…Who
want to live forever?
“Oh, la morte, come deve essere bella la morte. Dormire lontano dal mondo, dimenticare il tempo, perdonare la vita, risposare in pace…”
–Il fantasma di Canterville, Oscar Wilde–
Shadow guardò nel vuoto per qualche tempo con i suoi occhi rossi che non ingannavano uno sconforto non indifferente, come se non gli interessasse minimamente lo spettacolo che aveva davanti. Ai suoi occhi, sembravano così fatue le stelle che brillavano lontane come milioni di astronavi erranti nello spazio, la pallida luna agitata dal vento nel suo unico giorno di plenilunio, la natura che dormiva placidamente cullata dallo stridio dei grilli e dai versi dei gufi tra gli alberi. Per lui, tutto era superficiale, freddo, e non gli donava alcuna sensazione emotiva nel suo cuore. Anche il cielo, quel meraviglioso firmamento, che almeno nelle sue remote reminiscenze, ricordava di aver contemplato in compagnia di Maria, che anche adesso gli sembrava un’amica stretta pur non avendola mai conosciuta di persona, gli sembrava privo di quella luce fatale che nel corso dei secoli aveva ispirato tanti poeti e aveva fatto nascere l’amore nel cuore dell’uomo.
Prison
Island avrebbe potuto essere un posto magnifico per
chiunque, se non ci fosse stata la prigione di stretta sorveglianza.
Tranne che
per lui.
Poteva
trovarsi sotto la pioggia o sotto il sole, in
primavera o in autunno, ma per lui sarebbe cambiato ben poco.
Perché davanti ad
ogni cosa che vedeva, c’era sempre un’ombra che la
deformava, che oscurava
anche il più terso e chiaro orizzonte.
La
luna piena brillava alta nel cielo e tutto intorno a lui
era oscurità. A volte si chiedeva se anche lui stesso fosse
fatto di oscurità.
Chissà, si chiedeva lui, nelle sue interminabili
riflessioni. Poi raggiungeva
la solita risposta che, come morfina, usava per placare quei dubbi con
i quali
aveva imparato a convivere. No, non era oscurità.
L’oscurità non è tangibile,
non è viva. L’oscurità non ha pensieri
propri.
Ma
è infinita. È per sempre. Era questo che lo
distingueva dalle
altre creature che lo circondavano e che, in un certo senso, lo
isolavano. Come
avrebbe potuto dire di essere anche lui una persona come tutte le
altre? Chi
altri era immortale come lui?
Guardandosi tutt’intorno, Shadow aveva visto la gente morire, aveva visto persone che temevano la morte, persone che desideravano l’Immortalità.
L’Immortalità.
Chissà che ci trovava l’umanità in
quella
parola, in quel falso pregio che dopo qualche tempo diventava una
maledizione.
Era
forse una benedizione non morire mai? Valeva la pena
essere allontanati da un ciclo vitale senza scrupoli e di conseguenza,
anche da
qualunque creatura vivente, solo per avere una vita senza fine, senza
termine?
Tutto
era destinato a finire. Ma non lui.
Oppure,
se anche lui era destinato a finire, quando? E in
che modo?
Il
suo destino era continuare a camminare, senza tregua,
senza sosta, con le persone alle sue spalle che si abbandonano tra le
braccia
della morte volenti e nolenti.
Tutti.
Quanto
avrebbe voluto, per una volta, far parte di un
“tutti”. Di far parte di un drappello, di un
gruppo, di una cerchia di persone
che dividesse con lui, anche se in minima parte, il suo sconforto, la
sua
eterna solitudine. Invece si era circondato di individui frivoli come
Rouge o
fredde macchine di metallo. Anche con loro, la sua solitudine rimaneva
eterna.
Che
fosse legata anche quella all’Immortalità? Magari,
in un
unico pacchetto, Shadow aveva ricevuto dal suo creatore
immortalità e
solitudine.
Infatti
non c’era nessun “tutti” per lui.
C’era solo lui.
Solo Shadow. Un tempo non gli era sembrata una condizione
così sgradevole. Ora
invece sembrava a dir poco inaccettabile. Tutto da quando Rouge gli
aveva detto
chi era…
Nessuno.
Ecco
chi era lui. Il suo creatore gli aveva sempre ripetuto
alle sue domande la stessa risposta:
–Chi
sei? Logico, sei Shadow the hedgehog!–
Ora
la domanda gli veniva spontanea: chi era questo Shadow
the hedgehog che credeva di conoscere come se stesso, quando ancora
credeva di
essere l’unico, e che invece era una realtà
totalmente a parte dalla sua?
Insomma, chi era costui?
Nessuno,
almeno per lui.
Forse
prima era stato qualcuno, questo a lui ignoto “Shadow
the hedgehog”, ma non era di certo lui.
Quindi…i
suoi ricordi…
Anche l’ultima cosa che credeva fosse eternamente in suo possesso, l’unico punto in comune che lo legava al resto del creato…anche quelli, i più belli, i più dolorosi e importanti della sua vana vita, erano finzioni.
Rivedeva
se stesso in una persona che non era lui. Si
rivedeva in compagnia di una persona che nei suoi ricordi era sua
amica, ma che
in alcuni momenti gli sembrava così lontana… in
altre parole, sconosciuta.
Con
quale garbo, con quale faccia avrebbe preteso ancora di
essere Shadow, l’Immortale?
E
in che modo, avrebbe potuto diventare Shadow, il Mortale?
Forse
era suo destino vivere tra la vita e la morte, tra la
comune mortalità e la dannata immortalità, che
entrambe lo legavano ad un mondo
che non era il suo, che non lo sarebbe mai stato.
Non
ci sarebbe mai stata una casa, non per lui. Non avrebbe
mai avuto un suo simile. Non ci sarebbe mai stata tregua per lui.
In
quei momenti, oh, come invidiava la gente che si voltava
a guardare. Così consapevole della fine, che vive cercando
di godersi ogni
attimo, sapendo in anticipo che quel momento non tornerà.
Come invidiava i
moribondi che, con un ultimo respiro, salutano il mondo che hanno amato
e che
ora stanno per lasciare. Come desiderava il dolore fisico, la paura di
chiudere
gli occhi e non risvegliarsi più, alleviato da tutto il
dolore, da tutti i
ricordi, belli e brutti, e così abbandonarsi in un sonno
eterno, mortale.
No,
lui era destinato ad essere eterno, come il tempo e come
questo, poteva solo sfiorare la gente, ma non avrebbe mai potuto essere
parte
di esse, non sarebbe mai stato anche lui un
“mortale”. O almeno una
“persona”.
Non
era né l’uno né l’altro. Era
solo lui.
Solo
Shadow. Anzi, non era nemmeno il vero Shadow, quello
che lui vedeva nei suoi ricordi. Era solo l’ombra di un
passato lontano,
inafferrabile, e che persisteva nel presente.
…presente.
Per
lui non c’era né passato, né tanto meno
futuro. In
compenso, aveva solo un immenso presente che non finiva mai. Aveva
tanto tempo
davanti. Tutto il tempo del mondo.
In
quel periodo di tempo infinito avrebbe visto le persone alle
quali si sarebbe legato, cadere, cedere sotto la pressione
dell’universo,
concludere il proprio ciclo vitale spirando e donando al vento le
proprie
emozioni, prima di un assordante silenzio che avrebbe riempito la loro
esistenza ultraterrena.
Un
destino che non era il suo. Non si sarebbe mai tolto di
dosso le pene della vita, non si sarebbe mai lavato di dosso il sangue
delle
persone che aveva ucciso e che avrebbe continuato ad uccidere.
Eppure,
gli sembrava così semplice, ma allo stesso tempo
irrealizzabile, il suo eterno desiderio.
Dimenticare il tempo…
Dimenticare
tutto quello che gli era appartenuto in vita,
tutto quello che lo legava al mondo e alla vita terrena.
Perdonare la vita…
Perdonare
la vita che lo aveva tradito, che lo aveva
abbandonato separandolo dalle persone che amava.
Riposare in pace…
Riposare
in pace senza più alcuna preoccupazione, con il
cuore fermo che non avrebbe più scandito il ritmo della sua
vita, come un
eterno e stanco orologio, ormai leggero e libero da ogni turbamento.
Shadow
chiuse gli occhi, con la luna che illuminava il suo
profilo spigoloso. Si era arreso? E perché mai! Aveva tutto
il tempo del mondo
per trovare un modo per tranciare la sua vita. Aveva tutto il tempo del
mondo
per trovare un qualunque modo per raggiungere Maria e chiederle
perdono, perché
non era chi credeva di essere e aveva turbato il suo sonno eterno con
la sua
nascita, con la sua sola esistenza.
Perché
ci sarebbe riuscito. Se lo sentiva dentro il suo
instancabile cuore.
–Pazienta
ancora un po’, Maria. Presto ci
rivedremo…–
…Who
wants to live forever?