..L’uomo di
latta
..the Tin Woodman
Volevo un cuore.
Sì, avete capito bene, voi, spettatori di
queste mie parole non dette, di questa mia opera inutile, tanto quanto lo è la vostra inestimabile ed indispensabile
presenza alla mia creazione.
Io, miei cari, volevo un cuore pulsante, che
fosse vivo, come una volta.
Volevo quell’organo non più grande di un
pugno, volevo sentire il suo costante battito nella cassa toracica, il sangue
scorrere nelle arterie, nelle vene ed arrivare al cervello fino a scendere giù,
al piacere del peccato carnale.
Un cuore,
io lo volevo così intensamente da arrivare a bramare persino la vita altrui.
Tuttavia, miei carissimi, non avevo mai
toccato nessuno, non avevo mai strappato quell’elisir tanto dolce dal corpo di
nessuno.
Io ero buono, in fondo; una piccolissima
parte del mio essere lo era.
Quando fui creato, infatti, oltre a tutti
questi noiosi e metallici ingranaggi meccanici, il mio caro e compassionevole dottore
doveva aver messo dentro di me -per sbaglio forse?- un po’ di bontà e un ricordo di quello che un tempo si
provava ad avere la felicità incatenata nel petto.
Chissà poi da dove si prende, la bontà? … E
la felicità? Voi lo sapete?
Per quanto fosse piccola, quell’odiosa
particina, non mi faceva commettere alcun peccato, inferire dolore, rubare
anime immacolate… Ed ora come ora, amici miei -noi siamo amici, non è così,
miei dolci e succulenti spettatori?-,
non posso sfiorare nemmeno un’ascia
o un fiore, nemmeno la mia adorata, non più.
Quel giorno, quando il mio corpo si fermò
all’improvviso senza darmi il tempo di fare alcunché, era un giorno come tanti
altri passati su questo misero pianeta. Ero nel bosco e gli alti alberi non mi
permettevano di vedere chiaramente il cielo plumbeo e minaccioso, fu per questo
che non mi accorsi dell’arrivo del temporale e purtroppo, data la mia essenza
di latta… L’acqua non mi diede scampo.
Fui paralizzato.
Fu un peccato che l’acqua non paralizzò
anche la mente ed i tumultuosi pensieri.
Oh… Quanto mi mancavano le mie vecchie
mani, le mie vecchie gambe, il cuore che avevo, una volta. Perché io, amici,
io, sì! Io possedevo un cuore una volta.
Io ero vivo, ero un uomo tanto tempo
fa… Ed il mo cuore batteva per una donna. Era talmente bella da farmi
impazzire, da rendere la mia volontà inutile davanti a cotanta perfezione e
grazia. L’amavo, compagni, sapete? L’amavo davvero fino alla fine dei tempi, fino a che il mio essere sarebbe
stato vivo, anche se si fosse trovato nell’aldilà.
Ma la portarono via da me, in un
luogo a me inaccessibile dato che ero così malamente ridotto. La uccisero, in
modo che non potessi rivederla anche se a mia volta avessi strappato via da me
la vita inutile che possedevo. Perché io… Ero immortale, se mi
tagliavano un braccio, io cosa sentivo? Niente! Ero plasmato nella materia
inanimata, le miei vene vuote non sentivano niente se recise o strappate dalla
mia carne metallica.
…E un anno era passato.
Un anno… Era passato, ed io ero ancora lì,
un ammasso di ruggine e rottami immobile nella vegetazione.
Un anno… Passato a pensare. I pensieri si
sovrastavano l’un l’altro, combattendo per prevalere nel darmi noia e dolore.
Un anno… Immobile a pensare a questa
esistenza così maledettamente triste e vuota senza lei.
Un anno… Senza poter muovere un muscolo di
latta, senza chiudere gli occhi ed immaginare il mio amore, i suoi occhi
cristallini che mi penetravano, il suo calore che mi avvolgeva, tenero.
Un anno di rabbia ed impotenza…
Finché i miei salvatori non vennero in mio
soccorso. Dorothy e uno spaventapasseri, così si chiamavano quella bambina ed
l’uomo di paglia. Un po’ bizzarri come salvatori… Ma chi ero io per giudicare,
amici? Chi? Uno stupido uomo senza cuore, ecco chi.
E loro, sì… Loro mi salvarono finalmente. Mi unii a loro nel lungo viaggio che
li portava nella antica Città Fantasma, popolata da creature maligne e crudeli,
streghe deformi con anime nere immerse nella perversione, lupi dagli artigli
d’acciaio e una fame senza fine, denti che spezzavano le ossa in un armonioso
coro di urla, incubi che lambivano il corpo e leccavano via la vita, deliziosi
tentatori di anime ormai macchiate.
Un leone tanto codardo incontrammo per
strada, un nuovo compagno ci aveva portato la codardia e la paura. Strana
squadra era diventata la nostra.
Strana famiglia eravamo diventati senza
accorgercene.
… E con la mia fedele ascia spianai il
nostro passaggio, uccisi crudeli mostri che di noi volevano solo provare il
sapore sul loro disgustoso palato, decapitai scimmie alate, buttai giù ogni
ostacolo da burroni alti e pericolosi.
Nessuno mi avrebbe ostacolato, nessuno più
mi avrebbe allontanato dalla mia missione. Per me, era talmente fondamentale
che avrei spedito tra le fiamme dell’inferno chiunque mi avrebbe intralciato.
La mia gratitudine andava solo ai miei
compagni e, senza alcun dubbio o timor, a voi amici miei, spettatori di
questa mia tragedia.
Vi offro tutto e spero voi lo accettiate
come un dono prezioso, unico nel suo
genere.
La mia, non è un storia a lieto fine, per
un uomo di latta… Il lieto fine non
esiste.
Per un uomo senza cuore… Possono esistere lacrime da versare?
Per me ne esisteranno mai?
Ero artificiale, ero freddo… Ero senza cuore e
uccidere mi risultava talmente facile tanto quanto non lo era uccidere me
stesso.
Dorothy e i miei compagni, tuttavia, non
dissero mai nulla. La mia storia la
conoscevano fin dall’inizio e mi avevano fatto dono delle loro lacrime poiché
delle mie non ne potevo soffrire. Erano stati buoni e la loro sofferenza per la mia storia mi dava la forza di andare avanti
per concludere ciò che avevo iniziato tempo addietro…
Quando l’ascia mi smembrò, compagna fedele. Lei lo è sempre stata.
Quando la Città Fantasma raggiungemmo…
Tutto ciò che mi era oscuro si rivelò tanto semplice che la cecità della mia
anima mi aveva abbandonato, ora… Vedevo tutto ciò che un tempo avevo amato così tanto.
Quando il Mago si avvicinò, l’ascia
insanguinata della mia stessa anima nera ricadeva al mio fianco, morente. Il
Mago non disse nulla, il viso coperto da un verde cappuccio mi proibiva di
scorgere anche il più piccolo particolare del suo volto.
Le sue mani fredde mi porsero un oggetto
dopo che lo ebbi minacciato con tanta furia.
La sua voce roca era una lenta ninna nanna,
la malinconia e la pena nella sua voce lessi tanto chiaramente
da frantumarmi le ossa.
Allungò le mani, chiuse e aspettò. Mi
inginocchiai e con braccia tremanti accolsi il dono che mi fece.
Un cuore, rosso… Vivo e pulsante.
Il mio cuore, quello di un tempo
quando ancora il sangue scorreva in me.
Lo avvicinai a me e tristemente un sorriso
si dipinse sul mio volto cereo. Sporcai il mio viso, le mie mani con il sangue
che dopo tempo rivedevo zampillare.
Mi alzai in piedi e ringraziando per
un’ultima volta Dorothy e i miei compagni, la mia famiglia, me ne andai; senza
voltarmi e stringendo al petto gelido quel mio pezzo di bontà così tanto a lungo cercato.
La bambina, il leone e l’uomo di paglia
versarono lacrime al mio addio, bagnarono il mio corpo freddo lavando inconsapevoli
il sangue che copioso colava da ferite invisibili
ai loro occhi.
Camminai per giorni interi senza mai
fermarmi, per mesi e forse anni… Il tempo non aveva più importanza per me.
Il gelo non penetrava dentro di me, il sangue mi riscaldava.
I rumori non giungevano alle mie sorde
orecchie, il pulsare vivace del cuore fra
le mie mani copriva ogni cosa.
I sentimenti
fino ad allora celati esplosero dentro di me, riversando lacrime nere ad ogni passo che compivo.
… E finalmente arrivai lì, quel luogo
desolato dimenticato da qualsiasi Dio fosse mai esistito. Le tombe si
susseguivano, grigie e tristi si ergevano in quella terra sterile.
Fra esse giacevano i suoi resti, i lembi di anima del mio amore, del mio piccolo, dolce, amore. Raggiunsi il luogo di riposo del mio angelo terreno e,
sorridente, sporco di sangue e petali di rosa mi abbandonai su di essa.
Le sue braccia, invisibili all’occhio
mortale, mi abbracciarono mentre le
mie lacrime bagnavano la terra e quel cuore tanto bramato e alla fine
conquistato.
Finalmente eravamo vicini… E fra poco insieme per sempre.
Alzai l’ascia sopra la testa e con un gesto
secco, mentre le lacrime che finalmente riuscivo a versare dopo tutto quel
tempo, mi bagnavano la carne che via via si stava facendo dolorosa e pesante e
i sentimenti così angoscianti da non poter più riuscire a sopportare, pugnalai
il mio cuore senza alcun rimpianto o pena per la morte che correndo mi
raggiungeva, famelica della mia esistenza.
…E finalmente, dopo quell’attesa durante
un’intera vita,
eravamo insieme… E
lo saremmo stati per sempre.
“…Chissà se quel povero uomo di latta non avesse raggiunto,
dopo tanta sofferenza e lacrime non
versate per troppo tempo…
…il suo vero
ed unico cuore.
Dorothy
e i suoi amici, la sua famiglia,
lo
speravano dal profondo della loro anima di bambini immortali.”
Notes:
E’ la primissima volta che scrivo qualcosa su questo genere
di libro.
Ammetto con sincerità di non aver mai letto Il Meraviglioso Mago di Oz, ho solo
visto il film -è forse una mancanza la mia? Probabilmente sì- e cercato qualcosa
in più sui personaggi, qualcosa che nel film non venisse raccontato, non nel
dettaglio almeno.
Tra tutti mi ha sempre affascinata l’uomo di latta, un uomo…
Senza cuore.
Forse è tragica come storia, senza il forse parecchio
tragica considerando la fine che ho voluto darle… Ma volevo donare all’uomo di
latta un vena tragica, dolorosa che forse, per certi versi non gli si addice.
Pensandoci, tuttavia, senza cuore a volte si starebbe meglio.
Non so in che momento sia nata la mia “ispirazione” per
questa oneshot, fatto sta che ora l’ho pubblicata qui anche se all’inizio, ed
ancora adesso, sono titubante su quest’ultimo fatto.
Non credo abbia più niente da dire se non che anche se è
triste, è una delle poche "fanfiction" -se così si può chiamare- di cui mi sento leggermente fiera.
Grazie per l’attenzione a chi gentilmente me ne ha donata.
G.