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Autore: Dea Elisa    16/09/2010    4 recensioni
Ma sì, in fondo era e rimane colpa mia, se sono sola in questa stanza a fissare il vuoto.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Premessa: i personaggi sono Anna e Antonio, rispettivamente rappresentati in prima e terza persona.






Lui qui





Ma sì, in fondo era e rimane colpa mia, se sono sola in questa stanza a fissare il vuoto.
Lungi dall’essere il mio passatempo preferito, è tuttavia già più di mezz’ora che le mie gambe mi sorreggono di fronte alla finestra. Credo di aver intravisto anche un calesse sconosciuto attraversare il portone aperto della tenuta: forse era Angelo che rientrava dal borgo.
Allungo il collo per focalizzare le prossimità dell’enorme fontana.
No… Angelo stava animatamente parlando con Titta.
Sollevo la gonna dell’abito per camminare più velocemente e raggiungere il corridoio percorrendolo sino alle scale affinché la mia curiosità fosse appagata.
Giunta al pian terreno, mantenevo gli occhi incollati alle finestre che s’aprivano sulla parete che dava sull’esterno, mentre continuavo rapida a camminare, scacciando dalla mente errate supposizioni generate da una speranza mai sopita.
Le mie corde vocali pronunciano qualcosa d’indefinibile quando mi scontro con un servo, distratto quanto me, che aveva tagliato la mia traiettoria.
“Perdonatemi, Anna, non vi avevo visto” si scusa l’uomo.
… che non era un servo.
Indietreggio impaurita.

Lui.
Qui.

Cammino sempre più velocemente verso la mia stanza, nonostante non avesse mostrato nessuna volontà d’inseguirmi.
Entro, lasciando sbattere la porta che rimbalza indietro come se la serratura fosse ostile ad incastrarsi nell’altra sua metà.
Un giorno tutto ciò sarebbe accaduto: un giorno l’avrei rivisto, un giorno mi sarei mostrata restia anche solo a salutarlo, un giorno avrei sperato che invece lui sconvolgesse la mia vita.
Della porta che si era chiusa non avevo sentito neanche il rumore, tanto forte era il suono del mio rancore.
“Vi siete spaventata? Siete fuggita via, così…”
“Pensavate v’accogliessi a braccia aperte?”
“Dunque è meglio scappare.”
“O far finta di nulla. Come qualcuno ha fatto per tutti questi anni.”
Mi volto, a braccia conserte.
“D’accordo. In tal caso credo sia meglio andarmene.”
“Chiudete la porta, quando uscite.”

Ma sì, in fondo era e rimane colpa mia, se sono sola in questa stanza a fissare il vuoto.






   
 
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