Fanfic su artisti musicali > Taylor Swift
Ricorda la storia  |      
Autore: Rebecca_    16/09/2010    1 recensioni
Come una bambina nel mondo delle fiabe, sognavo ciò che mi era proibito. Improvvisamente tutto si colorava dei colori più brillanti, che lentamente mi avvolgevano in un turbine di calore. Poi si allontanavano, come se il loro compito fosse finito.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Two is better than One

Two is better than One

Era passato qualche mese, ma sembravano anni quelli che mi dividevano dall’ultima volta in cui avevo incrociato il suo sguardo. Mi ero ripromessa di non pensare più a lui, a quello che c’era stato. Le giornate scorrevano velocemente una dopo l’altra e i miei impegni mi permettevano di tener fede alla promessa, ma la notte era tutta un’altra storia. Come una bambina nel mondo delle fiabe, sognavo ciò che mi era proibito. Improvvisamente tutto si colorava dei colori più brillanti, che lentamente mi avvolgevano in un turbine di calore. Poi si allontanavano, come se il loro compito fosse finito. Ogni volta, sapevo quello che ciò significava. Ed eccola lì, la sua figura stagliarsi tra quei colori che si spargevano ovunque e riempivano quelle pareti immaginarie di gioia. Era bellissimo, perfetto. Faceva male agli occhi, ma soprattutto al cuore. Provavo ad avvicinarmi, provavo a chiamare il suo nome, ma tutto quello che usciva dalla mia bocca era aria. Lui continuava a guardarmi, come se aspettasse che io dicessi qualcosa. Poi il suo corpo svaniva in una nuvola di fumo nero, e i colori si spegnevano. Rimanevo sola, senza neanche la forza di piangere. A quel punto mi svegliavo, e mi ritrovavo in lacrime. Era un sogno ricorrente, forse anche troppo. Era una malattia. Lui mi aveva infettata, ed io non avevo l’antidoto.

 

Quando stai male, di solito il medico ti dovrebbe ordinare di stare a letto a riposare, non di sottoporti nuovamente alla causa della tua malattia. Non c’era via di scampo, però. Avrei dovuto rivederlo, e sarei stata vulnerabile come mai prima d’allora. Sarei peggiorata, per quanto possibile.

Quando ricevetti la dolorosa notizia del nostro prossimo incontro, dovetti fingere felicità, mentre dentro urlavo a chiunque ci fosse lassù, chiedendogli perché mi facesse una cosa del genere. Non era bastato portarmelo via? Sfoggiai il sorriso più convincente che sapessi fare. In fondo tutto il tempo passato davanti alle telecamere doveva pur essere servito a qualcosa.

- La vostra canzone ha venduto milioni di copie, l’intervista è importante, non puoi mancare –

- Non era mia intenzione – dissi, calma.

Sapevo che mia madre aveva intuito qualcosa durante quel periodo. Mi leggeva dentro, ma io non potevo dirle niente. Come potevo spiegarle quello che era successo? Lei, che mi aveva insegnato a rispettare sempre me stessa, come avrebbe reagito nel sapere che sua figlia aveva preferito i soldi ad un ragazzo per cui ora stava così male?

- Tesoro, se c’è qualcosa che non va puoi dirmelo. Lo sai. –

- Sì, lo so. Ma va tutto bene, tranquilla. – la guardai, sperando che non insistesse oltre.

Non lo fece, continuò invece a mangiare. Io giocherellai con le patate nel mio piatto. Non avevo più fame, ma mio padre stava continuando a darmi informazioni sull’intervista e non potevo alzarmi da tavola. Mi accorsi che mia madre mi stava guardando incuriosita e, al tempo stesso, preoccupata, così mi sforzai di ingoiare un po’ di cibo. L’intervista si sarebbe svolta tra due giorni, negli studi di registrazione della sua band. Sospirai, avvilita. Non c’era veramente via di scampo.

 

Quei giorni passarono in fretta. Mi ritrovai sola ad aspettare gli altri intervistati, mentre mio padre discuteva con qualcuno di cui non avevo ben capito il ruolo, e l’intervistatore discuteva con i tecnici. Il flusso dei miei pensieri fu interrotto dai rumori che arrivavano dalla sala accanto. Erano arrivati, potevo chiaramente distinguere le risate di Paul e John.

- Ben arrivati, solo cinque minuti di ritardo. Mi dicono che per voi è un record – li accolse l’intervistatore, con il microfono già in mano.

Entrarono i due che avevo già riconosciuto. Il battito del mio cuore accelerò, e io combattevo tra la voglia di rivederlo e la paura di quanto avrei sofferto. Ma non entrò più nessuno. Erano solo loro due, e il tempo trascorso nell’ansia per quel momento si rivelò inutile.

- Ehi, ciao – mi ripresi quando mi accorsi che si stavano dirigendo verso di me.

Li abbracciai, sinceramente contenta di rivederli, ma segretamente delusa dal risvolto delle cose.

- Come stai, piccola Tay? – mi disse Paul scompigliandomi i capelli amichevolmente.

- Bene! Tu ostenti ancora la tua elevata altezza, vedo –

- Certe cose non cambiano –

Scherzammo e ridemmo come vecchi amici. Mi ero dimenticata di quel rapporto che avevo costruito con loro, quasi fraterno. Era facile chiacchierare con loro, e l’intervista si rivelò più veloce del previsto.

- Andiamo a bere qualcosa? – propose John quando fummo fuori dagli studi.

- Certo! –

Non tentai neanche di mentire a me stessa. Sapevo che il mio scopo era scoprire perché era venuta solamente metà della band, perché lui non fosse lì. Egoisticamente, pensai che forse era la mia presenza la causa della sua assenza.

Salutammo la folla che si trovava sotto il palazzo e che, chissà come, aveva saputo che ci trovavamo lì. Qualcuno chi chiedeva l’autografo, altri di fare delle foto con loro, ma le nostre guardie del corpo ce lo impedirono. Come sempre, mi dispiacque e mi sentii in colpa. In fondo, non ero diversa da loro.

Salii sulla loro macchina, mentre mio padre tornava a casa con la nostra. Ci dirigemmo verso uno dei locali più costosi che c’erano a Los Angeles, uno dei pochi che ci garantiva tranquillità.

Paul optò per uno dei tavolini più appartati. Ci sedemmo e subito una cameriera si avvicinò. Ancora mi sorprendeva essere trattata come una celebrità, nonostante fosse praticamente abituale per me.

- Allora, come mai siete solo voi? Gli altri due li avete lasciati a casa? – decisi di togliermi subito ogni dubbio e approfittai del silenzio che seguiva l’assaggio delle bevande.

- Bryan era impegnato con la famiglia – John si ammutolì. Non osò aggiungere altro.

- Non ti preoccupare, non è a causa tua se Martin non è venuto – spiegò Paul.

Finsi di crederci. Durante la nostra collaborazione avevo imparato a capire quando mentivano e quando erano sinceri, non potevano darmela a bere così facilmente.

Quindi, era colpa mia. Non capii subito quella piccola sensazione, nascosta da un abisso di senso di colpa e tristezza. Poi, compresi che era speranza. Per lui significavo ancora qualcosa, non mi aveva ancora dimenticata. Non l’aveva superata, non del tutto, se ancora la mia presenza poteva contare così tanto, se poteva pesare su una sua decisione.

- Posso chiederti come stai? Veramente, intendo – John non mi era mai parso più serio di così.

Sorrisi, lusingata dalla loro preoccupazione per me.

- Sto tentando di andare avanti, possiamo metterla così – azzardai.

Paul sorrise.

- Rispondete allo stesso modo –

L’argomento non fu più sfiorato. Il resto del pomeriggio lo passammo scherzando e ridendo come buoni vecchi amici. Mi erano mancati terribilmente, lo dovevo ammettere.

Quella notte, i sogni non mi risparmiarono. Mi ero addormentata piangendo, e ancora una volta mi risvegliai con il viso coperto da nuove lacrime. Il ricordo delle sue braccia che mi avvolgevano teneramente mentre rimanevamo nello studio fino a tardi per completare la canzone, delle sue labbra che si posavano sulla mia fronte quando credeva stessi dormendo, e quando incontravano le mie, era più vivido che mai.

Nessuno sapeva di noi. Quelle sere erano il nostro piccolo segreto, non volevamo altro. Stando entrambi sotto i riflettori per la maggior parte del tempo, ci sembrò la cosa più sensata. Nessuno poteva sapere per chi cantavo, a chi pensavo mentre le parole delle mie canzoni coloravano un concerto. Ci eravamo incontrati per caso, e allo stesso modo avevamo iniziato a provare qualcosa l’uno per l’altra. Era quello sguardo, il suo sorriso, tutto di lui mi faceva impazzire. Pensavo a lui continuamente, e quando potevo vederlo, l’unico pensiero che riempiva la mia mente era che volevo parlargli. Trovavo le scuse più stupide, e ogni volta lui prolungava la nostra conversazione con altri argomenti, il più delle volte inutili quanto i miei.

Aveva proposto lui quella collaborazione, e fu mentre iniziavamo a tirare fuori le parole che capimmo entrambi. Mi chiese di rimanere ancora lì con lui, e ben presto gli altri se ne andarono. Eravamo soli, lui con la chitarra in mano ed io con un foglio e una penna, seduti su un divano. Alzai lo sguardo per guardarlo, quando incrociai il suo. Mi sorrise ed io arrossii, imbarazzata. Si chinò su di me. Chiusi gli occhi, aspettando quel momento che avevo iniziato a sognare spesso e che finalmente si stava avverando.

Mi piaceva ricordare il nostro primo bacio, la nostra storia. Quei ricordi erano avvolti da un velo di malinconia e tristezza, di cui la mia malattia si cibava. Quel virus che mi aveva infettata si sentiva appagato solo in quel modo, non potevo evitarlo. Singhiozzavo, ma era più forte di me, non potevo sconfiggerlo.

 

Era passata una settimana dal mio incontro con John e Paul, ma niente era migliorato, anzi. La mia mente decideva liberamente quando tirare fuori i ricordi che avevo dolorosamente nascosto nell’angolo più remoto del mio cervello. Ogni volta, il dolore aumentava e la realtà si allontanava da me.

Adesso non capivo più perché ci eravamo lasciati, perché io avessi deciso di ascoltare un estraneo e non lui. Sorridevo sarcastica quando ripensavo a come, ingenuamente, avevo creduto possibile dimenticarlo facilmente, andare avanti senza che ci fossero conseguenze. Ero convinta che la mia carriera fosse più importante di lui, che uno stupido pezzo di foglio che mi garantiva il successo potesse appagarmi più della sua presenza, della sua voce e del suo sguardo. Non era adatto per me, dicevano, quella relazione si sarebbe ripercossa negativamente sulla mia immagine. Quello che più faceva male, era che io ci avevo creduto.

- Ehi Tay, buongiorno! – ero nella mia camera, seduta sul mio letto e presa dai miei pensieri, quando la mia migliore amica entrò.

- Ciao Abigail – mi guardai per un attimo allo specchio. Il sorriso che sfoggiavo non convinceva neanche me.

Abigail si sedette accanto a me e mi mise un braccia intorno alle spalle, senza dire una parola. Mi liberai di quelle lacrime che ancora non volevano smettere di scendere, e mi accovaccia tra le sue braccia.

- Sssh, tranquilla – mi ripeteva, tentando invano di tranquillizzarmi.

Passò qualche minuto, ma io non riuscivo ancora a parlare. Mi comportavo come una bambina stupida, me ne rendevo conto da sola. Perché qualcuno non si decideva a darmi uno schiaffo e a farmi risvegliare da quel dormiveglia? Da sola non ci riuscivo.

- So che non è il momento più adatto per dirtelo, ma so anche quanto sia inutile riaprire il discorso. Preferirei invece che ti distraessi, credo sia il modo migliore per andare avanti –

Mi sollevai, cercando di darmi un contegno. La mia migliore amica mi guardava con compassione e le si leggeva facilmente quanto fosse preoccupata per me.

- Sono mesi che ci sto provando – dissi, sarcasticamente. Mi riusciva fin troppo bene quell’atteggiamento, ultimamente.

- Lo so, ma non puoi pretendere che tutto passi velocemente. Devi fare piccoli passi –

Sospirai. Aveva ragione.

- Cosa mi volevi dire? –

- Volevo organizzare un’uscita per stasera. Ho già chiamato Elizabeth e gli altri, ci saranno tutti. Per favore, vieni anche tu? –

Ci pensai su. L’idea non mi allettava molto, ma Abigail ci teneva. Sapevo che non sarei potuta rimanere per sempre in quella stanza a piangermi addosso, così accettai.

 

Arrivammo al ristorante e tutti erano già lì. C’era la mia band al completo e i miei migliori amici, Abigail era riuscita a riunire le persone di cui avevo più bisogno in quel momento.

Mi accolsero con naturalezza, nessuno fece allusioni, nessuno sembrò interessarsi al periodo di reclusione che era appena finito. Il buon umore presto tornò a riempire il mio sorriso, e i miei problemi sembravano lontani e insulsi. In compenso, riuscivo a ridere e Martin non provocava nessuna reazione. Per un attimo, mi sentii più forte dei miei stessi sentimenti. Potevo andare avanti, ora ne ero certa.

- Ho saputo che in spiaggia faranno dei fuochi d’artificio, perché non andiamo fuori? – propose Elizabeth dopo mangiato.

Accettammo tutti di buon grado. La cosa più bella di quel locale era la sua vista sulla spiaggia, nonostante non si trovasse molto vicino all’oceano. Probabilmente, Abigail aveva pianificato anche il luogo dell’incontro.

Uscita fuori, mi accorsi di aver dimenticato la borsetta e tornai indietro in tutta fretta, mentre gli altri si dirigevano verso il terrazzo, cui si accedeva dall’esterno.

- Ah, sei qui –

Sussultai, pensando di essere rimasta sola.

- Sì, avevo dimenticato la borsa. Non sei andato con gli altri? –

Lucas mi guardò e sorrise.

- Non ti ho più vista e sono tornato indietro. Per un attimo ho temuto qualche pazzo ti avesse rapita –

- Esagerato – dissi, colpendolo con la borsa che avevo ritrovato sotto al tavolo.

Un’altra volta, mi sorrise semplicemente. Sentii che c’era qualcosa nell’aria, come se volesse parlarmi. Sperai con tutto il cuore che non tirasse in ballo Martin, non quella sera.

Uscimmo in cortile. I fuochi d’artificio si riuscivano a vedere benissimo anche da lì, così decidemmo di rimanere appoggiati alla staccionata che divideva il cortile dal vuoto sotto di noi.

- E’ da un po’ che non passavamo del tempo insieme, mi sei mancata –

- Anche tu. Ti prometto che da adesso le cose cambieranno, usciremo più spesso –

- L’hai promesso, eh – sorrise di nuovo, enigmatico.

Stavo tentando di decifrare la sua espressione, quando si girò e i suoi occhi si fermarono nei miei. Il suo viso iniziò ad avvicinarsi al mio, lentamente. Non so bene cosa provai in quel momento. C’era una parte di me che avrebbe voluto fermarlo, l’altra voleva che continuasse ad avvicinarsi. Desideravo quel contatto, desideravo che le nostre labbra si incontrassero. Alla fine, accadde. Iniziò a baciarmi e ricambiai quel bacio. Mi accorsi che sapeva di amicizia, pura e semplice amicizia.

Si allontanò lui per primo, e si soffermò a guardarmi, a pochi millimetri da me. Scoppiai a ridere, sarcastica, ma allo stesso tempo divertita per non essermene accorta prima, per non averlo fermato in tempo. Pensai di averlo ferito, ma subito dopo iniziò anche lui a ridere.

- Okay, non ha funzionato – disse.

Scossi la testa, entrambi tentavamo di ricomporci.

- Mi dispiace – dissi io, senza alcun dispiacere dipinto sul viso.

- Figurati, pensavo solo fosse la cosa più giusta. Non so cosa mi è preso –

- Non ti preoccupare, anch’io pensavo di volerlo – arrossii. Cantare i miei pensieri era una cosa, ma dirli così ad alta voce era un altro paio di maniche.

Lucas mi abbracciò e continuammo a contemplare lo spettacolo che si apriva davanti i nostri occhi.

Capii perché lo avevo baciato anch’io. Non desideravo le sue labbra, desideravo semplicemente un contatto fisico. Ingenuamente, pensavo mi avrebbe liberato di lui, mi avrebbe aiutato ad andare avanti. Ma non provavo niente per Lucas che non fosse dell’affetto fraterno, e per lui era lo stesso. Chissà perché, per un momento, avevamo creduto il contrario. Alcune volte l’atmosfera che ci avvolge, ci inganna.

Nonostante quello che era successo tra me e Lucas, o forse proprio grazie a quello, la serata che si era appena conclusa mi aveva aperto gli occhi. Era come se fossi sveglia dopo un mucchio di tempo passato a dormire, rivangando un passato tanto lontano quanto inafferrabile. Una porticina si era chiusa, nonostante le finestre mi permettessero ancora  di vedervi all’interno, ma ora mi era proibito entrare. Ero pronta per aprirne un’altra, avevo solo bisogno di una chiave, ed ero totalmente propensa a trovarla.

 

Passarono due settimane più impegnative del solito: dovetti darmi da fare per aiutare l’organizzazione del tour estivo, che sarebbe cominciato di lì a poco, fui ospite in un paio di programmi e riuscii anche a tener fede alla promessa fatta a Lucas. Non mi rimaneva molto tempo per pensare, ma anche se fosse rimasto, non avrei pensato a lui più di tanto. Ogni notte, ora, era tranquilla. Non so cosa mi fosse successo, ma ero veramente felice di essermi lasciata alle spalle quel brutto periodo. Era come se la realtà avesse preso il sopravvento, improvvisamente.

Come ad ogni giornata di sole, però, soprattutto quando ad una se ne sussegue un’altra, seguiva una tempesta. Più che altro, era una nuvola scura, che non sapevo se portasse fulmini o solo una pioggia passeggera.

- Tesoro, ti hanno detto di domani sera? – di nuovo a tavola, mio padre parlava di lavoro.

- No, cosa succede? –

- C’è un party, e ti hanno invitata –

- Ah, fantastico. Chi lo dà? –

 - La casa discografica dei tuoi amici –

Il mio cuore si fermò, per un microsecondo.

- Quali amici, papà? – attesi la risposta impazientemente. Mai pensai che mio padre fosse troppo lento nel dare certe informazioni come allora.

- Quelli con cui hai collaborato… ora il nome della band mi sfugge! Come si chiamano…-

- Intendi Paul e gli altri? – mandai giù a forza il boccone che mi era rimasto in bocca.

- Sì, esattamente! La band di Martin –

- Non è proprio la band “di Martin” – dissi, scocciata che il suo nome fosse venuto fuori.

- E’ uguale –

Rimasi in silenzio. Ora dovevo mandare giù quella notizia. E’ vero, la sua casa discografica dava una festa, ma non era detto ci sarebbe stato. Probabilmente avrebbe saputo che anch’io ero invitata, e non sarebbe venuto. Anche se questa volta forse toccava a me non andare. In fondo, però, io non avrei potuto sapere con certezza se lui ci fosse stato o no, mentre se io avessi dato una risposta affermativa, lui avrebbe potuto benissimo chiedere. Inoltre se non ci fossi andata tutti sarebbero diventati sospettosi, soprattutto mia madre, cosa che volevo evitare.

- Allora, ci andrai? – mia madre tentò di sembrare indifferente, ma io potevo leggere la curiosità nei suoi occhi, nonostante non mi guardasse.

- Penso di sì – non ero molto convinta neanche io, ma ai miei genitori bastò. L’argomento non fu più tirato in ballo.

La sera stessa chiamai la casa discografica per confermare la mia partecipazione, e seppi che molta gente era stata invitata. Anche se Martin fosse venuto, avremmo potuto evitarci molto facilmente. Forse quella situazione non si sarebbe rivelata così terrificante come sembrava.

Pregai Abigail di venire comunque. La sua compagnia mi sarebbe tornata utile, e lei non poteva dirmi di no. Usai la carta della migliore amica senza remore, ero disperata.

Così, l’indomani ci preparammo per quella che sarebbe stata una serata alquanto interessante.

 

Appena arrivate nel locale dove si teneva il party, una specie di ibrido tra un pub e un locale di spogliarelli, fui distratta da diversi conoscenti. Per lo più erano ragazzi e ragazze nel mondo della musica, come me. Vidi Abigail un po’ in soggezione e quando riuscii a liberarmi, ci rifugiammo in un angoletto.

- Va tutto bene? –

- Sì, tranquilla. Lo sai che non sono abituata a tutte queste celebrità, nonostante ti frequenti da sempre –

Le sorrisi, segretamente contenta che la nostra amicizia si rivelasse più sincera ogni giorno che passava. Pochi potevano godere di una vera amica come potevo io.

- Okay, Taylor, non vorrei, ma te lo devo dire –

- Cosa? – ero spaesata. D’un tratto Abigail sembrava preoccupata.

Sospirò.

- E’ appena arrivato Martin –

Sentii le mie gambe cedere. Era solo una sensazione, ma mi sembrò di sprofondare. Mi accorsi di non essere preparata al quel momento. Avevo così disperatamente tentato di non pensare ad un eventuale, e probabile, incontro, che, alla fine, non sapevo come avrei dovuto reagire.

- E’ solo? – chiesi, temendo fosse venuto con una ragazza.

- No, ci sono Paul, Bryan a John –

Mi stavo tranquillizzando, quando invece realizzai che non potevo non salutare almeno loro tre. Se gli avessi ignorati forse avrebbero capito, ma potevo permettermi di ignorarli a causa sua? No, non potevo. Ero io ad aver messo la parola “fine” a quella che era la nostra storia, era ora di accettarne le conseguenze.

- Credo che debba andare a salutarlo – dissi, fissando prima il vuoto e poi la mia migliore amica.

- Sei impazzita? –

- No, non sono impazzita. Abigail, l’ho lasciato io, non posso ignorarlo. Non ho il diritto di starci male –

- Taylor, ragioniamo insieme. Non ti ho mai detto quello che pensavo perché sei mia amica, ma credo sia arrivato il momento di darti il mio giudizio riguardo tutta questa faccenda –

Annuii, anche se non capii dove volesse arrivare. Che era colpa mia lo avevo già ammesso io stessa, cos’altro c’era? Quale altra colpa avevo di cui non mi ero resa conto?

- Tu non hai lasciato Martin perché hai voluto farlo. Tu l’hai lasciato perché era quello che ti sembrava più giusto –

- Perché la mia casa discografica mi aveva detto che se non lo avessi fatto, probabilmente non avrebbero continuato a seguirmi –

- Non lo capisci? E’ qui che stai sbagliando! –

Vidi una nuova strada aprirsi, come se stessi per scoprire qualcosa che era stata davanti ai miei occhi per tutto quel tempo, ma che ancora non vedevo chiaramente. Abigail era la mia torcia.

- Spiegati – la mia voce a malapena riuscì ad uscire.

- Improvvisamente, ti sei ritrovata a dover scegliere tra un ragazzo e la tua immagine, non il tuo lavoro. Ti hanno detto che ne avresti risentito agli occhi dei fan, ma non hanno mai parlato di contratto. La vostra relazione si sarebbe ripercossa sulle tue vendite, quanto sulle sue. Non sarebbe stata vista di buon occhio dalla maggior parte dei fan, ma non solo dei tuoi. Sarebbe stato un disastro per le vostre carriere, perché musicalmente appartenete a due mondi differenti. Tu l’hai capito, Martin no. La tua è stata una decisione razionale, non sentimentale. E non è stata egoistica -

Mi ero sinceramente persa. Abigail aveva messo insieme pezzi di un puzzle che avevo costruito io stessa, ma nel suo modo combaciavano meglio. Non solo mi sentivo più tranquilla e meno in colpa, ma ogni mia azione acquistava maggior senso. Non l’avevo fatto solo per me, non avevo lasciato Martin per paura che solo la mia carriera potesse risentirne. Mi ritrovai a ripercorrere i ragionamenti che avevo fatto prima di lasciarlo, e lui ne era sempre al centro. Mi ero creduta fino ad allora un’egoista, perché lui mi aveva definita tale. Lui aveva creduto che l’avessi fatto solo per me, e alla fine me ne ero convinta anch’io. Mi ero detta che così avrei sofferto per la mia mancanza di coraggio, non per la sua assenza, ma avevo avuto ancora una volta torto.

- Devo comunque parlargli –

Abigail non era convinta fosse la cosa giusta, lo sapevo, ma annuì e mi sorrise per incoraggiarmi.

Mi girai, per cercarlo. Una morsa mi afferrava lo stomaco, mentre attendevo di scorgere il suo profilo in mezzo a quella folla. Fu difficile, ma alla fine notai un tavolo dall’altra parte della sala. Riconobbi prima Paul, poi Bryan, e infine lo vidi. Era quasi peggio dell’ultima volta. Stava scherzando con i suoi amici, e sembrava sereno. La nostalgia dei giorni passati a ridere con lui arrivò più velocemente di quanto mi aspettassi. Quel sorriso mi era mancato terribilmente.

Abigail mi strinse la mano, e insieme ci immergemmo nella folla. Eravamo a metà del percorso che ci separava dal tavolo, quando mi fermai, pietrificata.

- Non ce la faccio – dissi.

Avevo realizzato che non avevo granché da dire, che la situazione sarebbe stata imbarazzante. Inoltre, non sarei mai riuscita a sostenere il suo sguardo. Poi mi aveva colpito il pensiero che forse lui non mi voleva neanche vedere, che sarebbe stato scocciato dal mio arrivo. Non volevo vederlo come l’ultima volta, non volevo rivedere il disprezzo nei suoi occhi. Nonostante Abigail mi avesse mostrato la situazione da un altro punto di vista, il mio rimorso non era diminuito.

- Vuoi andare via? –

Le stavo per rispondere di sì, quando accadde. Si voltò nella mia direzione, e mi vide. I suoi occhi nei miei, ancora una volta. Era sorpreso, l’unica emozione che riuscivo a leggergli sul volto. Non era arrabbiato, ma non era neanche contento. Continuava a fissarmi. Forse anche lui riusciva a vedere quello che vedevo io: il passato. Un passato che ora sembrava più vicino che mai. Mi sembrò ironico come i punti di vista potevano cambiare così facilmente. Di nuovo, tornò il ricordo del nostro primo bacio. Ero fisicamente bloccata, come se per un attimo lungo mesi, stessi viaggiando in un’altra dimensione dove esistevamo solo io e lui.

Abigail mi scosse un braccio, riportandomi alla realtà. Una lacrima scese lungo il mio viso, e me ne andai. Lui mi stava ancora guardando, potevo sentire il suo sguardo su di me.

Arrivammo nel parcheggio, e Abigail chiamò mio padre per farci venire a prendere. Gli chiese anche di prendere il solito zaino che portavo quando dovevo passare la notte da lei, sempre pronto per ogni evenienza, nonostante la mia migliore amica sostasse in un hotel in quel periodo.

Andai a dormire che ero stravolta. Per fortuna quella notte fui troppo stanca anche per sognare.

 

-Ehi, bella addormentata –

Aprii gli occhi e fui accecata dalla luce che proveniva dalla finestra. Ero sveglia da un po’, ma non avevo avuto voglia di alzarmi.

- Buongiorno – dissi ad Abigail, tirandomi su e stiracchiandomi.

- E’ quasi mezzogiorno, credo sia arrivato il momento di alzarti –

- Di già? – incredula, guardai la sveglia sul comodino.

Abigail annuì, probabilmente divertita dalla mia espressione ancora addormentata.

- Vieni di là, ho ordinato il servizio in camera e ti aspettano caffè e croissants –

Sentii il profumo che si propagava fino alla camera da letto dove avevo passato la notte, così decisi di alzarmi senza troppe lamentele.

Nella camera attigua che fungeva da salotto, Abigail aveva sistemato la colazione per bene sul tavolino. Accanto alla tazza aveva messo giornali di gossip che, per quanto trovassimo insulsi, aiutavano sempre a distrarsi almeno un po’.  Mi accomodai sul divano, subito seguita da Abigail, e mi preparai ad addentare un croissant, quando il mio cellulare squillò. Non ricordai subito dove lo avevo messo e iniziai a camminare per la stanza a vuoto, tentando di capire da dove provenisse la musica.

-  L’ho trovato! – urlò Abigail, pescando il telefono dalla mia borsa, buttata a terra senza un minimo di cura.

Lesse il nome di chi mi stava chiamando, e fece una smorfia.

- Chi è? – chiesi incuriosita.

Abigail mi guardò per un attimo, poi mi passò il telefono. Chiunque mi stesse chiamando, era piuttosto insistente.

Sorridevo, non capendo quale fosse la preoccupazione della mia migliore amica, quando anche io lessi il nome sul cellulare. Deglutii e risposi.

- Pronto? –

- Oh, ciao. Non pensavo avresti risposto –

Il suono della sua voce fu come una lama che lentamente penetrava il mio cuore. Dovetti riacquistare tutte le facoltà mentali prima di poter trovare una risposta sensata.

- Io non avrei mai immaginato che tu mi chiamassi, a dir la verità – gli occhi preoccupati di Abigail su di me non aiutavano a mantenere la calma, così tornai in camera da letto.

- Neanche io, ma ero preoccupato. Sai, dopo ieri sera…-

- Preferirei ti dimenticassi di ieri sera. Non è stato uno dei miei momenti migliori, sai com’è –

- Non hai perso il vizio, eh? –

- Quale vizio? – mi accorsi del mio tono freddo, ma non era volontario. Il mio subconscio non era pronto a lasciarmi ricadere nella trappola, a lasciarmi provare ancora qualcosa per lui.

- Quello di interrompere qualcuno che sta cercando di dirti qualcosa. O lo fai solo con me? –

- Scusa, - mi morsi un labbro – ma non so se voglio sentire quello che stavi per dire –

- Capisco, non ti devi scusare.  – ci fu un attimo di silenzio in cui Martin sospirò  - Come stai? –

- Vado avanti –

- Beata te –

Colpita e affondata. Con due parole, mi aveva messo alle strette. Non sapevo più cosa dire, avrei solo voluto abbracciarlo e dirgli che anch’io non riuscivo a dimenticarlo, che mi mancava terribilmente, che sentire la sua voce e non poterlo toccare era una delle pene peggiori che mi fossero state inflitte.

- Ci vediamo. Stammi bene, Taylor – Martin aveva preso il mio silenzio per ostinazione. Non aveva capito che non avevo risposto perché neanche io ero sicura di cosa dirgli.

Attaccò prima che potessi rispondere qualsiasi cosa. Forse fu un bene, perché quello che gli avrei detto avrebbe messo in discussione quei mesi in cui eravamo stati separati e probabilmente mi avrebbe preso per pazza.

- Oi, tutto bene? Non ti ho più sentita parlare e sono venuta…-

- No, non va bene per niente –

- Che ti ha detto? –

Le raccontai della nostra microscopica conversazione e di come mi sentivo a riguardo.

- Forse l’idea di parlargli non era così male. E’ ovvio che ci tiene ancora a te, e tu tieni ancora a lui –

- Lo so, ma come pensi potrebbe finire questa storia? Ti ricordo che noi ancora non possiamo stare insieme-

- Perché prima di prendere una decisione, questa volta, non chiedi prima a lui cosa ne pensa? Forse non gli importa di perdere qualche fans, l’importante è che stia con te. Non hai mai pensato a questo? –

Sospirai. Più che pensato, l’avevo timidamente sognato per tutto quel tempo.

- Io non credo mi direbbe la verità, se confermasse la tua teoria. Soprattutto dopo questa telefonata, come potrebbe dirmi che non vuole stare con me perché metterebbe a rischio la sua carriera? –

- Non lo puoi sapere, Tay. Tutto quello che sto cercando di dirti, è di parlarne direttamente con lui. Non ti mentirò, con il tempo vi scorderete l’uno dell’altra, ma perché soffrire inutilmente nel frattempo?  -

Il ragionamento di Abigail filava fin troppo bene. Avevo paura di lasciarmi convincere, ma la mia migliore amica stava sfoderando le carte migliori. Se non avessi fatto come diceva lei, le dovevo almeno una spiegazione che io non avevo.

Sospirai, arresa davanti l’evidenza.

- Non voglio affrontare un’altra conversazione per telefono però –

- Sono completamente d’accordo. Perché non lo andiamo a trovare negli studi? –

- E come facciamo a sapere se è lì? Da quanto ne so io, non stanno ancora registrando un nuovo album –

- Dimentichi che io ho i miei informatori –

La guardai, confusa.

- E chi sarebbero questi informatori? –

- Bryan, ovviamente! So che oggi lui e Martin andavano lì per lavorare su non so che brano. Non chiedere, sai che ci capisco poco e niente –

Il piano sembrava perfetto, a parte il fatto che non sapevo cosa dire a Martin. O meglio, sapevo che volevo chiedere di ritentare, di frequentarci di nuovo, anche se solo come amici, tanto per iniziare. Il problema era che non sapevo se ci sarei riuscita.

Passai il resto della mattinata decidendo cosa avrei indossato, anche se in realtà non mi importava granché, ma il tempo lo dovevo far passare in qualche modo. Abigail avvertì Bryan che saremmo andate verso le cinque del pomeriggio e, ovviamente, Martin non doveva sapere niente. Le ore sembravano passare sempre più lentamente e io mi stavo tormentando inutilmente.

 

Alla fine, arrivarono le fatidiche cinque. Io ed Abigail eravamo più puntuali di un orologio svizzero. Alle cinque e cinque eravamo nella sala dove si trovavano Bryan e Martin e che tanto tempo prima aveva visto la registrazione della nostra canzone. Il primo era seduto sul divano e giocava con il cellulare, mentre il secondo stava provando un pezzo con la chitarra. Dall’altra parte del vetro, Martin alzò lo sguardo e mi vide. Come la sera precedente, era sorpreso e rimase a fissarmi per quello che a me parve un periodo interminabile. Lo richiamò un uomo che si trovava accanto a lui. Non capii il labiale di Martin, ma probabilmente gli chiese qualche minuto di pausa perché ben presto ci raggiunse.

- Ciao –

- Ciao – ancora arrossivo per ogni suo sguardo.

- Bryan, Jimmy ha chiesto se puoi provare tu ora –

- Vado – e Bryan ci lasciò.

- Che ci fai qui? – Martin si rivolse nuovamente a me.

- Dobbiamo parlare –

Martin annuì e guardò Abigail, confuso sul da farsi.

- Oi, ti dispiace se noi due usciamo? – le dissi io.

- Nessun problema –

Martin ed io ci dirigemmo fuori la sala. Scendemmo le scale in silenzio, fino a trovarci nella sala principale dove si trovava una specie di reception. Non c’era nessuno e mi sembrò il posto adatto, così andai verso l’angolo più lontano e lui mi seguì.

- Perché mi hai chiamata stamattina? – gli chiesi a bruciapelo. Mi ero ripetuta quella domanda per tutto il giorno, ma ora non sembrava più così sensata.

- Era quello che stavo tentando di spiegarti per telefono –

- E io ti ho detto che non ero sicura di volerlo sapere, ma ora lo sono –

- Perché? –

Quella domanda mi spiazzò. Non me l’aspettavo.

- Perché sì… Non mi puoi semplicemente rispondere? –

- No, voglio sapere perché sei qui, perché ora hai deciso di parlare – si stava costringendo a tenere un tono di voce basso, mentre si avvicinava a me per essere sicuro che cogliessi il senso di ciò che mi stava chiedendo.

- Perché mi manchi – sputai.

Martin non disse niente, continuò semplicemente a guardarmi dritto negli occhi.

- E lo hai capito solo ora? – mi chiese poi, amaro.

- No… Cioè, in un certo senso sì. Ti ricordo che ieri era la prima volta che ci siamo visti dopo…-

- Dopo che tu hai deciso di lasciarmi perché la tua carriera era in chissà quale tremendo pericolo –

Mi ripetei che mi meritavo quel trattamento, per non scoppiare a piangere.

- Non l’ho fatto solo per me –

Lo sguardo di Martin si perse per un momento, come se anche lui avesse appena scoperto un nuovo senso a tutto quello che gli avevo fatto.

- Vuoi dire che eri preoccupata per me? –

- Sì. Quello che avevamo… Se si fosse scoperto avresti perso tanti dei tuoi fans. Avete iniziato ad affermarvi nel mondo della musica da poco, non potevo farti rischiare tutto per me –

Mi guardò. Sembrava sconvolto.

- Perché non me ne hai parlato, prima di fare tutto da sola? – non era più arrabbiato, era semplicemente incredulo.

- Perché non mi avresti permesso di farlo, non avresti capito che era la cosa più giusta. O forse l’avresti capito, ma non lo avresti mai ammesso –

Martin sembrò rifletterci per qualche secondo. Poi un’ombra scura tornò sul suo viso.

- Se pensi che non possiamo stare insieme, perché sei venuta allora? –

- Volevo sapere cosa pensavi tu, perché io sto iniziando a mettere tutto in discussione – ammisi con un filo di voce.

Martin sospirò, come se solo ora avesse la piena consapevolezza di ciò che era successo tra di noi, della complicatezza della nostra storia e dei nostri sentimenti. Una consapevolezza che io avevo raggiunto tanto tempo prima.

- Dì qualcosa – lo pregai.

- Io non so neanche cosa pensare, sinceramente. I miei sentimenti per te non sono cambiati, ma forse hai ragione tu. Hai avuto ragione tu sin dal principio. Non rischierei solo la mia carriera, ma anche quella degli altri –

Annuii mordendomi un labbro per non scoppiare a piangere. Aveva detto ciò che io da sempre pensavo e di cui mi ero convinta con tanta tenacia, ma sentire quelle parole pronunciate da lui mi fece male.

Martin tornò a guardarmi. Sembrava cercasse qualcosa che non trovava. Io, dall’altra parte, mi ero totalmente persa. Stavo navigando nei ricordi, e lottavo contro la voglia di farmi accogliere tra le sue braccia. Mi era mancato tutto di lui, i suoi occhi di un colore che ancora non riuscivo a definire completamente, il suo sorriso sghembo, le sue mani. Ero rientrata nella stanza che avevo pensato fosse chiusa definitivamente. Avevo ritrovato la chiave, anzi, lei aveva ritrovato me. I colori che la riempivano mi avevano colpita con forza, facendomi capire che non c’era mai stato niente di più bello. Il problema era che, nonostante ci fossi dentro, era come se sapessi che non era veramente la stanza che ricordavo. Non era più la mia stanza, ecco cos’era cambiato. Era identica, ma non mi apparteneva più.

Una lacrima riuscì infine a scapparmi. Appena Martin se ne accorse, alzò gli occhi al cielo. Stava tentando di calmarsi. Non era cambiato per niente. I pugni stretti e i suoi occhi chiusi mi dimostravano che la rabbia si stava impadronendo di lui. Tirò un pugno al muro, gesto che attirò l’attenzione di una donna seduta alla reception. Le dissi che era tutto apposto, e mi avvicinai a Martin, il quale era rimasto con le spalle al muro.

Gli sfiorai un braccio, tentando di calmarlo, ma forse non facevo che peggiorare le cose.

- Possiamo provare ad essere amici – non ci credevo neanche io. La sua reazione non era una reazione da amici, quello che provavo non si sarebbe mai potuto tramutare in nient’altro se non quello che già era stato.

- Lo sai che non possiamo – mi sorrise tristemente.

- Sì, lo so, ma ci speravo – ricambiai il sorriso.

Non ebbi il coraggio di dirgli quello che avrei voluto e che forse lui aspettava dicessi. Martin non era veramente convinto di quello che aveva detto riguardo a noi, riguardo ai problemi a cui saremmo venuti in contro, ma pensava che io lo fossi. Non riuscivo a dirgli la verità.

Inaspettatamente, mi abbracciò. Lo strinsi come se fosse l’ultima volta, assaporando appieno quel momento.

- Mi dispiace – gli dissi.

Non rispose, ma mi allontanò per guardarmi negli occhi. Sarebbe stato così dannatamente facile cancellare quei centimetri che dividevano i nostri volti, ma non era la cosa giusta. Credei  quasi che mi avrebbe baciata, quando sciolse l’abbracciò e se ne andò. Non disse una parola e non si voltò indietro. Era finita. Di nuovo.

 

Resistetti dal piangere di nuovo, dal lasciarmi andare inutilmente. Presto fui raggiunta da Abigail e insieme tornammo nella sua stanza d’albergo. Non mi chiese niente, probabilmente aveva già capito tutto da sola. Passai il resto della giornata e l’intera nottata a ripetermi che tra me e Martin era finita nel migliore dei modi, in fondo. Questa volta eravamo entrambi feriti allo stesso modo, per quanto potesse migliorare le cose. In realtà, era una grama consolazione, ma era l’unica a cui mi potevo aggrappare. Altrimenti, sarei scivolata e caduta dolorosamente, più di prima.

Il giorno dopo ci venne a trovare Lucas. Abigail lo aveva messo al corrente dei fatti e lui voleva starmi vicino. Inoltre avevamo programmato di uscire già da qualche giorno, ma io non me la sentivo. Così, rimanemmo nell’albergo, affittammo un film e mangiammo cibo di ogni consistenza.

- Immagino tu non voglia tirar fuori l’argomento, ma volevo dirti che mi dispiace davvero per Martin – mi disse Lucas quando lo accompagnai alla porta.

- Preferisco affrontarlo l’argomento, invece di ignorarlo questa volta. Non mi ha fatto bene far finta che non fosse successo niente, a questo punto è meglio farmene una ragione. Quindi grazie –

Lucas mi sorrise e mi baciò sulla fronte, poi se ne andò.

- Posso farti una domanda? – mi chiese Abigail quando la raggiunsi in camera.

- Sì, certo –

- Sicura che per Lucas provi solo amicizia? –

Rimasi scioccata da quella domanda.

- Perché me lo chiedi, scusa? – trattenni a stento una risata.

- Non so, mi sembrate molto… intimi –

- Sai che siamo come fratello e sorella –

- Sì, lo so. E tu lo sai? –

La guardai, confusa. Non capivo il senso di quell’interrogatorio. In quel momento non mi sembrava la mossa più giusta mettere in dubbio i miei sentimenti per Lucas, dopo tutto quello che era successo.

- C’è qualcosa che sai che io non so? –

Abigail scosse la testa, fingendo di non sapere niente. Lo faceva sempre quando sapeva qualcosa che non mi poteva dire, ma che voleva io scoprissi.

- Abigail, parla. Ora –

- Non posso –

Le lanciai un cuscino.

- Ora. –

Abigail mi guardò, insicura se parlare o no. Voleva, glielo si leggeva in faccia, ma c’era qualcosa che la bloccava. Come reazione, peggiorò la mia curiosità.

- Okay, ma io non ti ho detto niente –

- Come sempre – finiva così tutte le volte, e risi mentre ci accomodavamo sul letto.

- Posso dire che un uccellino mi ha fatto sapere che il bacio tra te e Lucas di quella sera non era così… imprevisto –

- In che senso? –

- Taylor, a Lucas piaci. Da tanto tempo –

Perché i guai non venivano mai da soli? In qualsiasi altro momento, avrei saputo gestire la questione, ma ora, dopo la discussione del giorno prima con Martin, non ci riuscivo.

Abigail mi scosse per un braccio, incitandomi a parlare.

- Non so che dire – avevo gli occhi sbarrati e cercavo aiuto in lei.

- Dimmi solo se quel bacio non ha scatenato qualcosa in te oppure l’ha fatto. Così avrai la risposta più velocemente –

- Non lo so, Abigail. Sinceramente nei pensieri avevo solo Martin, e Lucas lo sentivo vicino solo come amico –

- E ora che Martin non c’è più?-

Non lo sapevo. C’era stato un periodo in cui Lucas mi piaceva non solo come amico, ma quando lo conobbi meglio la cotta era passata. Ma, soprattutto, era arrivato Martin. Ora lui non costituiva più una distrazione, mentre Lucas era lì, pronto ad entrare nel mio mondo ogni volta che ne avevo bisogno. Pensando che dietro al suo interesse ci fosse qualcos’altro, iniziai a riconsiderare parecchie cose. Mi aveva sentita parlare di Martin fino al limite di sopportazione anche per un amico, ma lui non mi aveva mai azzittita. Aveva detto di essere dispiaciuto per la fine della nostra storia, ma forse in cuor suo gioiva perché aveva una speranza. Ma ce l’aveva davvero quella speranza?

- Cosa dovrei fare? Ho parlato con Martin solo ieri…-

- Dimenticati di Martin. Mi dispiace dirtelo così, ma è ora che affronti la realtà: lui appartiene al passato. Ora c’è Lucas e tu devi decidere se dargli una possibilità o meno –

- Sei veramente sicura di quello che hai detto? Da chi l’hai saputo? –

Per un attimo, la mia migliore amica rimase muta, di nuovo indecisa se sputare il rospo o no.

- Me l’ha detto Lucas stesso –

Okay, almeno non avrei fatto una figuraccia di fronte a lui. Lucas provava qualcosa per me, e dovevo capire se anche io avrei potuto mutare quei sentimenti. Erano già mutati una volta, però, e non ero sicura potessero ritornare indietro.

- Voglio dargli una possibilità – decisi infine, su due piedi.

- Sicura? Non lo devi fare perché ti senti in dovere o in colpa, ma solo se lo vuoi davvero –

- Lo voglio – dissi decisa.

Era vero che lo volevo. Non sapevo bene il perché, ma l’immagine di me e Lucas insieme mi aveva attraversato la mente per un attimo, e mi era piaciuta.

Abigail prese il mio telefono dal comodino e mo lo porse. Sempre con più sicurezza, chiamai Lucas.

- Lucas? –

- Oi Taylor! Che succede? Ci siamo lasciati da solo qualche minuto…-

- Ti volevo chiedere se hai impegni per domani sera –

Lucas ci impiegò un po’ di tempo a rispondere.

- Veramente sì…-

- Ah – rimasi delusa, ma non potevo aspettarmi che non uscisse con qualcuna.

- Non pensare male però! Cioè, non devo uscire con una ragazza, ma ho una cena con il mio agente… E’ una storia lunga – notai la sua fretta nel mettere le cose in chiaro.

Sorrisi, capendo finalmente quanto ci tenesse a me.

- Allora proponi tu un giorno, la sera sono sempre libera questa settimana –

Ci accordammo per andare ad un ristorante due giorni dopo. Abigail mi abbracciò, felice che iniziassi a voltare pagina veramente, questa volta. Anch’io ne ero contenta, e ci tenevo veramente a Lucas. Forse non sarebbe stato così difficile vederlo sotto la stessa luce di tanto tempo prima.

 

Il giorno dell’appuntamento arrivò presto, forse perfino troppo. Per non rischiare di attirare troppo l’attenzione dei paparazzi, ci demmo appuntamento direttamente al ristorante. Quando arrivai, lui era già lì. Si alzò da tavola quando mi avvicinai. Sorrisi del suo comportamento da damerino.

- Perché ridi? – mi chiese quando ci accomodammo.

- Perché sembri uscito dal mondo delle fiabe –

- Sì, un principe con i jeans –

- Beh, i jeans hanno il loro fascino –

Cenammo e chiacchierammo come tante volte prima, ma l’atmosfera era diversa. Non eravamo lì come amici, entrambi ci aspettavamo qualcosa di più da quella serata.

- Credo sia arrivato il momento di chiedertelo – eravamo arrivati al dolce, quando finalmente Lucas si preparò a farmi la domanda che da ore aspettavo.

- Credo anche io –

- Do per scontato che Abigail abbia cantato, ma tu perché sei qui? –

Lo guardai per un momento. Ero incantata dal suo sguardo e dal suo sorriso, ed ebbi un dejà vu.

- Perché volevo essere qui –

- Volevi o vuoi? –

Gli sorrisi e gli sfiorai una mano.

- Voglio – dissi in tutta sicurezza.

Mi strinse la mano.

- Andiamo fuori? –

Annuii e in un attimo eravamo fuori dal ristorante. Lì fummo colti di sorpresa da due o tre uomini armati di fotocamera. Lucas mi teneva ancora per la mano e passò per primo in mezzo a loro. Mi stava portando nella sua macchina, l’unico posto sicuro in quel momento. Salimmo in tutta fretta, evitando accuratamente di rispondere alle domande, ma non mostrandoci troppo maleducati. Quella continua attenzione che dovevamo avere per quando potevamo o non essere arrabbiati era veramente straziante.

- Ti porto a casa? –

- Direi che è la cosa migliore. Sicuramente non posso andare da Abigail –

- Io, te e un hotel… sì, direi che darebbe scalpore –

In silenzio, delusi dalla piega che aveva preso la serata, arrivammo davanti casa mia. Avevamo seminato, non senza un po’ di difficoltà, i fotografi e i giornalisti, e finalmente potevamo stare un po’ da soli.

- Vieni con me – gli dissi, aprendo la portiera.

Lo condussi dall’altra parte della villa, nel giardino posteriore. Lì c’era una vista stupenda ed era il mio posto preferito.

Sbagliai a portarlo lì, e non potei perdonarmelo. Non avevo pensato a come i flashback si impadronivano di me con tanta facilità e forza. Ero già stata lì con qualcuno, qualcun altro oltre me sapeva che amavo passare del tempo lì. Qualcun altro aveva fatto quel percorso insieme a me. Qualcun altro che innocentemente avevo pensato di poter dimenticare in un’unica sera.

- Tutto bene? – Lucas era alle mie spalle.

- Sì, certo – dissi girandomi e sorridendogli come se niente fosse.

Non potevo cadere proprio ora in quella trappola. Ne ero uscita con tanta difficoltà e non c’era più un vero motivo per ricaderci. Era solo una trappola, nulla poteva trarmi in inganno di nuovo.

- Cavolo, che visuale – per fortuna, Lucas si era distratto molto facilmente.

- Sì, vengo qui ogni volta che cerco ispirazione per una canzone. Anche se le migliori nascono sempre nella mia stanza –

Sentii la mano di Lucas stringere la mia. Mi voltai verso di lui. Si avvicinava lentamente, forse per paura di commettere un errore come l’ultima volta. Quello che cambiava ora, era, però, che volevo commettere quell’errore. Sapevo che baciare Lucas non avrebbe risolto i miei problemi come credevo, ma ero certa che mi avrebbe aiutata. Sentivo di meritare che tutto per una volta andasse bene, senza problemi. Per questo mi lasciai baciare e ricambiai il bacio. Nessuno dei due si allontanò tanto presto, questa volta.

Mi sorpresi a non pensare a niente. Semplicemente, mi faceva piacere avere qualcuno accanto, ne sentivo il bisogno. E Lucas soddisfaceva appieno quel bisogno. Non volevo altre spiegazioni, non volevo approfondire quello che stava succedendo. Lo lasciavo accadere, senza problemi, convincendomi che forse era giusto lasciarmi trasportare dalla vita e non pensare che fosse in mio dovere decidere ogni singola direzione che prendeva.

 

Quella notte mi svegliai di soprassalto. Ero sudata e piangevo. Di nuovo, i sogni erano tornati a tormentarmi, usando forse il mio unico punto debole: Martin. Guardai la sveglia accanto al letto, erano le due del mattino. Trovai quella situazione quasi ironica.  Mi stavo prendendo in giro da sola, con le mie stesse canzoni. Mi sdraiai e mi rimisi a dormire, attendendo un sogno più tranquillo del precedente.

 

I miei impegni lavorativi peggiorarono di giorno in giorno. Una settimana non sembrava fosse mai passata più in fretta tra gli ultimi ritocchi per il tour e Lucas. La nostra storia era continuata e stava andando avanti senza intoppi. Trascorrevamo ogni momento libero insieme, ed io ero felice. Mi lasciai accecare dal suo sorriso, dalla sua spensieratezza. Il suo modo di fare mi coinvolgeva, e io mi lasciavo coinvolgere.

Una sera avevamo programmato di andare ad una festa, che in realtà non avevamo neanche ben capito chi l’avesse organizzata, ma era un modo per stare tutti insieme. Fu di Lucas l’idea di andare e ad Abigail sembrava una buona idea. Fu difficile convincerla che anche a me stava bene. Non mi ero fatta false speranze, sapevo che probabilmente ci sarebbe stato anche Martin, ma non m’importava. Era il momento di vedere se ero andata veramente avanti o se la mia fosse solo apparenza. Stavo bene con Lucas, su questo ero sincera, ma non potevo nascondere che non era come stare con Martin.

Alla festa c’era meno gente di quello che avevamo immaginato, e io non potei trattenermi dal pensiero che forse lui non sarebbe venuto.

- Vado a prendere qualcosa da bere. E non cominciare con la ramanzina, so che non potrei, ma… c’est la vie! – disse Lucas dopo qualche minuto, allontanandosi prima che potessi rispondergli.

Gli sorrisi da lontano, sperando non gli creassero problemi.

- Non abbiamo avuto modo di parlare ultimamente –

Guardai Abigail di traverso, paurosa di ciò di cui voleva parlare.

- No, infatti –

- Come va con Lucas? –

- Va bene, non ti preoccupare –

- Tay, non te lo sto chiedendo perché ti voglio mettere i bastoni fra le ruote –

La fermai con la mano prima che potesse continuare. Come poteva pensare che io credessi questo di lei?

- Lo so, e fai bene a chiedermelo. Al tuo posto, mi sarei preoccupata anch’io. Ti sto solo informando che con Lucas sta andando tutto bene, e ne sono sorpresa quanto te –

- Bene, era quello che volevo sentirti dire. Ora, però, divertiamoci – detto questo, mi trascinò per un braccio in mezzo alla pista.

Lucas aveva preso un drink e ci guardava dal bancone. Andai a prelevarlo per distoglierlo dalla sua pigrizia. Non fu difficile convincerlo ad unirsi a noi. Lucas avrebbe fatto qualsiasi cosa per me, ma non ero sicura che io sarei stata pronta a fare qualsiasi cosa per lui.

Ballammo due o tre canzoni, quando il mio telefono squillò. A malapena lo sentivo richiamare la mia attenzione dalla borsa, ma avevo scelto una suoneria molto forte per quella serata. Fu una delle mie migliori decisioni, visto che chi mi stava chiamando era mia madre, e se non avessi risposto si sarebbe preoccupata incredibilmente.

- Mamma, un attimo – corsi fuori dal locale per trovare un po’ di pace.

Mi avvertì che lei e mio padre sarebbero usciti e che, non avendo le chiavi, avrei dovuto passare la notte da Abigail. Avevano anche programmato di passare all’albergo per lasciarmi il mio solito zaino, quindi accettai completamente l’idea che avevano avuto. Ero contenta che passassero un po’ di tempo insieme, si erano trascurati ultimamente.

Quando attaccai il cellulare, non avevo nessuna voglia di tornare dentro. Il silenzio che mi circondava era l’unico amico di cui avevo bisogno in quel momento. Sentivo il dovere di pausare tutto, anche se solo per i tre minuti che avrebbero impiegato Abigail o Lucas a trovarmi. Il problema era che ora dovevo fare i conti con me stessa.

- Ehi, ciao – ero appoggiata al muro del locale, il più lontano possibile dall’entrata, quando una voce familiare richiamò la mia attenzione.

Mi girai e non fui sorpresa di trovare Martin accanto a me. Era come se una parte di me si aspettasse quell’incontro.

- Ciao – evitai di guardarlo per troppo tempo. Focalizzai la mia attenzione sul muro del palazzo di fronte.

- Come mai sei qui da sola? –

- Potrei chiederti la stessa cosa – sorrisi alla mia stessa pateticità.

Sorrise, imbarazzato.

- Posso rimanere? –

Mi voltai verso di lui ed annuii, commettendo l’errore di guardarlo negli occhi. Era inutile combattere, l’effetto su di me non era mutato.

- In due si è meglio che soli – dissi, ironica.

- L’ho già sentita da qualche parte –

Alzai le spalle, fingendo di non sapere a cosa si riferisse. Era così dannatamente facile stargli accanto, parlargli. Mi era sempre sembrata la cosa più naturale del mondo.

- Credi finirà mai? – mi chiese poi.

- Cosa? –

- Questo… Noi. Credi che finiremo mai di sentirci così a nostro agio l’uno con l’altra? –

Sospirai. La risposta era ovvia, ma lui voleva sentirla comunque. Non si era arreso, voleva ancora sapere se c’era la possibilità che la pensassi diversamente. Mi conosceva così bene che sapeva meglio di me cosa pensavo.

- Non lo so –

Rimanemmo in silenzio per un po’. Avrei voluto dirgli tante di quelle cose che saremmo rimasti lì per ore, ma ancora una volta vinsi contro quel desiderio.

- Ho saputo che tu e Lucas vi frequentate –

- Già, sono venuta con lui infatti – mi chiesi se quell’argomento facesse più male a lui o a me.

- Sì, l’ho visto. Ti sta cercando insieme ad Abigail e mi sono offerto di dargli una mano –

- Beh, mi hai trovata – mi allontanai dal muro e mi avvicinai a lui, fingendo un sorriso naturale.

- Posso farti solo un’ultima domanda? Poi giuro che me ne vado e ti lascio in pace –

Annuii. Ci ritrovammo uno di fronte all’altra. Ogni suo sguardo era come la lama di un coltello che mi trafiggeva da parte a parte. La cosa che mi faceva più paura era che non sarebbe mai cambiato, probabilmente.

- Pensi di provare per lui quello che hai provato per me? –

Mi guardava speranzoso. Aveva quella luce negli occhi, quando vuoi disperatamente che la realtà sia come te la immagini, quando hai bisogno almeno di una risposta che ti accontenti perché sennò precipiterai in un baratro così profondo da non vederne la fine.

Da tale codarda quale ero, non risposi. Guardai a terra e mi morsi un labbro, così non avrebbe potuto vedere le lacrime che già iniziavano a scorrere e che tentavo inutilmente di controllare.

- Ho capito. Sarà meglio che vada –

Quando fui sicura che fosse di spalle, rialzai lo sguardo. Se ne stava andando, e ancora una volta credei fosse per sempre. Sapevo che, in un modo o nell’altro, sarebbe tornato, ci sarebbe stata la possibilità di rivedersi, ma non riuscivo a rimanere lì per l’ennesima volta. Dovevo fare qualcosa.

- No – urlai, in modo che fossi sicura che mi avrebbe sentito.

Si fermò di colpo e si girò. Si avvicinò un po’, e capii che voleva avere la certezza di quello che stessi dicendo.

- Non sarà mai come era con te.  Non penso che lo sarà mai con nessun altro –

Non avevo più parole per descrivere quello che provavo, nonostante non avessi detto quello che realmente avrei voluto dire. Ero allo stremo delle forze, come se avessi corso per tutta la vita e vedessi il traguardo farsi sempre più lontano. Ma non avevo bisogno di fare un passo in più, perché il mio traguardo sapeva camminare. In meno di un secondo, mi vidi avvolta tra le braccia di Martin, le sue labbra che cercavano disperatamente le mie. Fu un bacio disperato, sembrava che la fine del mondo fosse vicina. In realtà, avevamo semplicemente paura che quel momento non fosse reale e che potesse sfuggirci.

Mi distaccai per un attimo, per guardarlo. Mi sorrise e mi spostò una ciocca di capelli. Aveva compiuto quel gesto talmente tante volte che avrei dovuto aspettarmelo, e invece mi colse impreparata. Nonostante avessimo passato tanto tempo insieme, tutto di lui mi colpiva forse di più della prima volta. I suoi occhi brillavano e mai mi era parso di vedere colore più bello. Accarezzai una delle sue fossette che incorniciavano il suo sorriso perfetto, lui mi prese la mano e la baciò.

Sembrava tutto magico e perfetto, ma una piccola parte di me non riusciva a godersi appieno la gioia che mi stava invadendo. Una parte di me mi stava riportando in una realtà che io volevo dimenticare.

- Cos’hai? – mi chiese improvvisamente Martin, mettendo fine all’atmosfera che si era appena creata.

Lo guardai, nella ricerca del modo più giusto per dirglielo.

- Lucas – mi precedette.

Annuii.

- Sarà dura dirglielo –

Di nuovo, lo guardai negli occhi, e li vidi stupirsi. Mi ero dimenticata come non avessi bisogno di parlare, con lui. Mi allontanò un poco, scioccato.

- Martin…- tentai di spiegargli.

- Tu non vuoi dirglielo, pazzesco – mi lasciò andare del tutto.

- Cosa ti aspetti? Che vada da lui e gli dica “Ehi, mi dispiace, ma Martin mi ha appena baciata e torno a casa con lui”? –

- No, è ovvio che non voglio che tu glielo dica in una maniera del genere. Non c’è neanche bisogno di dirglielo ora, magari, ma cavolo Taylor! Pensavo fosse quello che volessi, e invece sono stato uno stupido! Cos’è, non ti sentivi abbastanza appagata da lui? –

Non mi offesi per le parole che Martin stava sputando. Il mio obiettivo era quello di calmarlo, perché finché fosse rimasto in uno stato del genere non avrebbe mai ragionato. Gli presi il volto con le mani e lo obbligai a guardarmi negli occhi.

- Voglio stare con te quanto tu vuoi stare con me, lo sai. Quindi, per favore, calmati –

Respirò profondamente e mi prese le mani, allontanandole dal suo viso, ma continuando a stringerle.

- Taylor, io sono qui, e tu sei qui. Abbiamo capito che la lontananza non fa per noi, cos’altro ti serve? –

- Le ragioni per cui ci siamo lasciati non se ne sono andate via –

- Sì invece! Non erano ragioni vere, non basta qualche fan arrabbiato per distruggere le nostre carriere –

Volevo lasciarmi convincere, così non dissi una parola. Sapevo che avrebbe continuato comunque, accumulando prove su prove.

- Io e gli altri stiamo per partire in tour, questo non ti fa capire che siamo abbastanza affermati anche noi? Tu, invece, non dovresti neanche porti il problema. Per favore, non far finire di nuovo la nostra storia senza avermi ascoltato –

- Ti sto ascoltando, ma non credo sia il momento migliore per parlarne. Perché non mi chiami domani? –

- Vuoi discuterne per telefono? – mi chiese, confuso.

- No, stupido. – dissi colpendolo amichevolmente – Se mi chiami ci mettiamo d’accordo e ci incontriamo da qualche parte – un vero sorriso tornò sul mio volto.

Mi sorrise e annuì.

- Vedi com’è facile? – mi lasciò andare rassegnato.

- Ci sentiamo domani. Intanto io parlo con Lucas – me ne andai, sperando di aver fatto la cosa giusta.

 

Trovai Lucas ed Abigail che mi stavano ancora cercando. Gli chiesi di tornare subito e per loro non fu un problema, anche se non capivano cosa ci fosse sotto.

Parlai a Lucas davanti la porta della camera di Abigail. Non volevo rimandare il discorso, perché avrei potuto cambiare idea. Avevo paura che la lucidità mi abbandonasse, sempre che la mia fosse lucidità. Sapevo solo che era quello che volevo veramente, ma avevo paura che il mio inutile buon senso avrebbe preso la meglio il giorno seguente. Gli dissi del bacio, e di come mi ero accordata con Martin. In un certo senso, la prese bene. Disse che se lo aspettava, anche se la sua aria abbattuta mi facevano pensare tutto il contrario. Se ne andò senza neanche tentare di farmi cambiare idea. Aveva conosciuto troppo bene la storia che mi legava a Martin e sapeva cosa mi legava a lui. “Un filo di amianto” lo definì, ma non era convinto che avrebbe portato a qualcosa di buono. Ci salutammo amichevolmente, ma entrambi sapevamo che sarebbe passato molto tempo prima che ci fossimo rivisti.

Esausta per le troppe emozioni provate quella sera, entrai in camera e iniziai a raccontare tutto anche ad Abigail. Non sapeva se essere felice o meno per me, ma in fondo non lo sapevo neanche io. Avremmo aspettato la mia chiacchierata con Martin per decidere.

 

Il giorno dopo mi svegliai, o meglio, mi alzai dal letto piuttosto tardi. Non avevo dormito neanche un po’ quella notte, il mio cervello non aveva smesso di pensare. Continuavo a ripetermi diversi ipotetici discorsi tra me e Martin, ma ogni volta mi trovavo a dirgli cose diverse. Volevo stare con lui, questo non lo mettevo in dubbio, ma non era certa che ne sarebbe valsa la pena. Tra una settimana, sarebbe iniziato il mio tour estivo in giro per il mondo, e anche lui avrebbe iniziato il suo molto presto. Non ci sarebbe stato abbastanza tempo per vederci e iniziare una nuova storia. O forse la dovevo considerare il continuo di un’altra? Mi accorgevo di non sapere assolutamente niente. Non ero capace di far coincidere i miei sentimenti con i miei giudizi razionali su quella vicenda.

Sul tavolo del salotto trovai la colazione e un biglietto. Addentai un pancake e lo lessi. Era di Abigail, mi avvertiva di essere dovuta uscire senza preavviso per una commissione. Feci una smorfia al pensiero che avrei avuto la piena libertà di continuare con i miei discorsi immaginari, quando invece avevo contato sulla presenza di Abigail per farli smettere e forse anche per chiarirli.

Avevo quasi finito il mio caffè, quando qualcuno bussò alla porta. Andai ad aprire, sperando fosse la donna delle pulizie. Ero ancora in pigiama, il quale in realtà consisteva in una semplice maglietta extralarge visto che i miei genitori si erano scordati di metterlo nello zaino, e i miei capelli sembravano un nido per uccelli. Non ero assolutamente presentabile per nessun altro.

Purtroppo, però, le miei speranze furono vane.

-  Buongiorno – Martin mi accecò con il suo sorriso.

Rimasi a bocca aperta per un paio di secondi.

- Sono abbastanza sicura che ieri sera abbiamo parlato di una chiamata, non di venire qui in piena mattinata - 

Martin rise e mi squadrò dall’alto in basso. Tentai di allungare la maglietta, ma ogni tentativo fu inutile. Arrossii per l’imbarazzo, e gli feci cenno di entrare.

- Ho capito – disse quando fu dentro e non togliendosi il sorriso di dosso.

- Bene, sono contenta per te, ma io andrei a cambiarmi. Ci metto due secondi –

Martin mi bloccò la strada.

- Non ti lascio andare da nessuna parte –

- Ti giuro che non scappo –

- Non intendevo in questo momento, e comunque secondo me vestita così stai benissimo –

Lo guardai di traverso, ma ero curiosa di sapere cosa avesse per la testa. Andai a prendere il caffè per buttarlo, ma lui me lo impedì. Mi intrappolò , io con le spalle al muro e lui di fronte a me.

- Come dicevo poco fa, ho capito che non è giusto che decida sempre tu –

- Che decida sempre io cosa? –

- Come deve finire tra di noi! Ora tocca a me, e io non ti lascio andare via. Sei scappata una volta, mi hai lasciato con niente se non la confusione. Avremo tempo per capire se la nostra storia si ripercuoterà positivamente o negativamente sulle nostre vite, ma dobbiamo provarci. Ci dobbiamo dare un’opportunità, quella che non abbiamo mai realmente avuto. – si ammutolì per un attimo, mentre mi cingeva la vita con una mano e con l’altra sfiorava delicatamente il contorno del mio viso. – Mi sei mancata, tanto. Mi sono mancati i tuoi occhi, le tue guancie, le tue labbra… - si avvicinò lentamente, forse aspettandosi che io mi spostassi. Non lo feci, non potei. Tutto quello che aveva detto mi aveva colpita. Aveva convinto il mio raziocinio ad andare d’accordo con il mio cuore. Mi baciò come mai aveva fatto prima di allora. Era un bacio dolce, privo della decisione e forza della sera prima. Mi stava mostrando la parte più nascosta di sé, e la stava mettendo allo scoperto. Sfiorai la sua mano che non si staccava dal mio volto, poi avvolsi le mie mani intorno al suo collo e ricambiai il bacio. Non avrei mai permesso a niente e a nessuno di distruggere quella parte di sé che mi stava donando. L’avrei custodita con avidità, e a lui avrei dato il compito di custodire la mia. Eravamo una cosa sola, indissolubile. Il resto non contava, non sarebbe mai contato tanto, ovunque ci trovassimo.

Si distaccò da me con qualche difficoltà. Ora che l’avevo trovato, ero restia a mandarlo via.

- C’è un’altra cosa che ti devo dire. Non ti piacerà, ma sapevi sarebbe accaduta –

Lo guardai confusa. Avevo solo voglia di continuare a baciarlo, quella pausa mi stava irritando, ma capii che c’era qualcosa di importante che aveva omesso in quel quadro stupendo che aveva dipinto.

- Il mio tour inizia domani –

Feci un profondo respiro. Avevo ancora il suo volto a pochi centimetri dal mio, e lo guardai dritto negli occhi.

- Il mio inizia tra una settimana –

Annuì, in cerca di una soluzione che sfuggiva anche a me. Poi, tutto mi fu più chiaro. Non avevo capito io stessa che niente ci avrebbe diviso, neanche la distanza? Eravamo stati divisi per tanto tempo, ed ora eravamo di nuovo lì, l’uno nelle braccia dell’altra.

Con le mani tra i suoi capelli, avvicinai il suo volto al mio e lo baciai di nuovo, per poi allontanarlo delicatamente.

- Non m’importa se saranno tre o quattro mesi di lontananza. Sfruttiamo questo momento. Ora, qui. Quello che accadrà al nostro ritorno sarà un altro discorso, ma io non voglio dimenticare quello che sto vivendo ora. Non voglio dimenticare la sensazione di averti tra le braccia, solo perché avevamo paura di quello che sarebbe potuto accadere dopo. Non sappiamo se quando ci rivedremo i nostri sentimenti saranno cambiati, ma perché imporglielo adesso? Sarebbe fatica sprecata e lo sai meglio di me –

Lo baciai di nuovo.

- Sei sicura di quello che stai dicendo? – mi chiese poi, serio.

Annuii e gli sorrisi. Lo presi per mano e lo condussi nella stanza dove avevo dormito la notte prima. Mi iniziò a baciare, forse più imbarazzato di me. Non sapevo cosa fare, tutta la mia conoscenza proveniva dai film che avevo visto. In realtà, non ci fu bisogno di sapere niente. Ci lasciammo guidare dalla situazione. Rimasi sconvolta dalla bellezza del suo corpo, mentre lui accarezzava delicatamente il mio.

Forse sarebbe stata l’ultima volta che ci saremmo visti, forse dopo quel giorno sarebbe davvero finita per sempre. Nessuno di noi due lo sapeva, ma sapevamo che non potevamo lasciarci andare via senza esserci appartenuti totalmente. Ci eravamo innamorati senza preavviso, i sentimenti ci avevano colti impreparati e continuavano a sorprenderci. Non mi sarei mai pentita di quella giornata passata con lui, neanche se l’unico a cambiare sarebbe stato lui. Il futuro mi si presentava più sfocato che mai, perché in realtà non mi interessava vederlo veramente. Mi piaceva essere colta di sorpresa, così come mi piaceva l’idea di avere avuto qualcosa di profondo con Martin. Non l’avrei mai dimenticato, qualunque cosa fosse successa dopo quell’estate.

 

 

 

This Web Page Created with PageBreeze Free HTML Editor

  
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Taylor Swift / Vai alla pagina dell'autore: Rebecca_