere al termine di queste mie riflessioni, la dama Micol compariva come uno spettro, camminando all'ombra dell'albero bianco e diceva, ridacchiando compiaciuta:
“Stai ancora pensando a lui”
Inizialmente credevo che lei fosse quello che di lui mi era rimasto. Era apparsa dopo la sua partenza. Diceva che solo in un altro mondo le sarebbe potuto capitare di incontrarmi, che lei sapeva che io altrimenti non sarei potuto esistere. A volte pensava di essere morta. Dal canto mio, ero certo che fosse qualcosa di simile ad un angelo, qualcosa proveniente da un mondo che non conoscevo, come lei non conosceva il mio.
“Alto. Biondo. Occhi azzurri. In groppa ad un cavallo bianco. Fisico statuario. Lineamenti dolci.” diceva sorridendo, avvicinandosi a me.
Legolas. Poche parole per descriverlo, un odissea per capirlo.
Una sola parola, il suo nome, eppure, ogni volta che la sento, anche ora, il mio cuore sussulta come se dentro di me passasse una mandria di cavalli in corsa.
Credevo che Micol avesse il potere di leggere la mente o qualcosa del genere. Di certo, aveva una risposta quasi a tutto. Una risposta che poteva non farti piacere oppure lasciarti troppo felice, ma non provava mai dispiacere nel condividerla. Lei conosceva Legolas meglio di me, lo descriveva come se lo avesse visto e questo era sorprendente, perché non lo aveva mai incontrato.
Questo era il bello di Micol. Lei era tutto quello di cui un uomo potrebbe aver bisogno. Un'amica, una sorella, una compagna, ma per me era solo una fida consigliera e un orecchio che non si lamentava dei miei racconti.
“Non essere triste” continuava allora, fissando l'oriente “non sei stato tu a volere la sua partenza” poi faceva una piccola pausa, sfiorando il mento con il dito indice “beh, anche se non hai fatto niente per fermarlo” il punto cruciale della situazione, comunque, era che Legolas non era lì con me, allora.
“Sono sicura che tornerà. Del resto, se questo è un sogno in cui si avvera tutto ciò che desidero, io so che arriverà, perché io non riesco ad immaginare te senza di lui” non avevo bisogno di parlare, con lei. A quel punto lanciava un'ultima occhiata alla luce che sorgeva ad est, verso l'alba, come se l'avesse immaginata più cupa, come se avesse visto cieli neri, tinti dal rosso del monte Fato, come se sapesse; poi sorrideva e si allontanava, tornando sui suoi passi.
Alla fine aveva ragione lei: era inutile continuare a ragionare su quali fossero le mie colpe e quali le mie attenuanti. Legolas non sapeva.
Non sapeva, perché non glielo avevo detto. Non sapeva, perché avevo avuto paura e vergogna. O forse non aveva voluto sapere, se avesse voluto, l'avrebbe potuto leggere nella mia mente in qualsiasi momento.

Alto. Biondo. Occhi azzurri. In groppa ad un cavallo bianco. Fisico statuario. Lineamenti dolci.
Il ricordo non gli rendeva onore.
Averlo lì, in carne ed ossa faceva tutto un altro effetto. Il suo essere lì, in quel momento, era piacevole come la sensazione della sabbia che non scivola nella clessidra ed in effetti, a me pareva che il tempo si fosse fermato. Vederlo mi faceva sentire vivo.
Continuava a guardarmi seccato e adesso aveva indossato un piccolo broncio, storceva il naso e mi fissava con due occhi preoccupati.
Era lì. Davvero. Era come se mi venisse concessa un'altra possibilità, e non l'avrei fatta scappare, non stavolta.
Legolas doveva sapere.
   
 
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