Profumo di zagara
come sempre e per sempre a chi amo…
Grazie a
tutti quelli che, anche senza saperlo, hanno collaborato alla riuscita di
questo nuovo libro, grazie a chi lo leggerà con pazienza e amore, e grazie a
mamma e papà che sempre e per sempre mi sostengono nel mio sogno infinito…
Ed infine
grazie a chi mi vuole bene da sempre per sempre…
Camminava avanti e indietro
davanti al portone. Il freddo pungente lo costrinse a mettersi le mani nelle
tasche del giubbotto blu. I suoi capelli erano neri e corti a spazzola, era
alto e slanciato, Angelo Demarti stava
aspettando che Giulio Parenti uscisse dal portone. Dovevano recarsi al piccolo
stadio del paese per affrontare l’allenamento pomeridiano. Finalmente il suo
amico apparse sulla soglia col borsone sulle spalle:
“Parenti sei sempre in
ritardo!”
“lascia
stare è colpa di mia madre, abbiamo avuto una discussione per colpa
dell’università. Ha trovato il mio libretto degli esami”.
“E lei che
ti ha detto?”
“Detto? Lei
non ha detto niente, ha solo gridato come una pazza, penso che abbiano sentito
anche i vicini!”in quel momento si spalancò la finestra
“Stasera
quando torni fai i conti con tuo padre!se non ti metti in testa di studiare io
ti faccio scordare che forma abbia il pallone”
“Visto
amico? Che ti avevo detto grida come una pazza e basta”
“Dai non
dire così, lo sai che ci tiene al fatto che studi”
“parli così
solo perché, tu non hai problemi!riesci a studiare e giocare a pallone senza
fatica!”percorsero a passo svelto la ripida discesa di quelle strade ciottolate
e antiche.
Giulio
Parenti stava ancora parlando a ruota libera di sua madre, quando incontrarono
una ragazza stretta nel suo corto giubbotto marrone e camminava a passo veloce
nella direzione opposta, fece un rapido cenno di saluto con la testa e Giulio
rispose:
“Ciao Sole”
Invece
Angelo rimase in silenzio e la guardò con sguardo freddo e distaccato mentre si
allontanava:
“Guarda che
se la saluti non ti morde!” disse Giulio
“Ti piace?”
fu invece la risposta
“Ma che dici… non è il mio tipo lo sai”
“Giulio, per
te ogni ragazza è il tuo tipo… Ti piacciono tutte e
lo ammetti, se per lei dici il contrario, ti piace più delle altre”
“Bah è molto
carina, ma è solo la mia vicina di casa”
Angelo lo
guardò con sguardo divertito ma senza sorridere e il suo amico vuotò il sacco.
“D’accordo
mi piace! Cosa c’è di male?”
“Niente hai
fatto tutto da solo”
“a te invece
non piace…”
“Giulio non
deve piacere a me, comunque è vero non mi piace, ora dimmi chi è dove l’hai
conosciuta”
“Si chiama
Sole, veniva a scuola con noi, la classe a fianco la nostra non l’hai mai
vista?”
Angelo
scosse la testa in segno negativo
“sei pazzo
amico, e comunque il guaio è che è anche la mia vicina di casa…la
finestra della sua camera è proprio di fronte alla finestra della mia camera!”
“E quindi?”
“Non capisci
proprio? Non posso mica farmi vedere che rimango come un imbecille a fissarla,
e poi per fortuna non sono ancora a quei livelli!”.
Cominciarono
a correre per arrivare al campo di calcio in orario per gli allenamenti, che si
svolgevano un giorno sì e uno no, giocavano per divertirsi ma s’impegnavano al
massimo. Il campionato dilettantistico era già iniziato da un pezzo e loro
erano primi in classifica, cosa della quale andavano molto orgogliosi.
Arrivarono
al campo, l’allenatore non era ancora arrivato, ma erano già presenti i loro
compagni di squadra si salutarono velocemente, posarono i loro borsoni sulle
panchine e iniziarono il riscaldamento muscolare.
Il cielo si
era imbrunito la sera stava per arrivare, l’umidità del mare si faceva sentire.
L’arrivo
dell’allenatore si sentì perché iniziò a urlare a uno a uno il nome dei suoi
giocatori e subito se li trovò in fila di fronte a lui.
L’allenatore
si chiamava Claudio Mareste quarantasette anni, un
bel fisico atletico, il suo volto era quadrato, un lungo naso aquilino si
poggiava sul suo ovale, faceva l’allenatore nel tempo libero, il giorno
lavorava in un ingrosso di edilizia e la sera si dedicava al calcio, sua grande
passione, ma non era mai stato un asso del pallone, quindi non aveva rimpianti
o ricordi di gloria sfumati.
Sole
Benelli, stava ascoltando un po’ di musica nella stanza che condivideva con la
sorella Celeste.
“Sai domani
ho un incontro con l’associazione di volontariato, dovremmo riuscire ad avere
anche possibilità di seguire la squadra di calcio e le trasferte a spese del
comune” Sole lanciò un’occhiata a sua sorella che era sdraiata sul letto, la
vide fare una smorfia, se ne dispiacque. Rimase in silenzio, la musica
aleggiava nel vuoto totale, Sole continuò a fissare sua sorella con occhi
dolci, e le sembrò che anche il suo viso fosse cambiato, non era più la stessa
dopo quella tragica sera. Chiuse gli occhi e la rivide sull’asfalto bagnato che
gridava di dolore. Erano passati due anni.
E oltre alle
ferite del corpo Celeste si portava dentro le ferite dell’anima.
Celeste
Benelli era stata investita da un’auto pirata mentre stava attraversando una
strada secondaria del suo piccolo paese di provincia; era stata investita e
lasciata a terra senza soccorso. Quando Sole la sentì urlare corse verso di lei
velocemente, i suoi talloni le sfioravano il sedere tanto che cercava di
correre veloce. Appena le fu di fronte, trovò una scena raccapricciante,
Celeste sporca di sangue ovunque che si contorceva per il troppo dolore, si
accostò a lei e per farsi sentire, aveva dovuto gridare più forte di lei, dalla
tasca della sua borsa estrasse il cellulare e compose il numero di pronto
intervento. In poco tempo arrivò lì un’ambulanza, scesero i paramedici, Sole
cercò di ricordarsi com’erano vestiti, ma le fu impossibile la sola cosa che
ricordava, era che quando sollevarono sua sorella una gamba era penzoloni e
l’altra non c’era.
Si risvegliò
da quei tristi ricordi che per lei erano atroci, aveva una lacrima sulle ciglia
ma la trattenne, non voleva farsi vedere piangere da sua sorella che soffriva
molto più di lei. Da quel giorno per loro tutto era diverso, mentre Sole
cercava di nascondere la sua malinconia dietro un sorriso, Celeste mostrava la
sua rabbia a chiunque perché lei si reputava due volte una vittima, perché i
suoi sogni erano stati spazzati via come le sue gambe. Aveva dovuto
ricominciare a vivere senza più poter camminare e per giunta colui che l’aveva
ridotta in quelle condizioni era ancora in libertà.
Il cielo era
coperto di nuvole e il vento soffiava portando lì vicino, forte e intenso il
profumo del mare. Sole spingeva la sedia a rotelle di Celeste, stavano passeggiando
per le vie del corso, molte persone salutavano con un veloce cenno di saluto
che Sole ricambiava con un sorriso. Mentre Celeste stava con la testa china
sulle sue ginocchia immobili.
“puoi
sorridere ogni tanto o perlomeno rispondere al saluto”.
“lasciami
stare!quella gente saluta solo perché gli facciamo pena!”
“ che dici… e poi perché dovremmo fare pietà?”
“ ti guardi-
rispose Celeste con voce stizzita- io, sono in una carrozzella perché uno
stronzo mi ha messo sotto senza fermarsi, mentre tu…-tacque
un istante per poi riprendere ancora più arrabbiata- sei una bella ragazza,
sana, intelligente e allegra e sei costretta a spingere me. Una
handicappata!”riabbassò la testa sulle sue gambe, Sole si fermò, fece il giro e
si chinò sulla sorella, le mise una mano sulle sue mani che rimasero rigide e
ferme:
“io non
penso che facciamo pena alla gente, e poi non è un nostro problema, io sono
felice di aiutarti nelle piccole cose di ogni giorno non m’importa di quello
che pensano gli altri”la sua voce era immensamente dolce e poi tornando a
sospingere la sorella terminò:
“E poi
questa storia di portarti a vedere gli allenamenti dell’Amantea
è tutta una scusa, sono io che voglio andare”.
“bella
idea!vedere tanti bei giovani che fanno sport mentre tu sei relegata su una
sedia e loro non si degnano di guardarti perché gli fa schifo vedere una donna
seduta che non si può muovere!”
A Sole le si
gelò il sangue nelle vene, ma stette zitta. Ormai era abituata alla durezza di
sua sorella, le venne in mente quella volta che per puro caso disse di doversi
depilare le gambe, e la sorella le rispose candidamente e con estrema
semplicità almeno tu hai le gambe.
Quella
notte pianse in silenzio, si sentì in colpa verso la sorella, e ciò che la
rendeva triste era il fatto di non poter fare niente per Celeste, il loro
rapporto dopo l’incidente era peggiorato, anzi fra loro si era creata una
frattura abissale, era come se Celeste avesse perso anche l’amore per la vita e
le persone che l’amavano insieme all’uso delle gambe, ma Sole nonostante tutto
non aveva mai smesso di starle accanto. Anzi il suo attaccamento era diventato
quasi morboso, aveva dovuto lasciare l’università, aveva iniziato a studiare
scienze della comunicazione all’università di arca vacata, a Rende, ma dopo
tutto quello che era successo, i genitori avevano dovuto affrontare troppe
spese mediche e così, Sole senza aspettare che qualcuno le chiedesse di
rinunciare al suo futuro lasciò gli studi e iniziò a fare qualche piccolo
lavoro. Alle volte faceva la cameriera in varie pizzerie e quando capitava,
faceva qualche ora di pulizia a casa di gente benestante.
Sole era
cresciuta in fretta nell’ultimo anno, era cambiata senza mai perdere la sua
gioia e allegria nell’affrontare la vita, alcune sue amiche se la vedevano servire
ai tavoli di qualche pizzeria facevano finta di non conoscerla, per loro era
vergognoso essere amica di una serva della plebe, loro erano giovani e
promettenti universitarie, dove papà pagava tutto, dall’affitto della casa,
alla retta universitaria e persino il loro divertimento. Lei non se ne
crucciava se le vedeva per strada il giorno era lei a far finta di non
conoscerle.
Arrivarono
alla sede dell’unitalsi, ma erano in ritardo. La
decisione era stata presa
“Celeste,
Sole! L’abbiamo spuntata! Avremo anche lo stadio gratis!” era Domitilla una giovane volontaria, era bassa con larghi
fianchi e un faccione a forma di luna, ma i suoi occhi erano dolci e la sua
voce era in piena fibrillazione quando diede l’annuncio alle due sorelle. Sole
si staccò da Celeste e abbracciò Domitilla facendo
dei piccoli gridolini per la gioia, poi si voltò verso Celeste, i corti capelli
castano dorati le avvolgevano l’ovale del viso e con voce ferma e dura disse:
“Che cosa
avete da agitarvi tanto io non lo so!”
Sole scosse
il capo e si zittì, guardò Domitilla e lentamente si
allontanarono.
“Come devo
comportarmi con lei proprio non riesco a capirlo, qualunque cosa io faccia per
lei non va mai bene”si sfogò Sole.
“è normale è
arrabbiata, dalle il tempo di sfogare la sua rabbia, d’altronde non è facile
affrontare quello che sta passando lei, era sempre attiva faceva un miliardo di
cose e ora si ritrova a stare su una sedia a rotelle a chiedere aiuto per
tutto!”
“Lo so ma è
difficile, devo essere sempre sorridente con tutti, mio padre e mia madre ormai
non esistono più, hanno perso gran parte della loro felicità…per
carità sono sempre presenti ma mia madre non ha più fatto un sorriso e mio
padre lo becco spesso a fissare il vuoto, e allora gli dico DIAMINE è viva,
questo non vi basta? È ancora bella e intelligente ma loro niente”.
“ormai sei
il loro perno…”disse Domitilla
accarezzandole i lunghi capelli dorati.
“Sono stufa
di essere il perno, io voglio essere solo una ragazzina”.
“Non puoi
diventeresti stupida come tante altre”.
Sole sorrise
amaramente e si passò la mano sul suo naso alla francese e mormorò un lieve
“grazie”.
“alla fine
un giovane principe azzurro busserà alla tua porta”.
“E scapperà”
“No, si
accorgerà di aver trovato la sua principessa”.