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Autore: Rebecca_    10/09/2010    1 recensioni
I due si sorrisero. Per un attimo, Noah vide le guance di Alexis colorarsi un po’, ma forse era stata solo un’impressione. Eppure lei non parlava, semplicemente lo guardava. E lui non poteva che fare lo stesso. Ma ben presto quello sguardo non gli bastò più. Si avvicinò a lei, prima con cautela, poi, preso da un momento di coraggio, la baciò.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Forever and Always

Forever and Always.

Il suono della campanella annunciava la fine delle lezioni. Per sempre. Era la fine di un’epoca, la fine di anni trascorsi insieme, tra risate, allegria e cuori infranti, per amore o per amicizia. Erano successe tante di quelle cose durante quel periodo, ma un’unica costante era rimasta nella vita di Noah. Quella costante era una ragazza, Alexis. Lei era stata tutto per lui, un conforto nei momenti tristi, una compagna di divertimenti e di avventure. Lui l’amava, ormai l’aveva capito da un pezzo, ma non era ancora riuscito a farlo comprendere a lei. Avrebbe accettato i suoi sentimenti, tanto da ricambiarli, o li avrebbe semplicemente buttati al vento? Questo Noah non lo sapeva, ma doveva tentare, questo sì. Forse non aveva un tempismo perfetto, perché presto si sarebbero divisi perché lui andava al college, ma esistevano anche le relazioni a distanza, no? Potevano averne una anche loro, dopo tutto quello che avevano passato insieme, poi. Certo, sempre se lei avesse ricambiato.

- Noah, corri! – lo richiamò proprio quella ragazza dalle sue riflessioni.

Noah si precipitò da lei, capendo quello che voleva fare. Quella pazza, pazza ragazza.

- Alexis, ti avevo detto che era meglio…- ma era troppo tardi. Alexis aveva tirato fuori una bomboletta e aveva dipinto una bella faccina completa di linguaccia sul parabrezza di una macchina. La macchina della professoressa più odiata della scuola, ma pur sempre una professoressa, che, proprio in quel momento, stava uscendo da scuola. Sconvolta da quel gesto, ma troppo lontana per riconoscere chi l’avesse compiuto, lanciò un urlo che bloccò l’intera massa di studenti presenti.

- CORRI! – urlò poi Alexis, sorridendo soddisfatta.

Noah la seguì, non potendo fare altrimenti. Corsero, corsero a perdi fiato. Non avevano una vera meta, il ragazzo lo capì dalle svolte insensate che la sua amica compiva. Voleva solo allontanarsi il più possibile dall’oggetto del suo scherzo.

Finalmente si fermarono dietro un muretto, e Alexis iniziò a ridere a crepapelle. Noah avrebbe voluto guardarla male, farle capire lo sbaglio che aveva compiuto, ma quella risata era troppo inebriante, troppo perfetta per non avere risposta. Così, iniziò a ridere anche lui, nonostante il fiatone.

- Sei fortunata che non ti abbia riconosciuta – disse poi Noah, ancora ridendo.

- Hai ragione. Sennò avrebbe iniziato ad urlare il mio cognome come una sorta di inno satanico. Te la immagini? – e giù di nuovo a ridere.

Noah, esausto, si sedette a terra non appena realizzò di essere entrati in un parco. Alexis lo imitò e gli si sedette accanto.

I due si sorrisero. Per un attimo, Noah vide le guance di Alexis colorarsi un po’, ma forse era stata solo un’impressione. Eppure lei non parlava, semplicemente lo guardava. E lui non poteva che fare lo stesso.

Ma ben presto quello sguardo non gli bastò più. Si avvicinò a lei, prima con cautela, poi, preso da un momento di coraggio, la baciò. Lei non si mosse, sembrava scioccata, un sasso. Rendendosi conto dell’azione che aveva appena compiuto, Noah si ritrasse, imbarazzato come mai prima di allora. Senza riuscire a guardarla, si scusò per quel gesto improvviso. Alexis non rispose, ancora non riusciva a dire niente. Noah pensò di averla combinata grossa, di essersi giocato quell’amicizia così preziosa.

Avrebbe fatto meglio a non fare assolutamente niente. Non la voleva perdere, e il suo amore poteva trasformarsi in semplice affetto verso un’amica. Prima di allora non lo credeva possibile, ma ora, quando tutto era in ballo… Ma il flusso dei suoi pensieri fu interrotto. Alexis si era avvicinata, e gli aveva girato il viso con una mano sotto il suo mento.

- Stai zitto, per favore – e questa volta fu lei a baciarlo.

Noah era pazzo di gioia, non poteva crederci. Tutto quel tempo invano speso ad aspettare il momento giusto. Forse avrebbe dovuto farlo da tempo.

- Sai che dobbiamo parlarne – disse poi lei, dopo ore passate semplicemente stando insieme come da tempo avrebbero voluto entrambi fare.

- Sì, lo so. Presto non staremo più insieme e…-

- Io ti aspetterò. Ci saranno le vacanze, e tanti altri momenti in cui troveremo un po’ di spazio per vederci. So che hai tentato di convincermi a venire al college con te, e ora capisco il perché della tua insistenza, ma non sono fatta per essere rinchiusa tra quattro mura a studiare, lo sai. Ho già trovato una sistemazione, lavorerò nel negozio di mio padre fino a che non riuscirò a trovare un lavoro più appagante –

- Speravo ancora di poterti convincere, evidentemente no – rispose lui, con un sorriso amaro.

- Tu parti tra una settimana, anche se mi avessi convinta non saremmo stati insieme quest’anno. Mi dispiace, se tu non puoi sostenere una relazione a distanza, per me…-

- Alt, non ho detto questo. Come potrei fare senza di te che mi prendi in giro tutti i giorni? Non scherzare. Proveremo con una relazione a distanza –

- Proveremo – disse lei, con un sorriso melanconico.  Non ci credeva neanche lei alle sue parole. Sapeva come le relazioni a distanza finivano, perché mai l’aveva proposto? Ma ormai era troppo tardi per tornare indietro, e una piccola parte di lei voleva tentare, nonostante il cinismo dell’altra.

- Non importano le circostanze, la distanza, noi saremo sempre insieme. Te lo prometto –

- Te lo prometto anche io-

 

 

Era passato un anno da quel lontano ricordo della loro reciproca dichiarazione.  Noah aveva finalmente le sue vacanze estive, e non voleva passarle altrove se non con Alexis. In quei lunghi, lunghissimi mesi, i due si erano scambiate tenere lettere. Dapprima la corrispondenza era stata costante, ma ben presto si sentirono sempre meno spesso. Noah non sapeva se attribuire quel cambiamento ad una mutazione dei suoi sentimenti, o a quelli di lei. Aveva paura che la distanza avesse fatto del male a quella relazione che era nata da poco prima della sua partenza, ma Alexis non aveva dato dei veri e propri segni di ripensamento, e tantomeno lui. Si amavano ancora, di questo lui era convinto, ma conosceva anche la volubilità della sua ragazza. No, non ci voleva pensare, non poteva. Presto avrebbero sistemato le cose, si sarebbero ritrovati e il loro amore si sarebbe consolidato una volta per tutte. Avrebbero trovato quella sicurezza che già da tempo si doveva essere creata, ma che non ne aveva avuto il tempo.

Arrivò di buon ora nella sua città natale. Aveva viaggiato in macchina per tutta la notte, non voleva sprecare un singolo secondo: doveva rivederla.

Andò prima a casa dei suoi genitori, dove frettolosamente posò le borse, nella sua vecchia camera. Poi decise di andare a piedi fino a casa di Alexis. Sapeva che si era trasferita in un appartamento di un palazzo vicino al suo nuovo lavoro. Da tempo, infatti, aveva lasciato quello nel negozio del padre per diventare stagista in una rivista di moda locale.

Arrivato a destinazione, citofonò più volte, ma nessuno rispose. Evidentemente il citofono era rotto, perché i genitori di Alexis gli avevano assicurato che quella mattina l’avrebbe trovata. In effetti, uscire così presto di casa non era nelle abitudini della ragazza. Si fece quindi aprire il portone dai vicini di casa, poi salì in fretta e furia le scale. Ad ogni scalino salito, il suo cuore batteva sempre più forte, fremente di rivedere quei lineamenti che amava alla follia.

Trovò la porta di casa e suonò. Dall’altra parte non proveniva nessun rumore. Il senso di colpa di averla potuta svegliare iniziò a nascere dentro Noah, ma sapeva che si sarebbe fatto perdonare con la sua stessa presenza.

La porta finalmente si aprì, ma di fronte Noah non si trovò la dolce ragazza di qualche tempo prima.

- Chi sei? – chiese una voce roca, che proveniva dal ragazzo che si stagliava ora al di là di quella porta.

Noah non poté pronunciare parola. Sperò che fosse uno sbaglio, probabilmente non era quello l’appartamento giusto.

- Scusami, devo aver sba…-

- Tesoro, chi è? – era la SUA voce. Quella dolce, soave voce che riempiva i ricordi di Noah nella maniera più intima. Un abisso si aprì nel cuore del ragazzo.

Alexis arrivò alla porta, e quando riconobbe Noah, rimase esterrefatta. Neanche lei riuscì a pronunciare alcuna sillaba. Non se l’aspettava, e mai avrebbe voluto che accadesse una cosa del genere.

- Non lo so, ma credo che tu lo sappia meglio di me – disse il ragazzo, notando l’espressione di Alexis.

Noah avrebbe voluto picchiarlo, avrebbe voluto urlargli che quella era la sua ragazza, che era con lui che doveva stare, che era lui che si doveva trovare al suo posto in quel momento. Ma non ne aveva la forza. Si sentiva tradito, lacerato nel profondo. Non poteva, no, non poteva rimanere lì un istante di più.

Così corse, l’unica alternativa che gli rimaneva. Corse via, sperando che presto avrebbe trovato il coraggio di affrontarla. L’avrebbe trovato, ne era convinto, non era un codardo fino a quel punto, ma in quel momento non riusciva neanche a guardarla in faccia. La sua Alexis, l’unica ragazza che aveva riempito i suoi pensieri da ormai un anno, l’unica con cui si era trovato perfettamente a suo agio, l’unica che riusciva a rendere più felici i suoi giorni, a rendere felice lui stesso. Come aveva potuto fargli questo, proprio lei? Come l’avrebbe perdonata?

Era arrivato neanche alla fine dell’isolato, quando si sentì chiamare. Era lei, ma lui non poteva tornare indietro. La lasciò gridare il suo nome. Una volta amava sentirlo pronunciare da lei, ma ora ad ogni gridò sembrò arrivargli una coltellata nello stomaco. Non lo sopportava.

Rallentò quando non udì più la sua voce. Forse era troppo lontano, o forse Alexis aveva smesso da tempo di chiamarlo, ma la sua voce rimbombava nella sua testa di continuo. Non avrebbe saputo dirlo.

Tornò a casa. Quando non rispose ai suoi genitori, seppe che anche loro avevano capito. Probabilmente il dolore era scritto sul suo volto, e tutti potevano leggerlo liberamente.

Si buttò sul suo letto, quel letto che aveva anche condiviso con Alexis, prima di partire. Ogni singolo elemento che costituiva quella stanza, gli portavano alla mente lei. Avevano condiviso troppo, troppo per poter finire così. Non poteva crederci.

 

Passarono due giorni, durante i quali Alexis non aveva fatto altro che chiamarlo, ma lui non aveva mai risposto. Lei non voleva finisse così, eppure non poteva che colpevolizzare sé stessa. Da tempo voleva parlare con Noah a proposito di quel ragazzo, ma aveva rinviato ogni volta. Sapeva che lui ne avrebbe sofferto, e lei non voleva farlo soffrire. Così, invece, non aveva fatto altro che peggiorare la situazione.

Finalmente Noah accettò di vederla un pomeriggio. Si incontrarono nella piazza principale della città. Alexis aveva ripassato nella sua mente le parole da dire per tutto il giorno, ma quando lo vide, così abbattuto, così ferito, le mancò il respiro.

- Per favore, facciamo presto – esordì lui, senza neanche guardarla negli occhi.

Ad Alexis venne da piangere, ma resistette. Fece un bel respiro e parlò.

- Mi dispiace che tu l’abbia scoperto così. Sarà una frase fatta, lo so, è vero, ma è anche vero che non avrei mai voluto vederti in queste condizioni-

- Potevi pensarci prima – la interruppe lui.

- Lo so, lo so, non sono scuse, infatti. Non mi perdonerò mai, però tu devi capire. Eri distante, e non solo fisicamente. Nelle ultime lettere non eri più lo stesso, come anche io non mi riconoscevo più. I nostri sentimenti, se proprio non erano cambiati, si erano affievoliti. Siamo stati ingenui a pensare di poter durare anche così lontani –

- Ehi, sei tu che hai voluto provarci, io non ti volevo imporre niente, ma tu mi hai chiesto di provarci… Dannazione! Me l’avevi promesso, mi avevi promesso che mi avresti aspettato, che saremmo stati sempre insieme!-

Le lacrime iniziarono a scorrere sul viso della ragazza. Aveva ragione lui, e lei non poteva farci niente.

- Lo so, cavolo. Credi che io ci sia stata bene? Credi che per tutto questo tempo io abbia affrontato la cosa tranquillamente? Non volevo pensare a qualcun altro, eppure è successo. Mi ha colto in un momento di debolezza, e io ci sono cascata –

- Quando? – si azzardò a chiedere Noah, subito pentendosi della domanda.

Alexis sospirò.

- Un paio di settimane, forse tre. Ma ti prego, lasciami spiegare, ci tengo. Non voglio perderti, se non come ragazzo, almeno come amico –

- Sentiamo – in fondo, lui l’amava ancora, nonostante tutto. Come poteva negarle una cosa che desiderava ardentemente anche lui?

- E’ successo una sera, ero uscita con degli amici, e una mia amica aveva invitato anche lui. Sapevo di piacergli, ma fino ad allora non mi era minimamente interessato. Quello stesso pomeriggio, però, avevo ricevuto una tua lettera: era corta, insolitamente corta, e non mi dicevi più che il minimo indispensabile. Il mondo mi è crollato addosso, avevo capito che ormai era tardi, ti avevo perso. Invece lui era lì, mi dedicava attenzioni che da tempo mi mancavano, e mi parlò chiaramente: lui era interessato a me, ma sapeva della tua esistenza, quindi non si azzardava a fare niente se non fossi stata d’accordo anche io. Gli dissi che tra noi era praticamente finita, che avevo deciso di chiamarti il giorno dopo e lasciarti definitivamente, ma non lo feci. Mi mancò il coraggio. Lui questo lo capì più tardi, ma ormai ci frequentavamo già e non era disposto a rinunciare a me – aveva raccontato la storia tutta d’un fiato. Vide la reazione di Noah, e quasi si pentì di non averlo lasciato perdere, senza spiegazioni, senza dirgli niente. Quello che aveva fatto sembrava anche peggiore di quanto potesse immaginare.

- Tu lo ami? –

- Non lo so, ci ho pensato, ho pensato a quello che provo per te e quello che provo per lui. Non sono la stessa cosa, Noah, non puoi pretendere che ti dica che ti abbia completamente dimenticato. Provo ancora qualcosa per te, e non è un sentimento debole, è più forte di quello che mi lega a lui –

Noah non sapeva che dire. Era ovvio che neanche i suoi di sentimenti fossero cambiati. Alexis aveva smesso di piangere, ma lui sapeva che anche lei stava soffrendo, nonostante quello che aveva fatto. Avrebbe voluto abbracciarla, dire che andava tutto bene, ma qualcosa in lui, forse il suo orgoglio, glielo impedì. Lo aveva fatto soffrire, era vero, ma poteva perdonarla? Doveva prima chiarire un’altra questione, però.

- E ora cosa hai intenzione di fare? –

- Intendi… intendi dire che c’è la possibilità di poterci riprovare? – chiese Alexis incredula.

- Non lo so, ma se ci fosse? Lo lasceresti per me? –

- Sì –

Noah quasi non voleva sentire quella risposta. Avrebbe preferito che lei non provasse più niente, cosicché lui potesse sentirsi libero di odiarla. Ma non era un film, la realtà era diversa, più dura, più crudele.

- Ti lascio il tempo di lasciarlo, e ti chiedo la possibilità di poter digerire tutto questo. Domani, se ti va, possiamo provare ad andare a cena fuori –

Alexis era felice di quella proposta. Dentro di lei, ci aveva sempre sperato.

- Certo che mi va. Grazie… -

- Ti chiamo domani per accordarci, okay? –

- Okay –

E i due si divisero.

 

Quella sera stessa, Alexis fece ciò che doveva. Faccia a faccia con l’altro ragazzo, gli spiegò la situazione. Lui si arrabbiò, tentò di dissuaderla, ma quando capì che lei amava troppo Noah e non poteva fare niente per cambiare ciò, se ne andò rassegnato. Si salutarono con un addio. Alexis capì che non sarebbe più potuta tornare indietro, anche se il rapporto con Noah non fosse tornato quello di prima. Dentro di lei, qualcosa per quel ragazzo la provava ancora, ma Noah era più importante. Significava tutto per lei, ed era stata così stupida a pensare che non lo fosse più.

Noah, invece, fu invitato a casa di un vecchio amico. Anche lui aveva saputo la notizia, era una piccola città e le notizie giravano veloci, così aveva pensato di invitare Noah per tirarlo un po’ su di morale.

- Ehi, Noah, come stai vecchio amico? – lo salutò quando Noah fu arrivato a casa sua.

- Ciao Jim! Bene, bene –

- Seriamente? –

- Sì, oggi ho parlato con Alexis –

- Ah, e com’è stata la rottura? –

- Noi… non ci siamo lasciati – disse Noah, sapendo che l’amico non avrebbe mai approvato. Se l’era presa più di lui con Alexis, e lo aveva supportato in tutti i modi possibili.

- Cosa? Non voglio essere meschino, ma ti rendi conto di quello che ti ha fatto? –

- Sì, ma lei mi ama ancora, e io amo ancora lei. E’ complicato Jim, per favore, non ti ci mettere anche tu – lo pregò Noah. Non poteva sopportare anche la disapprovazione di un amico così importante per lui.

- Va bene, non mi metto in mezzo, vorrei solo non essere poi costretto a dirti “te l’avevo detto” –

- Non lo farai –

- Come vuoi tu – e l’argomento si chiuse lì, non fu più tirato fuori da nessuno dei due.

Ben presto arrivò altra gente, tutti vecchi amici, e alcuni di nuovi. Passarono la serata nel giardino della villa dei genitori di Jim, dotata di piscina e di tutti i comfort possibili. La musica era assordante, e le risate e le chiacchiere di tutte quelle persone non facevano che rendere più rumorosa la festa. A Noah, però, non dispiaceva distrarsi un po’, anzi, era proprio quello che gli ci voleva. Con tutto quel chiasso, gli era impossibile pensare, e riuscì anche a divertirsi.

- Oi Noah, ti andrebbe di andarmi a prendere un’altra birra? – gli chiese un amico a circa metà della festa.

- Un’altra Todd? Non starai esagerando? – lo riprese Jim.

- Certo, ma se non si esagera ora, quando? – e Todd scoppiò a ridere, supportato dagli altri amici.

- Vado, tanto ne volevo prendere un’altra anche per me –

E così si diresse verso l’angolo delle bevande, muovendosi con difficoltà tra la folla.

Prese le birre, però, urtò contro qualcosa o qualcuno, e rovesciò il contenuto dei bicchieri addosso a una ragazza.

- Oh, merda, scusami! – tentò di scusarsi lui cercando dei tovaglioli.

- E’ inutile che cerchi, mio fratello riesce a pensare a tutto tranne che agli oggetti di bisogno primario – disse la ragazza, guardando sconsolata la grossa macchia sulla sua maglietta.

Aveva detto “mio fratello”? Allora era la sorellina di Jim. Noah non poteva crederci, era da un mucchio di tempo che non vedeva quella ragazza. Lo sorprese vedere quanto fosse cresciuta.

- Erin? – le chiese, incredulo.

- Oh mio dio, Noah! – quasi gridò lei, sorpresa quanto lui da quel fortuito incontro.

- Da quanto tempo! Sei… sei cresciuta –

- Spero non sia una delusione – scherzò lei.

- No, assolutamente. Sei molto carina – Noah quasi si vergognò con sé stesso per quella rivelazione. In effetti, Erin aveva solo un anno in meno di lui, eppure quando frequentava ancora le superiori sembrava tanto più piccola.

- Che fai, ancora arrossisci di fronte alle ragazze?  Non sei cambiato per niente – ed Erin rise.

Noah pensò che aveva veramente un bel sorriso, gli apparecchi per i denti che aveva sempre portato erano serviti, alla fine.

- Mi dispiace per… ehm, la birra –

- Figurati, ti ricordo che questa è casa mia. Anzi, perché non mi accompagni un attimo? Vado a cambiarmi, ma ho paura di perderti ed è da troppo tempo che non ci vediamo. Ci dobbiamo fare una bella chiacchierata –

- Hai ragione, qui è un vero casino, andiamo –

E così i due entrarono in casa. Si diressero al piano di sopra, lungo il corridoio dove si trovavano le stanze di Jim e di Erin. Quest’ultima fece strada nella sua camera.

- Nonostante conosco Jim da una vita, in camera tua non ci sono mai entrato. E’ strano –

- No, non è così strano. Perché mai saresti dovuto entrare? Ero solo una piccola secchiona, quale strano interesse avrebbe dovuto portarti qui dentro? – ironizzò lei, entrando nel suo armadio per cambiarsi.

Noah rise per quella descrizione di sé stessa. In realtà era quello che anche lui aveva sempre pensato, ma non lo ammise.

Erin si cambiò la maglietta, non preoccupandosi della presenza di Noah, che poté intravederla tranquillamente. Lui si imbarazzò della situazione, ma allo stesso tempo provò qualcosa. Forse era solamente una risposta biologica al suo essere uomo, non poteva credere di essere veramente affascinato da quella ragazza.

- Che fai lì ammutolito? Dai, raccontami qualcosa! – lo incitò lei, sedendosi sul letto, accanto a lui.

- Non saprei cosa dirti… - si sforzò di parlare lui, quasi sconvolto da quell’intimità che a lei sembrava venisse tanto naturale.

- Beh, un argomento di cui mi potresti parlare c’è… Scusa la schiettezza, so che non sono affari miei… -

- Parli di Alexis? – chiese lui riacquistando la padronanza di sé e quasi tornando alla realtà.

- Oh, scusa, immagino che tu non ne voglia parlare. Errore mio, sono una stupida, scusa – chiuse subito il discorso Erin, vedendo il volto di Noah rattristarsi improvvisamente.

- No, tranquilla. E’ solo che non è proprio un argomento piacevole, diciamo così – tentò di sorridere lui.

- Allora possiamo anche evitarlo accuratamente, d’ora in poi – disse lei sorridendogli tranquillamente.

- Mi sembra una buona decisione. Raccontami tu qualcosa! – piano piano anche Noah riusciva a sentirsi a sua agio con quella ragazza. Era così spigliata, così sorridente che divenne un piacere parlarci.

- Beh, vediamo, posso dirti con convinzione che io ho chiuso definitivamente con i ragazzi –

- E perché? – chiese Noah, sorpreso dalla serietà con cui Erin lo disse.

- Perché non ho avuto dei bravi ragazzi ultimamente, e ho capito che non ne esistono –

- Mi sento offeso – sdrammatizzò lui.

- Non fare l’angioletto, che ne hai combinate di grosse anche tu, e neanche tanto tempo fa. Comunque certo, non intendo proprio la stessa cosa – e l’aria di Erin si fece più seria.

- Che vuoi dire? –

Per Erin era ancora difficile parlarne, anzi, praticamente impossibile. Non si era mai aperta come si stava accingendo a fare in quel momento. Tutti, ormai, conoscevano quella storia, ma nessuno l’aveva mai sentita direttamente da lei, neanche i suoi genitori o Jim. Così, la ragazza fece un bel respiro, e cominciò.

- Ecco, un anno fa, più o meno, ho tolto apparecchio e occhiali, ho deciso di dare una sorta di svolta alla mia vita. Mi ero stufata di non venire considerata, soprattutto dai ragazzi. Ne soffrivo, e quindi decisi di cambiare. La natura sembrava essermi venuta incontro, visto che quasi contemporaneamente sono diventata più matura anche fisicamente, ma poi ho capito che si preparava a farsi beffe di me –

Noah poté leggere la difficoltà con cui Erin parlava sul suo volto. Era successo qualcosa di grave durante la sua assenza, qualcosa che probabilmente nessuno aveva ancora sentito raccontare in quel modo. Era la prima volta che lei lo stava raccontando, e Noah lo poté capire da un solo sguardo. Dopo una breve pausa, Erin continuò.

- Tornata a scuola dopo le vacanze, nessuno credeva nel mio cambiamento, rimasero tutti stupefatti. Ben presto cominciarono ad arrivare inviti da parte dei ragazzi, ma io non ero pronta. Nessuno di loro mi piaceva, mi trasmetteva quello che… - ed Erin guardò di sfuggita Noah, uno sguardo che il ragazzo aveva quasi paura ad interpretare. – Quello che avevo bisogno di sentire. Ma poi capii che se non ci provavo neanche a conoscere qualcuno, tutta la fatica sarebbe stata inutile. Così, accettai un invito. Il primo appuntamento sembrò quasi perfetto, come anche il primo bacio… - Erin scoppiò a piangere al solo pensiero.

Noah l’abbracciò, ma lei si scansò quasi subito.

- Scusami, è solo che il pensiero fa ancora male, ma ho bisogno di parlarne con qualcuno e con te… non so, mi riesce facile. Scusa, non è proprio come cambiare argomento –

- No, per favore, continua. Non ti preoccupare di piangere, io sono qui, stai tranquilla – e le regalò un sorriso di incoraggiamento.

Erin ricambiò quel sorriso. Questa volta era lei quella che mostrava della timidezza. Sospirò, e continuò.

- Ben presto le cose precipitarono, dopo quell’uscita. Iniziò ad assillarmi con il voler andare a letto con me, e ad una festa tentò anche di obbligarmi. Per fortuna la mia migliore amica mi aveva seguito, prevedendo cosa lui volesse veramente, e mi sentì urlare, così entrò nella stanza prima che… prima che potesse accadermi qualcosa. – un’altra lacrima rigò il volto di Erin, ma prontamente Noah le strinse la mano, così lei continuò. – Non uscii più con nessuno, promisi a me stessa che se mai ci fosse stato qualcun altro, prima di uscirci l’avrei dovuto conoscere meglio. Un giorno arrivò un nuovo ragazzo a scuola. Un’amica me lo presentò, e mi incoraggiò a conoscerlo. Mi disse che sembrava perfetto per me, e che era arrivato il momento che io voltassi pagina. Purtroppo, però, anche lui si rivelò un verme. Aveva lo stesso unico pensiero nella testa, ma fu più furbo. Non mi chiese mai niente, così io mi sentivo perfettamente al sicuro con lui. Una sera uscimmo, e lui si appartò vicino ad un bosco con la sua macchina. Ti lascio immaginare cosa volesse fare, mi sentii persa, non avevo vie di fuga. Fui fortunata anche in quel caso, una macchina passò, lui si distrasse e io potei scappare. In quella macchina c’era Todd, che mi aiutò, ma lo sai com’è fatto e non si limitò a farmi salire in macchina. Lo picchiò finché non si sentì soddisfatto, ma almeno servì a non farsi più vedere. Ha anche cambiato scuola, e da allora ho definitivamente chiuso con i ragazzi, e le cose vanno per il meglio. – Erin si asciugò le lacrime e tentò di sorridere.

Noah fu sconvolto da quel racconto. Era preoccupato per lei, sembrava che avesse superato tutto questo, ma forse non era poi così vero. La spensieratezza con cui si era rivolta a lui era solo una facciata, dietro c’era tanto altro.

Preso da uno strano impulso, Noah l’abbracciò. Questa volta lei si lasciò andare, ricambiò l’abbraccio, ma non pianse più. Entrambi si sentirono straordinariamente bene. In quel contatto d’amicizia c’era tutto: disperazione per il passato, speranza per un futuro migliore, sentimenti contrastanti.

Ci fu un attimo, quando si sciolsero da quell’abbraccio, in cui entrambi furono sicuri che sarebbe successo qualcosa di più. Uno sguardo che dava all’altro la sicurezza che ci sarebbe sempre stato, che la loro unione era la cosa più semplice al mondo. Ma quel momento svanì. La realtà li riportò in quella camera, al chiasso che proveniva da fuori, ma soprattutto da Jim che in quel momento entrava nella stanza.

- Ecco dov’eravate! Todd stava ancora aspettando la sua birra –

- Oh Jim, scusa, è che mi dovevo cambiare…-

- Le ho versato inavvertitamente la birra addosso – spiegò Noah.

- Sei sempre il solito sbadato – lo prese in giro Jim, e tutti e tre tornarono alla festa.

Noah ed Erin furono costretti a non parlarsi più. Il primo era richiesto dai suoi vecchi amici, mentre l’altra era impegnata con le sue amiche.

Il resto della serata passò tranquilla, di nuovo tra risate e un’armoniosa allegria quasi surreale.

Qualche ora dopo, la casa era vuota. Solo Noah era rimasto, per aiutare gli amici a mettere a posto.

- Grazie dell’aiuto Noah, ma sinceramente sono troppo stanco io stesso. Vai pure a casa – gli disse poi Jim.

- Beh, io il mio dovere da amico l’ho fatto, accetto con piacere l’offerta –

- Ehi, non ti ho mica detto che non ci devi più aiutare! Ti aspettiamo domattina! –

- Come non detto – disse Noah ridendo e dirigendosi alla porta.

- Aspetta, ti accompagno – lo richiamò Erin.

I due si diressero silenziosamente verso la macchina di Noah, dove poi si fermarono.

- Senti, domani sera c’è una festa a casa di una mia amica, se vuoi… se non hai niente da fare, sì insomma, potresti venire – gli propose finalmente lei, imbarazzata.

- Che fai, ancora arrossisci di fronte ai ragazzi? – scherzò lui, sorridendo dell’imbarazzo della ragazza.

- Stupido – disse lei dandogli giocosamente un pugno.

- Mi dispiace, ma domani sera ho da fare, devo vedere Alexis – perché si era lasciato sfuggire anche quel dettaglio? Non era assolutamente necessario che lo dicesse. Eppure, non dirlo gli sembrava come mentirle.

- Ah, non pensavo… non avevo capito che stavate ancora insieme – disse Erin, evidentemente sorpresa.

Non ci aveva pensato. Era convinta che, dopo quello che il fratello le aveva raccontato, Noah ed Alexis fosse ormai un argomento superato. Pensava che Noah non sarebbe mai stato in grado di perdonarla, lei non lo avrebbe fatto.

- E’ complicato – si scusò lui.

Perché poi doveva trovare una scusa? In qualche modo non gli sembrava giusto. Era come se i pezzi di un puzzle fossero forzati ad incastrarsi come voleva lui, e che Erin lo avesse capito e, per questo, potesse giudicarlo male.

- Cosa c’è di complicato in una ragazza che ti tradisce? –

Non riuscì a trattenersi. Non capiva. Non capiva perché lui ci tenesse così tanto a quella ragazza, anche dopo una cosa del genere.  Nonostante Noah si indispettì per quella domanda a bruciapelo, e gli si poteva leggere in faccia, Erin non si scusò né si pentì di avergliela fatta. Lo guardava dritto negli occhi, sicura delle sue convinzioni. Noah si sentì a disagio. C’era una piccola vocina dentro di lui che gli diceva che le doveva delle spiegazioni, perché la sua domanda era perfettamente legittima. Ma sapeva che non aveva una vera e propria risposta, e il suo orgoglio ne stava risentendo troppo.

- Non sono affari tuoi –

Fu freddo, distaccato. Improvvisamente, non era più il Noah che le era stato vicino quella sera. Non era più il Noah che segretamente amava da anni e che non aveva più dimenticato, al contrario di ciò di cui era convinta. Quella serata era stata una rivelazione più per lei che per lui. Erin sapeva che da quando era piccola, quell’amico di suo fratello aveva sempre avuto un posto speciale nel suo cuore, ma solo quando fu più grande capì cosa davvero significavano i suoi sentimenti. Ormai era arrivata nell’età in cui ci si aspetta di trovare un ragazzo, in cui si immaginano mille situazioni in cui darai il tuo primo vero bacio. Erin immaginava sempre Noah in quel ruolo, immaginava sempre che sarebbe stato lui il primo. Ma lui aveva mille ragazze, poteva scegliere chiunque, come poteva decidere di stare con lei, o perlomeno di accorgersi di lei? Era così brutta, ed era solamente considerata la sorellina di Jim. Non era attraente, nonostante fosse poco più piccola di lui. E poi si seppe che era successo qualcosa di importante nella cerchia di amici del fratello:  Noah aveva dichiarato il suo amore ad Alexis, e lei lo ricambiava. Era una cosa seria, questa volta.

Erin non aveva reagito bene, per un po’ si sentì distrutta, non sapeva cosa fare. Poi prese una decisione, la decisione che cambiò tutto. L’arrivo del momento in cui avrebbe tolto l’apparecchio fu il principio di tutto, un avvenimento fortunato che la incoraggiò. Così cambio, da Erin la piccola secchiona era, a poco a poco, diventata un ragazza degna di essere notata da tutti. Ora era carina, vestiva in modo provocante se voleva, e pochi la consideravano ancora la brutta sorellina di Jim. La reazione degli amici del fratello alla vista del suo cambiamento, infatti, fu la prova che aveva funzionato, che gli sforzi fatti ne erano valsi la pena.

Rimaneva solo il buco lasciato da Noah da risanare, e ci provò, ma purtroppo la vita non le sorrise da quel punto di vista. Era come se l’avesse condannata per l’aspetto che le aveva donato. Eppure pensava di esserselo lasciato alle spalle. Erin veramente credeva che Noah non l’avrebbe più sconvolta con il suo sorriso gentile e la sua goffaggine. Sbagliava, e lì, di fronte a casa sua, lasciata sola proprio da Noah, capì che i suoi sentimenti non erano mai svaniti né cambiati. Anzi, ora erano tornati, più forti di prima. E aveva appena combinato un gran casino.

 

Noah tornò a casa confuso quella sera. Confuso da sé stesso, dai sentimenti provati quella sera, e da come se n’era andato. Non era da lui reagire in quel modo, solo l’orgoglio l’aveva portato a trattare così male Erin. Erin, che non gli aveva fatto niente se non aprirsi con lui, dimostrargli la sua fiducia. Una fiducia che però non poteva essere nata dal nulla. Era strano, Noah non aveva mai avuto grandi rapporti con quella ragazza, nel passato, era sempre stata la sorellina del suo migliore amico, ci scambiava qualche parola quando lo andava a trovare, ma niente di più. Quell’attimo che avevano condiviso doveva avere un significato, e di certo non poteva addurne la nascita dal loro incontro di quella sera. No, c’era qualcos’altro, qualcosa che in tutti quegli anni gli era sfuggito, ma che ora sentiva il bisogno di scoprire. Non sapeva spiegarsi il perché, ma sentiva che Erin stava diventando qualcosa per lui. Qualcosa di cui forse aveva anche paura. No, non poteva pensarci. L’indomani doveva incontrarsi con Alexis e sistemare le cose. Poi gli tornò alla mente, non senza un certo nervosismo, forse più di quello scatenatogli dal pensiero di incontrare Alexis, la richiesta di aiuto di Jim. L’indomani era anche costretto a tornare da lui, e a vedere Erin. Almeno avrebbe potuto chiarirsi con lei. Sì, le avrebbe chiesto scusa, e per il resto avrebbe fatto finta di niente. Sempre se lei glielo avrebbe permesso. Era così sicura di sé quella ragazza che si poteva solo ammirare. Nonostante le difficoltà che aveva incontrato, riusciva ancora a sorridere, e il modo in cui sorrideva, specialmente a lui, toglieva il respiro.

 

La mattina dopo, Noah si svegliò tardi, visto che era riuscito ad addormentarsi solo verso le cinque. Fece una rapida colazione, e si diresse comunque da Jim. Quella notte aveva trovato le parole giuste per scusarsi con Erin e allo stesso tempo evitare un vero e proprio chiarimento, almeno per ora.

Arrivato a destinazione, quasi ci rimase male che ad aprirgli venne il suo migliore amico.

- Ma buongiorno! – lo salutò lui.

- ‘Giorno. Scusa se sono arrivato così tardi, ma non sono riuscito a dormire molto stanotte –

- Figurati, io mi sono appena svegliato – e infatti Noah notò che era ancora in pigiama.

- Vatti a lavare, va’. Intanto io inizio a sistemare un po’ –

- Grazie mille, che se i miei tornano e trovano questo disastro, mi fanno nero. Almeno ci sei anche tu –

- Perché, Erin dov’è? – chiese sorpreso Noah.

- Da un’amica, credo. Ha blaterato qualcosa prima di uscire, ma io ero ancora a letto. Non potevo prestarle troppa intenzione, proprio in quel momento stavo incontrando Megan Fox –

- Ah – disse semplicemente Noah, sorridendo, falsamente disinteressato.

E così i due ragazzi passarono la restante mattinata e buona parte del pomeriggio a mettere in ordine la casa. La festa aveva fatto anche dei danni, trovarono dei mobili scheggiati e una lampada rotta, ma niente che non si potesse risolvere, per grande fortuna di Jim. L’unica cosa è che c’era la lampada da ricomprare.

- Quando tornano i tuoi? – gli chiese Noah.

- Tra poco, merda! Se non mi trovano in casa capiranno che c’è qualcosa che non va, e di certo non posso tornare con una lampada nuova – e Jim rivolse uno sguardo significativo all’amico.

- Ho capito, ci vado io, così tu distrai i tuoi ed io metto la lampada al suo posto –

- Vedo che ci capiamo, amico mio. Dai, che è già tardi – e gli tirò le chiavi di casa, cosicché non sarebbe stato costretto a suonare per rientrare.

Uscì di corsa. Per fortuna frequentava quella casa da anni e conosceva alla perfezione l’aspetto di quella lampada, che in realtà non era la prima volta che ricompravano dopo una festa.

 

Fece prima di quanto pensasse, così non doveva sbrigarsi per tornare a casa e prepararsi per la cena di quella sera. Si era accordato con Alexis che non la sarebbe passata a prendere, ma si sarebbero incontrati direttamente al ristorante, era meglio non forzare troppo le cose. In questo modo, però, non poteva contare sul ritardo di Alexis, e così era costretto ad essere lui stesso in perfetto orario.

Arrivò a casa di Jim. Faticò per inserire correttamente la chiave nella toppa, e qualcuno doveva averlo sentito mentre tentava di entrare, perché la porta si aprì.

- Noah! – era Erin.

- Oddio, meno male che sei tu, per un attimo ho temuto fossero i tuoi –

- Ma che diavolo stai facendo con una… lampada? – la ragazza era veramente confusa.

- E’ una storia lunga. I tuoi sono in casa? –

- Sì, sono appena tornati, ma sono di là con Jim. Non ti devono vedere, immagino –

- Esattamente – disse Noah sorridendo imbarazzato.

- Va bene, entra – disse Erin ridendo.

I due riuscirono a posizionare la lampada silenziosamente, quando Noah inciampò in un filo e cadde rumorosamente a terra, portandosi dietro anche la lampada, che però gli cadde tra le braccia e riuscì a salvarsi.

Erin scoppiò a ridere quasi simultaneamente, e tutto quel baccano attirò l’attenzione di Jim e dei suoi genitori.

- Noah? Cosa ci fai qui? – chiese la madre di Jim sorpresa, mentre lo aiutava a rialzarsi.

- E cosa stavate facendo con la lampada, soprattutto? – chiese l’uomo, rivolto invece alla figlia.

- Niente, papà. Ho chiesto a Noah se mi poteva aiutare a cambiare la lampadina con una di quelle che consumano meno ed è… inciampato – trovò una scusa Erin, mentre tentava di trattenersi da altre risate.

Noah era estremamente imbarazzato. Non era proprio un bellissimo modo per rincontrare i genitori del suo migliore amico, e soprattutto aveva fatto un’enorme figuraccia di fronte ad Erin, anche se lei sembrava trovarla particolarmente divertente.

- Scusate signori, ma non posso trattenermi. E’ stato un piacere rivedervi, arrivederci –

- Ciao figliolo – lo salutarono entrambi.

- Ciao Noah, e grazie per le grasse risate – lo salutò Jim facendogli l’occhiolino.

- Di niente – poi Noah si rivolse con voce bassa ad Erin. – Mi accompagni? –

Erin lo seguì silenziosamente, sotto lo sguardo confuso  del fratello.

Anche questa volta arrivarono fino alla macchina di Noah.

- Se non mi devi dire niente, non voglio farti fare tardi. Ci vediamo – disse Erin, imbarazzata, confusa e con l’unica volontà di tagliar corto per non vederlo più.

Noah le afferrò un braccio.

- Aspetta, ti volevo chiedere scusa –

Erin lo guardò negli occhi. Era strano come anche lui la guardasse, quasi come se volesse dirle più di quello che stava dicendo.

- Scusa per cosa? Sono io che ho esagerato, non dovevo permettermi di dirti una cosa del genere – disse la ragazza gravemente.

- No, ne avevi tutto il diritto. Non so bene perché, ma sento che ti devo delle spiegazioni. Ma non qui, non ora e soprattutto non prima che abbia visto Alexis –

Erin era sempre più confusa. Cosa volevano dire quelle parole? Allora era vero che c’era dell’altro.

- Okay, ti scuso, ma tu scusa me, per favore –

- Ti ho detto che non c’è niente di cui scusarti, ma se ci tieni va bene. Amici? – disse lui porgendole la mano.

- Amici – disse lei, ricambiando quel gesto.

Nessuno dei due, in verità, credeva in quella parola. Amici? Lei sapeva di non poter mai essergli solamente amica, e lui sentiva che c’era di più, che quella parola non esprimeva ciò che provava. Ma per ora se ne dovevano accontentare. Si sorrisero e si lasciarono.

L’ora dell’appuntamento tra Alexis e Noah arrivò prima del previsto. Quando Noah arrivò, Alexis era già al tavolo. Era arrivata in anticipo, l’impazienza l’aveva portata a prepararsi prima del dovuto e, una volta finito, non sapeva cosa fare. Così aveva deciso di uscire e andare direttamente al ristorante, senza perdere tempo in casa, dove l’ansia non faceva che peggiorare. Al ristorante, almeno, poteva distrarsi guardando gli altri presenti.

Quando si incontrarono, i due si sorrisero. Noah ritrovò tutto il piacere di parlare con lei, il piacere di scambiarsi sguardi, di sorridersi. Alexis, invece, non poteva credere di aver potuto pensare di rinunciare a tutto questo. Noah era il suo mondo, il resto non era niente a confronto. Si erano allontanati solamente perché non avevano passato abbastanza tempo insieme come una coppia, ora lo capiva.

Scherzarono, risero, come vecchi amici che si rincontrano dopo tanto tempo, troppo.

C’era qualcosa che però non andava, Noah lo capì quasi subito. Sì, stavano ricordando i vecchi tempi, ma come se ormai fossero persone diverse. Se volevano veramente riprovare a stare insieme, dovevano imparare a conoscersi di nuovo, come fosse la prima volta.

- Allora, che ne dici di questa serata, come sta andando? – gli chiese Alexis quando arrivarono al dolce.

- Piuttosto bene, direi – rispose lui con un sorriso.

- Quindi pensi… Pensi di potermi perdonare? – azzardò a chiedere lei.

Noah si fermò un attimo a riflettere, mentre giocava con il cucchiaino e spostava un pezzo di frutta dalla torta.

- Io credo che sia meglio azzerare tutto. Ero convinto che l’Alexis con la quale stavo insieme non mi avrebbe mai fatto una cosa del genere, è ovvio che tu non sei più quella di un tempo, ma in fondo non lo sono neanche io –

- Non capisco – lo interruppe Alexis, confusa da quelle parole.

- Sto semplicemente dicendo che siamo cambiati –

- Io non sono d’accordo, – replicò lei. – noi siamo sempre gli stessi, è semplicemente che ci è sfuggito dalle mani quello che avevamo –

- Sfuggito dalle mani?! – Noah sorrise ironico. – Me lo chiami “sfuggito dalle mani”? Sei andata a letto con un altro per due settimane, e se non fossi tornato per chissà quanto altro tempo –

Alexis si sentì ferita da quelle parole. Credeva che Noah non pensasse così male di lei, credeva invece che lui capisse che era stato un errore che neanche lei si riconosceva, di cui lei stessa si pentiva.

- Ti ho implorato di perdonarmi per questo, sai che non l’ho fatto con la volontà di ferirti, anzi, ero convinta che il nostro rapporto fosse ormai finito –

- Hai fatto tutto da sola, io non ho mai avuto la minima intenzione di lasciarti – Noah stava alzando la voce, e attirò l’attenzione della gente intorno a loro.

- E’ meglio parlarne da un’altra parte – disse lei, non riuscendolo neanche a guardare negli occhi.

- Aspettami fuori, pago il conto e arrivo –

Alexis uscì e, sola per qualche minuto, si sentì morire. Una lacrima scese lungo il suo volto. Ci teneva troppo a Noah per finirla così, si doveva impegnare. L’errore più grande era stato il suo e lei doveva rimediare.

Noah arrivò quando ormai Alexis aveva smesso di piangere e si era fatta forza.

- Camminiamo un po’? – propose lui.

 Alexis annuì.

- Ho mentito prima – iniziò Noah.

- Cosa vuoi dire? – chiese Alexis quasi senza voce.

- Non è vero che non ho mai pensato di lasciarti – confessò il ragazzo.

Se n’era accorto qualche tempo prima che tra lui ed Alexis le cose erano ormai diverse, ma, al contrario di lei, credeva veramente di poter recuperare quello che avevano avuto un tempo.

- C’è stata un’altra? –

Noah si bloccò. La rabbia gli pervase il corpo e le si mise davanti, bloccandola.

- No, Alexis, non c’è stata nessun’altra! Dannazione, ma come lo vuoi capire che non ti tradirei mai? Secondo te, se avessi mai pensato di farlo, e questa volta sono sincero, mi sarei sentito così ferito da te? –

Alexis guardò Noah. Non lo aveva mai visto così adirato, e lo era con lei. Per colpa sua. Stava facendo uno sbaglio dopo l’altro.

- Mi dispiace, non intendevo dire quello che ho detto – Alexis si morse il labbro, e Noah si pentì del tono usato, guardandola piangere.

- Vorrei solo che tu capissi, - disse poi lui, avvicinandosi a lei e abbracciandola – vorrei che tu capissi cosa ho provato e perché non sono più così sicuro di niente. Non voglio farti piangere, per favore –

Le asciugò una lacrima e lei smise finalmente di piangere. Si guardavano, cercando disperatamente nello sguardo dell’altro quella persona che avevano amato e avevano imparato a conoscere.

Alexis si aspettava che lui si avvicinasse, e che finalmente esprimesse di nuovo quello che provava per lei, baciandola, dopo tanto tempo. Ma Noah non lo fece. Non che non volesse farlo, anzi, dovette lottare contro sé stesso. Aveva tra le braccia la sua Alexis, ed era così bella, così triste in quel momento…

I supposti c’erano tutti, ma lui non si lasciò andare. La ragione si opponeva al cuore, ancora una volta. Vinse la prima, e Noah strinse nuovamente Alexis a sé, sperando che lei non si aspettasse niente di più.

Tornarono alle loro macchine, senza scambiarsi più una parola, ma rimanendo sempre uniti. Si salutarono con un bacio sulla guancia, niente di più.

Una volta in macchina, Alexis pianse, di nuovo. Soffriva, soffriva enormemente, e non riusciva a perdonarsi. Neanche Noah l’aveva ancora perdonata, come poteva lei? Cosa diavolo le stava succedendo, perché l’aveva tradito? Aveva fatto una sciocchezza, un errore, un terribile errore. Non sapeva come altro dirglielo, in quale altro modo spiegargli che era pentita e che avrebbe fatto qualsiasi cosa per farsi perdonare, per dimenticare l’accaduto e tornare quelli di un tempo.

Noah, invece, non pensava solamente ad Alexis. C’era anche Erin nella sua mente, e non riusciva a togliersela dalla testa. Da una parte c’era l’amore della sua vita, che però l’aveva profondamente ferito, dall’altro la freschezza di nuovi sentimenti, di un mondo da scoprire. Era ovvio dove il suo cuore e la sua mente fossero indirizzati, ma poi capì che sbagliava. Rappresentavano entrambe qualcosa di nuovo, lo aveva detto lui stesso. Alexis era cambiata, ora era anche lei un nuovo mondo da scoprire. Ma valeva la pena di essere scoperto?

 

Fu una notte tormentata per tutti, piena di domande e davvero poche risposte.

Soprattutto, però, fu una notte di decisioni.

 

La mattina dopo, Noah si svegliò di soprassalto quando qualcuno suonò alla porta. Poco presente a sé stesso, andò ad aprire visto che i genitori non davano segni di vita. Evidentemente erano usciti presto.

- Sveglia dormiglione – era Erin.

- ‘Giorno… - disse Noah, più addormentato che altro.

- Mammamia, non mi dire che stavi veramente dormendo ancora –

- Allora non te lo dico – disse lui, facendola entrare.

Erin sorrise e appoggiò sul bancone qualcosa: prima di andare a casa di Noah era passata a comprare la colazione, ben consapevole che probabilmente il ragazzo stava ancora dormendo.

- Ehm, forse è meglio se ti vesti – disse poi Erin prendendo del caffè ed indicando Noah.

Il ragazzo si guardò e si rese conto di essere senza maglietta. Erin non avrebbe voluto, ma non poté non notarlo. Aveva davvero un bel fisico, era veramente un bel ragazzo. La ragazza arrossì per i suoi stessi pensieri e Noah lo notò, sorridendo tra sé e sé.

Cambiatosi, i due iniziarono a fare colazione. Quando finalmente Noah fu veramente sveglio, riuscì a parlare.

- Mi spieghi il perché di questa improvvisata? –

- Cosa c’è, non si può offrire la colazione ad un amico? – rispose vagamente Erin, addentando un cornetto.

Noah le lanciò uno sguardo di traverso.

- Dimmi la verità –

- Va bene. Volevo semplicemente parlarti –

- Di cosa? – Noah sapeva perfettamente di cosa, ma doveva trovare il coraggio di affrontare l’argomento.

- Di ieri, e non fare il finto tonto. Mi hai detto che mi devi delle spiegazioni, prego allora, parla pure –

Erin dovette impegnarsi con tutta sé stessa per potergli fare quella domanda. Ma quella notte aveva deciso che era tempo di spiegazioni, non era tipo da rimandare le cose e lasciarle in sospeso.

- Hai ragione – Noah fece un profondo respiro e posò il caffè.

I due si guardarono, l’una in attesa, con la segreta speranza di sentire le parole che avrebbe voluto, e l’altro tentando di rispettare la sua decisione. Doveva parlare, ora o mai più.

- Erin, so che non sei stupida e quindi parlerò chiaro e tondo. Alla festa, e anche ieri, c’è stato qualcosa tra di noi. Qualcosa di strano, qualcosa di… piacevole. Sto veramente bene con te e credo sia lo stesso per te-

- Sì, lo è – lo interruppe Erin, di nuovo rossa in viso per quella rivelazione.

Noah sospirò.

- Oddio, è così difficile – disse lui, voltando lo sguardo.

Erin capì che non sarebbe andata come voleva lei. Appena le fu chiaro, le lacrime iniziarono a riempirle gli occhi. Avrebbe voluto tanto scappare, ma non poteva. Era grande ormai, non poteva comportarsi come una bambina, doveva affrontare la realtà. In fondo, era quello che si era sempre detta anche lei, perché ora era così dannatamente difficile?

- Hai capito, non è vero? – le chiese poi Noah. Era così doloroso vederla di fronte a lui, inerme, sul punto di piangere.

Erin annuì. Se avesse parlato, sarebbe stata la fine, le lacrime sarebbero scese.

Noah non sapeva cosa dire. Ecco di nuovo l’eterno litigio tra cuore e mente.

Erin non resistette un minuto di più, e visto che Noah non dava segni di voler continuare a parlare, si diresse verso la porta. Inevitabilmente, le lacrime iniziarono a scendere.

Noah la bloccò, prendendola per un braccio. Non la vedeva in volto, ma sapeva che stava piangendo. Il suo cuore era in pezzi come se fosse lui stesso a soffrire.  

Erin si lasciò fermare. Si maledisse perché le mancava la forza di dimenarsi e andarsene. La situazione era peggiore di quanto credesse, nonostante lui le avesse detto chiaramente che non voleva stare con lei, ecco che rimaneva lì. Ma perché non la lasciava andare?

Noah l’attirò verso di sé e la strinse. Lei continuava a piangere, tra le sue braccia. Lui si sentiva morire. Avrebbe preferito che lei se ne andasse e lo mandasse al diavolo, almeno avrebbe capito che non c’era più niente da fare e si sarebbe messo l’anima in pace. Ma perché non si opponeva a quell’abbraccio?

Non si dissero niente, entrambi non avevano la forza di fare nulla se non quello che il loro cuore gli diceva. Rimasero così per un po’. Erin si calmò, ma ancora non sapeva cosa dire. Anche lui aveva capito che Erin aveva smesso di piangere, ma ugualmente non sapeva come giustificare quell’atto completamente contrario a ciò che le aveva detto, o meglio, fatto intendere.

- Ti va di andare a fare un giro? – le propose poi lui.

Erin fu come risvegliata. Ancora tra le sue braccia, come se si tenesse aggrappata ad un sogno, annuì.

I due si avviarono, senza più dirsi niente. Camminarono molto, senza trovare il coraggio di dire una parola.

Alla fine, Erin si incoraggiò mentalmente a parlare. Non poteva fare quella parte, non poteva essere la ragazza che rincorre il ragazzo che ha già scelto un’altra, ma non si dà per vinta perché troppo innamorata. Non era da lei.

- Senti, mi dispiace per come ho reagito prima, mi sono comportata come una bambina –

- Perché continui a scusarti di cose per cui non hai colpe? – le chiese lui, fermandosi quando furono in un parco.

- E’ che non voglio costringerti a consolarmi, hai fatto la tua scelta, e io la devo accettare. Per quanto… male possa fare-

Noah fu sorpreso da quell’affermazione. Lo stava veramente lasciando andare, ma lui non si sentiva ancora a posto. Erin doveva capire perché lui voleva ritentare con Alexis, doveva capire cosa aveva condiviso con la sua ex ragazza.

- Vedi lì? – disse poi lui, indicandole un punto vicino ad un muro.

- Sì – rispose lei, confusa.

- Ecco, lì io ed Alexis ci siamo baciati per la prima volta –

Erin sorrise amaramente.

- Scusa, ma mi hai portato qui per farmi ancora più male? Ti diverti, per caso? Sei un sadico, sotto quell’aspetto da imbranato? – disse offesa.

- No, è che voglio farti capire che io ed Alexis abbiamo condiviso tanto. Non è la prima arrivata, non voglio stare con lei perché c’è solo un fattore fisico di mezzo, o perché sia un mio capriccio, o perché io l’ami meno di te… -

- Che hai detto? – chiese lei, interrompendolo bruscamente.

Noah non rispose. In cuor suo lo sapeva già, ma lui stesso fu sorpreso dalle sue parole.

- Tu… No, aspetta – Erin sentiva l’impellente bisogno di respirare.

- Niente, non ho detto niente – disse fermamente Noah. Perché si era lasciato sfuggire una cosa del genere? Sapeva che Erin non avrebbe lasciato perdere, ma non poteva darle quella speranza. Anche lui avrebbe voluto stare con lei, ma aveva preso una decisione. Alexis meritava una seconda opportunità, lui voleva darle una seconda possibilità.

- No, non è niente! Hai detto che mi ami quanto ami lei, ora dimmi se è vero, se hai il coraggio –

- Non intendevo dire quello, mi è sfuggito – tentò di trovare una scusa lui.

- Certo, ti è sfuggito – di nuovo Erin sorrise amaramente.

La situazione stava peggiorando, e Noah che sperava almeno di poterle rimanere amico. Probabilmente non sarebbe stato così.

- Non importa ciò che ho detto, ti prego, dimenticalo –

- Dimenticarmelo?! E cos’altro dovrei dimenticare, eh? Cavolo, non pensi che abbia già perso abbastanza quest’anno? Ho sprecato il mio primo bacio con un povero cretino, quando l’avrei sempre e solo voluto dare a te! – questa volta non erano le lacrime che tentavano di venire fuori, ma la rabbia, la pure e semplice rabbia.

Noah capiva che Erin non si sarebbe calmata facilmente stavolta. Sul suo volto si poteva vedere l’ira che le stava pervadendo il corpo. Non fu scosso dalle sue parole, però. In un certo senso, se l’era immaginato. La confidenza che lei gli aveva riservato dovevano nascondere qualcos’altro.

- Ho sperato, invano, per anni che tu ti accorgessi di me. Che almeno intravedessi una ragazza dietro la sorellina del tuo migliore amico. Ho sognato mille modi in cui potessi dirti ciò che provavo, e tutte le volte disperatamente avrei voluto da te una risposta positiva. Ero vicinissima a dirti tutto quel giorno in cui abbiamo fatto la gita in spiaggia, ricordi, prima che partissi? – Noah annuì – Ma poi ti ho visto baciarti con Alexis e mi sono fermata. E ancora una volta, tu mi fai risentire così, come la ragazzina arrivata troppo tardi. Questo perché non hai il coraggio di affrontare i tuoi sentimenti, quindi non meriti neanche i miei – e così Erin se ne andò.

Noah non la fermò, questa volta non poteva farlo. L’aveva lasciato andare, era finita.

Non si volle più chiedere niente, non volle approfondire la frase che lui stesso aveva pronunciato. Non voleva testare quanto dolore gli avevano provocato le parole di lei, ormai era tardi e lui aveva già preso una decisione, una decisione che metteva d’accordo testa e cuore in egual modo.

 

Tornò a casa, dove trovò una chiamata di Alexis. Gli chiedeva di vedersi quella sera stessa, aveva una sorpresa per lui, a casa dei suoi genitori. Noah la richiamò per accettare, quasi avente paura di quello che Alexis avrebbe potuto fare.

Passò anche quel pomeriggio, mentre Noah tentava di distrarsi in tutti i modi, quando poi arrivò il momento di prepararsi per uscire. Non era per niente nervoso per quell’incontro, come se fosse una vecchia abitudine. E, in effetti, non erano state poche le volte in cui Noah era andato a casa, a quel tempo ancora di Alexis per passare del tempo insieme.

Arrivò presto anche lì. La casa sembrava vuota, non c’era neanche una luce accesa. Noah suonò.

- Buonasera – lo accolse Alexis.

La ragazza aveva preparato tutto perfettamente, aveva perfino convinto i suoi a lasciarle la casa.

Noah fu stupefatto da tutto, dall’abito di Alexis in cui appariva più bella che mai, alle candele sparse per la casa, fino al profumino che proveniva dalla cucina.

- Ho apparecchiato per noi due in camera da pranzo, e ho cucinato io. Ci ho impiegato tutta la giornata, ma ne è valsa la pena –

- Lo sento – disse Noah compiaciuto, lasciandosi inebriare da quel profumo.

- Grazie. Se vuoi, accomodati pure –

Alexis aveva utilizzato bene tutte le sue carte, anche la cena in quella casa aveva un senso: voleva far ricordare a Noah tutto quello che avevano passato insieme, facendogli finalmente capire che il loro passato non era svanito nel nulla, ma era pronto per essere ricordato.

I due iniziarono a mangiare, ma Alexis fu subito delusa dal comportamento di Noah. Gli risultò assente, non si era più complimentato per la sua cucina.

- Che cos’hai? – gli chiese.

- Eh? Niente, perché?- rispose lui, tentando di sembrare più convincente possibile.

- Non so, sembri strano -

- Probabilmente sei un po’ paranoica – ma la frase non suonò bene come Noah avrebbe voluto.

- Pensi che io sia paranoica? – gli chiese Alexis, ora più offesa che delusa.

- No, non volevo dire questo, scusami. Hai ragione, non mi sento tanto bene, solo che non volevo fartelo pesare –

Questa volta, Noah la convinse. Così il buon umore tornò a padroneggiare su Alexis, la quale presentò il dolce nel migliore dei modi. Torta di mele: la preferita di Noah.

Finito di mangiare, la ragazza propose di andare a sedersi in giardino, sul dondolo.

- Ti ricordi, Noah? – esordì lei, appoggiando la testa sul suo braccio.

Noah capì. Lì avevano passato la sera prima della sua partenza, dopo la gita al mare…

- Sì – rispose con poca voce lui. Il ricordo della litigata con Erin gli era tornato vivido alla mente, come un colpo al cuore, che ti coglie impreparato.

- Ho detto qualcosa che non va? – Alexis si morse la lingua. Stava ancora facendo la paranoica.

- No, no, tranquilla – ma Erin era tutto a cui veramente riusciva a pensare.

Alexis passò alla prossima mossa, sedendosi sopra di lui.

- Che stai facendo? – chiese lui, sorpreso da quel gesto.

Lei gli sorrise. Era felice, perché lui non si era ribellato a quella presa di posizione, una delle sue paure maggiori per quella serata. Gli si avvicinò piano piano, con la tenue speranza di non essere respinta. Lui non le disse niente, così lei lo baciò. Finalmente, da quanto tempo aspettava quel bacio.

Noah fu letteralmente colto di sorpresa. In realtà, non c’era niente di cui essere sorpresi, sapeva come Alexis arrivava subito al sodo, ma lui non era preparato. Dapprima ricambiò quel bacio, e per un attimo sembrava giusto, perfetto. Poi un pensiero, la sensazione che i pezzi del puzzle si stavano rompendo per quanto erano forzati, un colpo al cuore. Un altro, ma questa volta più amaro, più duro.

Alexis si sentì allontanata gentilmente, ma non senza determinazione.

- Cosa c’è? – gli chiese, quasi disperata.

- Mi dispiace, non posso – disse Noah alzandosi e guardandola.

- Non puoi? Ma sono io Noah, e siamo qui, come tanto tempo fa. E’ perfetto, noi siamo perfetti –

- Lo credevo anche io, ma… il pensiero di te, con quell’altro…-

- Non riesci a perdonarmi, eh? – disse lei girando lo sguardo, quasi scoppiando a piangere.

- Non è quello, se volessi ci riuscirei –

- Cosa stai cercando di dirmi? – ancora non riusciva a guardarlo.

- Non credo di amarti più come una volta, non… non è la stessa cosa… –

- Non è la stessa cosa di com’era un tempo? – Alexis si sentiva lacerare il cuore. Era stata così ingenua da poter pensare che il suo tradimento potesse venire cancellato così in fretta.

- No, non è la stessa cosa che provo con qualcun’altra –

Questa volta, era un vero e proprio abisso che si era aperto dentro di Alexis.

- Mi avevi giurato di non avermi mai tradita! –

- Infatti non l’ho fatto, possibile che ancora non lo capisci? Cavolo, Alexis, sei così cieca! –

Non solo la stava lasciando, ma continuava ad offenderla e ad arrabbiarsi con lei. Non voleva dargli la soddisfazione di vederla piangere, non poteva.

- E’ Erin – disse poi tutto d’un fiato Noah, quando si fu calmato.

- La sorella di Jim? – chiese Alexis, adesso più presa dalla sorpresa di quella rivelazione che da altro.

- Sì. Non avrei mai pensato che potessi provare qualcosa per lei, o lei per me…-

- Quella ragazzina era cotta di te da un bel po’ di tempo, a me non sorprende per niente questo – possibile che Noah non se ne fosse mai accorto? E chi era che non riusciva a vedere le cose?

- Penso di aver avuto altro per la testa in quel periodo – e Noah le rivolse uno sguardo malinconico. In fondo, quella ragazza era stata l’oggetto del suo amore per tanto tempo.

Alexis gli sorrise. Non poteva fare niente contro una situazione del genere, non aveva nessuna speranza. La cruda realtà le se aprì davanti agli occhi.

- Vai da lei, credo sia meglio – gli disse poi.

- Non penso mi voglia più vedere, purtroppo –

- Smettila e fai l’uomo per una volta. Anche dopo il nostro primo bacio non avevi il coraggio di esprimere i tuoi sentimenti, e quanto tempo hai sprecato. Era da tempo che ero innamorata di te, eppure non mi hai mai dimostrato di ricambiare, mentre io, Dio solo sa quante volte ho provato a fartelo capire. Evidentemente non ci siamo mai completamente compresi –

- Già – i due si rivolsero un ultimo sorriso, poi Noah se ne andò.

Ora Alexis era sola, a pezzi e con l’unica voglia di piangere. E lo fece, le lacrime continuarono a sgorgare fino a che non si fu addormentata sopra quel dondolo pieno di ricordi.

 

In fretta e furia, Noah prese la macchina e si diresse verso casa di Erin. Durante la guida dovette concentrarsi più del solito, il nervosismo gli stava dilaniando lo stomaco.

Quasi corse verso la porta di casa.

- Noah, che cavolo ci fai qui? – gli aveva aperto Jim.

- Devo vedere Erin, ora. Poi ti spiegherò –

- Erin non è in casa e non penso sia il caso tu gli parli, comunque sia –

- Ti ha raccontato tutto? –

- Sì, gliel’ho dovuto estorcere io, ma alla fine mi ha detto cosa è successo. Non è normale che tua sorella minore torni a casa in lacrime, o no? – Jim aveva un atteggiamento strafottente verso Noah, e lui poteva ben capire perché.

- Jim, non fare stupidaggini, dimmi dov’è, fidati di me –

Jim non rispose. Lo guardò minaccioso per un po’.

- E’ al mare, ma non so bene dove – confessò infine.

- Grazie amico – disse Noah andandosene.

- Ehi Noah! – lo richiamò Jim.

Noah si girò e un pugno lo colpì così forte da farlo cadere a terra.

- Mi fido, – gli disse poi Jim – ma questo non vuol dire che possa fartela passare liscia –

Noah si pulì il sangue e gli sorrise. Poi tornò alla macchina e guidò velocemente verso la spiaggia dove sapeva esattamente avrebbe trovato Erin.

 

Erin voleva rimanere sola, soprattutto dopo aver fatto la stupidaggine di raccontare tutto al fratello. Ora aveva anche compromesso l’amicizia di lui con Noah, cosa che non voleva affatto. Almeno così, però, per un bel po’ di tempo non sarebbe stata costretta a vederlo, i lati positivi c’erano.

Aveva deciso di andare alla spiaggia della gita di quel dannatissimo giorno. Era come farsi del male, ma lei era sempre stata un po’ masochista, e poi era l’unico posto che conosceva dove sapeva sarebbe stata sola.

Continuava a piangere, poche lacrime, stavolta, ma stava male. Avrebbe dovuto resistere qualche mese, poi Noah sarebbe ripartito e quel dolore si sarebbe alleviato, almeno un po’.

 

Noah la vide, vicino la riva, mentre guardava verso l’orizzonte. Probabilmente si sentiva in colpa di aver raccontato tutto al fratello, ma riusciva comunque a vederne il lato positivo. Erin era fatta così, non era mai completamente negativa riguardo la vita. Era strano come in realtà Noah si accorse di conoscere quella ragazza. Era come se fosse sempre stata presente nella sua vita, ma lui non l’avesse mai vista veramente. Incredibile quanto conti veramente l’aspetto fisico.

Si avvicinò a lei. Erin non se ne accorse fino a che lui non le si sedette accanto.

- Cosa vuoi? – le chiese lei con tono duro.

- Te – rispose semplicemente lui.

Erin lo guardò, sorpresa, e lui le sorrise. Ne aveva passate troppe, però, per farsi prendere in giro così, nonostante Noah sembrasse il più serio possibile.

- E cosa vorresti da me? – continuò lei.

- Tutto –

Erin lo guardò di nuovo, irritata.

- Mi daresti una risposta che comprende più di due sillabe, per favore? –

Noah rise di gusto. Erin gli tirò della sabbia.

- Smettila – gli disse, trattenendo un sorriso.  La sua risata era troppo bella per non lasciarsene travolgere, almeno non per lei.

Noah le ritirò della sabbia e lei, per schivarla, finì per sdraiarsi. Non si arrese, però, e gli ritirò dell’altra sabbia.

- La finisci? – disse lui ridendo, bloccandole le braccia.

Il viso di Noah era a pochi centimetri da quello di Erin. Ad entrambi mancò il respiro, entrambi avevano paura che l’altro si potesse scansare. Erin non poteva avvicinarsi per prima, doveva aspettare Noah, il quale doveva solo trovare quel poco coraggio che gli mancava. Ma capì che non c’era niente da trovare, era naturale, quasi inevitabile. Le si avvicinò, l’uno sentiva il respiro dell’altra sul proprio volto. Le labbra di Noah si posarono su quelle di Erin. Il tanto atteso bacio era arrivato, meglio di come Erin se lo fosse mai immaginato.

Noah si interruppe e si allontanò quel poco che bastava per parlare.

- E’ stato questo il tuo primo vero bacio. E’ un momento che si condivide con la persona che si ama veramente, con chiunque altro non è reale, non è vero –

Una lacrima rigò il volto di Erin, questa volta, però, era un pianto di felicità.

 

 

 

 

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