Titolo:
Undisclosed
Desires
Autrice: smiles
Genere: Generale,
Romantico, Sentimentale
Personaggi:
Kristen Stewart, Robert
Pattinson,
Destiny Martini (Nuovo Personaggio)
Rating: Giallo
Prefazione
dell’autrice
Mi sembra
doveroso introdurre i lettori alla mia storia. C’è
da premettere che io sono
una Robsten convinta quindi l’ultimo dei miei desideri
è quello di vedere i due
separati. Però, senza un po’ di sana competizione
la vita è monotona, non
trovate?
La nostra
protagonista è italiana, ha 18 anni. Destiny è un
personaggio controverso. E’
capricciosa, testarda, egoista per certi versi; però
possiede lati dolci, è
sognatrice e caparbia, lotta per le cose cha ama. La nostra storia
comincia con
una partenza. Destiny è segnata dalla recente rottura con un
ragazzo importante
che la getta sull’orlo della depressione. Non accetta il
distacco, si aggrappa
con forza ai ricordi, nonostante lui le abbia sempre mentito e
l’abbia
soggiogata. I suoi genitori la costringono a fuggire, la spediscono a
Londra.
E’ sempre stato il suo sogno e invece adesso sembra una
punizione. Ma anche le
esperienze più brutte possono portare a dei risvolti
positivi. I nostri
risvolti positivi si chiamano Robert Pattinson e Kristen Stewart. In
qualche
modo loro entreranno a far parte della vita di Destiny. Sarà
un bene? Un male?
Staremo a vedere. Buona lettura a tutti.
1.
Partenze
Sarebbe
stato un sollievo per me partire, in altre circostanze. Avevo
desiderato davvero
tanto scappare da casa mia, dal mio paese. Mi ero ripromessa che avrei
detto
addio a quello schifo e non sarei dovuta tornare mai più. A
volte però le
prospettive cambiano e la visuale si ribalta, vedi le cose in modo
diverso e
riconsideri le tue posizioni. Io non avrei mai pensato di farlo eppure
era
successo. Ed eccomi lì, sul sedile posteriore della Mercedes
Benz di mio zio,
diretta verso l’aeroporto di Milano.
L’auto
prese in pieno un fosso al centro della strada e la mia testa si
schiantò
rumorosamente contro il finestrino. Mi servì per schiarirmi
le idee. Le pagine
del libro che avevo aperto e posizionato sulle ginocchia svolazzarono
al vento
che sferzava dal vetro aperto, vicino al posto di guida. Ritrovai la
concentrazione
e tentai di riprendere la mia lettura, ma
neanche Eclipse fu tanto interessante da farmi distogliere lo sguardo
che si
era posato sull’anello che portavo alla mano destra,
finemente lavorato. Piccolo
e discreto com’era non avrebbe dovuto catturare la mia
attenzione in quel modo.
Forse qualcosa nel lieve luccichio argenteo della montatura semirigida
o nelle
pietruzze lilla incastonate su tutto il perimetro dell’anello
calamitavano la
mia attenzione in modo morboso. Forse era colpa del nome inciso al suo
interno
che in quel momento sembrava bruciare come infuocato, quasi volesse
marchiarmi
a fuoco per non poter cancellare più la traccia della sua
esistenza. Destiny. Soffocai il
gemito che stava
per uscirmi dalla bocca.
Non
mi aveva mai fatto impazzire il mio nome, aveva una certa
teatralità che non mi
si addiceva. A quanto mi avevano raccontato, mio padre non gradiva
l’idea di un
nome inglese, troppo orgoglioso com’era di essere italiano,
ma mia madre era
stata irremovibile e aveva vinto.
La
gente si stupiva nel sentire il mio nome, mi chiedeva quale dei miei
genitori
fosse straniero. “Nessuno”, rispondevo sempre io,
un po’ annoiata, sicura che
ancora una volta avrei dovuto spiegare perché
avevo un nome degno di una delle protagoniste di un
romanzetto rosa.
Rabbrividivo al solo pensiero.
Mia madre amava ogni cosa che
le ricordasse i
viaggi che aveva fatto, le cose che aveva visto, le culture che aveva
conosciuto. Il mio nome era il suo modo per tenersi stretta
l’Inghilterra,
innamorata com’era di quella nazione. Aveva trasmesso
quell’amore anche a me,
che fin da piccola avevo avuto una certa propensione verso
l’inglese come se
fosse una lingua che avevo sempre parlato. Appena mia madre
l’aveva scoperto mi
aveva riempito la testa di lunghi, date, foto, persone, aneddoti della
sua
permanenza a Londra. Mi aveva spinta a bramare di vivere lì
più dell’aria o del
cibo. E finalmente ci stavo andando, ma non ero euforica come mi
aspettavo. Non
lo ero affatto.
Il
viaggio a Londra non era il costoso regalo di diploma dei miei
genitori, benché
loro cercassero di farlo passare in tutti i modi così. Era
solo un modo per
allontanarmi dal ragazzo che amavo e buttarmi nelle braccia del ragazzo
che
avevo sempre desiderato amasse me. O meglio, il loro piano prevedeva la
prima
parte del mio ragionamento mentre l’altra era tutta farina
del mio sacco.
Perché di Londra non mi affascinava solo la cultura,
affatto. Mi affascinavano
anche i londinesi. Uno in particolar modo.
Robert Thomas
Pattinson, ovviamente.
Il
sogno ad occhi aperti sparì nel momento in cui
l’auto si arrestò bruscamente.
Spalancai gli occhi, sorpresa. Non mi ero minimamente accorta che
eravamo
arrivati al’aeroporto. Un angolo delle mie labbra si
alzò disegnando la mezza
curva di un sorriso. Trattenni a stento una risata quando mi accorsi
che i miei
pensieri erano davvero molto sciocchi e pretenziosi.
Chiusi
il libro che tenevo in grembo e lo ficcai nel mio bagaglio a mano.
Sospirai.
Non volevo davvero sorbirmi il check-in e tutto il resto. Di sicuro il
metal
detector avrebbe rilevato la mia macchina fotografica e avrei dovuto
tirarla
fuori dalla valigia. Aprii lo sportello, inspirando lentamente dal
naso. Mio
zio mi salutò fuori dalle grandi porte automatiche
dell’edificio.
«Fa’
la brava, Destiny. E fai attenzione lì, è una
grande città e tu non ci sei
abituata», disse contrito.
«Lo
so, tranquillo. Ci vediamo presto», promisi, sfoderando il
solito sorriso, il
più convincente che mi fu possibile. Sapevo bene che non
sarei tornata. Non
così presto, almeno. Gli diedi un bacio sulla guancia e
trascinai il trolley
verso l’interno dell’aeroporto.
Avanti,
pensai, molli tutto ciò
che hai desiderato per tanto tempo così? Adesso
scollega il cervello, non pensare a niente e fai questo maledetto
check-in. E
magari non dovrai pensare neanche sull’aereo. Dormirai.
Ignorando
quel pensiero, scollegai il cervello dal corpo e meccanicamente
proseguii verso
i metal detector.
Incredibilmente,
senza neanche accorgermene, mi addormentai scivolando nei sogni.
Ero
ancora sull’aereo, seduta al mio posto e con le cuffie nelle
orecchie. Il cielo
fuori dal finestrino era grigio e nuvoloso. Sicuramente stavamo per
arrivare a
destinazione. Spensi l’Ipod nonostante la canzone partita in
quel momento era
Undisclosed Desires dei Muse, una canzone che amavo. Mi sentivo tutta
indolenzita. Mi stiracchiai piano. Come immaginavo la voce di una
hostess ci
avvisava che stavamo per atterrare e ci ringraziava per aver scelto la
loro
compagnia. Allacciai le cinture di sicurezza. Sentivo il pulsare del
sangue nel
cervello, quel sogno mi aveva scossa davvero.
Premetti
le dita contro le tempie disegnando cerchi concentrici per cancellare
il mal di
testa. Sospirai.
L’atterraggio
non fu dei più confortevoli ma ormai andava bene tutto.
Volevo solo trovare la
mia nuova casa e dormire. Mi sentivo proprio esausta, come se non
avessi
dormito affatto. Recuperai la mia valigia e uscii subito
dall’aeroporto. Non
vedevo l’ora di lasciarmi alle spalle la gente che correva da
un terminal all’altro,
gli altoparlanti che chiamavano i voli e i metal detector. Le strade
erano più
affollate di quanto immaginassi. Forza,
mi feci coraggio. Da oggi comincia una
nuova vita.