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Autore: GSaiko    07/09/2010    0 recensioni
Old stuff
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Axel, Roxas, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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Incontro.

Il mare. L’infrangersi delle onde contro gli scogli. L’acqua salmastra che scioglie la candida neve posatasi, per qualche secondo, sulla battigia. La più completa solitudine. Contemplare il mare d’inverno lo faceva sentire a casa, sebbene lui non l’avesse mai avuta … o forse sì. Purtroppo non ricordava il suo passato, il filo dei suoi ricordi aveva avuto inizio un anno prima, quando era stato trovato privo di sensi su quella spiaggia. Non ricordava nemmeno chi era stato a salvarlo. Ogni volta che tentava di rammentare, l’unico ricordo che riusciva a collegare a quel momento era il colore rosso, un rosso intenso come poteva esserlo solo il fuoco. Pensandoci era stato molto fortunato a non essersi ritrovato per strada o in un orfanotrofio. Aqua, il medico che lo aveva assistito all’ospedale dopo il suo rinvenimento, si era affezionata a lui e aveva deciso di occuparsi di Roxas adottandolo. Certo lei diceva sempre che voleva studiare il caso e trovare un modo per fargli recuperare la memoria, ma Roxas sapeva che Aqua si era molto legata a lui, per di più l’adolescente assomigliava molto a Ventus, un amico d’infanzia della giovane donna, purtroppo scomparso quando erano ancora ragazzi. Così aveva iniziato la sua nuova vita in quella grande città, il convivere con Aqua, la scuola, la società. Lo studio era l’unica cosa a tenerlo occupato e questo lo portava ad avere ottimi voti, ma non che la cosa gli interessasse più di tanto. Aqua era sempre molto occupata con le sue ricerche per cui Roxas era piuttosto libero di fare quello che più gli piaceva, che consisteva di solito nel leggere oppure girare per la periferia della città, dove la meta più apprezzata era sempre la spiaggia. E ora si trovava li, davanti alle azzurre acque dove aveva lasciato i suoi ricordi, a pensare. Stare solo con i suoi pensieri era molto meglio che sentire i discorsi degli altri ragazzi. In quel mondo infatti l’unica preoccupazione delle persone era l’apparire. Persino gli adulti facevano a gara fra chi aveva l’auto più veloce, la casa più grande, si vantavano degli inutili vestiti firmati che compravano ai propri figli. Non che lui si vestisse come capitava, gli piaceva avere un certo stile, ma non andava di certo in giro a vantarsi del suo abbigliamento. Come se non bastasse a scuola veniva preso di mira da tutti. Se lo avessero emarginato sarebbe stato molto meglio, ma lui era il più bravo della classe, quindi i suoi compagni cercavo di accaparrarsi la sua amicizia, nella speranza di farsi fare i compiti da lui o di ricevere qualche suggerimento durante i compiti in classe. Le ragazze gli facevano la corte incuriosite dai suoi lineamenti delicati e dal suo comportamento distaccato, cercando di farsi notare da lui come oche starnazzanti in uno stagno: il solito atteggiamento da persone false ed approfittatrici, quelle che appena ti giri ti sputano tutto il veleno che hanno dentro, forse per invidia, forse perché è stata questa società ad avvelenarle. No, lui non apparteneva a quel mondo. Tolse il cappuccio della felpa che gli riparava il capo dalla neve e alzò lo sguardo al cielo. Si stava bene. La dolce brezza marina, anche se un po’ fredda, gli scompigliava la folta chioma bionda, facendo fluire i capelli dorati. La neve gli si posava sul viso, sciogliendosi al contatto con la sua pelle calda e dandogli una fresca sensazione di lucidità e purezza. Ma l’azzurro brillante dei suoi occhi si spegneva, riflettendo il cielo grigio di quel mondo triste. Chiuse gli occhi, cercando di beneficiare il più possibile di quel momento così piacevole. Il freddo gli piaceva. Lo teneva sveglio, anche se dormire lo dilettava, e soprattutto lo faceva ragionare. Al freddo riusciva a pensare in modo razionale. Era così assorto nei suoi pensieri che si rese conto di essere stato travolto da qualcosa solo quando realizzò di trovarsi steso per terra, in mezzo alla neve. In realtà non era stato qualcosa a colpirlo ma più precisamente qualcuno. Sentì il peso che gli comprimeva il petto e lo stomaco abbandonarlo e si ritrovò davanti una mano:

«Tutto bene amico?».

Roxas si soffermò qualche secondo a guardare quella mano forte, ma allo stesso tempo sottile e aggraziata che aveva davanti, per poi afferrarla e sollevarsi. In piedi una forte fitta alla caviglia sinistra lo avvisò di tenere il peso sull’altra gamba. Si era probabilmente slogata nella caduta, ma non ci diede molto peso al momento. Finalmente vedeva il suo “aggressore”. Capelli rossi, un rosso familiare come se lo avesse già visto in passato, ma di sicuro dei capelli del genere se li sarebbe ricordati, erano in un certo modo buffi acconciati a quel modo, sparati tutti in alto come se volessero raggiungere il cielo. A dire il vero assomigliavano molto a delle fiamme visto il colore intenso che li caratterizzava. Un rosso che contrastava nettamente con il verde vivo delle iridi. Il biondo quasi ci si perse, non aveva mai visto degli occhi così profondi, sottolineati dalla leggera riga di eyeliner che li contornava.

«Hei piccoletto tutto bene? Se continui a non rispondere inizio a preoccuparmi davvero». Il rosso lo riportò alla realtà. Gli stava sorridendo, mostrando i canini un poco più appuntiti del normale.

«Ah.. si, a parte una piccola storta tutto a posto.»

«Fammi controllare … comunque io sono Axel». Si presentò lasciandogli infine la mano, che non aveva mai smesso di stringere, ed aggiungense gesticolando: «A-X-E-L got it memorized?!».

“Ok la salute mentale di quel tipo non è del tutto a posto” pensò l’altro, ma si limitò a rispondere con un:

«piacere, Roxas». Lo strano ragazzo aiutò il più piccolo a sedersi su un muretto per potergli controllare la caviglia. Axel era più grande di lui, come minimo di 3 anni, anche se l’abbigliamento poteva fargliene dimostrare qualcuno in più. I pantaloni neri, stretti gli fasciavano le gambe snelle, sorretti (o meglio agghindati) da una cintura borchiata quasi totalmente distrutta, la fibbia riparata con una graffetta. Le scarpe forse erano anche peggio, a brandelli, mostravano a tratti i calzini a righe. Indossava solo una maglia bianca e nera a maniche lunghe, forse troppo leggera visto la temperatura di quella giornata, anzi di quei mesi. Il più grande osservò la caviglia:

«Inizia a gonfiarsi, meglio che ti accompagni all’ospedale».

«Non ce n’è bisogno, abito con un medico, mi basta tornare a casa. Ma non penso di poter camminare…»

Non fece in tempo a finire la frase che il rosso gli porse la sua schiena e lo invitò a salire:

«Dai sali, ti accompagno. Non dovresti essere molto pesante tappetto.» Gli sorrise. Un sorriso sincero.

Roxas esitò, ma il dolore aumentava sempre di più, quindi senza pensarci troppo salì, lasciandosi trasportare.

Caldo. Quel ragazzo era incredibilmente caldo. L’infortunato non riusciva a capacitarsene visto l’abbigliamento così leggero e soprattutto la temperatura esterna. Spiegò la strada al suo taxi che capì subito dove doveva recarsi. Evidentemente doveva girare spesso per la città perché sembrava conoscere bene tutti i vicoli e le scorciatoie. Un ragazzo di strada. Un punk probabilmente. Ci mancava solo che facesse amicizia con un tipo del genere. No, una volta a casa lo avrebbe ringraziato e poi non si sarebbero più visti. Appoggiò la testa sulla spalla del rosso, respirando il suo profumo. Gli sembrava tutto molto famigliare, come se avesse già vissuto quel  momento in passato. Deja vù? In quel momento la distorsione faceva troppo male anche per pensare e cullato dai passi svelti del più grande si addormentò.

 

 

Quando si svegliò era nel suo letto, il piede era stato fasciato. Faceva ancora male, ma dal tipo di medicazione non doveva essere una ferita grave. La stanza era buia. Cercò di alzarsi, ma il piede sinistro non ne voleva sapere di sopportare il suo scarso peso. Zoppicò fino alla finestra, appoggiandosi ai mobili che trovava lungo il percorso, e spalancò le tende. La stanza si riempì della debole luce che caratterizza i pomeriggi invernali. Era rilassante. Rimase qualche momento a fissare la neve che non aveva ancora smesso di scendere:

“Almeno quel punk mi ha portato a casa e non mi ha venduto a qualche trafficante di organi. Se mai lo rivedrò devo ricordarmi di ringraziarlo …” I suoi pensieri furono interrotti dal rumore della porta che si apriva:

«Hei piccoletto! Che ci fai in piedi? Sei ancora convalescente, cerca di riposarti».

Cosa ci faceva lui li?! No, non poteva essere vero. Si,  avrebbe voluto vederlo ancora per ringraziarlo, ma un rompiscatole per casa proprio no! Una specie di sesto senso gli diceva che non lo avrebbe lasciato vivere in pace. Roxas gli rispose, un po’ infastidito da quella visita inaspettata:

«Non è certo colpa mia se adesso non posso camminare. Si può sapere che ci fai qui?».

«Hei calmati ragazzino, quella strana dottoressa mi ha chiesto di restare e controllarti. A quanto pare lei è piuttosto impegnata». Axel era rimasto volentieri. Quel ragazzino era così piccolo e carino che aveva deciso di tormentarlo un po’. Si sarebbe divertito ancora per qualche giorno a prenderlo in giro e poi avrebbe cercato un'altra vittima. Non si affezionava mai a nessuno, aveva conoscenti, “amici”, ma non approfondiva mai il rapporto. Avere dei legami faceva male, ti condizionava, e lui voleva essere libero.

«Ti ringrazio di avermi portato fino a casa, ma ora puoi anche andartene.» Roxas tornò a fissare la neve che si posava leggera sul davanzale. Presto fu affiancato dal rosso.

«Dai vestiti, prima di andarmene voglio portarti in un posto. Mi sento ancora in colpa per averti fatto cadere.»

Il biondo lo guardò come se Axel fosse un pazzo. No. Lui era davvero un pazzo! Faceva fatica a stare in piedi e lui lo voleva portare chissà dove?!

«Sentiamo, secondo te come dovrei spostarmi? Grazie a te non riesco neanche a fare un passo».

«Dai tappetto, sei così leggero, non è la prima volta che ti carico sulla schiena».

«Aqua non sarebbe d’accordo. Da quello che ho capito ti ha detto di farmi riposare».

«Ma chi se ne frega di quella! Dai preparati che usciamo!». Un altro sorrisone.

«Non ho scelta vero?»

«Direi proprio di no». Sorrise ancora, ma questa volta c’era una vena di sfida in quell’espressione.

«Stupido punk!».

 

Ciao a tutti xDxD volevo ringraziare ancora un a volta il mio ragazzo che si diverte (almeno credo) a correggere i miei errori xDxD Spero seguirete in molti questa mia seconda fanfic e mi raccomando recensite, mi piacciono i complimenti *-* ma segnalatemi sopratutto se ci sono degli errori u.u è molto importante u.u vabbè spero vi piaccia quello che scrivo xD ci sentiamo al prossimo capitolo ciaooooooooooooo ^^

  
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