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Autore: Pharmakon    09/09/2010    1 recensioni
« Io voglio sapere perché non ha funzionato, tra noi. »
« Sembra quasi che tu te ne stia lamentando. »
Il silenzio annuncia soltanto una momentanea sconfitta – ed un morso d'orgoglio.
(Una perdita di tempo: trovare una fine a qualcosa senza inizio. Brian e Matthew, il piano si capovolge.)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Brian.M/Matthew.B
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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Ashtray heart.





« Io voglio sapere perché non ha funzionato, tra noi. »
« Sembra quasi che tu te ne stia lamentando. »
Il silenzio annuncia soltanto una momentanea sconfitta – ed un morso d'orgoglio.


L'acqua nel bicchiere è ferma; qualche onda, segno di vita della mano che lo avvolge, è la strana trasposizione della vibrazione che alberga nell'assetato. Brian è calmo, tanto da dare il disgusto; come un liquore che scivola lungo la gola senza affogare, nonostante la veemenza di chi vuole inghiottire ed andare avanti.
Sta solo osservando l'acqua nel suo bicchiere, perché di guardare Matthew non ne ha alcun interesse e voglia; è sufficiente che quel... castano?, ha finalmente optato per un colore decente, si sia intrufolato in casa sua durante una capatina a Londra.










Mezz'ora fa gli stava sbattendo la porta in faccia in un atto di gentilezza verso il suo sonno e prontamente il cantante ha osato un gesto degno di un cavalier servente.
Piazzare un piede a bloccare la porta prima che si chiuda – è quel che c'è dietro a rassegnare Brian: la determinazione che Matthew ha ogni volta di soffiare sulle torri di carta. Quelle che lui stesso costruisce, che Molko osserva nascere e morire.
Se tutto avesse avuto un senso, fin dall'inizio, forse avrebbe potuto davvero mandarlo al diavolo; ma non l'ha mai avuto, di conseguenza gli sembra una perdita di tempo cercare una ragionevole storia in quel gomitolo arruffato. Tanto vale giocarci, ogni tanto.
Ritrovarsi sul proprio divano, in vestaglia, con i capelli arruffati e ribelli davanti quel pessimo rappresentante dell'uomo – fresco e riposato, ma ancora privo di buon gusto estetico – non era quello che aveva previsto.
È solo un dettaglio, si dice. Sarebbe tornato comunque.


« Carina la casa. »
Uno dei due sta per scoppiare a ridere.
« Ho sonno, Matt. La conosci benissimo, la casa. »
L'altro deglutisce il doppio senso e qualche ricordo.






« Ti devo parlare. »
« Mh. »
« Brian, dico sul serio! Puoi stare fermo? »
« Oh, no. Non posso ascoltarti senza un caffè. »


Disgustosamente calmo.
È un'arma vincente e lo sa.
I due occhi azzurri spiazzati si posano finalmente su una figura intenta a compiere pochi e registrabili movimenti; sta davvero preparando il caffè che berranno e Brian è davvero bravo a fare il caffè, all'italiana. È forte, riempie una tazzina ed ha l'odore di un futuro imprevedibile.
In quel fondo, dove sono caduti, ci sono solo residui di scopate e momenti.



« Avresti potuto avere la decenza di telefonare, verso mezzogiorno. Ma no, ovvio: è una cosa troppo... sensata?, per te. »
È il solo commento che precede uno sbadiglio e causa una smorfia tra i due.
« No. Volevo parlarti di persona perché ho bisogno di vederti mentre lo faccio. »
Brian inarca un sopracciglio. Interessante, stavolta.
Certo, ricordare a Matthew che sono le tre di notte è inutile, lo sa – ecco, è proprio questo saperlo a renderlo calmo: l'aspettativa. Se fosse quella di una vita, a pensarci bene, sarebbe soddisfatto. E l'unico modo per liberarsi di lui è fargli da specchio.

Guarda, Bells, come sei prevedibile.


« Illuminami. »










« Voglio sapere perché non ha funzionato tra noi. »
Ecco arrivato il momento in cui Brian si gira, con un sorriso sprezzante verso un bambino che ha rotto una lampada vecchia. “Che importa, era vecchia e rotta”, è quel che dice un padre a suo figlio.
« Sembra quasi che tu te ne stia lamentando. »
È quel che dice un quarantenne ad un bambino.

Le labbra del trentenne si schiudono, spiazzate dall'impatto d'urto delle parole; tutta questa calma gli sta colando addosso come catrame e Matt boccheggia.
Si sta estinguendo.
« N-no... Io volevo solo dirti che... »


Guarda, guarda, come cade una meteora. Tu sarai al centro del cratere, vivo. Mai abbastanza, però.



« Cosa volevi dirmi, Matt? Mi spieghi cosa c'è da dire? Volevi dirmi che ti sei affezionato e che ci tieni a me? Che mi ami, addirittura? Dirmi che non si può continuare così, vedersi per minuti, fuggire e parlare al telefono? »
Neanche un ringhio.
« Ragazzino, sono le tre di notte e sono stanco. Non ho tempo per sostenere la terapia della tua ragazza. Cosa stai cercando di riversare in me? Una qualche insoddisfazione? A me pare che tu ti soddisfi bene. »








« Il caffè... »
« Prego? »
« Il caffè, è pronto. »
« Come pensavo. »






L'acqua entra in uno stato di quiete, sul tavolino del salotto, lasciata lì dalla mano traditrice – uno scambio di calore col caffè e la porcellana, uno scambio di sguardi tra i due cantanti, un baratto di rabbia.

« Dovevi parlare tu. »
Adesso si ritrova ad essere anche incoraggiante – quella posa innaturale quanto potrà durare, si chiedono.
« Avevo solo bisogno di vederti. »
« E di scopare. »
Primo schianto.






Tutto mi sembra un cerchio di bontà. Ed io sono al di sopra, dalle nuvole a guardare questi dinosauri morire.
Appena rido, si schianta una meteora.
E tu sei al centro – e vomiti te stesso.








« Io ho bisogno d'aver qualcuno vicino. Vicino! Non di... Di vivere con un cellulare. È uno dei motivi per cui sono andato a vivere in Italia quando Gai-
« Bellamy, a me non interessa ascoltare l'elenco dei tuoi sacrifici per la tua relazione. »
Ha ancora quel po' d'egoismo che lo mantiene tra cattiveria e l'identificazione dell'unica, vera relazione che quel ragazzino ha. Che lui non ha, e che non vuole.
« È per farti capire quanto sia importante, per me, il contatto. »
« A me pare d'averlo capito più volte. A fondo. »
« Brian, smettila con questa tua malizia. Sono serio. Lo vedi? Lo vedi come cazzo fai? Non parli mai. »
Sarebbe stato un ottimo momento per spalancare le labbra ed abbassare lo sguardo, per Molko; certo, se quella non fosse stata una routine.
Così, mentre uno stringe i pugni l'altro ride – è proprio questo “capovolgere il piano” che la critica non ha mai capito, sono tutti degli idioti.










« Dimmi, Bells, come ci si sente a volere di più? »
« Cos-? »
« Come ci si sente ad essere me? »
Matthew sente l'orribile sensazione d'essere stato inghiottito da un verme. E di sprofondare, giù nella terra, a respirare solo con la pelle.
Il terreno è secco.








C'erano parole che io pensavo e tu rigurgitavi, avevamo lo stesso stomaco vuoto ed annodato dal desiderio.
C'erano parole – che io digerivo, ma poi ti colavano di dosso e le inghiottivo ancora. Ma erano mie. E tornavano.
Adesso ti riversi su te stesso e sei soltanto il conato di vomito – di te stesso. Riporti a me tutto quello che ho divorato di te.
Ti contorci e stringi il ventre – mentre io, a digiuno, ti ascolto brontolare.









L'insostenibile è diventato leggero, come delle ali, come uno sguardo fugace; e gli occhi di Brian sono grigi ed hanno compreso il cerchio che regna attorno a loro – e la catena alimentare che ora lo vede in cima alla piramide, su cui Matt si arrampica e diventa un Sisifo felice.
Sale, e sale, con la sua palla di sterco e pretese e poi le lascia rotolare, lanciandosi all'inseguimento, lontano dalla cima dove picchia il sole.
La prima volta c'era cascato. Era bastato detestarlo, Bells, per quelle sue mani lunghe e magre e tutto il mondo a cui davano vita; ma le mani mentono e non parlano. Suonano. Ed è un egoismo privo di colpe.
Il numero di volte era diventato santo, una trinità perfetta: stupore, concessione e delusione; esattamente tre diverse fasi che avevano permesso al moro di capire che lui non era la coda inseguita e morsa dal cane.
Lui era esattamente al centro di quel girotondo. Così, aveva giocato sporco – ed aveva deciso di tagliargli la coda.



« Che cazzo dici, Molko?! »
« Quello che non sai risponderti. Puoi venire qui e scoparmi, ma non ti permetto di scaricarmi le tue incapacità. Fortunatamente per te, compensi tutto questo parlare con il sesso. »


Questa è bontà.
Brian, sei al di sopra. Al di sopra.







Il dialogo ha fatto suo il tempo, violentemente: ha inchiodato Matthew alla parete di un mobile, ed è bastato il fiato caldo di Brian, la tazza di caffè rotta al suolo, il contenuto versato e già sparso in indipendenti volontà a regalare una fonte lucida di verità: non c'è davvero bisogno che tutto questo abbia senso.

« Adesso esci di qui. E torna quando sarai morto di fame. »










Prima ti prendo la mano. Giriamo. Ti avvicini, ti bacio.
Poi ti mordo la lingua e – ti lascio. Ti schianti al suolo.
Vivo, al centro del cratere.
Ma non abbastanza
non
abbastanza
da vedere la fine di te stesso che ti inghiotte in fondo alla terra.
Ecco, le mie lenzuola rosse.















Questa storia non ha davvero nessuna motivazione in particolare; è stata scritta nel primo pomeriggio piovoso di oggi e resa decente e comprensibile da poco. “Comprensibile” è effettivamente un eufemismo.

Tanto per cominciare, non ha una situazione ben precisa, è più che altro una serie di scene che descrivono una “relazione” - che poi non lo è – circolare. Se ci fate caso, è proprio un cerchio. O meglio: ho tentato di strutturarla proprio come se si stesse leggendo un ciclo.
Brian è buono. Una bontà malsana che l'ha portato ad un silenzioso perdono interiore dell'animo volubile di un Matthew che non è capace di accusarsi apertamente in un rapporto a due. E visto che Brian sta zitto – questo particolare l'ho inserito leggendo le recensioni a “Bruised and Broken” dove si diceva “Di lui ne parlano come un tipo divertente, ma fatto anche di lunghi silenzi” - è facile riempire tutto con delle accuse.
È un concetto strano di bontà, quello di questa storia; è essere superiori, buoni, senza lasciarsi avvelenare dalla cattiveria, un buon senso malato, come si scopre dalla fine. Egoista. Ma, comunque, sempre al di sopra.

Ashtray heart” perché la frase finale richiama la canzone, precisamente qui: “Now watch the bedsheets turn blood red”. Se trovate un nesso con tutta la canzone, buon per voi, insomma.

Devo ammettere che mi è stata ispirata non solo dai ricordi di Camus, ma anche dal film che ho visto due volte ieri sera, “Chéri” - che, tra l'altro, vi consiglio.
Ah, il dialogo sul caffè non è per riempire/occupare spazio; ad essere sincera, questa storia prevede un sequel. Quindi, beh, quel dialogo serve a questo.
Io non so bene se riprenderò a postare più frequentemente ora che sono a casa, le vacanze sono finite ed ormai piove – nonostante mi piaccia di più la pioggia.
Ci provo. Per ora, mi sento appagata dal mio atto catartico. Non c'era nulla di bello da vedere, stasera.

E proverò a scrivere anche senza così tanti spazi. Anche se devo ammettere che in questa storia ci stanno dannatamente bene - lì dove non ho voglia di descrivere.


Ciao ciao. :D

  
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