Ciao a tutte, eccomi con la mia ultima fan fiction.
Quella che sto ancora scrivendo, Gold in the Blue, sembra non avere molto
successo qui su EFP. Probabilmente non piace il mio stile di scrittura, ma ho
tentato comunque con quest’altra.
L’ho scritta di getto, senza pensare. Le immagini
scorrevano nella mia mente come in un film, e non ho fatto altro che scrivere i
miei pensieri.
Spero che questa piccola fic vi faccia provare
qualcosa. Io ce l’ho messa tutta, davvero. Se volete, lasciate un commento,
anche negativo. Grazie.
Ele_divina
Snow Memories
Central City, 5 dicembre 1911.
L’inverno più rigido della storia, nello stato di Amestris.
Tutta la città è ricoperta da una soffice e gelida coltre di neve. Non ci sono
più colori. Tutto è bianco, ghiacciato.
Edward Elric, il famoso alchimista d’acciaio, il più giovane
alchimista di stato, posa una mano sulla finestra ghiacciata. Il caldo tepore
della pelle crea un alone sul vetro freddo. Con un dito scioglie quelle piccole
goccioline, creando forme indistinguibili. Si ferma, stringe il pugno. Batte le
nocche contro il vetro. La sua mano scricchiola con un leggero rumore
metallico.
Non è più la calda mano di prima. Le dita non sono morbide e
rosate, come quelle di un normale ragazzo di quindici anni. Stringe la mano,
poi la dischiude. Le guarda entrambe. Così simili eppure così diverse. Si rese
conto in quel momento quanto fosse sottile la linea che separa la vita dalla
morte.
Sì. Era così. Il suo braccio destro non era più in vita.
Era morto.
Strinse i denti in un ringhio rabbioso, carico di
risentimento verso quell’azione che aveva compiuto qualche anno prima.
Maledizione. Era stato il suo egoismo a ridurlo così. Lui voleva riavere sua
madre, senza dare nulla in cambio. Sapeva
benissimo che era un’operazione impossibile, che era proibita.
Ma lui voleva tutto. Desiderava rivedere la sua cara mamma, e
tenersi anche tutto il resto. Così facendo aveva rovinato la sua vita. Ah,
giusto. Non solo la sua. Come poteva essere di nuovo così egoista? Come poteva
non pensare a suo fratello, che era costretto
a vivere – se quella può essere vita – dentro un’armatura.
Alphonse non poteva mangiare, né bere, o dormire. Non poteva
sentire la calda carezza del sole, o il gelido graffio della neve. Non avrebbe
più sentito la felicità invadergli il cuore, né il dolore trafiggergli l’anima.
Tutto per colpa sua.
Qualcosa si mosse dietro di lui. Voltò la testa, e i suoi
capelli dorati si mossero fluenti all’aria. Sorrise, leggermente seccato, ma
con un velo di malinconia nello sguardo. Tornò a guardare la neve che scendeva
lenta , in una candida danza delicata.
Già, c’era anche lei. Un’altra persona a cui aveva rovinato
la vita. Winry era costretta a non vederli mai, e ad essere sempre
costantemente in pensiero per loro. È una così cara ragazza. La sua amica
d’infanzia, nonché sua meccanica di fiducia. Era lei che aveva costruito le sue
protasi meccaniche. Di sicuro, non l’avrebbe mai ammesso, ma in cuor suo lui sa
benissimo che le sarà eternamente grato per avergli in qualche modo ridato la
vita.
E la speranza.
Sì, la speranza di poter guardare avanti, e vedere
qualcos’altro oltre al dolore e alla sofferenza di quell’infanzia rubata e di
quell’anima dannata, ormai macchiata per sempre da quello sbaglio, da quel
peccato.
In un certo senso le doveva la vita. Il suo orgoglio, però,
gli impedisce di ringraziarla come davvero merita. Winry è sempre pronta a
stargli accanto nel momento nel bisogno, qualunque cosa si intrometta nella sua
strada. Così come è successo oggi.
“ Winry, l’automail ha bisogno di riparazioni. Penso che si
sia congelato qualche ingranaggio. la spalla non si muove bene come prima” aveva bisbigliato lui al telefono
dell’ospedale, il giorno precedente. “ quando pensi di potermi raggiungere?”
aveva chiesto, ben sapendo che con quel tempaccio, avrebbe sicuramente dovuto
rinunciare alle sue battaglie. Di sicuro, la bionda meccanica non si sarebbe
mossa dalla sua calda casetta tra le campagne di Resembool per prendere uno
scomodo treno e riparare l’auto-mail di quel combinaguai del suo amico Ed.
“domani sono lì” rispose la ragazza dall’altro capo del filo. A quanto pare, si
era sbagliato.
Da quel che aveva capito più tardi, tra i prati del paesello
in cui era nato, la neve e il freddo pungente non erano ancora giunti a
imbiancare le colline verdeggianti. Winry infatti era arrivata vestita leggera,
con un maglioncino di cotone e una corta gonnellina nera.
-
Win,
piantala di sbattere i denti. È fastidioso.
La ragazza si stringe di più nelle coperte del letto di quella
camera d’albergo. Solleva le ginocchia all’altezza del petto, in un ultimo
tentativo di portare a sé un briciolo di calore corporeo. Sbuffa, continuando a
tremare.
-
T-tu
non hai il di-diritto di parlare! È s-solo per te che s-sono qui!
-
Io
di certo non ti ho chiesto di venire subito!
-
Che
altro po-potevo fare? S-se il ghiaccio avesse intaccato i n-nervi, tu saresti
m-morto assiderato!
Edward sbuffa, stringendosi nella sua palandrana rossa.
Nasconde un sorriso dolce, nonché un ringraziamento che mai sarebbe giunto
all’orecchio della bionda. Winry lo guarda, aspettando una sua risposta.
-
Beh,
se non altro non sarei bloccato qui a fare la guardia a una ragazzina
freddolosa!
-
S-sei
uno stronzo E-Ed...
Mormora, seriamente offesa dall’affermazione del ragazzo .
aveva certo chiesto lei di avere una “scorta”. Quando il maggiore Armstrong era
venuto a sapere della presenza di Winry, aveva ordinato al giovane alchimista
di proteggerla a qualunque costo. Primo, perché solo lei sapeva aggiustare
quell’auto-mail, secondo perché il maggiore non sopportava l’idea di saperla da
sola in una città pericolosa e piena di banditi e canaglie come Central City.
Così l’alchimista d’acciaio era stato costretto ad affittare una stanza
d’albergo per loro due. Nonostante tutto, Edward si rende conto del suo errore.
Le si avvicina senza che lei se ne possa accorgere.
-
La
pr-prossima volta ti lasco morire di fr-freddo! Non so p-perché sono venuta qui
così d-di corsa! Solo per aggiustarti l’a-auto-mail! S-se pensi che...
Non riesce a terminare la frase. Sente il materasso dietro di
lei sprofondare leggermente, e in attimo, viene invasa da una calore intenso e
familiare. Due braccia forti la circondano, impedendole una qualsiasi via di
fuga.
-
Scusa.
Dice piano l’alchimista, sprofondando il viso rosso
dall’umiliazione tra le pieghe del lenzuolo bianco, che contrasta con il color
cremisi della sua pelle in quel momento. “Questa è l’ultima volta che ti chiedo
scusa”, pensa. Il viso della ragazza si imporpora e un brivido le attraversa la
schiena – non sa se per il freddo o per avere Ed così vicino, come non lo era
mai stato - costringendola a tremare leggermente. Che cosa stava facendo?
-
Che
cosa stai facendo?
Il biondo nota l’imbarazzo della sua amica. Distoglie lo
sguardo da lei, ancora rosso in viso. Si riprende, ritrovando il suo modo di
fare rozzo e strafottente.
-
Che
cosa vai a pensare? Sto solo cercando di compiere il mio dovere. Non vorrai
mica che io fallisca la mia missione solo per colpa tua, che sei diventata un
ghiacciolo?
-
Ah...
grazie.
-
Non
ringraziarmi. Va meglio ora?
-
Sì,
molto meglio.
“ in effetti, così è davvero molto più caldo”. Winry si
stringe tra le braccia del suo amico d’infanzia, mentre il suo cuore galoppa
frenetico dentro il suo petto. Che sensazione strana, averlo così vicino dopo
tanto tempo.
Fatica a respirare, è troppo felice. Il gelo sembra essere
scomparso, sconfitto da un dolce tepore che le sfiora la pelle, ricoperta di
brividi di piacere.
La sua mente torna indietro nel tempo. A quando erano
bambini. E si stendevano nel prato vicino a casa, sotto il grande salice
piangente. Guardavano il sole sparire in una nebbiolina rossastra, dietro le
colline rotonde. E poi si addormentavano, stretti l’uno all’altra, per
affrontare il fresco della notte che stava per giungere.
Troppo stanchi per rialzarsi e tornare a casa, dopo una lunga
giornata passata a scherzare e a rincorrersi tra i soffici ciuffi d’erba, che
odoravano di libertà.
Troppo uniti per pensare di doversi separare, una volta
tornati nei loro letti.
Sorride, ripensando a quei tempi in cui quell’abbraccio non
li avrebbe fatti arrossire, ma sorridere dalla gioia di avere un così caro
amico al proprio fianco.
Sa anche però che quell’amicizia non esiste più, e che quei
due bambini che si addormentavano sotto il grande albero erano cambiati,
cresciuti. Che non sarebbero più tornati a guardare insieme il tramonto tra le
campagne di Resembool. Sarebbe stato troppo difficile, e si sarebbero creati
troppi malintesi.
È innamorata di lui, lo sa.
Ma non glielo dice. Torna a bearsi di quei ricordi, mentre la
stretta di Edward si fa più intensa. Ogni sua parte del corpo è scossa da
miliardi di emozioni e ricordi. Chiude gli occhi, sorridendo. Capisce che poco
prima si era sbagliata.
In quel letto, quella notte, mentre la neve scendeva a
imbiancare i tetti e le strade della grande città, due ragazzi sono tornati
bambini, addormentati e stretti l’uno all’altra, come a vivere gli ultimi piccoli
istanti della loro infanzia rubata.