Come dovrebbe essere.
Allo
Shibusen esistono precise regole di comportamento, massime che si ha l’onere di
rispettare se si vuole assolvere quella più semplice della sopravvivenza
propria e del partner che si è scelti e non incorrere in ostici problemi di
punizioni, sadiche in modo crudele.
Tra
buki e meister innanzitutto deve instaurarsi, al fine di una cooperazione
migliore nelle missioni e nella sopraccitata esistenza comune, un rapporto di
fiducia alle cui fondamenta si basa tutto l’approcciarsi delle anime tra loro,
sino all’ultimo e più intimo incontro spirituale che consiste nel farle
combaciare completamente mediante la risonanza. Una buki sa di essere tenuta al servizio ligio, di dover obbedire agli
ordini impartiti dal meister, che a sua volta è tenuto a svolgere ogni incarico
che gli sia stato affidato da Shinigami-sama e portarlo a termine ad ogni
costo, che preveda anche la perdita di arti scomposti e simili affini se
necessario. Una buki sa di dover
proteggere col proprio corpo quello del meister cui ha giurato fedeltà perché un’arma, checché se ne dica o si voglia
ammettere, è sempre un gradino minore nella scala d’importanza rispetto al maestro
d’armi.
La
vita di una buki è poca cosa rispetto a quella del meister, che però potrebbe
renderla di una qualche rilevanza innalzandola alla perfezione suprema di Death
Scythe.
Una
volta formati i gruppi quindi, ognuno di essi è libero di scegliere con la
cognizione che lo contraddistingue quale relazione unisca i suoi componenti:
gratitudine, affetto, amicizia, semplice senso del dovere verso l’accademia. Questa
è l’unica e forse più importante libertà che lo Shibusen lascia ai suoi
allievi. Sono imposizioni quelle regolamentari che con l’abitudine e il
trascorrere del tempo cessano di esser considerate tali. Diventa un piacere, un
obbligo del cuore più che della mente, salvare l’altro e dare la propria vita
in cambio per farlo.
Le
buki e i meister si conducono in una danza lenta che evoca a sé ogni impazienza
e paura e le abbatte schiacciandosele sotto ai piedi come un insetto molesto,
che richiama l’altra anima perché si completino a vicenda. In effetti è tutta
una questione di anime alla fin fine.
Ogni
cosa ruota attorno ad esse: raccolta delle uova di Kishin e di un’anima di strega,
proteggere quelle degli esseri umani e osservare che nessuno se ne appropri
violando il taboo.
La
conta delle anime potrebbe quasi apparire ridicola, un po’ una beffa agli occhi
dei male informati, se non si fosse a conoscenza di tutti i retroscena, i
sacrifici e il sangue che si è dovuto versare per ottenerle.
E
poco importa che si trattassero di demoni, la colpa di quello che si ha fatto
rimane sempre sulla coscienza, sino alla prossima missione e poi quella
successiva ancora.
Maka
ricorda le prime volte, quando Soul era diventato solo da pochi mesi la sua
buki, con una tristezza che l’orgoglio si limita a schiacciare in una zona
estrema all’interno della mente. Ha foto di sé e Soul in quel periodo e le serba
gelosamente in un album nascosto nel cassetto. Sono in pose distanti e ancora
sul chi la vive di fronte alla casa da dividere. Ammette – ed è fermamente
convinta che Soul sia a conoscenza del fatto che lei sappia di essere stata nel
torto-, di non aver contribuito molto alla vivibilità nell’appartamento all’inizio.
E che lui ne abbia compreso i motivi e silente li abbia accettati, di questo
può essergli e gliene è grata davvero. Entrambi sono cambiati da quei tempi e
anche se guardano ai se stessi passati con nostalgia, è anche con tenue
fierezza che osservano il progredire insieme e come coppia di buki e meister.
Soul
è un ribelle per natura, ma Maka sa e l’ha imparato a proprie spese, che lui
farebbe qualsiasi cosa pur di proteggerla. Si fida di Soul e il fatto inequivocabile
che sia un maschio è stato surclassato dalla considerazione che sopra ogni
altra cosa lui sia la sua buki.
E
dopotutto Soul non è peggiore di tanti altri idioti e ha di migliore la presa
di posizione nei confronti del genere a cui appartiene per contro suo padre.
L’avrà ripetuto un centinaio di volte almeno, ma ognuna è come se fosse la
prima alle sue orecchie, che non diventerebbe mai un simile imbecille perché non sarebbe figo e Maka non può
che sorridere ogni volta. D’accordo, anche lui ha i suoi momenti di stupidità,
ma sono così lievi che lei può tranquillamente passarci sopra con un Maka Chop
e un broncio sottile e vendicativo.
Bisogna
pur dire poi che quelle con Blair siano tutte situazioni che Soul non cerca in
prima persona. Non si può affermare lui non ne sia piacevole vittima, ma rimane
in definitiva meno baka di tanti e tanti altri e questo non può che fargli
onore.
All’inizio
è stato strano più che difficile credere in quello strano tizio dagli occhi
color sangue, i capelli da vecchietto e il ghigno da squalo. Ma Soul è Soul e
Maka non riuscirebbe ad immaginarlo diverso da com’è. Senza la sua dentatura a
zanne e la schiena ingobbita per quell’andatura da macho di cui va tanto
sbraitando. Senza la stretta confortante che diventa sua e viceversa
combattendo. Soul è la sua buki e lei ne é meister e come promesso lo farà
diventare Death Scythe.
Se
il prezzo da pagare sono alcuni stupidi incubi ben vengano.
-E’ inutile - pensa voltandosi sul lato.
Il materasso non cigola, ma Maka sente comunque le molle muoversi ed emettere
un suono infastidito che è appena percettibile.
-
Non riesco a dormire -. Sospira ed
alzandosi muove le spalle anchilosate. Nel suo rigirarsi irrequieto uno degli
odango si è sciolto e le pende in un ciuffo scarmigliato sulla scapola.
Lo
porta indietro con un gesto secco della mano mentre con l’altra tira via il
secondo ancora intatto.
I
capelli ora le pesano liberi in una massa arruffata sulle spalle. Non le piace
averli in disordine, ma non ha alcuna intenzione di legarli di nuovo perché
richiederebbe tempo e qualcos’altro che lei non percepisce minimamente in quel
momento.
Le
ciabatte a paperella - Soul l’ha presa in giro quante volte per quelle stupide
pantofole? – l’attendono comode e in ordine di fronte al comodino e indossarle
è beatitudine.
Sono
calde e il freddo del pavimento è già scomparso mentre stringe le dita dei
piedi per poi sgranchirle e strofinarle contro la fodera interna in
un’abitudine antica.
E’
tardi, tanto che perfino Blair deve essere tornata. Spera soltanto non si sia
intrufolata di nuovo nella camera di Soul perché questa volta non potrebbe
passarci sopra con un semplice colpo ben piazzato e ne scaturirebbe un litigio
infinito. Non ha voglia di controllare né fare nulla. Solo prepararsi un the
caldo e rimediare un po’ al sonno arretrato che l’ultima missione le ha
lasciato addosso, come strascichi di stanchezza e masse di muscoli indolenziti.
Attenta
ad ogni rumore e a produrne il meno possibile dato che i suoi coinquilini sono
particolarmente suscettibili quando si tratta di riposo, avviarsi e vedere la
luce della cucina accesa, ma soprattutto il trovarvi Soul quando è stato suo il
premunirsi di non svegliarlo con suoni fastidiosi, le fa sgranare gli occhi al
limite delle orbite.
La
sua buki si rifiuta di ammetterlo perché non sarebbe per niente figo annettere
anche questo alla sua figura, ma è un pantofolaio, del tipo più impenitente e
pigro. Parte dell’indolenza è scomparsa quando ha afferrato l’insensatezza del
lasciare disordine per essere poi costretto a rimettere a posto tutto ciò che
aveva lasciato fuori posto. La certezza che evitando l’uno poteva altresì
limitare la seconda parte più noiosa e seccante, nonché strepiti e inutili
perdite di tempo, gli ha fatto inoltre guadagnare uno spirito meno incline allo
sporco e qualche punto bonus nella classifica di Maka.
-
Ohi Maka-.
Soul
sa essere gentile quando vuole e in certo senso anche premuroso. In cambio
chiede soltanto che non gli vengano fatte notare queste sue buone azioni. Per
esempio le ha già preso una tazza e gliela sta riempiendo fino all’orlo, quando
la richiama. La frangia a coprirgli metà faccia, si appoggia al bancone attendendo
che lei si sieda al tavolino, ma non dice altro né dà segno di volersi
avvicinare. Il the è zuccherato, con una fetta di limone che galleggia
pigramente sul pelo dell’acqua di un marrone scuro. - Be’- pensa tra sé e sé, - è normale che Soul conosca i suoi gusti;
anche lei conosce i suoi d’altronde-.
Manda
giù un paio di sorsi, soffiando ad ognuno. E’ bollente e la prima sorsata le ha
scottato la lingua, ma è comunque un piacere sentire il sapore dolciastro mentre
scende giù per la gola. Le sembra di esserne ritemprata e che il dolore alla
schiena stia diminuendo progressivamente, insieme al cerchio alla testa che
allenta il suo nodo. Alzando lo sguardo vede Soul inghiottirlo come prendendo
ampie boccate. Non può fare a meno di fare un sorrisetto e che Soul lo noti
scrutandola interrogativo. Nessuno dei due si decide però a parlare e infine è
Maka a prendere la parola.
-
Come mai in piedi?-
Soul
che aveva chiuso gli occhi, la mano impigliata tra i capelli in una distratta
carezza– Maka sa lo faccia quando in imbarazzo o indeciso su come comportarsi-,
ne socchiude uno e lo punta su di lei, ma non risponde direttamente.
-
E tu?- si decide a chiederle, sviando la domanda che lei gli aveva fatto. –
Brutto sogno?-
Maka
può quasi sentirlo e vederlo nell’aria quel ghigno che la canzonerebbe se gli
spiegasse che non ha chiuso occhio neppure per un attimo da quando sono andati
a dormire.
Scuote
appena il capo dicendo con un tono che è forzatamente tranquillo:- Qualcosa del
genere – e Soul decide di prendere per buona quella parte di verità menzionata.
Lui ha provato ad addormentarsi e c’era anche riuscito, ma ha finito con lo
svegliarsi madido di sudore, gli echi dell’ennesimo ripetersi di quell’incubo mostruoso
a rimbombare cupi tra le pareti del cranio.
Non
è riuscito più, in realtà non ha neppure tentato, a dormire dopo.
Maka
intanto riflette su tutt’altro. Nel suo caso non sono brutti sogni a tenerla
sveglia in quanto non è la paura dell’incoscienza a spaventarla, ma la realtà.
E’
ciò che esiste al di là della barriera fragile del sonno, quella con cui si
scontra ogni mattina alzandosi ed esercitandosi per migliorare, per diventare
più forte, che la atterrisce.
Entrambi
temono qualcosa e che quell’indeterminato qualcosa arrivi a colpire anche l’altro,
ma come si può spiegare una sensazione del genere? L’irrazionalità di un
presagio nefasto?
Non
si può e forse è anche il non riuscire a parlarne che rende le ombre che ne
colorano i tratti inestinguibili. Il silenzio equivale a benzina gettata sul
fuoco, ma come spegnere l’incendio?
-
Pensi alla missione? –
Non
ci stava pensando, ma non può farne a meno ora. E’ accaduto che non abbiano
avuto una missione da soli per qualche settimana e a quella prima è stato come
riabituarsi ad un insieme cui si erano diseducati. Un insieme che prevedesse loro due soli e le loro anime ravvicinate,
le mani intrecciate e la stretta salda di Maka intorno a Soul trasformato.
E’
da un po’ che l’ha notato, ma stare così, a chiacchierare del più e del meno o
stando semplicemente in un silenzio raccolto tutt’altro che pesante, non
accadeva da molto. In un certo senso le è mancato.
Non
che Soul si sprechi a dire o fare qualcosa di preciso, ma è come se la sua
presenza fosse connessa ai suoi pensieri in qualche modo. Quando sono in
compagnia la percepisce in modo labile e sfuggente, quasi quel legame venisse
celato per pudicizia, ma in casi come quello sente forte e chiarissimo il filo
che li allaccia come buki e meister. Ed è consolante sì, un puntino stabile e
sicuro nel proprio cuore che combatte tutto il resto, che attutisce il dolore e
anche ogni paura.
-
Ci stai pensando ancora, vero?-
Soul
si è allungato verso di lei sbattendo la tazza vuota contro il lavello con
forza e la guarda con le pupille contratte e fisse nel suo viso, come volesse
appianarle la fronte aggrottata solo colla tenacia del pensiero e scrutarle dentro
fino alla parte più profonda di lei. Sono gli occhi di Soul, specchi di un’anima
capace di vedere altre anime e comprenderle, ma anche lottarvi contro senza
farsi vincere.
Ma
potrebbe aspettarsi di meno da chi è riuscito a sconfiggere anche la follia?
E’
il migliore ed è la sua buki, la sua
falce di vita e di morte.
Maka
intuisce, senza bisogno che lui si spieghi, che non si riferisce alla missione
di cui prima le aveva chiesto. Perché Soul è anche così: passa da argomenti
irrilevanti ad altri tanto più significativi. Dal sorriso che gli è proprio e
gli calza a pennello ad un’espressione seria che non è affatto stonata su di
lui.
-
Lo sai senza che debba ripetertelo di nuovo-.
Sì,
lo sa, le sente ancora quelle parole.
Le prime vere che le abbia mai detto come suo compagno.
Le
ricorda ed è come se davanti a lei ora ci fossero due Soul, uno noncurante e
l’altro pensieroso.
Non
riesce a capire però chi dei due le stia parlando, se quello del presente o del
passato.
-
Uccidere è un terremoto-. Ha la voce
arrochita e scura di un’emozione indistinta mentre lo dice, uno dei due la
squadra pieno di disappunto. Un attimo di pausa e poi continua:- Ti sconvolge
come una scossa che ti fa tremare fin dentro l’anima. Sono vibrazioni che hanno
un nome e fa rima con omicidio-.
La
rabbia che sentiva a fior di pelle come i nervi è scomparsa. C’è solo Soul e la
malinconia furiosa di ciò che dice. E’ un Soul senza ghigno tutto denti, ma con
le mani strette a pugni nelle tasche, che non osa appressarsi, toccarla o sfiorarle la mano.
In
battaglia Maka ha imparato da subito a portare guanti e questo particolare non
sembra essere sfuggito alla capacità della sua buki di cogliere ogni
sottigliezza e quisquilia, che però ha scelto in tutta autonomia di non farne
mai menzione. E così hanno finito coll’entrare a far parte ufficialmente della
sua divisa all’Accademia.
-
A volte ti sembrerà che non sia giusto, altre che sia necessario, ma tutto ciò
che faremo sarà sempre la cosa più difficile che tu abbia mai fatto quindi
faresti meglio ad accettarlo-.
Accetta quel che sei,
accetta di essere un meister e che io sia la tua buki.
Accetta di essere
debole e fai della debolezza il tuo punto di forza.
E’ l’inizio non la
fine, avere il coraggio di sconfiggere la paura.
E’
inutile e forse a tratti capriccioso negare i primordi della loro carriera. E’
come rifiutare una parte di sé ed è stupido oltre che sbagliato. Sì, perché è
esistita ed esiste tuttora dentro la sua memoria, in qualche anfratto al suo
interno, una ragazzina che piange per ogni anima raccolta e corpo mutilato, per
il padre fanfarone e bugiardo che vorrebbe continuare ad avere, ma ha deciso di
disconoscere. Le uova di Kishin che combattono non sono più esseri umani. Lo
sono stati, ma hanno perso la loro umanità nel momento stesso in cui hanno
cominciato a respingere la fragilità caduca della propria essenza per
l’effimera illusione di un potere vuoto e privo di soddisfazione o emozione
alcuna. Maka sa che è necessario distruggerli, ma rimane comunque qualcosa di
complicato. Diventa tutto più semplice invece quando l’anima corrotta è tra le
mani artigliate di Soul pronto ad inghiottirla. Ciò che la infastidisce
intorpidendo la propria volontà nel cancellare le loro esistenze di meschinità
gratuita, è l’aspetto mendace di quelle uova che col tempo si sono fatte sempre
più cattive e facili da riconoscere nella bruttezza di una fisicità devastata.
Ci sono stati gli assassini, i pazzi e lei li ha tutti liberati dal seme
dannato che era impiantato nei loro spiriti.
Eppure
alcune volte, quando la concentrazione è poca e ridotta al minimo
indispensabile, la caparbia è attutita dalla fatica e da una spossatezza che
viene dalle ossa e si propaga come acido velenoso per tutto il corpo, stesa
sotto le coperte e con lo sguardo spalancato nell’oscurità fitta di ragnatele
argentee create dalla luce fioca del cielo di notte, riesce a scorgere tra le
ombre sinistre che la luna sghignazzante e insanguinata getta sulle pareti con
malevolenza, i volti di coloro cui Soul ha assorbito o ingurgitato l’anima, trasfigurati
in maschere scheletriche di natura irriconoscibile, mostruose e con lunghe dita
grifagne che si protendono verso di lei.
Sono
corpi vuoti, menti private dell’ingegno e dell’intelletto, della fantasia dello
spirito, avvizziti come alberi d’inverno contorti sul proprio tronco scarno,
secchi e senza linfa.
Non conta l’aspetto
esteriore… Ciò che conta è l’anima.
Sa
che è tutto frutto della sua immaginazione, che è suggestione e nulla di più,
ma quella visione è così orribile che chiudere gli occhi e dimenticarsi della
presenza di quegli spettri danzanti e languidi intorno alle fiancate del letto è
impossibile. Come è impossibile far finta di nulla.
Soul
sa tutto, deve aver fatto due più due notando come ad ogni missione le prime
volte lei non riuscisse a dormire e vagasse come una sonnambula per tutta la casa,
ma è stato discreto e le ha fatto compagnia alcune volte fingendo di essere
troppo annoiato per dormire. Ha accettato da tempo Maka, dal loro primo
incontro probabilmente, l’elemento che Soul usa come giustificazione del lato
migliore di sé, quel figo che
accresce la paura che un tempo ha fatto di lui un recluso, incapace di
allacciare rapporti più intimi con chicchessia, di aprirsi ad altri. Maka ne
conosce le sfumature più brillanti nascoste dietro quelle opache della sua
facciata da irriducibile piantagrane. Ha visto la sollecitudine con cui è
pronto a difendere ciò in cui crede, il valore con cui fregia i sentimenti che
li animano, la forza, la prontezza e l’elasticità mentale con cui si adatta ai
suoi colpi di testa. E ricorda l’occasione in cui ha scoperto tutto questo per
la prima volta.
Lo
rivede di fronte a sé. Seduto al contrario sulla sedia, le braccia sullo
schienale, il mento nell’angolo formato dalla curva degli avambracci
sovrapposti.
Ha
la testa inclinata su un lato ed un’espressione interrogativa. Un momento…
…No,
Soul non aveva quell’espressione
allora. Non è un ricordo, quindi?
Maka
sbatte le palpebre confusa e Soul fa uno dei suoi soliti sorrisi da canaglia, non ghigni, sorrisi, non ghigni, sorrisi.
-
Sembri alquanto distratta stasera, più del solito s’intende- butta lì, irrisorio.
Non
risponde sperando intanto di non essere arrossita. Assorta com’era nel rivangare
reminescenze varie, non si è nemmeno accorta che lui si fosse spostato al
tavolino.
Di
per sé già solo questa considerazione è umiliante.
Si
gratta il mento occhieggiandola di sottecchi, un piede che dondola
sbatacchiando contro la gamba della sedia.
-
E’ che sono stanca tutto qui- si schermisce scrollando le spalle. Soul non si
lascia incantare, ma non le rivolge domande più precise, non la costringe a
parlare né a raccontargli ciò che gli premerebbe sapere.
-
Hai finito?- le indica la tazza ancora piena e Maka la prende subito,
cogliendola come alibi per alzarsi e sfuggire qualche secondo alla strana
atmosfera che li ha circondati.
La
posa nell’acquaio dove sono a già mollo quella di Soul e il piatto con la cena
che Blair deve aver mangiato quando è rincasata e inizia a pulirle. Coglie un
movimento furtivo alle sue spalle, ma non si gira. E’ davvero a pezzi e la sua
camera non le appare più così spaventosa, eppure torna comunque a sedersi una
volta concluso ciò che stava facendo.
Se
possibile, ora Soul ha un’aria che è divertita e insieme sorpresa.
La
guarda ed è come le stesse chiedendo con tono beffardo non avevi detto di essere stanca?
Ancora
una volta Maka tace e Soul sbuffa. Si stiracchia verso l’alto con tutto il
busto e incrocia le mani dietro alla nuca, seguitando a fissarla sfacciato.
-
Be’?- chiede invitandola a dire qualcosa e lei imprevedibilmente risponde con la
prima cosa che le passa per la mente.
-
Voglio invitare Chrona a pranzo domani-.
L’eh esterrefatto di Soul non è tanto incomprensibile
dopotutto. Lei stessa si sta domandando quale astrusa ragione l’abbia spinta a
ripetere a voce alta un’idiozia del genere, quando è ovvio che lui non desiderasse
ascoltare quella confessione, se così
poi può essere definita.
-
D’accordo- replica ed come se avesse invece inteso dire ne ho abbastanza.
A
Soul le farse non sono mai piaciute. Di alcun tipo.
-
Quando- se sarebbe forse suonato più
appropriato – vorrai affrontare la cosa sono a disposizione per i tuoi lagnosi piagnistei
da femmina-.
L’unica
consolazione nella frase rabbiosa che ha appena pronunciato, una provocazione
bella e buona, è il neppure velato riconoscimento alla sua natura femminile.
Maka
si limita ad annuire però e questo fa trasformare il viso di Soul in una
maschera che è sbigottimento puro – non
l’ha colpito col Maka Chop!-. Le si avvicina di colpo, una mano già corsa
alla fronte e l’altra a tastare il polso per controllarne il battito.
-
Sei pallida, ma non scotti- osserva critico. –Ad ogni modo sei sicura di stare
bene?-
-
Ti ho detto di sì- cerca di allontanarlo da sé, impaziente, ma Soul non molla
la presa.
Non
sorride più ed è con tono severo che la rimprovera:- E quando l’avresti detto?
Al primo mugugno? O forse quando mi hai spiegato cosa diavolo ti è preso tutto
d’un tratto?-
Se
non fosse disorientata dal sarcasmo di cui sono intrise tutte quelle polemiche,
Maka scoppierebbe a ridere per la cadenza che la voce di Soul ha assunto o
semplicemente per il nervoso che le fa prudere le mani dalla voglia di
picchiarlo e metterlo a tacere.
-
Sto aspettando una risposta-.
-
E’ solo che…- farfuglia, ma si frena subito e cerca di recuperare un briciolo
di controllo. Soul attende, in un mutismo rigoroso che il suo respiro
frammentato si regolarizzi. Solo allora, in preda alla calma più feroce e
lucida, lei si rende pienamente conto della situazione. E’ costretta a fare affermazioni
insensate dopo una nottata trascorsa in bianco e la sua buki si arroga il
diritto di rivolgerle una paternale perché a suo avviso e giudizio irrevocabile
sembrerebbe non stare bene.
Sta
per seguire quello che l’istinto le suggerisce di compiere da tempo oramai, -
ringrazia il suo buonsenso invece perché le ha fatto lasciare libri sparsi in
angoli strategici in giro per l’appartamento- quando incrocia lo sguardo di
Soul.
Sente
la rabbia sgonfiarsi come un palloncino ed evaporare via, una bolla d’aria che
le fracassa la gabbia toracica coll’ossigeno che aveva trattenuto nei polmoni,
ora sgonfi come sacche vuote.
Soul
è preoccupato. Soul è preoccupato per lei. E la colpa è tutta sua ancora
una volta.
L’ultima
considerazione non la lascia annichilita solo perché si sente troppo sfinita
per una qualsiasi barbara reazione di senso compiuto o perlomeno l’impulso di
un istinto che le permetta di darsi dell’imbecille da sola. Ora è il senso di
colpa ingordo a strapparle brandelli di battiti al cuore che le pompa
forsennato in gola e a dimenarsi con squarci di fitte che le aggrovigliano le
viscere in viluppi inestricabili. Ma come a Soul appartengono gli occhi e il
sorriso, Maka ha dalla sua parte la ferrea capacità di soprassedere alle
difficoltà e portare a termine con rigido accanimento l’obiettivo che si era
prefissata. Una mano ferma sulla propria vita come lo è intorno all’impugnatura
della falce, una mente acuta e ponderante.
-
Tu non ha mai il dubbio di non farcela?- domanda sommessa.
Ammette
il panico infingardo che la divora come un tarlo d’inquietudine e smarrimento ed
è incredibile il senso di pace che possa riscoprire a fiorire in sé poco dopo
aver svelato quel segreto che la stava inglobando in un mondo di terrificanti
fobie dove ogni sua protesta era nulla.
Ed
è incredibile vedere Soul gettare la testa all’indietro e scoppiare a ridere. E
sentirlo ridere e ridere, una punta scalfita dal sollievo e la gioia nella scia
del suo prendersi gioco di lei.
Incline
alla benevolenza nei confronti della spavalderia della sua buki, pronta a
chiudere un occhio sulla sua oltraggiosa faccia da schiaffi che si burla
impunemente di lei, tanto si sente leggera.
-
Sei una stupida- replica per contro Soul alla sua rilevazione.
Gonfia
le guance risentita in un riflesso incondizionato Maka, ma risulta interdetta e
sgomenta. Si è aperta a Soul e questo è il risultato della sua confidenza? Che
lui le dia della… stupida?
-
Non credo… - spero - …di aver capito-
borbotta contrita.
-
Comprensibile- ribatte subito Soul pieno di tatto e in tono di sussiego, come
trattenendosi dal riderle in faccia. Faccia
da schiaffi, Maka Chop, faccia da schiaffi, Maka Chop, faccia da schiaffi, Maka
Chop…
-
Come si può pensare a certi argomenti in piena notte? Certo che sai essere
proprio strana a volte- sogghigna apertamente adesso e Maka non può proprio
farne a meno.
Perché
d’accordo, Soul sarà anche Soul e via blaterando, ma rimane un grandissimo
pezzo di imbecille che per sua somma sfortuna è anche suo compagno di squadra.
E
merita una colossale punizione per la scempiaggine indebita e proterva di cui ha
fatto e sta facendo – ma ancora per poco- utilizzo improprio.
Sentirsi
dare dell’isterica non corrisponde
esattamente all’idea astratta che si era costruita riguardo le scuse che le sarebbero
state dovute e benché instabile e traballante sulle ginocchia, un altro Maka
Chop sembrerebbe dunque d’obbligo.
Soul
però fa un salto all’indietro e le sfugge prima che lei possa fargli ritrattare
quella richiesta di perdono risibile che in franca e attenta analisi neppure
c’è stata, con un bozzolo sulla testa da aggiungersi agli innumerevoli e vecchi
altri.
-
Smettila di fare il bambino- lo accusa cercando di acchiapparlo.
-
Non credo di esserne capace. E poi sai, mi risulterebbe difficile smettere di fare
qualcosa che peraltro non sto facendo-.
-
Riparlarne domattina? Sono davvero stanco-.
Questo
è troppo.
Soul
ridacchia e si infila in camera sua proprio nel momento in cui gli si era
lanciata contro. Dallo scorcio nello spiraglio tra la porta e il polso che ne
blocca l’accesso, oltre Soul che le fa una linguaccia, Maka riesce però a
constatare con una veloce occhiata che Blair non sia lì.
Mentre
la sua buki si chiude provvidenzialmente a chiave quindi, lei si trova a
pensare che sia un peccato e una manchevolezza a cui sopperire. La gatta di
casa nonostante il malumore iniziale per essere stata bruscamente tolta al
sonno, è ben felice di accontentarla in cambio di una porzione extra di pesce
fresco e le urla di Soul le deliziano i timpani per un bel po’ prima che lei si
assopisca. Non dubita che Blair abbia svolto il proprio compito come pattuito,
ma c’è una fitta che è rimorso e insieme il rimpianto di non aver potuto
gustarsi la scena dal vivo e sia stata costretta solo ad immaginarsela, con
l’audio su cui contare in sottofondo. D’altro canto è davvero ora di
riposare.
Quando
Soul entra con un diavolo per capello e un’aria inferocita e assetata di
vendetta, la trova già addormentata.
Ha
il cuscino stretto contro il fianco in un mezzo abbraccio e gli odango
miracolosamente integri e rifatti. E’ scoperta, col lenzuolo che deve aver
calciato via brusca in un impeto di fastidio, ma ha un’espressione distesa e
vulnerabile che lo ancora lì dov’è.
-
E’ incredibile- mormora rivolto alla scrivania come in cerca di cenni d’assenso,
le dita che scorrono sul proprio viso in un gesto di accentuata esasperazione.
Rimane così, fermo a studiarla circospetto per qualche istante, prima di avere
il coraggio di muoversi verso di lei.
Una
mano infilata nella tasca del pigiama mentre con l’altra tira su la coperta e
la copre fino al collo. Le da colpetti distratti sulla testa, lo sguardo fisso
sulla luna che sta calando all’orizzonte di cielo blu e viola e sulle strane
figure chiaroscurate che arricchiscono la finestra. Con la coda dell’occhio
nota la posizione di spalle assunta da Maka rispetto al davanzale e collega. Baka.
Non piangere per chi è
morto, ma per chi rimane a combattere.
Dandole
la schiena e allontanandosi, Soul non può fare a meno di voltarsi ancora.
Sogghigna e nella penombra gli occhi rossastri assomigliano incredibilmente a
quelli di un felino, il sorriso ha un brillio minaccioso. E’ come se i denti
affondassero nelle labbra ad ogni parola o movimento, sgualcendole come carta e
sembra assurdo pensare a qualcosa di fragile, affiancarlo a polvere di sabbia
resinata e impasto di fibre vegetali affogate nella celluloide, quando si ha a
che fare con una buki, un’arma dalla struttura coriacea, il sangue forgiato nel
fil di ferro e marchiato col sangue. O forse no.
-
Ad ogni modo…- Il timbro suona gutturale e rauco, come se raschiasse contro le
pareti ruvide della gola, pezzetti di vetro che fuoriescono al suono remoto
delle campane in lontananza e che taglia le tenebre come un fendente di
speranze sopite insieme al sole che dovrebbe albeggiare da un momento all’altro.
-
E’ proprio il dubbio che mi fa andare avanti. E poi- ghigno - non sarebbe per niente figo se mi arrendessi-.
Non
potrei più guardarmi allo specchio se abbandonassi tutto così.
La
luna sembra ghignare un po’ meno ed essere meno imbrattata del solito nella sua
insoddisfazione di un nulla eterno non sereno. Soul si butta a peso morto sul
letto, la testa affondata nel cuscino.
- Deve decidersi a
montare quelle dannate tende. Che siano stramaledette… - sospira
voltandosi sul lato sinistro, mentre nella stanza di fronte Maka dorme
finalmente tranquilla e sul verso opposto.
La
notte tramonta coi suoi incubi, in ginocchio dinnanzi a un’alba dorata e la
casa riposa coi suoi padroni, la luce che ne illumina ogni dove e Blair che inaugura
il nuovo giorno con la ricca colazione di prelibatezze che Maka le aveva
promesso. Una cappa madreperlacea soffusa nel rosa che si riflette in un cielo trasparente,
senza scolpire scompigli o fantasmi, il silenzio accogliente del mattino rotto
ad intervalli regolari dal lieve russare in una stanza e il flebile respiro di
un dormiente nell’altra.
Il
sorriso privo di ombre del sole.
Tutto è come dovrebbe
essere.
E’
con un gioioso e caloroso ciao che
saluto voi tutti ^^.
E’
la prima volta che scrivo qualcosa su Soul Eater (si può sapere perché Word
accetta la parola Soul e non Eater O.o?
Mah le stranezze di Microsoft!) e cimentarmi con personaggi come Maka e Soul benché
difficile è stato straordinario. Vedere attraverso i loro occhi o meglio tentarci,
descrivere le loro emozioni e gli ambienti cupi che ne fanno da sfondo (per
quanto mi riguarda ho sempre trovato quella luna leggermente inquietante XD), ma soprattutto cercare di renderli al
pieno delle loro capacità e reazioni senza cadere in errori di OOC troppo
accentuati. Be’ spero che questo tentativo non sia stato un completo
fallimento. Forse è un po’ troppo contorta l’immagine che ho creato della buki
e della sua meister, ma non riesco ad immaginarmeli meno di così. Contorti, forse
sì, ma in modo quasi tenero. Non lo so, Soul che copre Maka col lenzuolo non mi
sembrava una forzatura mentre la scrivevo, ma ora mi lascia un po’ perplessa ed
ecco che entrate in gioco Voi! E’ anche per questo che esistete lettori: per
evitare che le paturnie dell’autore raggiungano livelli astronomici. Che potere
avete dalla vostra, ve ne rendete conto, XD? La mia sanità mentale dipende
dalla vostra clemenza che sia essa negativa o meno, almeno saprò di essere nel
giusto o nel torto. Deliri a parte, spero davvero di essere riuscita a trasmettere
qualcosa e che per come ne ho scritto qui sopra Soul e Maka non appaiano alieni
rispetto a come si è abituati a vederli nell’anime e nel manga. Insomma io ho
fatto la mia parte, a voi la vostra impressione su questo mio scritto. Male che
vada ci avrò almeno provato, no? XD
Saluti
a tutti ;)