Ci
sono giorni in cui la tentazione di mollare tutto è più forte che mai.
Ci
sono giorni in cui vorrei semplicemente sparire, senza lasciare traccia.
Cadere
nella tana del coniglio e ritrovarmi nel Paese delle Meraviglie, ma con un
biglietto di sola andata.
Ci
sono giorni in cui nemmeno la musica mi dà conforto.
Giorni
come oggi.
Sono
rimasto chiuso in studio con Mike e Trè dalle sette di questa mattina fino a
pochi minuti fa, e non siamo riusciti a venire a capo di nulla. Con Mike c’è
anche stata una piccola discussione. Quando discuto con lui, significa che le
cose stanno davvero andando male.
In
qualche modo mi sono trascinato a casa, stanco morto, soltanto per trovarmi
davanti Adrienne, incazzata come una iena, che mi rimprovera di non essere mai
a casa, di non esserci mai per i miei figli, di essere un padre assente, un
uomo che se ne frega della propria famiglia.
“Cazzo,
Adrienne, quando mi hai sposato sapevi a che cosa andavi incontro.”
“Quando
ti ho sposato ero un’idiota! Pensavo che mi avresti portata in giro per il
mondo, che avremmo viaggiato…”
“Lo
abbiamo fatto. Lo faremmo ancora, se solo lo volessi. Non faccio altro che
viaggiare” rispondo, insolitamente calmo, schiaffando nel microonde uno di
quegli stupidi piatti pronti che ormai costituiscono il mio menu.
“Non
posso portare in giro i bambini come pacchi postali, Billie Joe.”
“E
allora non ti lamentare. Sei stata tu a volere subito dei figli. Io ero
disposto ad aspettare.”
“Potresti
restare a casa, invece di andartene in giro con la band.”
“Beh,
i tour fanno parte del mio lavoro. Senza tour, non porto soldi. E senza soldi,
non puoi permetterti quelle” ribatto, indicando le sue extensions.
“Fottiti,
Armstrong.”
Il
microonde lancia un bip, avvertendomi che la mia cena è finalmente pronta. “Adrienne,
che cazzo vuoi da me?”
“Vorrei
che ti impegnassi di più per questa famiglia.”
“Senti
chi parla. Io vorrei mangiare qualcosa che non sia stato cucinato da un
estraneo, ogni tanto” le rispondo, lanciandole un’occhiata piuttosto adirata.
Questi
teatrini si ripetono sempre più spesso, e sinceramente sono stufo. Se non fosse
per i bambini, me ne sarei andato da un pezzo.
“Avresti
dovuto sposarti una fottuta ragazza di campagna, allora. Magari una copia di
tua madre.”
Lascio
cadere la forchetta e mi alzo. Senza una parola, prendo il giubbotto e me ne
vado.
Faccio
respiri lunghi e profondi, sperando che l’aria fredda mi schiarisca le idee.
Ho
camminato a lungo, senza prestare attenzione a dove stavo andando, e ora mi
ritrovo quasi perso nel nulla, in mezzo all’oscurità, all’estremità di un
ponte.
Con
le mani affondate nelle tasche, studio attentamente la costruzione, e dopo
qualche minuto di immobilità mi decido a proseguire.
Arrivo
a metà e mi fermo. Saggio la robustezza del parapetto e mi appoggio, fissando
gli occhi sull’acqua scura.
È
incredibile come scorra lento questo maledetto fiume. In tanti anni che vivo in
questa cittadina, quasi non mi ero accorto dell’esistenza di questo fiume. Di
giorno sembra fottutamente più veloce. Invece, con il buio… è come se di notte
qualcuno azionasse la funzione ‘Avanzamento Lento’, per permettere a quelli
come me di godersi lo spettacolo.
È
così lento che viene voglia di tuffarsi. Penso a come sarebbe lasciarsi andare,
seguire la corrente… andarsene e sparire, lasciare questa vita. Penso a come
sarebbe il mondo, se Billie Joe Armstrong fosse rimasto un semplice ragazzo di
periferia. Forse sarebbe tutto migliore.
Forse
sarei felice.
E
pensare che basterebbe così poco per lasciare tutto. Basterebbe scavalcare…
“Ehi!
Si sente bene?”
“Benissimo”
rispondo in fretta, illudendomi che lo scocciatore mi lascerà in pace.
“E’
sicuro?” insiste.
Mi
volto per mandare affanculo la voce, e l’improvvisa luce di una torcia mi
acceca. “Porco… abbassa quella cazzo di luce!”
“Oh,
mi scusi, non credevo si sarebbe voltato così all’improvviso…”
Finalmente
capisco che è una voce di donna. E non appena le mie pupille ritornano normali,
mi accorgo che non sembra nemmeno male.
“Ah,
non importa” ribatto, riportando gli occhi sul fiume.
“Scusi
se mi sono fermata, ma questo ponte non ha una bella fama…”
“No?”
“No.
Lo chiamano il Ponte della Morte. Chi viene qui di notte, di solito lo fa per…
beh, buttarsi nel fiume.”
“Non
lo sapevo.”
“Non
è di qui?”
“Vivo
al 1647 di Riverside.”
“Riverside,
eh? Ma il 1647 non è dove vive…” si interrompe, e alza di nuovo la torcia su di
me.
“Porca
vacca, la luce!”
“Oh,
scusi. Ma sa, non capita tutti i giorni di imbattersi in Billie Joe Armstrong
che guarda il fiume dal Ponte della Morte.”
D’istinto,
sorrido. “Sa tenere un segreto?”
“Dipende.
Sta per confessarmi di aver ucciso qualcuno?”
“Ho
pensato al suicidio.”
“Oh.”
“Insomma,
mi sono chiesto come sarebbe la vita se io non ci fossi più. Sta pensando che
sono pazzo” aggiungo, quando dall’altra figura non arriva risposta.
La
donna si avvicina, e si appoggia al parapetto, a una decina di centimetri da
me.
“No,
non è pazzo. Confesso che a volte ci ho pensato anche io.”
“Perché
è qui?” le domando.
“Mio
fratello è morto dieci anni fa. Si è gettato nel fiume.”
“Mi
dispiace.”
“Non
deve dispiacersi. Non lo conosceva.”
“Ma
conosco lei. O almeno, la conoscerei se mi dicesse il suo nome.”
“Sarah.”
Le
stringo la mano, sorridendole. “Quindi sta celebrando una specie di
anniversario.”
“Una
specie. Ogni anno torno qui, e faccio finta che questa sia la mia ultima notte
sulla Terra.”
“Interessante.
Come funziona?”
“Faccio
una lista di cinque cose che vorrei fare… e le faccio.”
“Che
cosa aveva in mente quest’anno?”
La
vedo tirare fuori un biglietto e leggerlo alla luce della torcia. “Ostruire la
marmitta del pick up del mio ex fidanzato. Riempire di preservativi usati la
cassetta delle lettere del mio ex datore di lavoro. Rubare una bicicletta e
fare un giro per la città cantando a squarciagola. Fumare. Fare sesso con uno
sconosciuto.”
Al
secondo punto della lista sono sconcertato. “E quante ne ha già fatte?”
“Le
prime due.”
Tiro
fuori dalla tasca le mie sigarette e gliene offro una. “Posso aiutare?”
Ne
prende una e la accende. “Grazie.”
Ne
approfitto per fumarne una anche io. “Di solito riesce a fare tutto?”
Scuote
la testa. “L’ultima la metto in lista da dieci anni.”
“Wow.
Tenace. Perché non lo ha mai fatto?”
“Non
ne ho il coraggio. Così come non avrei mai il coraggio di scavalcare questo
parapetto e buttarmi giù.”
Nonostante
l’oscurità, riesco a distinguere il suo profilo. È molto carina. Anche Adrienne
lo era, prima di lasciarsi convincere a fare quelle microiniezioni di botulino,
che la fanno assomigliare sempre di più ad un bambola.
“Posso
darti del tu, Sarah?”
Annuisce.
“Quanti
anni hai?”
“Ventinove.”
“Sei
strana.”
“Lo
so. Detto da una rockstar, lo considero un complimento. Posso darti del tu?”
“Certo.
Ma non sono una rockstar.”
“Certo
che no. Sei un netturbino.”
“Non
sarebbe una brutta carriera. Dai” aggiungo, dopo una pausa, staccandomi dal
parapetto, “andiamo a sgraffignare un paio di biciclette.”
“Come?”
“Voglio
darti una mano.”
“Perché?”
“Non
lo so. Perché mi piace la tua idea, credo.”
Abbiamo
trovato due biciclette incustodite al 1324 di Oak Street. Prendo nota
dell’indirizzo. Domani le farò restituire con un biglietto di scuse. Abbiamo
pedalato fino alla collinetta che domina la cittadina, poi ci siamo lanciati
giù cantando a squarciagola You Don’t Own
Me.
No,
Adrienne, io non ti appartengo. Non più. Nonostante quello che ho promesso,
davanti a Dio e ai testimoni, io non sono più tuo. Ho smesso di esserlo
nell’attimo in cui abbiamo smesso di fare l’amore, nell’attimo in cui abbiamo
smesso di dipendere l’uno dall’altra.
Tu
hai la tua vita, io ho la mia, e stupidamente ci illudiamo di poter continuare
a farle combaciare.
Ma
la tua vita non ti porterà mai a pedalare come una forsennata sulle strade buie
di una città addormentata.
Smettiamo
di illuderci, e apriamo gli occhi.
È
tutto finito.
Crolliamo
stremati in un angolo del parco, nascondendoci dietro una siepe, casomai un
cittadino onesto e integerrimo avesse chiamato la polizia per sporgere una
denuncia contro ignoti per schiamazzi notturni.
“E’…
stato… divertente” ammetto, con il fiatone.
“Non
sarai stanco?”
“Non
ho più diciotto anni, sai?”
Sorride,
e nella luce fioca del lampione poco lontano capisco che non solo non è affatto
male… è bellissima.
“Sei
bella.”
Abbassa
lo sguardo, mentre le guance prendono colore.
“Dico
davvero. E ho avuto a che fare con parecchie belle ragazze.”
“Anche
tua moglie è bella.”
Adesso
sono io a distogliere lo sguardo, senza darle una risposta.
“Non
sarà preoccupata?”
“Adrienne
non si preoccupa più molto per me, ultimamente. E io non mi preoccupo più molto
per lei. Non pensavo lo avrei mai detto, ma… credo che il mio matrimonio sia in
crisi.”
“Forse
è soltanto qualche piccola incomprensione. Passerà.”
Scuoto
la testa. “No, non credo. Ci siamo sposati molto giovani, e con gli anni siamo
cresciuti. Mi illudevo che fossimo cresciuti insieme, ma…”
“…ma
siete troppo diversi, e volete cose troppo diverse.”
“Come
lo sai?”
“La
mia prima storia importante è finita così. Siamo stati insieme per nove anni,
dai sedici ai venticinque. E poi ci siamo lasciati.”
“Credo
mi sfugga qualcosa.”
“Cioè?”
“Tu
eri fidanzata, e continuavi a mettere in lista ‘fare sesso con uno
sconosciuto’?”
Fa
spallucce, e scoppio a ridere.
“Sei
davvero strana. Su, passami quella lista.”
Per
fortuna porto sempre una penna con me. Cancello le prime quattro note, e dopo
qualche attimo di riflessione, modifico l’ultima riga.
“Ehi,
ehi, che fai?” protesta Sarah, cercando di riprendersi la lista.
Così
facendo, ci ritroviamo a pochi centimetri l’uno dall’altra. I suoi occhi
nocciola sono terribilmente vicini, e così maledettamente diversi da quelli
neri di Adrienne… così maledettamente sinceri e puri…
“Che
hai scritto?” mi chiede, distogliendo gli occhi da me, ma senza spostarsi.
“Punto cinque: fare sesso con…”
“…un
ragazzo conosciuto da poco” completo, senza smettere di fissarla.
Torna
a guardarmi. “Che cosa significa?”
“Non
lo so” ammetto. “Non so nemmeno perché l’ho scritto. Dammi qui, lo cancello.”
“No”
risponde. “Mi piace di più questa versione” sussurra, avvicinandosi ancora.
Come
un ragazzino alle prime armi, chiudo gli occhi un istante prima che le sue
labbra tocchino le mie.
Sarah
ha un buon profumo, e la pelle morbida e delicata di una ragazza normale. Anche
se di lei non so quasi niente, so che vive giorno per giorno, senza
preoccuparsi di quello che verrà. Per lei esiste soltanto il qui ed ora. È
quello in cui ho sempre creduto io. Quello che ho messo da parte per vivere con
Adrienne. È quello in cui credo di nuovo da adesso, dall’istante in cui ho
fissato i miei occhi nei suoi.
Le
mie mani scivolano sulla sua schiena, e lasciandomi andare sull’erba la
trascino con me. Asseconda i miei baci, i miei movimenti. Siamo in sintonia.
Siamo in sintonia quando la faccio scivolare sotto di me, quando insinuo una
gamba tra le sue. Siamo in sintonia quando ci liberiamo dei vestiti, mentre
facciamo l’amore, sull’erba umida di un parco pubblico.
Ha
un tatuaggio sulla schiena: due rondini.
“Che
cosa significano le rondini?” le chiedo, mentre ci rivestiamo, per evitare di
morire congelati.
“Simboleggiano
la famiglia. I miei sono morti quando avevo dieci anni. L’ ho fatto quando mio
fratello si è ucciso.”
“Significa
che li porti sempre con te?”
“Sì,
sempre.”
Lasciamo
il parco e continuiamo a girare per la città sulle biciclette rubate.
È
quasi l’alba, quando ci ritroviamo sul Ponte della Morte. L’acqua scorre di
nuovo rapida. È così diverso da poche ore fa…
“Grazie,
Billie Joe” sussurra, appoggiando la bici al parapetto. “E’ stata una splendida
ultima notte sulla Terra.”
Sorride,
e si allontana a passo lento, con i capelli scuri che si muovono appena nella
brezza del mattino.
E
io resto immobile, come imbambolato, senza riuscire a ringraziarla.
Perché
per me è stato di più.
È
stata una splendida prima notte sulla
Terra.