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Autore: Yu Lunae    09/09/2010    0 recensioni
Potevo sentire quella voce colma di eco, quei mormorii lontani, dolci e disperati al tempo stesso. Era una voce maschile sibilata, che vanitosa e serpentina, sussurrava il mio nome, Eve, quello che riuscivo a percepire più chiaramente. L'avevo sentita così tante volte, eppure in quel preciso istante, l'identità di quella voce pacata e profonda, mi sfuggiva. “
Genere: Horror, Mistero, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nota

Bene rieccomi qui con il nuovo capitolo della mia storia. u.u Ringrazio tutte le persone che mi hanno recensito, per i loro complimenti e consigli *_* Spero tanto che questo capitolo sia gradito da tutti voi e spero che come lui tutti i precedenti e i prossimi °_°
Tra poco vi farò una bella sorpresina, ma dovete avere un pochino di pazienza *_*
Intanto vi lascio il capitolo e la musica di sottofondo XDDD

Tracks   Plumb - Hung On ( si di nuovo XD)
                 Kent - Somnen


Per il resto Buona lettura
Spero vi piaccia
Yu Lunae




Sesto Sigillo

Scomparsa



« Dannazione.» lo avevo già ripetuto due volte, ma lui non aveva ancora cominciato a parlare. Lui, che se ne stava fermo, in un angolo, con le braccia incrociate ad osservarmi inveire contro qualsiasi divinità a scelta. Ovviamente se quella era la situazione, era proprio loro la colpa di quello che mi stava accadendo. Coloro che venivano definite divinità.
« Puoi spiegarmi, per favore? » dissi senza nemmeno alzare lo sguardo verso il suo viso, lì atterrita dal terrore.
Ma lui rimase in silenzio, senza battere ciglio, senza nemmeno emanare un suono. Spostai la testa, in modo tale da poterlo guardare dritto in faccia, che distinguevo nettamente nonostante fosse ben lontana da me. Sempre la solita posizione, ma con un volto molto più burbero del solito.
« Puoi spiegarmi?» ripetei con un po' più di grinta, mentre mi alzavo e mi mettevo in ginocchio. Non ebbi da lui nessuna risposta. Lui continuava a guardarmi, e sembrava adirato. Adirato, lui? E allora io che cosa avrei dovuto dire? Cosa avrei dovuto dire? Io che ero stata trasportata da un momento all'altro, in mondi di cui non conoscevo l'esistenza. Io che avrei soltanto voluto vivere una vita tranquilla, andare a scuola e uscire con i miei amici. Senza quei tormenti, quelle continue visioni. Senza qualcosa di estraneo che ogni volta, disturbasse la mia quiete.
Ero io quella adirata.
Mi alzai di scatto, e comincia a correre verso di lui. Con violenza inaudita, e sicuramente non da me, afferrai il colletto della sua giacca di pelle rossa e, con tutta la forza che avevo, sbattei contro il muro. E lui me lo lasciò fare.
« PUOI?» gli urlai contro, con tutta la rabbia che avevo dentro, e la mia voce tradì una sorta di odio, che lentamente stava avviluppando i miei sensi.
Mi resi conto, del gesto poco carino che avevo compiuto, accecata dall'ira, non riuscivo più a controllarmi. lo lasciai e feci due passi indietro.
« Perdonami.» mormorai, scuotendo il capo, ma senza alzare lo sguardo nel suo.
Lui mi fissò per un paio di secondi buoni, con i suoi occhi azzurri e nitidi. Si allontanò dal muro e si risistemò il colletto della giacca, che io gli avevo sgualcito. Poi prese un sospiro profondo e sorrise sghembo, com'era solito fare lui.
« Sono rimasto sorpreso. Non mi aspettavo questo.» disse finalmente mentre mi osservava. Per un attimo, quando alzai il mio sguardo nel suo, mi parve di leggere timore, in quelle profonde iridi adamantine.
« Merek'na. » dissi. « Ha detto questo prima di sparire.Cos'è? » chiesi ora leggermente più pacata di pochi istanti prima.
« E' la lingua di Rederva. Significa, mietitore. » si limitò a dire lui, in modo esiguo. Io rimasi in silenzio, fiduciosa che avrebbe continuato da solo.
« I Merek'na, hanno il compito di eliminare le anime corrotte, quelle che fuggono da Rederva e si rifugiano qui, speranzose di non essere trovate.» si fermò facendo una breve pausa, mentre cercava di riordinare le idee, evidentemente per rendermi più semplice e comprensibile quella situazione.
« Quella che hai visto è un'anima fuggita da Rederva. Quelle come lei si chiamano Siderva, significa Larva Parassita. Sono anime parassita, cannibali in un certo senso. » storse il naso, disgustato. « Si cibano delle anime ancora legate ai corpi, anime vive e poi prendono il possesso del corpo ospite, al posto loro.» ancora una pausa e io lo lasciai continuare. Ero ferma davanti a lui e lo ascoltavo, con attenzione. « L'altra sera hai visto delle Siderva in due corpi umani. » ci pensai su un attimo, facendo mente locale.
« I due tizi? » chiesi io, ora che qualche ricordo era tornato Ero così impegnata a fuggire, che avevo veramente pochi ricordi di quei momenti.
Lui annuì, e poi tacque per qualche secondo.
« Ma non capisco perché tu. » disse poi, divenendo serio in volto, senza compiere un movimento, bloccandosi quasi tant'è che avevo dubbi sul fatto che respirasse ancora.
« I merek'na, sono sangue puro, sono originari di famiglie di Rederva. Tu...» premette tra loro le labbra. Sembrava non lo sapesse nemmeno lui.
« Io non dovrei...» lo aiutai sospirando.
« No.» confermò lui, secco.
Rimasi in silenzio a guardarlo, senza parole. Socchiusi gli occhi e poi, Sentii di nuovo le ginocchia cedere. Ero molto debole.
Lui mi afferrò quasi al volo. Ma il suo tocco, inspiegabilmente m'infastidii e lo respinsi, facendo altri due passi indietro.
« Parlami di loro. » dissi e il mio, sembrò quasi un comando.
Lui esitò, osservandomi, contrariato. Poi si raddrizzò, facendo qualche passo avanti, prendendo a gironzolare per la stanza. « Sono capaci di utilizzare il loro sangue come arma contro queste anime. Il loro sangue è l'unica cosa che può distruggerle. I Merek'na sono solitamente nobili di Rederva, nati con questa caratteristica e addestrati a combattere contro questi ribelli. È difficile riconoscerli, perché si travestono perfettamente nel ruolo dell'umano. L'unico modo per riconoscerli, è il simbolo che portano, un tatuaggio, come quello che tu hai sulla mano. » disse, fermandosi poi, per riprendere fiato probabilmente, o per permettermi di assimilare il tutto.
Inevitabilmente mi portai a guardare il palmo, ma non vidi nulla. Lui mi notò e sorrise appena.
« Compare solo quando il Merek'na lo richiama. Bella fregatura, no? » disse poi grattandosi la punta del naso. « Questi bastardi sanno come nascondersi bene. » mormorò inarcando un sopracciglio. Oh giusto, ora anche lei era una di loro. Un po' la infastidii quell'insulto gratuito ma si limitò a guardarlo male.
« Forse è per questo che vedo anche i semplici Derva.» dissi io, spostando lo sguardo su di lui.
« Può darsi.» annuì lui, mentre si avvicinava alla porta. La serratura esplose, e le ante si schiusero. « Tu sei un caso particolare, ragazzina. Per questo sono qui. »
« Kein.» Lo richiamai, e azzardai un passo in sua direzione, senza completarlo. Lui si voltò e con aria di attesa. Aspettava che gli parlassi.
« Io voglio... voglio riprenderla.» dissi, biascicando qua e la qualche parola. Lui aggottò la fronte smarrito.
« Voglio salvarla.» proseguii io. Lui evidentemente capì e mi sorrise annuendo. Poi scomparve, oltre la soglia, lontano dalla mia vista. Feci per fermarlo, ma evitai. Non era certo il caso, né il momento.


°°°

« Finalmente signorina!» disse Jade, quando mi vide arrivare da lontano. Mi sfuggii un sorriso vedendo la sua faccia buffa.
Notai con piacere, che al gruppetto si era aggiunta anche Greta, e sorrisi allietata, visto che non la vedevo da un po' oramai e vederla, mi piaceva piacere infondo. Dal giorno del discorso, per essere precisi.
« Greta, ci si rivede.» dissi io sorridendo.
Anche lei accennò un sorriso. « Piacere mio, cara. Come stai? L'ultima volta non ti ho visto molto in forma. » disse, dimostrando una certa loquacità per i suoi standard.
« Molto meglio, grazie. » dissi io annuendo. In realtà la situazione era, molto più incasinata di prima, ma questi erano, insignificanti particolari.
Lei di tutta risposa mi sorrise compiaciuta dalla notizia. « Bene, meglio così. » disse poi.
« Beh quel giorno, sarà stata l'emozione del momento. Non credevo lei fosse nervosa a tal punto.» interruppe Jade, mentre io inarcavo un sopracciglio. Beh meglio che la si pensi così, piuttosto che sappia il vero motivo dello svenimento.
La campanella delle due, ci avvertì che l'ora di pausa era terminata e che dovevamo rientrare per riprendere le lezioni.
Lo feci di malavoglia, ma m'incamminai con gli altri. Ero molto stanca e non avevo voglia di tornare a scuola, ma mi dovetti sacrificare, per altre due ore circa. Per mia fortuna, il tempo sembrò essere dalla mia e queste due ore passarono in fretta, senza intoppi di nessun genere, permettendomi di trascorrere alla meglio quella giornata che ormai stava sgusciando verso il termine.
Non lo rividi più quel giorno. Alle soglie del cancello, lo cercai con lo sguardo, indugiando su centinaia di volti. Ma in nessuno di questi riconobbi il suo.


°°°

Come al solito, la strada del ritorno, la percorsi insieme ai miei amici e come al solito, davanti casa mia, sia Jade che James, erano restii a lasciarmi, promettendomi di ammazzare quella vecchia gallina baffuta un giorno e inveendo in vari modi contro le mie sorellastre.
Entrai in casa, che fortunatamente era ancora vuota. Non c'era nessuno , dovevano ancora rientrare tutti, a parte il Signor Gray ovvio, che mi aspettava come al solito sulla soglia di casa, sorridente.
La loro assenza mi fece tirare un lungo sospiro di sollievo. Raggiunsi la mia stanza e, di gran fretta, mi fiondai sopra il morbido materasso del mio letto. Le lenzuola erano state evidentemente cambiate quella mattina stessa, perché profumavano di bucato. Una sensazione magnifica e disarmante. Erano le 16.20 circa.
Ero così stanca, che mi addormentai ancora con la divisa addosso.


°°°

Il mio risveglio non fu proprio uno dei migliori. Svegliarsi con la brutta e antipatica faccia di Lauren a due centimetri dalla mia, non è proprio il massimo.
Sbattei una paio di volte le palpebre per mettere a fuoco il suo viso ridacchiante, come al solito. Chissà cosa diavolo aveva in mente di chiedermi, o cosa stava per dirmi.
« Non hai nemmeno preparato la cena, sei proprio inutile. » Disse con una smorfia sprezzante dipinta sul viso.
« Perché, è ancora presto sono ancora le 6. » dissi io, convinta di aver dormito massimo un'ora. Ma non c'era nemmeno più luce ormai, e me ne accorsi in ritardo quando la mia vista si fece più nitida.
« Ma come lo hai visto l'orologio? Guarda che sono sono le 9 ormai.» Mi fece notare lei, alzandosi dal mio letto e avvicinandosi alla porta, dalla quale uscì lesta, sbattendosi la porta alle spalle e lasciandomi al buio.
Io balzai in piedi con così tanta foga che per per qualche secondo dovetti tener ferma la testa convinta che stesse andando per i fatti suoi. « Ahi.» mi lamentai, mettendo sul pavimento il primo dei miei due piedini. Avevo ancora le scarpe, non mi ero cambiata da quando ero tornata a scuola. Constatando questo, un sospiro rassegnato sfuggi alle mie labbra, mentre di evidente controvoglia, mi apprestai a raggiungere il corridoio, cercando la porta a tentoni e trovandola dopo una dolorante botta alla mano, così da scendere verso le cucine.

Vi Trovai il Signor Gray, visibilmente indaffarato con scodelle e posate. Ma nonostante questo, non disdegnò di voltarsi e sorridermi paterno, come faceva di solito. « Buona sera signorina. Ben sveglia.» disse poi e io ricambiai con un cenno del capo ed un sorriso ammaliato da quella sua adorabile gentilezza.
Cucinare non era proprio il forte del maggiordomo. Lo sapeva fare bene si, ma se lo faceva, raramente perché quella che d solito cucinava ero io, lo faceva di controvoglia. E lo faceva notare, visto che dalla sua faccia, si potevano immaginare le mille bestemmiacce che avrebbe voluto pronunciare contro tutti quegli affari, ma che ogni volta tratteneva per sé, com'era ovvio che fosse. Non sarebbe stato un comportamento da maggiordomo altrimenti. Sorrisi divertita vedendolo con quel broncio dispettoso e quindi mi decisi a intervenire.
« Lascia pure a me la cucina, adesso. » dissi quindi avvicinandomi ai fornelli. Lui mi sorrise e quello bastò a farmi comprendere la sua immensa gratitudine. Si allontanò subito dopo, per apparecchiare la tavola, lasciandomi sola, con i miei pensieri.
Mentre preparavo un po' di verdure grigliate, piatto semplice visto il poco tempo che avevo a disposizione, mi tornò alla mente la lettera di mia madre.
Ci pensai su, segnandomi come promemoria, quello di rileggerla appena possibile. Ora, con questi nuovi occhi, ci avrei capito qualcosa. O così speravo almeno.
« Muoviti signorina. Abbiamo fame. » disse Hanne dalla Sala Pranzo, provocandomi immenso fastidio con il solo suono della sua stridula e pacchiana voce. Brr.
Portai a tavolo la pietanze, piuttosto misere, visto i pochi minuti che mi erano stati concessi dalle tre. Il Signor Gray mi aiutò e mi lasciò sedere, servendo lui la maggior parte delle portate. Mi diceva sempre che non avrei dovuto permettere a quelle tre streghe di trattarmi come una cenerentola, perché su quella casa avevo più diritti di loro, ma io gli dissi che non mi importava fino a che mi lasciavano vivere come volevo io, che andava bene così.
Ma era davvero così che volevo vivere?
Domande troppo riflessive per la cena, che divorai in pochi bocconi, sia perché come mi premuro di sottolineare, le portate erano esigue, sia perché a pranzo non avevo mangiato nulla. Già il pranzo, quanti pensieri maledizione.
Sbuffai, infastidita da me stessa, alzandomi quando fui sicura che tutti avevano terminato. Come al solito tutte facevamo di testa nostra dopo cena. Potevamo uscire, ma solo io avevo il coprifuoco. Quando si tratta di pari opportunità. Hanne diceva che il coprifuoco era necessario visto che ero la più piccola. Ma con i miei diciassette potevo contare su di una maturità ben maggior della loro. Anche della matrigna cattiva. Un coprifuoco che ieri notte avevo rotto. Ma Hanne non mi stava dicendo nulla. Forse, c'era davvero cascata a quella sceneggiata della sera prima. Ne dubitavo. Ogni tanto la guardavo di sottecchi, sospetta, accorgendomi che anche lei faceva lo stesso, per poi distogliere lo sguardo.

Finito di ripulire tutto, mi ritirai nella mia camera. Ero sfinita si, ma avevo abbastanza forze da dedicare a Winslet, un po' del mio tempo prezioso. Erano giorni che non ci scrivevo su..
Winslet, il mio diario, dove avevo nascosto la lettera.
Mi recai nel suo nascondiglio, posizionato in una scatola, sotto l'armadio. Mi piegai verso il pavimento acquattandomi e allungando la mano sotto lo spazio vuoto tra il mobile e il terreno. Oltre che ad un bel pò di polvere, che mi ricordò che forse ogni tanto dovevo pulire anche lì sotto, trovai finalmente la scatola. Felice di ritrovarmela tra le mani, sciolsi il fiocco con cui era legato il nastro di raso rosso. Si era, una scatola Fai da Te, insomma, come i lavoretti che si fanno a scuola. Una scatola di legno sottile, che avevo decorato con vari disegni dei tovagliolini quando facevo il corso di decoupage insieme a ...James. Bei tempi quelli.
Lentamente sollevai il coperchio della scatola, attenta a non far uscire il nastro dai fori.

E poi...

...Il mio sguardo sfiorò il vuoto.

  
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