Disclaimer: E’ tutta roba della BBC. Io ci
scrivo solo per diletto e senza alcun guadagno.
Beat the Clock
La fredda
brezza londinese di fine settembre s’infiltrò attraverso la finestra rimasta
socchiusa andando a svegliare un’inquieta Rose Tyler. Nonostante non facesse
realmente caldo, la donna di alzò di scatto dal letto, mandida di sudore, come
se fosse stata reduce da uno dei peggiori incubi della sua vita.
Da che
aveva conosciuto il Dottore le sue notti avevano iniziato a popolarsi di sogni
angosciosii, ma quando era in viaggio con lui sembrava che questi venissero in
qualche modo messi a tacere da una forza superiore, acquietandola e facendo
scemare la paura che s’impossessava di lei. Rischiare la vita ad ogni viaggio
era una perpetua scarica d’adrenalina, ma alla fine il suo corpo si sentiva in
dovere di protestare. C’era però sempre quella forza che aveva la meglio sugli
incubi, sui pensieri tristi e immagini capaci di tormentare chiunque. Di tutte
le possibili soluzioni a cui si era ritrovata a pensare, l’unica plausibile era
che fosse la stessa TARDIS a proteggerla, quasi volesse che lei restasse lì per
sempre. Lì col suo Dottore.
Rose si
passò una mano tra i capelli, scompigliandoli leggermente e si rigirò nel suo
lato del letto, mettendosi di fianco per poter osservare l’uomo placidamente
addormentato accanto a lei.
La stoffa
delle tende recentemente acquistate era troppo sottile per impedire alla luce
della luna – o forse sarebbe stato meglio dire dei lampioni – di filtrare
attraverso la finestra e i pallidi raggi andavano ad illuminare il profilo
dell’uomo, sottolineandone così ancor di più i lineamenti già di per sé
affilati.
Rose si
ritrovò a sorridere vedendo i capelli di lui ancor più scomposti rispetto al
solito: adorava vederlo alzarsi la mattina con una chioma che pareva essere
stata co-protagonista del Big Bang, il volto ancora assonnato, le labbra gonfie
e gli occhi un po’ impastati. Non che quella condizione – apparentemente misera
– durasse a lungo, ma per Rose quegli attimi erano meravigliosi. Perché in
fondo era durante la notte e di prima mattina che il lato prettamente umano del
suo Dottore aveva la meglio sull’energia di lui e quel pizzico – anche se forse
pizzico era un eufemismo – di follia che l’aveva sempre caratterizzato.
Bastava
una tazza di caffè – o English Breakfast rimasto in infusione molto a lungo,
forte e ricco di teina – a ridargli quell’aspetto da scienziato pazzo che in
fondo giustificava il suo impiego all’università presso la quale lavorava. Era
bastato mostrare la sua Carta Psichica per far credere a tutti di essere un
dottore laureatosi all’università di Edimburgo. Il suo accento del Nord era davvero marcato.
Era
diventato un dottore in fisica. Ne sapeva abbastanza su qualunque materia – lui
era il Dottore, lui sapeva tutto ed era anche molto intelligente – ma la fisica
era la sua forza e nessuno aveva fatto troppe domande. Neanche di perplessità
relative al nome John Smith che il
Signore del Tempo aveva voluto continuare ad utilizzare. Rose inizialmente
avrebbe preferito che si trovasse un’altra identità, ma poi aveva convenuto che
essendo lui il Dottore, l’unico nome
che lo potesse al meglio rappresentarlo agli occhi altri era proprio John
Smith. Anonimo e comune, l’esatto opposto
di ciò che era il Dottore. E Rose, in fondo, non aveva mai smesso di
chiamarlo così. Dottore. Lui era il
suo Dottore anche se, nel profondo del suo cuore, sapeva perfettamente che non
era lui al cento per cento. Avevano gli stessi ricordi, le stesse emozioni, lo
stesso modo di parlare, porsi e muoversi, ma Rose sapeva che l’uomo con cui
condivideva oramai la vita – e al quale mai avrebbe rinunciato – era… un uomo, per l’appunto, non il folle
Signore del Tempo che l’aveva portata con sé attraverso le epoche, il tempo e
lo spazio.
Teoricamente,
chiusasi la capsula temporale, Rose non avrebbe dovuto ricordare nulla come
accadeva a tutte le persone che assistevano alle mirabolanti imprese dell’uomo,
ma lei era stata una viaggiatrice del tempo e per questo le era concesso di
ricordare ogni singolo istante di ciò che aveva vissuto.
L’unica
persona che non avrebbe mai dimenticato nulla – da che aveva iniziato ad
esistere – era il Dottore.
E proprio
il Dottore, quello vero, le aveva fatto dono della cosa più preziosa che
possedesse: un se stesso umano in grado di vivere e morire esattamente come
avrebbe fatto lei. Nessuno avrebbe mai potuto cancellare dalla mente della
donna la prima volta che l’aveva incontrato, ancor prima di sapere chi fosse,
ancor prima di viaggiare con lui, quando credeva trattarsi semplicemente di un
pazzo che le aveva detto ‘Corri!’ per
salvarla dai manichini assassini. Il Dottore di cui si era innamorata era
diverso, non aveva quel viso, quei capelli, quei lineamenti lineari e quel
corpo così sottile, ma era sotto quelle spoglie e in quegli abiti eleganti il
cui effetto finale veniva rovinato da un paio di All Star – bianche o rosse –
che gli davano un’aria sbarazzina e folle, che aveva imparato ad amarlo.
All’inizio
– alla rigenerazione - aveva creduto di averlo perso per sempre, invece lui aveva
continuato a vivere. E dopo averla abbandonata per anni – ma in fondo cos’era
per il Dottore qualche anno? – era tornato da lei. Era tornato il Dottore e con
lui il suo clone mezzo umano e mezzo Dottore. Quel clone – o forse
semplicemente quel lato umano del Signore del Tempo – che sulla Dårlig Ulv
Stranden, la spiaggia in cui Rose anni prima aveva vissuto il peggior giorno
della sua vita – le aveva detto ciò che Lui invece non era mai riuscito a fare.
Non esplicitamente, almeno. Perché senza bisogno delle parole, le aveva detto
mille volte di amarla.
La
capsula temporale si era poi chiusa e il Dottore era sparito insieme a Donna.
Rose si
ritrovò nonostante tutto a sorridere. All’inizio non l’aveva creduto possibile:
come poteva una persona sdoppiarsi? Eppure aveva deciso di fidarsi un’ultima
volta di quel folle alieno che l’aveva conquistata con un sorriso e un ‘Corri!’… di certo non si era trattato
di un vero e proprio corteggiamento, ma le aveva proposto di viaggiare con lui,
lasciarsi alle spalle quella vita apparentemente oramai priva di senso e vivere
avventure che nessun essere umano avrei mai potuto vivere. Eccetto coloro che
venivano scelti dal Dottore, ma ai tempi lei non lo sapeva, Rose credeva che
sarebbe stato per sempre. Così però non era stato.
Comunque
si era fidata e, nonostante il clima su quella spiaggia non fosse dei più
allegri, tornati a Londra, Rose aveva rivisto in John il suo Dottore.
Era lui:
pazzo, malefico come un folletto, ma innamorato di lei.
Perché
glielo aveva detto. Lui, non il Signore del Tempo, ma il suo clone.
Lui le
aveva detto di amarla, di averlo fatto da che l’aveva vista, di non aver mai
smesso e che le due compagne di viaggio che erano venute dopo di lei erano
state una compagnia, ma non una compagna.
E come se
per tutti gli anni in cui era stata lontano da lui non l’avesse mai fatto, il
cuore di Rose aveva ripreso a battere, rendendosi conto che ora la sua vita
aveva nuovamente un senso. E per quanto un po’ alieno, un po’ umano, un po’
Dottore, quello era comunque l’uomo di cui si era innamorata. Con il vantaggio
che lui non avrebbe viaggiato attraverso il tempo e lo spazio come l’altro, ma sarebbe rimasto lì, insieme
a lei.
Rose si
avvicinò all’uomo che, inconsciamente, la strinse a sé nel sonno.
Lei
sorrise e appoggiò il capo sul corpo magro di lui; in quella posizione sentiva
il suo cuore battere. Un solo cuore, l’unico.
Come
unico era in fondo il Dottore.
Note dell’autrice:
Si, ecco,
allora… *pensa a cosa dire*
E’ una
storia sul Doctor Who. E’ una het. E’ anche un po’ triste in effetti – oltre
che forse un po’ poco originale, ma volevo scrivere di Rose che svegliandosi,
tornava a dormire accoccolandosi sul suo Dottore mentre sentiva battere il suo
unico cuore. Doveva essere una drabble *guarda il conteggio parole* ma
evidentemente non ci sono riuscita. It’s
bigger on the inside, prendetela così XD
Spero vi
sia piaciuta, a me – effettivamente – scriverla è piaciuto davvero un sacco :3