A volte le notti erano silenziose, ed era costretto a
passarle in solitudine, cercando un surrogato provvisorio di un sonno
ristoratore, concentrandosi con tutte le forze per ricordarsi come sognare – ed
era così difficile quando, al contrario, non riusciva a distrarsi dal respiro
irregolare di Edward, dal suo ansimare di paura nel sonno, il fruscio delle
lenzuola che si spostavano, sfregavano contro la sua pancia sempre nuda quando
si agitava per gli incubi; non riusciva a quantificare quanto avrebbe dato per
sentire i brividi delle dita gelide sulla propria pelle come poteva fare suo
fratello – suo fratello dal corpo tiepido sotto le coperte, suo fratello che
dormiva con la pancia esposta al freddo, lui che da piccolo aveva sempre le
mani gelide. E ora, ora com’erano le sue mani?
C’erano altre volte che, se avesse avuto un corpo, non
sarebbe riuscito a dormire comunque, perché il buio veniva invaso, saturato da
migliaia e migliaia di voci; erano acute, sottili, che diventavano gravi ed
isteriche ad intervalli irregolari. Queste voci parlavano in continuazione,
quando arrivavano. Si mettevano dietro di lui, gli stringevano piano l collo,
si appollaiavano sulla sua spalla, alcune gli cingevano la vita; entravano
nella sua armatura, accarezzavano la sua anima, si insidiavano come gocce di
pioggia.
È
colpa sua.
Lo guardava dormire, guardava le sue mani: erano
sicuramente dure, rovinate, ruvidissime. Eppure erano di carne. Guardò il suo
collo, i suoi capelli, i suoi occhi addormentati – cosa stavano dipingendo i
sogni sulle sue palpebre?
Sentiva urla, grida, disperazione nere, rosso sangue,
odore di bruciato.
Andate
via andate via andate via! Vi maledico, vi maledico, vi maledico!
Avrebbe voluto credere in qualcosa per pregare in
silenzio, singhiozzando e lacrimando, che se ne andassero, che lo lasciassero
in pace.
Tutte quelle voci avevano la sua voce.
È
colpa sua.
Avrebbe voluto delle pietre da mettersi dentro la testa,
agitarla, fare così tanto rumore da sovrastarle. Non sarebbe bastato.
Non serviva urlare, non serviva piangere, non serviva
pensare ad altro. Loro rimanevano lì dentro, tarli che continuavano a
mangiarlo.
Guardava Edward mugolare il suo nome nel sonno,
chiedergli scusa, sembrava stesse piangendo: questo lo fece esplodere di
rabbia.
Ti
maledico, ti maledico, ti maledico.
Non era lui a pensare questo, non era lui ad odiarlo, non
era lui che
Era
proibito, se lui non avesse parlato tu non avresti mai fatto niente, tu saresti
rimasto a piangere dieci giorni e ti saresti risollevato, è tutta colpa sua
Lo stava odiando, non era davvero lui che piano gli si
avvicinava e lo guardava – dormiva così pacificamente, le lacrime si erano già
asciugate, era così poco profondo il suo pentimento? –, no, non era lui che
stava stringendo le mani attorno al suo collo, non era davvero lui che
Ti
maledico ti maledico ti maledico
“Niisan.”
Non voleva svegliarlo, non voleva che lo guardasse, non
voleva che lo chiamasse – “Al? Che succede? È già mattino?”, idiota non ti
rendi conto di quello che sto facendo? –, non voleva stringere ancora più
forte, non voleva che
Stringi,
maledizione, spezzagli il collo, forse tu tornerai intero, potresti, no?
No, no, no, no, non aveva senso.
Oddio, cosa stava facendo?
Cosa stava pensando? Da dove veniva quell’odio?
Lui non odiava Edward.
Lo lasciò, si guardò le mani: erano piccole, nere,
sottilissime. Non erano le sue, non
Lasciaci
fare, Al, uccidilo, vendicati, non ti meriti di avere tu il corpo metallico, è
tutta colpa sua no? Perché devi essere tu quello che soffre di più?
“Al!”
Rumore di vetri rotti e di sangue che gocciola lo
risvegliarono dal coma. Edward lo guardava.
“Al, che cazzo stai facendo?”
Non voleva non voleva non
È
tutta colpa sua!
“No!!”
“No cosa, Al?!”
“Niisan, lasciami stare, ti prego lasciami stare e
dormi, io non—”
Scappò fuori, perché non poteva fare altro. Avrebbe
pianto per ore, se avesse potuto: il freddo di una sera d’inverno, si
ricordava, era pungente.
Tornò all’alba, quando Edward ancora ronfava. Fece
rumore perché la maniglia della porta non era ben oliata. Svegliò suo fratello,
che lo guardò.
Lui sorrise. Aveva i segni lividi attorno al collo. Ma sorrise
comunque.
Lo perdonò.
Il suo sorriso bruciò dentro Alphonse come cera.
“Buongiorno, Al. Spero sia stata una buona escursione.”
(Come
avresti fatto bene ad ammazzarmi. Perdonami, se puoi, di essere vivo.)
“… buonissima, niisan.”