PRIMO CAPITOLO:
Conoscevo
un ragazzo, James Wotton,
un ragazzo come gli altri, apparentemente, ma diverso
nell’anima. Aveva in sé quell’immagine del mondo che
pareva un’utopia, una favola. Fede? No, ignorava di tutte queste credenze, ma
si era forse creato una propria religione interiore che gli violava di non
credere in tutto ciò che esisteva e in ciò che non esisteva
ancora. Eppure non viveva una vita migliore della mia.
Lo
incontrai nel giugno del 1999. L’estate era arrivata come un’onda
insormontabile, ed il caldo non faceva che rendere le giornate alla spiaggia
più divertenti. Ma a chi, come me, non piaceva il
mare, si trattava di un’ascesa nell’inferno. Dai maglioni di lana si era
arrivati alla canottiera e questo cambiamento climatico mi aveva resa ancora
più dubbiosa sulla perfezione del mondo.
La
scuola non era ancora finita, mancavano più di due settimane e, poiché posso
affermare di esser stata quella che la gente chiama so-tutto-io, non ero molto felice di ciò: volevo
studiare ancora per essere una persona con una certa cultura. Non ero, come voi forse vi state già immaginando, una ragazza
pallida, magra, con i capelli neri e lunghi raccolti in una treccia, con gli
occhiali tondi e le guance incavate. No, non ero presa in giro, avevo degli
amici come gli altri studenti, insomma, non potevo
definirmi una sfigata.
Oltre
alle ore scolastiche non dedicavo il mio tempo al teatro o altre attività che programmava la scuola, ma ballavo danza classica nel Ballet Beauty, fin da quando avevo sei anni e,
sfortunatamente, mi avevano definita la più brava del corso, attirando così
l’invidia che crebbe in odio da parte dalle mie compagne: potevo sentire quasi
urlare gli insulti e le bugie che raccontavano su di me.
Molti
dicevano anche che ero una bella ragazza, pervia dei miei occhi grigi che, secondo
me, comunicano solamente tristezza, il vuoto. Inoltre
non m’importava nulla della mia bellezza, perché non è
che una foto appannata dell’anima e del carattere di una persona.
Spesso
frequentavo la biblioteca della scuola, unico posto dove potevo studiare in
santa pace: in casa, il mio fratellino Jimmy non
faceva che saltellare urlando come un indiano in pieno di una celebrazione
sacra. Inoltre mia madre stava ore ed ore attaccata come con la colla al
telefono, per lavoro, urlando e obbiettando sull’organizzazione scadente
dell’ufficio, per cui vivere in casa sembrava andare
in discoteca. Se parlo solo di mia madre è perché i
miei si erano separati quando avevo solo otto anni. Per un mese intero dopo il
divorzio non avevo fatto altro che supplicare il Signore
perché tornassero insieme, perché ritornassimo una famiglia felice. Mi ero
illusa che con la speranza sarei riuscita a far fare
un passo indietro negli errori del mondo. Ma, crescendo, le preghiere si erano
trasformate in accuse contro Dio e avevo capito che la speranza
è solo l’arma usata dagli gli sciocchi, da coloro che non hanno guardato
abbastanza il mondo da cogliere il male che si nasconde dietro ad ogni angolo
oscuro.
Fu
in biblioteca, però, che Kate, la mia migliore amica
fin dall’infanzia, corse verso di me, il volto rigato dal pianto ma leggermente
nascosto dalle sue mani tremanti.
Non
poche volte l’avevo vista in quello stato, disperata anche per le cose più futili, ma quella volta mi sembrò di vedere qualcosa in più
nei suoi occhi. Ora posso solamente confermare di aver preso un abbaglio.
-
Kate, che succed…
Prima che potessi finire di formulare la domanda mi abbracciò così
energicamente da togliermi il fiato. Doveva esser una cosa veramente seria.
-
Io – iniziò
interrotta dal singhiozzo – Lu-lui, mi ha lasciata! – e con questo rituffò il
viso nella mia spalla.
-
Lui chi? –
domandai incerta cercando di scostarla da me. Non mi aveva
mai parlato di un “lui”e poi non mi sembrava un motivo per disperarsi.
-
William Wotton – sospirò inquieta.
-
Non me ne avevi mai parlato! Non mi avevi mai detto di aver un
ragazzo! Perché me lo hai nascosto?! – la collera
stava salendo come un termometro dal Polo Nord alle Hawaii.
-
Perché…- prese
a balbettare inizialmente, ma subito dopo rincominciò a piangere: faceva sempre
così quando non voleva o non sapeva rispondere ad una
domanda. Cercava di scappare dalle cose più grandi di lei, soprattutto perché
temeva il giudizio degli altri.
Non
insistetti ancora. Avevo capito: aveva anche lei bisogno
di privacy, come ogni altra ragazza della sua età. Comunque
io non le avrei mai nascosto una cosa del genere.
Non
tentai altre domande: ne avremmo parlato quando si
sarebbe calmata. Ma in quel momento non credevo quasi fosse
possibile che smettesse.
L’accompagnai in
bagno e fu uno sbaglio: appena si vide allo specchio, con il mascara che colava
e il viso arrossato, pianse ancora più fragorosamente finché non le sciacquai
l’intero viso e le rassicurai che non era successo niente.
-
È successo di tutto, invece! Mi ha lasciata, l’ hai
capito?! – urlò con tutto il fiato che aveva in corpo.
Solo allora compresi che non piangeva per la
tristezza di non esser amata da lui, ma solo perché era stata lasciata da lui,
umiliata. Lui era
riuscito a ferire il suo orgoglio di principessina dell’amore.
Mai
come in quel momento ebbi voglia di strangolarla, ma cercai comunque
di supporre di aver avuto un’idea sbagliata. Ma non
ero molto ottimista.
- Ci deve essere
una ragione per cui ti ha lasciata! Cos’ hai fatto?- chiesi con una certa paura nell’anima: si
sarebbe sicuramente arrabbiata. Kate era sempre stata
una ragazza vanitosa, permalosa e tutte le cose che potevano rendere una
ragazza abbastanza antipatica, ma io ero riuscita, attraverso molti anni di analisi approfondita, a capire che, dietro a tutta la
superficialità, a quella maschera che teneva sempre addosso, non vi era che una
ragazza insicura, che non voleva rimanere sola.
Avevo
previsto giusto: si infuriò contro di me accusandomi
di non aver fiducia in lei e raccontandomi di non conoscere nessuna ragione per
cui quel ragazzo avesse dovuto lasciarla dopo tutto quello che aveva fatto per
lui, dopo aver dato il suo cuore a lui. Feci finta di capirla, di condividere
tutte quelle idee sbagliate che mi esponeva, ma quando arrivò a dire di voler vendicarsi,
quello non lo accettai proprio.
-
Kate, non fare la stupida! Non tutti i rapporti
possono durate l’intera la vita. No, anzi, forse dovrei dire che non sempre devi esser tu a lasciare i ragazzi. Dico giusto?- affermai
con un tono leggermente
acido.
-
No, non dici
giusto! Tu non capisci, Joyce! Lui mi ha ferita, mi
ha usata per poi buttarmi via come un bambolotto con
cui puoi giocare per poi stancartene un istante dopo. Ora dovrà pagare. E sarai proprio tu ad aiutarmi! – mi fissò con decisione
finché accennai qualcosa di simile ad un sì, ma non ero per
nulla calma e sapevo di far lo sbaglio più grosso della mia vita.
Ora,
però, so che quello sbaglio è stato solo un miracolo, il miracolo che mi ha salvata.
Il
piano si basava su questo: io, e ripeto, proprio io, che non avevo mai guardato
un ragazzo con gli occhi di una ragazza in tutta la mia vita, dovevo far
innamorare William di me, per poi lasciarlo con un messaggio per cellulare. Un
piano semplice e banale, ma efficace. Ma, naturalmente, come in tutti i piani, vi erano alcuni
problemi: come conoscere William? Sicuramente non salutandolo
per strada facendo delle avance o scontrandolo “casualmente” lungo il corridoio
della scuola. No, avrebbe capito tutto: sapeva della grande
mia amicizia con Kate
e secondo quello che quest’ultima diceva, non era affatto uno stupido.
Ma la furbizia di Helen, un’altra
amica, aveva risolto tutto: Eve. Dovevo
stringere amicizia con lei, la migliore amica di William e, sicuramente, me lo
avrebbe fatto conoscere. Speravo solamente fosse almeno simpatica.
Per
fortuna Helen la conosceva abbastanza bene ed aveva
progettato una serata in pizzeria e Eve che non avrebbe mancato sicuramente di invitare la
vittima. Ci sarebbero stati altri ragazzi e ragazze, ma non sarebbe comunque cambiato nulla, anzi, avrebbe reso la situazione
ancora più naturale.
Il
tutto era programmato per l’ultimo giorno di scuola, per festeggiare il lieto
evento: “l’arrivo delle vacanze, della festa”.
-
Ciao, tu sei Eve, vero? Io sono Joyce
Grint, Helen ti avrà
certamente parlato di me. Vieni Sabato? - domandai a MVW “Mezzo Vivente per
Arrivare a William”(l’ avevamo soprannominata così, ma mi sembrava qualcosa di
veramente orribile).
Stavo
languidamente passeggiando per il corridoio da qualche minuto, aspettando il
suono della campanella che avrebbe annunciato l’inizio delle lezioni e,
intravedendo un’ agente del piano, non mi ero lasciata
sfuggire l’occasione di iniziare la fase numero uno.
La ragazza non si
poteva proprio definire una bellezza entusiasmante, ma sembrava comunque una ragazza gentile ed anche piuttosto impacciata.
Portava i capelli biondi piuttosto ingarbugliati in una coda alta che metteva
ancora più in risalto il suo viso leggermente tondo, evidenziato dagli occhiali
quadrati. Portava stretti al petto alcuni libri che avrebbe
posto nell’armadietto di fronte.
-
Sì, e volevo
proprio sapere se possiamo portare degli amici con noi…una o due persone in più
non creano problemi, vero? Sai, perché…- iniziò
posando i libri e sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
-
Ma certo! Più si è
meglio è – la interruppi sfoderando il mio sorriso più smagliante.
-
Menomale! Sai…
sono una persona piuttosto timida e quindi volevo portare William Wotton, lo conosci vero?,per stare
con qualcuno che conosco…e lui prevedibilmente porterà anche…- disse tutto di
un fiato non smettendo di fissare il pavimento come se nascondesse qualcosa
d’interessante.
Sembrava
piuttosto a disagio ma non capivo proprio perché.
-
Non
preoccuparti, ti capisco benissimo! Ora dobbiamo andare a lezione, comunque non mancare alla festa! – esclamai col tono più
falso che mi fosse mai venuto in mente di enunciare.
Per
risposta, Eve mi lanciò un sorriso sereno voltandosi
velocemente per tornare in classe. Mi sentivo un verme: avevo fatto male a
pregare perché fosse almeno simpatica. Questo rendeva le cose ancora più
difficili: sarebbe stato più semplice ingannare una sporca omicida. Anche se
non potevo dire di conoscerla bene, ero sicura che si
sarebbe rivelata una di quelle ragazze che non farebbe mai nulla di male ad
un’amica, una persona forse migliore di Kate.
Mi
stavo comportando in un modo realmente scorretto, ma, si sa:
per amicizia, si farebbe di tutto, proprio di tutto.