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Autore: Supersunny91    24/10/2005    1 recensioni
Da un errore può nascere tutto...Odio, guai, sorprese, pianti, problemi...ma anche l'amore...
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PRIMO CAPITOLO:

 

PRIMO CAPITOLO:

 

Conoscevo un ragazzo, James Wotton, un ragazzo come gli altri, apparentemente, ma diverso nell’anima. Aveva in sé quell’immagine del mondo che pareva un’utopia, una favola. Fede? No, ignorava di tutte queste credenze, ma si era forse creato una propria religione interiore che gli violava di non credere in tutto ciò che esisteva e in ciò che non esisteva ancora. Eppure non viveva una vita migliore della mia.

Lo incontrai nel giugno del 1999. L’estate era arrivata come un’onda insormontabile, ed il caldo non faceva che rendere le giornate alla spiaggia più divertenti. Ma a chi, come me, non piaceva il mare, si trattava di un’ascesa nell’inferno. Dai maglioni di lana si era arrivati alla canottiera e questo cambiamento climatico mi aveva resa ancora più dubbiosa sulla perfezione del mondo.

La scuola non era ancora finita, mancavano più di due settimane e, poiché posso affermare di esser stata quella che la gente chiama so-tutto-io, non ero molto felice di ciò: volevo studiare ancora per essere una persona con una certa cultura. Non ero, come voi forse vi state già immaginando, una ragazza pallida, magra, con i capelli neri e lunghi raccolti in una treccia, con gli occhiali tondi e le guance incavate. No, non ero presa in giro, avevo degli amici come gli altri studenti, insomma, non potevo definirmi una sfigata.

Oltre alle ore scolastiche non dedicavo il mio tempo al teatro o altre attività che programmava la scuola, ma ballavo danza classica nel Ballet Beauty, fin da quando avevo sei anni e, sfortunatamente, mi avevano definita la più brava del corso, attirando così l’invidia che crebbe in odio da parte dalle mie compagne: potevo sentire quasi urlare gli insulti e le bugie che raccontavano su di me.

Molti dicevano anche che ero una bella ragazza, pervia dei miei occhi grigi che, secondo me, comunicano solamente tristezza, il vuoto. Inoltre non m’importava nulla della mia bellezza, perché non è che una foto appannata dell’anima e del carattere di una persona.

Spesso frequentavo la biblioteca della scuola, unico posto dove potevo studiare in santa pace: in casa, il mio fratellino Jimmy non faceva che saltellare urlando come un indiano in pieno di una celebrazione sacra. Inoltre mia madre stava ore ed ore attaccata come con la colla al telefono, per lavoro, urlando e obbiettando sull’organizzazione scadente dell’ufficio, per cui vivere in casa sembrava andare in discoteca. Se parlo solo di mia madre è perché i miei si erano separati quando avevo solo otto anni. Per un mese intero dopo il divorzio non avevo fatto altro che supplicare il Signore perché tornassero insieme, perché ritornassimo una famiglia felice. Mi ero illusa che con la speranza sarei riuscita a far fare un passo indietro negli errori del mondo. Ma, crescendo, le preghiere si erano trasformate in accuse contro Dio e avevo capito che la speranza è solo l’arma usata dagli gli sciocchi, da coloro che non hanno guardato abbastanza il mondo da cogliere il male che si nasconde dietro ad ogni angolo oscuro.

Fu in biblioteca, però, che Kate, la mia migliore amica fin dall’infanzia, corse verso di me, il volto rigato dal pianto ma leggermente nascosto dalle sue mani tremanti.

Non poche volte l’avevo vista in quello stato, disperata anche per le cose più futili, ma quella volta mi sembrò di vedere qualcosa in più nei suoi occhi. Ora posso solamente confermare di aver preso un abbaglio.

- Kate, che succed

Prima che potessi finire di formulare la domanda mi abbracciò così energicamente da togliermi il fiato. Doveva esser una cosa veramente seria.

-   Io – iniziò interrotta dal singhiozzo – Lu-lui, mi ha lasciata! – e con questo rituffò il viso nella mia spalla.

-   Lui chi? – domandai incerta cercando di scostarla da me. Non mi aveva mai parlato di un “lui”e poi non mi sembrava un motivo per disperarsi.

-   William Wotton – sospirò inquieta.

-   Non me ne avevi mai parlato! Non mi avevi mai detto di aver un ragazzo! Perché me lo hai nascosto?! – la collera stava salendo come un termometro dal Polo Nord alle Hawaii.

-   Perché…- prese a balbettare inizialmente, ma subito dopo rincominciò a piangere: faceva sempre così quando non voleva o non sapeva rispondere ad una domanda. Cercava di scappare dalle cose più grandi di lei, soprattutto perché temeva il giudizio degli altri.

Non insistetti ancora. Avevo capito: aveva anche lei bisogno di privacy, come ogni altra ragazza della sua età. Comunque io non le avrei mai nascosto una cosa del genere.

Non tentai altre domande: ne avremmo parlato quando si sarebbe calmata. Ma in quel momento non credevo quasi fosse possibile che smettesse. 

L’accompagnai in bagno e fu uno sbaglio: appena si vide allo specchio, con il mascara che colava e il viso arrossato, pianse ancora più fragorosamente finché non le sciacquai l’intero viso e le rassicurai che non era successo niente.

- È successo di tutto, invece! Mi ha lasciata, l’ hai capito?! – urlò con tutto il fiato che aveva in corpo.

Solo allora compresi che non piangeva per la tristezza di non esser amata da lui, ma solo perché era stata lasciata da lui, umiliata. Lui era riuscito a ferire il suo orgoglio di principessina dell’amore.

Mai come in quel momento ebbi voglia di strangolarla, ma cercai comunque di supporre di aver avuto un’idea sbagliata. Ma non ero molto ottimista.

- Ci deve essere una ragione per cui ti ha lasciata! Cos’ hai fatto?- chiesi con una certa paura nell’anima: si sarebbe sicuramente arrabbiata. Kate era sempre stata una ragazza vanitosa, permalosa e tutte le cose che potevano rendere una ragazza abbastanza antipatica, ma io ero riuscita, attraverso molti anni di analisi approfondita, a capire che, dietro a tutta la superficialità, a quella maschera che teneva sempre addosso, non vi era che una ragazza insicura, che non voleva rimanere sola.

 Avevo previsto giusto: si infuriò contro di me accusandomi di non aver fiducia in lei e raccontandomi di non conoscere nessuna ragione per cui quel ragazzo avesse dovuto lasciarla dopo tutto quello che aveva fatto per lui, dopo aver dato il suo cuore a lui. Feci finta di capirla, di condividere tutte quelle idee sbagliate che mi esponeva, ma quando arrivò a dire di voler vendicarsi, quello non lo accettai proprio.

-         Kate, non fare la stupida! Non tutti i rapporti possono durate l’intera la vita. No, anzi, forse dovrei dire che non sempre devi esser tu a lasciare i ragazzi. Dico giusto?- affermai con un tono  leggermente acido.

-         No, non dici giusto! Tu non capisci, Joyce! Lui mi ha ferita, mi ha usata per poi buttarmi via come un bambolotto con cui puoi giocare per poi stancartene un istante dopo. Ora dovrà pagare. E sarai proprio tu ad aiutarmi! – mi fissò con decisione finché accennai qualcosa di simile ad un sì, ma non ero per nulla calma e sapevo di far lo sbaglio più grosso della mia vita.

Ora, però, so che quello sbaglio è stato solo un miracolo, il miracolo che mi ha salvata.

Il piano si basava su questo: io, e ripeto, proprio io, che non avevo mai guardato un ragazzo con gli occhi di una ragazza in tutta la mia vita, dovevo far innamorare William di me, per poi lasciarlo con un messaggio per cellulare. Un piano semplice e banale, ma efficace. Ma, naturalmente, come in tutti i piani, vi erano alcuni problemi: come conoscere William? Sicuramente non salutandolo per strada facendo delle avance o scontrandolo “casualmente” lungo il corridoio della scuola. No, avrebbe capito tutto: sapeva della grande mia amicizia con  Kate e secondo quello che quest’ultima diceva, non era affatto uno stupido.

Ma la furbizia di Helen, un’altra amica, aveva risolto tutto: Eve. Dovevo stringere amicizia con lei, la migliore amica di William e, sicuramente, me lo avrebbe fatto conoscere. Speravo solamente fosse almeno simpatica.

Per fortuna Helen la conosceva abbastanza bene ed aveva progettato una serata in pizzeria e Eve che non avrebbe mancato sicuramente di invitare la vittima. Ci sarebbero stati altri ragazzi e ragazze, ma non sarebbe comunque cambiato nulla, anzi, avrebbe reso la situazione ancora più naturale.

Il tutto era programmato per l’ultimo giorno di scuola, per festeggiare il lieto evento: “l’arrivo delle vacanze, della festa”.

 

 

-   Ciao, tu sei Eve, vero? Io sono Joyce Grint, Helen ti avrà certamente parlato di me. Vieni Sabato? - domandai a MVW “Mezzo Vivente per Arrivare a William”(l’ avevamo soprannominata così, ma mi sembrava qualcosa di veramente orribile).

Stavo languidamente passeggiando per il corridoio da qualche minuto, aspettando il suono della campanella che avrebbe annunciato l’inizio delle lezioni e, intravedendo un’ agente del piano, non mi ero lasciata sfuggire l’occasione di iniziare la fase numero uno.

La ragazza non si poteva proprio definire una bellezza entusiasmante, ma sembrava comunque una ragazza gentile ed anche piuttosto impacciata. Portava i capelli biondi piuttosto ingarbugliati in una coda alta che metteva ancora più in risalto il suo viso leggermente tondo, evidenziato dagli occhiali quadrati. Portava stretti al petto alcuni libri che avrebbe posto nell’armadietto di fronte.

-   Sì, e volevo proprio sapere se possiamo portare degli amici con noi…una o due persone in più non creano problemi, vero? Sai, perché…- iniziò posando i libri e sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

-   Ma certo! Più si è meglio è – la interruppi sfoderando il mio sorriso più smagliante.

-   Menomale! Sai… sono una persona piuttosto timida e quindi volevo portare William Wotton, lo conosci vero?,per stare con qualcuno che conosco…e lui prevedibilmente porterà anche…- disse tutto di un fiato non smettendo di fissare il pavimento come se nascondesse qualcosa d’interessante.

Sembrava piuttosto a disagio ma non capivo proprio perché.

-   Non preoccuparti, ti capisco benissimo! Ora dobbiamo andare a lezione, comunque non mancare alla festa! – esclamai col tono più falso che mi fosse mai venuto in mente di enunciare.

Per risposta, Eve mi lanciò un sorriso sereno voltandosi velocemente per tornare in classe. Mi sentivo un verme: avevo fatto male a pregare perché fosse almeno simpatica. Questo rendeva le cose ancora più difficili: sarebbe stato più semplice ingannare una sporca omicida. Anche se non potevo dire di conoscerla bene, ero sicura che si sarebbe rivelata una di quelle ragazze che non farebbe mai nulla di male ad un’amica, una persona forse migliore di Kate.

Mi stavo comportando in un modo realmente scorretto, ma, si sa: per amicizia, si farebbe di tutto, proprio di tutto.

 

 

 

  
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