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Autore: Yunie93    12/09/2010    1 recensioni
[Titolo: Citazione di Appio Claudio]
Nella stanza bianca, un solo rumore infrangeva il silenzio ovattato tipico di quel luogo. Bip...bip...bip...bip...bip... Il suono della macchina, ritmico quanto fastidioso, venne interrotto dalla voce di un uomo disteso su un letto bianco quanto le pareti: “Come mai sei qui?”
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciascuno è l'artefice del proprio destino






Nella stanza bianca, un solo rumore infrangeva il silenzio ovattato tipico di quel luogo.
Bip...bip...bip...bip...bip...
Il suono della macchina, ritmico quanto fastidioso, venne interrotto dalla voce di un uomo disteso su un letto bianco quanto le pareti: “Come mai sei qui?”
Una ragazza in camice, seduta accanto a lui, rispose sorridendo senza staccare gli occhi dalla cartella che stava leggendo “Perché non dovrei?”
“Sei giovane, non dovresti essere da qualche parte a fare baldoria o a casa sotto la doccia?”
“Anche tu sei giovane, e non dovresti essere su questo letto.”
“Ho sessant’anni ormai, non sono giovane” commentò con un pizzico di malinconia l’uomo, riuscendo ad attirare su di sé lo sguardo della ragazza.
“Ognuno ha l’età che si sente” rispose lei posando la cartella sul comodino accanto.
“Non cambiare argomento. Perché sei qui?”
“Trovi così strano che un medico accudisca un suo paziente in stato terminale?” chiese lei aggrottando un sopracciglio severa, ricevendo in cambio un sorrisetto.
“Se un medico assiste un paziente conosciuto solo un paio di giorni prima oltre il suo orario di lavoro, sì, lo trovo piuttosto strano.”
Continuarono a scrutarsi per un po’, finché la ragazza finalmente rispose al suo quesito: “Non ho mai visto nessuno venire a trovarti: voglio solo farti un po’ di compagnia. Nessuno merita di morire da solo.”
L’uomo sorrise malinconico, replicando: “Ti sei mai chiesta perché non c’è nessuno qui con me?”
Al gesto negativo della ragazza, continuò: “Per questo mondo ormai io sono vecchio. Ho sempre basato tutto sul lavoro, cercando con tutte le mie forze di realizzarmi a qualsiasi costo, e questo è il risultato: quando mi sono ammalato e non ero più buono per lavorare, gli amici hanno iniziato a scomparire, le persone che prima stravedevano per me si sono trovati altri idoli, e chi aspirava anche solo a un mio saluto mi ha presto dimenticato. Non ho una famiglia, non ho moglie né figli: sono stanco. Quanti anni hai?”
“Non sai che non si chiede l’età ad una donna?”
“E tu non sai che non si risponde ad una domanda con un’altra domanda?”
Con un sorrisetto la ragazza lo accontentò: “Trenta.”
“Trent’anni...hai ancora tutta la vita davanti.”
“Me lo dicono spesso.”
“Hanno ragione.”
Il silenzio calò di nuovo, interrotto ancora una volta dalla voce dell’uomo: “Visto che a quanto pare non mi mollerai per un po’, raccontami qualcosa.”
“Cosa vuoi che ti racconti?” chiese curiosa il medico.
“Quel che vuoi. Sai, una cosa piacevole e allo stesso tempo amara della vecchiaia è sentire racconti dei giovani: solo quando ti guardi indietro apprezzi veramente ciò che ti è accaduto. Solo quando rivivi quei ricordi di molti anni prima assapori realmente la gioia, la spensieratezza e lo splendore di quei momenti.”
“Parli come se fossi decrepito...” disse amareggiata la ragazza guardandolo storto.
Ignorandola, l’uomo continuò: “Raccontami qualcosa di veramente bello che ti è capitato. Però...vorrei che fosse anche insolito.”
“Qualcosa di insolitamente straordinario?” scherzò il medico facendolo ridacchiare: guardò il soffitto bianco perdendosi nei ricordi dei suoi primi anni di vita, finché non trovò quello giusto.
Sorrise ripensandoci, e ritornò a guardare l’uomo che curioso e trepidante ricambiava il suo sguardo.
“Successe quando avevo 17 anni.” Iniziò a raccontare: “Incontrai per caso un ragazzo...più che per caso fu per un opportunità che colsi al volo.”
“Sono felice di sentirlo: io purtroppo di opportunità ne ho perse molte. Continua, ti prego” la interruppe l’uomo.
“Un giorno iniziammo a parlare: io adoravo, e adoro tutt’ora la scrittura, ma allora potevo dedicarmici con più impegno, sognare di essere un giorno una famosa scrittrice...ci tenevo così tanto che, a parte dire ‘sì, io amo la scrittura’ non approfondivo mai quel che provavo e ciò che mettevo nei miei racconti.”
“Come mai?” chiese il paziente, affascinato dallo sguardo luminoso della ragazza.
“Vedi, per me la scrittura è una cosa personale: in ogni cosa che scrivo c’è un pezzo di me. Una volta mi imposi una sfida: scrivere qualcosa tentando di non aggiungere nessun particolare, nemmeno piccolo, che potesse ricondurre a me. Inutile dire che fu l’unica sfida che apprezzai perdere: per questo non riuscivo a parlarne con gli altri. Scrivere è una cosa fantastica e...non riesco nemmeno a spiegarlo a parole. Eppure, con questo ragazzo ce la feci. Probabilmente fu perché era la prima persona che mi capiva veramente, la prima persona che trovai con la mia stessa identica passione: e quando dico così, intendo dire che per noi ciò che scrivevamo significava la stessa cosa.”
“Sì, è piuttosto affascinante e insolita come cosa incontrare una persona che condivida con te esattamente gli stessi pensieri.”
Il medico sorrise guardando il paziente con fare materno: “La cosa strana non fu quella.”
“E quale?” chiese l’uomo di nuovo curioso.
“Io non rividi più quel ragazzo.”
Per un attimo il silenzio tornò di nuovo tra di loro, interrotto però per l’ennesima volta, stavolta dalla risata della ragazza.
“Che faccia che hai! Non volevi qualcosa di curioso?”
“Sì, in effetti” commentò l’uomo riprendendosi.
“Lo incontrai in un situazione...particolare. Non ti starò a raccontare tutta la storia, fatto sta che dopo due settimane ci perdemmo di vista. Sono sempre stata una persona che raramente racconta di sé, eppure a lui dissi probabilmente una delle cose più personali del mio essere: non so cosa mi spinse a farlo, ma ricordo che non mi stupì più di tanto questo, quanto il fatto che, ripensandoci a distanza di giorni, mesi, anni, pur non vedendolo più non mi pentii nemmeno una volta di ciò che avevo fatto. Nemmeno i miei migliori amici, nemmeno la mia famiglia conosce questa parte di me, ma lui sì.”
L’uomo chiuse gli occhi adagiandosi sul suo cuscino con un sorriso sulle labbra: la ragazza non osava fiatare, persa nei ricordi.
“Gli hai mai detto tutto questo?” chiese infine il paziente riaprendo gli occhi.
“Oh no. Mai.”
“Perché?”
“Non saprei. Il quel momento sentivo che non ce n’era bisogno.
Quella fu una delle chiacchierate più lunghe e piacevoli che ebbi: mi sentivo sulla sua stessa lunghezza d’onda, ed era la prima volta che mi capitava. È stato davvero fantastico.”
L’uomo sorrise, girando il visto dall’altra parte.
“Cosa c’è?” chiese la ragazza preoccupata.
“È difficile da spiegare.”
“Ho tutto il tempo che vuoi.”
“La tua storia è davvero bella. Avrei voluto viverla io, avrei voluto saper prendere al volo le occasioni che mi si sono presentate innumerevoli volte, avrei voluto avere il coraggio di parlare apertamente con un estraneo come tu hai fatto allora e stai facendo con me.”
“Anche tu ora stai facendo lo stesso” gli fece notare il medico.
L’uomo si girò di nuovo verso di lei, scrutandola intensamente: l’espressività di quella ragazza lo impressionava, ora gli rimandava uno sguardo duro, deciso.
“Sai, ho sempre odiato le persone che si piangono addosso.”
“Io non...”
“E invece sì.” Lo interruppe severa: “Sì, ti stai piangendo addosso. Avrei voluto fare, avrei voluto dire: non lo hai fatto, va bene. E quindi? Sicuramente avrai vissuto innumerevoli esperienze che io potrò solo sognare, avrai avuto tante altre occasioni che non ti sei nemmeno accorto di aver accolto a braccia aperte. Non pensare a me, stai per morire dannazione! Pensa a quel che hai fatto di bello, non alla tua solitudine. Pensa ai veri amici che ti sono stati accanto e che magari ancora aspettano una tua telefonata, non a quelli che ti hanno abbandonato nel momento del bisogno. Pensa a me, che ora sono qui e ti sto raccontando la mia vita, non al fatto che nessun altro varcherà quella porta! Io odio la gente di oggi, sempre pessimista, sempre pronta a vedere il bicchiere mezzo vuoto.” Concluse la ragazza riprendendo fiato.
Stavolta, il silenzio fu ancora più lungo: il paziente continuava a fissare stupito il soffitto, il medico guardava ostinatamente la cartella ripresa dal comodino.
“Vai a casa” chiese poi lui, e lei obbedì, sapendo che era la cosa giusta da fare: non per astio, lo sfogo di prima non aveva causato tensione, ma perché aveva capito che era ora di lasciarlo andare.
“Un’ultima cosa” la interruppe quando ormai era sulla porta.
“Rimani così come sei. Rimani questa ragazza decisa che oggi mi ha raccontato parte della sua vita. Rimani questa giovane donna che và avanti a testa alta, e soprattutto, felice.”
Ricevette in risposta solo un sorriso sincero, e poi la ragazza superò la soglia della sua stanza scomparendo nel corridoio.


Quando quella notte lei venne svegliata dal suono insistente del suo cercapersone, non si affrettò come al solito a vestirsi e correre in ospedale: sapeva già il messaggio che le era stato inviato dall’infermeria di turno, e sapeva che non c’era bisogno di lei.
Così, dopo aver lanciato uno sguardo e un sorriso fugace al cielo nero che si intravedeva dalla finestra della sua camera da letto, spense il congegno e si rimise a letto, senza però prendere sonno.
Quando, qualche ora dopo, si alzò e raggiunse il suo posto di lavoro, lanciò uno sguardo fugace alla sua scrivania, per poi iniziare il suo solito giro per le stanze dei suoi pazienti con una ritrovata energia e un sorriso sulle labbra.
Sul tavolo, in bella mostra, un bigliettino recava una sola scritta in una grafia elegante:


Grazie






Che dire...l’ho scritta ora, di getto. Volevo raccontare un avvenimento curioso avvenuto quest’estate (penso che raccontare una cosa molto intima di sè ad una persona conosciuta da qualche giorno e poi non sentirla praticamente più non sia molto normale), e il risultato è stato un concatenarsi di vicende: da ciò è nata questa storia.
Davvero qui c’è parecchio di me: e sono contenta che voi la leggiate (il perché lo potete benissimo capire da ciò che dice il medico).
Spero vivamente che vi sia piaciuta: e se qualcuno la definirà scadente proprio perché pubblicata fresca di scrittura, accoglierò volentieri la sua critica, ma risponderò che non poteva aspettare.
Forse un giorno la riscriverò, forse la controllerò meglio, forse domani non vorrò più pubblicarla, forse sì: fatto sta che mi premeva farlo ora.
   
 
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