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Autore: TheAnarchist    11/09/2010    1 recensioni
Tanto tempo fa, in una terra lontana, un povero pastore conduceva un'esistenza tutto sommato tranquilla. Ma un giorno scampò al suo destino vincendo la Morte e guadagnandosi i suoi servigi...
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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C’era una volta, in una terra lontana, un pover’uomo come tanti ce n’erano allora.
Era un’epoca buia quella in cui viveva, l’epoca dei re, dei castelli, dei cavalieri e delle guerre. Dopo tutto poteva reputarsi un uomo fortunato: aveva un piccolo appezzamento di terreno, una moglie che amava più di sé stesso, una figlia a cui teneva altrettanto, un piccolo orticello buono a dare loro quel po’ che serviva per campare e un piccolo gregge che produceva latte e formaggio da vendere o da mangiare e, nei rari giorni di festa, anche un po’ di carne. Il suo re poi, era buono e pacifico e in cambio di pochi denari al mese, forniva protezione e tutto ciò di cui si poteva avere bisogno (un frantoio, un fabbro e tutti i lussi possibili).
Insomma, la sua era un’esistenza tranquilla… almeno fino a quel giorno.
 
Quel giorno scorreva tranquillo come tutti gli altri: mentre il pover’uomo badava al gregge la donna si occupava dell’orticello e la ragazza delle faccende domestiche. Ad un tratto però, l’uomo si accorse che al suo gregge mancava un agnello, così, dopo aver messo al sicuro il resto del bestiame, inizio a cercarlo.
Girovagando a destra e a manca, guardando dietro ogni pietra e in ogni cespuglio, aguzzando l’udito per sentire qualche belato , l’uomo finì per uscire dai propri possedimenti.
Non si dava per vinto e continuava a seguire il suo istinto attraverso campi di grano e prati popolati da vacche, capre e pecore. Nel frattempo il cielo si annuvolò finche le nubi non oscurarono completamente il sole e qualche goccia d’acqua iniziò a venire giù, trasportata da un forte vento freddo.
 
Quando stava per perdere la speranza, l’uomo sentì un lieve belato provenire dalla foresta vicino alla quale si era fermato. Incurante della fitta vegetazione, si fiondò al suo interno e continuò a correre a rotta di collo senza inciampare in radici e alberelli solo per qualche miracolo.
Senza accorgersene, si inoltrava sempre di più in quell’intricato labirinto di tronchi e fronde disordinate, seguendo ormai l’unico suo appiglio alla realtà: quel verso sommesso e spaurito.
Intanto i ruggiti delle nuvole nascoste tra le fronde sopra la sua testa e le gocce che filtravano copiose tra le foglie facevano capire che stava infuriando il temporale.
 
Alla fine però l’ululato del vento, le esplosioni dei tuoni e lo scrosciare impetuoso della pioggia tra le fronde oscurò il verso del povero animale e l’uomo rallentò lentamente, fino a fermarsi completamente. Tentò di togliersi l’acqua dal viso e si guardò intorno, ma non vide altro che un ammasso di rami, tronchi e foglie fradice. Ad un tratto avvertì tutto il freddo penetrante che gli congelava le ossa e si strinse nelle braccia per tentare di riscaldarsi. Si risolse di continuare ché di sicuro la strada che aveva fatto era di più di quella che mancava per attraversare completamente quella macchia di selva indomata.
Così riprese a camminare, a passo più lento, seguendo un qualche sentiero stabilito dal caso.
Ma i vestiti bagnati e il fango in cui affondava i piedi rendevano ogni passo faticoso più dell’altro e il vento che si faceva strada fino alle viscere lo indolenziva tutto.
 
Finalmente vide un barlume di speranza quando gli alberi iniziarono a farsi sempre più radi. Infine riuscì a raggiungere uno spazio aperto… ma non ebbe il tempo di guardarsi intorno che il terreno bagnato sotto i suoi piedi cedette e l’orlo su cui si era inconsapevolmente fermato crollò facendolo rotolare per un costone di terriccio pietroso. Dopo qualche istante riuscì ad aggrapparsi proprio poco prima che il pendio degradasse in un vero e proprio burrone. L’uomo spaesato avvertiva qualche ferità in faccia e sulle braccia, rese ancora più dolorose dalla terra che la pioggia aveva trasformato in fango, sparso su tutto il suo corpo.
Cercò di esaminare la situazione guardandosi intorno: era riuscito ad aggrapparsi, per il rotto della cuffia, ad una radice che spuntava fuori dal costone.
Spostò lentamente lo sguardo verso il basso: a una trentina di metri sotto di lui scorreva impetuoso un torrente in piena, frastagliato di massi a pelo d’acqua contro cui le onde si schiantavano violentemente.
Il pendio era troppo scosceso e scivoloso per tentare un’arrampicata, inoltre la pioggia e il vento sferzavano il suo corpo e le forze nella braccia stavano per mancargli, così decise di evitarsi altre sofferenze, chiuse gli occhi e fece per lasciare la presa.
 
Quand’ecco che, nella sua mente, iniziarono a riproporsi vivide immagini della sua vita, e due su tutte, quella della moglie e quella della figlia, gli diedero la forza di andare avanti. Riaprì gli occhi e, una bracciata dopo l’altra, l’uomo riuscì a raggiungere la cima e, sfinito e sanguinante dalle mani, si distese per terra abbandonandosi a quella che ora sembrava una doccia rinfrescante.
Ma il suo sollievo fu interrotto da qualcosa di alquanto strano: ad un tratto, disteso su quel manto fradicio, con gli occhi chiusi, non sentì più il picchiare della pioggia sulla sua pelle.
 
Aprì gli occhi e si rizzò in piedi… le gocce d’acqua erano ferme, sospese a mezz’aria! E in lontananza, oltre lo strapiombo, un fulmine attraversava il cielo per intero prima di congiungersi alla terra attraverso un albero… rimaneva lì, fermo, come in posa, per essere ammirato da un così fortunato spettatore.
Dopo poco dai nuvoloni immobili nel cielo, iniziò a discendere qualcosa di altrettanto inusuale: sembrava che una parte delle nuvole si fosse distaccata e stesse scendendo in picchiata proprio verso di lui.
Il cervello dell’uomo ormai si era arreso e aveva smesso di interrogarsi su quanto stesse accadendo, tanto che ora il pastore non riusciva a far altro che tenere spalancata la bocca.
 
L’ammasso nuvoloso si fermò qualche passo davanti all’uomo e costui ci mise un po’ a realizzare ciò che stava vedendo: davanti a lui, proprio sopra il dirupo, era sospesa un’alta figura completamente avvolta in quello che si poteva definire un mantello, con tanto di cappuccio che copriva e oscurava interamente capo e viso. L’abito non era fatto di tessuto alcuno, ma aveva una consistenza paragonabile al fumo, ed era di un nero più nero della notte, tanto che si potrebbe dire tranquillamente che fosse fatto di ‘pura oscurità’; i lembi di questo strano indumento volteggiavano e sfumavano nell’aria, proprio come le nuvole.
Dal mantello sbucavano due imponenti ali piumate simili a quelle degli angeli, ma dello stesso nero dell’abito. L’unica altra parte del corpo visibile erano due orrende mani scheletriche che spuntavano dalle ampie maniche; la destra reggeva una grande falce dal manico ramificato e dalla lama lunga, affilata, lucente e incisa di strani e antichi simboli.
 
Lo sguardo del pover’uomo incappò accidentalmente nel volto, inesistente, dell’imponente figura. Un senso di vuoto gli colse lo stomaco e piano piano il suo sguardo si addentrava sempre di più in quelle tenebre tanto che alla fine gli parve di sentire i lamenti delle anime dannate.
Istintivamente, allora, si costrinse a distogliere lo sguardo mettendosi un braccio davanti al viso e improvvisamente tornò cosciente di quanto stesse accadendo e subito il terrore gli prese l’anima.
«Chi sei?» chiese con voce stentata e tremolante
La voce che seguì era accompagnata dal vento e le parole non sembravano pronunciate da alcuna bocca, erano sussurrate, ma arrivavano dritte e chiare nelle orecchie di chi le ascoltava, con un lieve sibilo terrificante:
«Il mio nome è Azrael. Ma sono conosciuto ai più come il Grande Mietitore, l’Angelo Sterminatore o, semplicemente, la Morte»
«C-cosa vuoi da me? Non sono morto!»
«Lo so, è per questo che sono qui. Oggi tu hai sconfitto la Morte e quindi hai diritto ai suoi servigi»
«Servigi? Che servigi?»
«Da oggi in poi io sarò il tuo servo ed esaurirò immediatamente qualsiasi tuo desiderio»
«Ah si… - il pover’uomo venne colto di sorpresa – Voglio solo trovare il mio agnello e tornare a casa, dalla mia famiglia!»
«Come vuole, padrone»
 
Detto questo, l’Angelo della Morte spalancò vigorosamente le enormi ali piumate e con un solo movimento di queste raggiunse in un batter d’occhio il pastore che chiuse gli occhi e si strinse nelle braccia, mentre l’oscurità del mantello lo inghiottiva. Poi un lampo di luce e quando l’uomo riaprì gli occhi si trovava davanti a casa sua, con l’agnello al sicuro sulle spalle.
«Mamma, papà è tornato!» La figlia e la madre si fiondarono fuori dalla porta a riabbracciare il loro caro.

Note: Questa è la prima storia che pubblico su questo sito, quindi vi chiedo di essere clementi, ma anche sinceri: se c'è qualcosa che non va bene, ditemelo e io provvederò a migliorare.
Inoltre è la prima volta che devo "classificare" quello che scrivo, quindi aiutatemi a definire il genere di questa storia! Io ho scelto sovrannaturale perché non è una cosa che si vede spesso XD
E poi l'ho voluto pubblicare tra le favole perché è così che me la sono immaginata e che (più o meno) la sto scrivendo, anche se comunque alcuni passaggi non hanno un linguaggio che si addice alle favole.
Inoltre devo dirvi che, sebbene io abbia già in mente tutta la storia e la sua conclusione, non l'ho effettivamente ancora scritta, ma la pubblicherò man mano che andrò avanti; purtroppo però io sono molto incostante in praticamente qualsiasi cosa, quindi non vi assicuro che il ritmo con cui verrà aggiornata sarà costante (anzi, non vi assicuro proprio che verrà sempre aggiornata)
Grazie della vostra pazienza.

  
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