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Autore: _Syn    19/09/2010    3 recensioni
ElizabethxCiel
C’era qualcosa di immobile anche sul volto di Elizabeth, come se un velo di sabbia lo ricoprisse, rendendo inespressivi i lineamenti, bloccando le labbra rosee in una smorfia sempre uguale, piena di condiscendenza per gli altri e bruciante di volontà negate da un tempo meschino per lei.
Elizabeth Middleford non aveva avuto la possibilità di scegliere, per questo ora restava immobile sul fondo di una clessidra decorata a festa da tè e merletti, che nessuno avrebbe mai capovolto per rendere quel mondo la girandola meravigliosa che era un tempo.
Elizabeth avrebbe continuato a sfiorare con le dita il vetro freddo che la circondava, osservando da lontano il ricordo. Non v’è ricordo più lontano di quello a cui non abbiamo potuto dire addio.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elizabeth Middleford
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Il titolo: La Misericorde è una daga simile ad un pugnale usata specialmente dal Quattrocento al Seicento per finire gli avversari feriti. Questo, appunto, era visto come un atto di misericordia, poiché certe ferite riportate risultavano sì mortali, ma la persona lesa restava agonizzante al suolo anche per ore prima di spirare.

 

Note: Non avevo mai analizzato Elizabeth, ora mi sono decisa. E’ venuta fuori una cosa nonsense, orribile e che urla quanto mi sia arrugginita in Kuroshitsuji. E va be’.

A proposito... Volendo, questa può anche esser vista come una spin-off della mia ff “Kurohitsugi”. Dato che non specifico quasi nulla può anche essere letta senza conoscere la fanfiction in questione. Altrimenti può anche essere vista come un momento posto alla fine della prima seria (NON considerate la seconda serie mentre leggete, per carità, il finale mi ha provocato un attacco di rabbia e disgusto che non avete idea. Ma perché ho deciso di vederla, mannaggia a me.)

 

 

Misericorde

 

 

Elizabeth Middleford

 

Un sorriso che si spegne è la cosa più triste

e il buio che ne consegue l’incubo più spaventoso.

L’amore che unisce umano e divino

giace in quel sorriso.

Se il sorriso muore...

allora nasce il Caos.

 

Elizabeth aveva una clessidra che non capovolgeva mai. La sabbia rimaneva sempre sul fondo, lì immobile a guardare il mondo dal basso, silenzioso e piatto punto di vista di un tempo che scorre immobile. Qualche volta, i raggi di sole che illuminavano i vetri e la stanza scioglievano calore impercepibile sui granelli, dando l’impressione che qualcosa lì dentro mutasse per davvero. La luce sembra poter dare vita e movimento a qualunque cosa: le giornate vanno avanti ed essa si muove, creando ombre sempre più allungate, che girano e girano come le lancette di un orologio senza mai abbandonare l’oggetto a cui sono legate.

Scure e impalpabili, le ombre decorano ogni cosa. E tra i cieli, dove finiscono le preghiere, colui che crea l’ombra siede sul suo trono celeste.

Brilla, sorge, tramonta, ritorna.

Sono le risate che rendono le giornate solari, oppure è il sole che fa nascere sorrisi?

La clessidra immobile, posta lì solo per reggere un tempo che s’era fermato, osservava le domande che assillavano la mente della giovane. Elizabeth ricambiava gli sguardi della clessidra, senza mai toccarla, senza mai permetterle di percepire il tempo scorrere sulle pareti di vetro, cadere implacabile sul fondo, dove tutti sarebbero finiti prima o poi.

Elizabeth raccontava bugie al tempo con domande le cui risposte giacevano già sul fondo ricoperto di sabbia.

Lady Elizabeth, sua madre l’aspetta per il tè.”

Sorrise a Paula e rivolse un ultimo sguardo alla clessidra. Aveva paura di vedere cosa realmente celasse quel fondo di angoscia e inconsapevolezza, di verità conficcate nel suo cuore e ignorate.

C’era qualcosa di immobile anche sul volto di Elizabeth, come se un velo di sabbia lo ricoprisse, rendendo inespressivi i lineamenti, bloccando le labbra rosee in una smorfia sempre uguale, piena di condiscendenza per gli altri e bruciante di volontà negate da un tempo meschino per lei.

Elizabeth Middleford non aveva avuto la possibilità di scegliere, per questo ora restava immobile sul fondo di una clessidra decorata a festa da tè e merletti, che nessuno avrebbe mai capovolto per rendere quel mondo la girandola meravigliosa che era un tempo.

Elizabeth avrebbe continuato a sfiorare con le dita il vetro freddo che la circondava, osservando da lontano il ricordo. Non v’è ricordo più lontano di quello a cui non abbiamo potuto dire addio.

E lei l’addio l’avrebbe conservato per sempre sulle labbra spente di sorrisi reali, intrappolate in un passato in cui le sue risate cristalline capovolgevano il mondo solo per veder sorridere lui. Per vederlo sereno, per nascondere anche per un secondo quello che si portava dentro. Un mondo già finito, un mondo dominato dal caos del passato e immerso in un destino già scritto con il sangue. 
Ella
 non sapeva queste cose, però poteva sentirle: di notte, aprendo gli occhi e puntandoli sulla clessidra, il ricordo dell’incubo appena passato proiettava macabramente rivoli di sangue sul vetro. Ogni volta, Elizabeth chiudeva gli occhi verdi, ormai abbandonati dal sonno, e ricercava il blu nella memoria, aggrappandovisi. Cullata da una melodia che sussurrava il suo nome (Lizzie... Lizzie... Lizzie...) Elizabeth aspettava che il tempo si fermasse di nuovo, che smettesse di sanguinare. L’emorragia di un amore sconfitto senza che lei avesse potuto combattere tornava a nascondersi tra la sabbia.


Nessuna misericordia per il cuore infranto, nessuna misericordia per il mondo.

 

 

  
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