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Autore: ElfoMikey    20/09/2010    3 recensioni
Brendon Urie mi aveva fottuto il cuore. C’era riuscito in una sera di mezza estate, quando il giorno si preparava ad accogliere la notte.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Panic at the Disco
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Prima Ryden scritta dal punto di vista di Ryan. Prima di leggere dovete sapere che i Panic! At the disco e i  The Young Veins non sono di mia proprietà( ma dai xD) e nulla è scritto a scopo di lucro.

Altra informazione: i pezzi in corsivo si riferiscono a un ipotetico presente, gli altri sono tutti flash back.

 

Buona lettura ^^

 

 

 

 

 

I know it's sad that I never gave a damn about the weather,
and it never gave a damn about me.

 

 

 

 

Avevo scoperto l’amore molto presto. Avevo sì e no quindici anni quando conobbi la mia prima ragazza.

Era carina, bionda, e abbastanza esperta da insegnarmi ogni sua conoscenza in campo sessuale che a sua volta aveva imparato da chissà quanti altri ragazzi.

Non che importava, certo. A quell’età l’ultima cosa di cui ti preoccupi è che la ragazza che ti vuoi fare sia già stata con altri.

Passammo dal primo bacio alla prima scopata in meno di un mese. Non durò oltre.

Dall’inizio ero venuto a conoscenza di quanto esigente poteva essere una donna, ma nonostante l’esperienza passata continuavo a divertirmi ogni volta che un essere di sesso femminile, preferibilmente dai biondi e fluenti capelli, mi passava accanto sbattendo occhi da cerbiatto pesanti di trucco.

Una volta mi sono addirittura innamorato di una di loro.

Con Keltie ho vissuto davvero dei momenti felici, ma le incomprensioni erano sempre in agguato, complice la notevole differenza di età.  Ci siamo lasciati senza rimpianti e ora portiamo avanti una bella amicizia.

Ma con lui, beh con lui è stato totalmente diverso.

È stata una collisione di eventi nuovi e spaventosamente eccitanti che mi hanno permesso di comprendere quanto l’amore sia diverso da quello che ho sempre pensato di provare. Era un crescente di emozioni racchiuse in uno sguardo o in una carezza che all’apparenza potevano sembrare qualcosa di stupidamente fraterno, ma che all’interno nascondevano mille segreti. Con lui, tutto ciò che era sempre stato facile da catturare, diventava impossibile. A ogni sguardo, a ogni tocco, rischiavo di impazzire.

Non sapevo le sue intenzioni, le sue emozioni, non le conoscevo o se provavo ad immaginarmele mi vergognavo di me stesso.

Brendon Urie mi aveva fottuto il cuore.

C’era riuscito in una sera di mezza estate, quando il giorno si preparava ad accogliere la notte.

 

 

 

***

 

 

Non avevo desiderato così tanto l’arrivo della fine di un concerto. Non perché fossi stanco, anche se in realtà non dormivo da giorni, ma perché tutta quella agitazione che mi si formava nello stomaco ogni volta che si avvicinava mi rendeva impossibile svolgere il mio lavoro, cioè suonare. Era quello che tutti aspettavano che facessi alla perfezione, no?

Avevo sbagliato più di un accordo e le parole delle canzoni, che ho scritto io diamine, si erano volatilizzate dal mio cervello.

Così, improvvisamente.

Puff.

Sparite, eclissate, praticamente dimenticate.

E la colpa era tutta sua. Solo ed esclusivamente sua.

Brendon doveva morire.

Sì esatto, Brendon Urie.

Volevo farlo a pezzi e poi gettarlo nel cassonetto dell’immondizia come se fosse un vecchio hamburger scaduto.

Rimuginando su “I diversi modi per uccidere Brendon Urie in dieci facile mosse” l’oggetto della mia totale attenzione mi si parò davanti, con un sorriso enorme e i denti bianchissimi e scintillanti.

“Ryyyyrooo!”

Odiavo quando la gente mi urlava nell’orecchio.

Perché farlo, scusa?

Il mio udito era ed è praticamente perfetto e non c’era bisogno di agitarsi in quel modo visto che la stanza era praticamente avvolta dal silenzio e lui stava a pochi centimetri dalla mia faccia.

Fu inevitabile arrossire.

Non lo so cosa mi succedeva a dirla tutta.

Avevo lo stomaco perennemente stretto in una morsa, come se vi fosse attorcigliato attorno all’intestino.

Non era una bella sensazione.

Ma questo succedeva perché?

Inspiegabilmente non riuscivo nemmeno a pensare alla parola Amore associata al mio nome con quello… di Brendon.

Insomma come possono due uomini, due individui di sesso maschile provare Amore l’uno per l’altro?

Sapevo che era possibile, anche se non capivo bene le dinamiche di comportamento. O chi penetrava chi.

Cioè, lo sapevo, ma preferivo far finta di essere ignaro della cosa.                 

La melodiosa voce ( cazzo, davvero avevo pensato che avesse una voce melodiosa nonostante non stesse cantando?) di Brendon mi riportò alla realtà.

“Alice, ritorna dal paese delle meraviglie!”

“Che pessima battuta!” commentai, togliendomi con insolita foga la fascia rossa legata hai passanti dei pantaloni neri.

“Tutto bene, Ryro?” che stranamente non aveva ribattuto con un’altra stupidata alla mia rispostaccia.

“Sì” in realtà direi proprio di no.

“Non si direbbe.” Però che occhio!

“Senti Brend, ho sonno, non dormo da giorni, sono frustrato, depresso e senza una donna con cui sfogare il mio istinto sessuale represso.”  Esplosi, lanciandomi sul letto singolo vicino alla porta.

“Uhm, direi che hai un problema.”  Borbottò l’altro, sedendosi con innata grazia, (oh cazzo, stavo impazzendo) accanto a me.

“Davvero? Non l’avrei detto!” feci sarcastico.

Poi mi fece quel sorriso.

Era un piccolo movimento di labbra che prima di sporgersi leggermente si curvavano lentamente all’insù. “Vuoi parlarne?” aggiunse, accarezzandomi delicatamente la coscia. Deglutii pesantemente, alzando le mani per passarmele fra i capelli.

Stavano tremando, così le ributtai sul copriletto, afferrandolo con forza. “Ora voglio solo dormire.” Mi meravigliai della mia assoluta freddezza nei suoi confronti che oltre a rendermi confuso non mi aveva fatto altro.

“Come vuoi.”

Poi chiusi gli occhi e sentii solo il suo profumo che si allontanava per dirigersi verso l’altro letto. Mi misi sotto le coperte e sbuffai dal freddo. In quel cazzo d’albergo non c’era un cazzo di riscaldamento. E, scusate la volgarità.

Quando Brendon spense la luce, mi girai nel buio verso di lui. Sapevo che aveva la schiena rivolta verso la finestra, com’era abituato a stare.

Continuavo a fissarlo nell’oscurità e a sentirmi sempre di più un totale cretino.

“Brend?” ma non ci fu risposta.

Sbuffai.

Si era già addormentato.

“Cosa c’è?” sussultai, quando mi rispose.

“Io, beh…” nascosi il viso nel cuscino, con imbarazzo, anche se lui non poteva vedermi. “Scusa.”

Dormi, scemo.” Disse e sapevo che stava trattenendosi dal sorridere. Obbedii alle sue parole e mi addormentai, con un sorrisetto da idiota stampato sulla faccia.

 

 

 

 

Brendon mi stava appiccicato.

Come se io fossi il sedile di un autobus e lui un chewingum particolarmente… appiccicoso. Non che mi dispiacesse, ovvio, però alle volte era seriamente imbarazzante.

 Il fatto che, dopo mesi e mesi di terapia con il mio cervello, fossi arrivato alla conclusione, ahimè spiacevole, che quel maledetto Urie era riuscito a farmi innamorare di lui, non giustificava il suo comportamento così morboso nei miei confronti.

La gente cominciava a fare strane domande. E Jon ci guardava con quei occhi da falco che onestamente mi inquietavano non poco.

Pensavo che i miei sentimenti fossero al sicuro, nascosti in uno scrigno segreto dentro la pancia di un troll rintanato nel mio cuore. Insomma, Urie era troppo stupido per capirlo e io ero davvero tranquillo, mentre approfittavo, sì lo ammetto, di quelle carezze e di quei abbracci che mi rendevano davvero felice.

Poi successe.

Fu un giorno davvero strano quello. Era gennaio o forse febbraio, non ricordo e lui stava fuori con il suo cappotto a coprirgli il corpo scosso da tremiti e il bel viso affondato nella mia sciarpa di pile.

Lo guardavo dalla finestra del nostro appartamento con apprensione.

Cosa ci faceva fermo sul marciapiede?

Perché non saliva in casa, invece che stare lì e assiderarsi di freddo?

Mi ritrovai fuori dal portone di casa senza nemmeno essermene accorto.

In pantofole.

A forma di coniglietto rosa, per essere precisi.

Non era un’immagine virile che stavo donando alla gente che passava per le strade affollate di Las Vegas.

“Ehi! Perché non Sali? Hai deciso di ibernarti?” chiesi, afferrandogli il braccio.

“Ryan…” disse solo, come se si fosse svegliato all’improvviso dai suoi pensieri.

“ Brendon?” risposi, alzando un sopraciglio.

“Sei in pantofole.”

“E tu ti sei mummificato in mezzo al marciapiede.”  Ribattei, sfregando i piedi l’uno contro l’altro, cercando calore.

“E’ che mi sono fermato, perché stavo pensando a una cosa.” Disse, cercando di togliere la condensa che si era formata nei suoi occhiali da vista.

“Cioè?”

“Credo di essere gay.”  Buttò lì, scuotendo le spalle.

Pensai di morire.

Come c’era arrivato a quella conclusione?

Perché?

E perché diamine io ne ero così felice?! Ah sì, perché tecnicamente ero innamorato di lui.

“Grande! Cioè, mi dispiace…” borbottai, arrossendo. Non mostrarti così contento Ross, pensai.

“Perché ti dispiace? Non è una brutta cosa! Oddio, tu pensi che sia una brutta cosa? Sei omofobo? Mi vuoi morto vero?!” prese ad urlare portandosi le mani nei capelli e  dilatando gli occhi così tanto da non riuscire più a distinguere l’iride dalla pupilla.

“Cosa? No! Che cosa ti salta in mente?!”  esclamai, portando le mani avanti. Il viso di Brendon si rilassò e lui emanò un lungo sospiro.

Poi mi abbracciò.

“Brend… stiamo dando spettacolo!” borbottai, con il viso affondato nella sua spalla, mentre adocchiavo la gente ridacchiare quando ci passava accanto.

“Giusto, andiamo.” si sciolse dal nostro abbraccio e mi prese per mano, correndo senza un cazzo di motivo verso il nostro appartamento.

Il nostro appartamento, non era gigantesco, ma era abbastanza ambio da contenere tutti gli strumenti, le stranezze di Brendon, Brendon, me, Hobo e Bogart.

Si levò il cappotto in fretta, mentre io chiudevo la porta e sospiravo per l’appagante tepore del riscaldamento.

Mi ritrovai nuovamente tra le sue braccia quasi subito, mentre Hobo e Bogart scodinzolavano hai nostri piedi.

“A-allora, vuoi dirmi come sei arrivato a dichiararti gay?” chiesi, mentre mi scostavo per fuggire in cucina e preparare della cioccolata calda.

“Non ne sono sicuro a dire il vero.”

Cercai di non mostrarmi nervoso a ogni sua parola, cercando di reprimere un moto di gioia che altrimenti mi avrebbe fatto saltellare per la stanza. Mi concentrai sulla preparazione della cioccolata.

Pentolino, latte, cacao in polvere… “Ryro?”

Brendon mi afferrò il polso, costringendomi a girarmi verso di lui. Era così vicino che potevo contare quelle lunghe ciglia, così belle.

Il mio errore fu solo uno.

Le labbra.

Gli guardai le labbra.

Dio, com’erano carnose e meravigliose quelle labbra.

Volevo morderle. Sentirle mie almeno per una volta.

“Cosa c’è?” mormorai, distogliendo lo sguardo verso il soffitto. Il suo braccio libero si insinuò nell’incavo della mia schiena e mi attirò a sé con forza, mentre le dita che tenevano delicatamente il mio polso, in una carezza si intrecciarono alle mie.

E intanto il mio cuore aveva fatto scappare il troll che aveva liberato lo scrigno dei miei sentimenti.

Così non poteva andare.

Rischiavo di perderci come minimo una ventina di neuroni se lui continuava a stringermi in quel modo.

“Brendon, che stiamo facendo?” sibilai, ammiccando alla nostra posa, che più che un abbraccio sembrava l’inizio di un passo a due. Lui rise e il suo fiato caldo mi solleticò il viso.

E poi non ebbi più il tempo di pesare, perché in modo lento e quasi impercettibile aveva cominciato ad avvicinarsi, fino a posare le sue labbra sulle mie.

Teneva gli occhi aperti e le labbra, che per uno strano motivo combaciavano perfettamente alle mie, erano piegate in un sorrisino.

Io d’altro canto ero sconvolto, preso da una forte tachicardia e da un giramento di testa che mi fece appoggiare al suo petto, per evitare di cadere.

Non so quanto tempo passò, ma rimanemmo per molto con le labbra incollate e gli sguardi fissi. Gli occhi mi lacrimavano e così li chiusi, cercando di levare quel pizzicore fastidioso e forse Brendon lo prese per un consenso a continuare. Lo sentii inclinare il viso e la mano, che mi attanagliava la felpa dietro la schiena, risalire verso il mio collo e fermasi lì, ad accarezzarmi i capelli alla base con dolcezza.

Volevo spingerlo via, buttarlo a terra e riempirlo di calci per quello che stava facendo.

Volevo, appunto.

Non mi ricordo quando è stato l’esatto momento in qui risposi al bacio… forse dopo che era riuscito a invadere la mia bocca con la lingua, che a dirla tutta faceva meraviglie attorno alla mia, o forse è stato quel suo sospiro appagato o il fatto che mi stringeva a sé come se potessi liquefarmi tra le sue braccia e sfuggirgli via.

Così dovetti ammetterlo, baciare Brend era la cosa più stimolante e meravigliosa che avessi mai provato.

Ovviamente restava ancora un punto da chiarire: perché lo stavamo facendo?

Per dar pace hai nostri animi?

Per confermare a Brendon il fatto che sì, era gay?

Usato.

Questa era la mia risposta.

Mi sentivo usato per un esperimento, come la rana che ho dovuto sezionare alle superiori e che nonostante fosse morta, avevo la certezza che mi stesse odiando.

Sentivo che i miei sentimenti venivano calpestati e buttati sotto cumuli e cumoli di melma.

Ma nonostante la rabbia, continuai a seguire i suoi movimenti così sensuali, aggrappandomi a lui con forza, mischiata a quella rabbia, che lui probabilmente scambiò per passione.

Oddio, non che non ci fosse.

Quella c’era, altro ché se c’era.

Ci staccammo dopo diversi minuti, quanto il fiato era troppo poco e il latte nel pentolino stava bollendo.

Si insinuò tra noi anche il trillare insistente del campanello.

Un classico praticamente.

Brendon allungò un braccio per spegnere il fornello, mentre io cercavo di sciogliere quell’abbraccio soffocante e andare al rispondere al citofono.

Lui non me lo permise.

“E’ solo Spence, può aspettare.” Disse, con quella voce roca che mi procurò non pochi brividi di piacere lungo la colonna vertebrale.

Sembravo una fottuta ragazzina in calore, vero?

Tra le sue braccia potevo trasformarmi in qualunque essere dall’aria dolce e femminile.

“Perché?” chiesi e lui mi accarezzò la guancia rossa di imbarazzo.

“Stai sempre a chiedere perché, Ryro, quando la risposta è così ovvia.”  Mormorò, con le labbra a solleticarmi l’orecchio destro.

“E sarebbe? Urie dimmelo, non sopporto più questa situazione!” dissi, esasperato appoggiando la fronte sulla sua.

“E’ così palese, così visibile… e tu non te ne sei mai accorto.” Non era rammaricato, perché mi sorrideva gentilmente.

“Accorto di cosa?”

Ross, smettila con le domande idiote.

“Che sono innamorato di te.”

Non avevo mai sentito qualcuno dichiarare il proprio amore in un modo così limpido. Ne rimasi sorpreso.

Okay forse troppo sorpreso.

Avevo la bocca spalancata, gli occhi fuori dalle orbite e stavo diventando balbuziente. 

Non riuscivo a mettere in piedi una frase di senso compiuto e Brendon aveva preso a ridere, anche se istericamente, visto che non avevo ancora detto nulla dopo la sua dichiarazione.

“Sorpreso?”

Scossi il capo, senza una parola, poi annuii.

Come uno stupido.

George Ryan Ross III sei un deficiente. Pensai.

Visto che Brendon non stava ottenendo la risposta desiderata, si staccò dal nostro abbraccio velocemente e io mi sentii mancare. Rivolevo quel calore, subito.

“Ehm, vado ad aprire, prima che Spencer butti giù la porta.” Borbottò in imbarazzo, passandosi le mani nei capelli.

La domanda di Brendon rimase in sospeso nell’aria. Non me l’aveva fatta ma io sapevo che voleva chiedermelo.

“E tu, sei innamorato di me?”

Dovevo solo aprire quella fottuta bocca a rispondergli, ma non riuscivo a parlare.

Ero anche sicuro che, se avesse varcato la soglia cucina, tra noi si sarebbe spezzato qualcosa. Poi mossi alcuni passi nella sua direzione e riuscii ad afferrargli la manica del maglione.

Si girò a guardarmi e probabilmente era sorpreso. Come me del resto.

“Anche io…” risposi a voce quasi impercettibile.

La sua sorpresa mi rese felice.

Non pensavo di essere riuscito a nascondere i miei sentimenti così… bene.

“Oh.” Disse.

“Già.” Risposi.

E infine mi avvicinai velocemente alle sue labbra, rimpossessandomi di quel calore e di quel sapore oramai irresistibile.

Sembravano due ragazzini, certo, ma non aveva molta importanza.

Non in quel momento.

Ah, dimenticavo! Spencer alla fine se ne andò, stanco di bussare insistentemente e non ci parlò per due settimane intere.

 

 

 

Avevo un fidanzato.

Sì avete letto bene, niente errori di scrittura o altro. Un fidanzato.

E quella persona era Brendon Urie. Sì, lui, uno dei miei più cari amici.

In quel periodo passavamo più tempo in conversazioni non verbali e snobbavamo qualsiasi attività che non fosse baciarsi ininterrottamente e okay, suonare. Non eravamo andati oltre a dirla tutta e io preferivo andarci con i piedi di piombo visto che eravamo entrambi inesperti. Almeno così credevo, finchè non beccai il mio adorabile ragazzo consultare un libro sul sesso gay e segnarsi le pagine più interessanti con del post-it verde.

Praticamente tutte.

Di noi, solo Jon e Spencer sapevano, anche perché ci avevano colto sul fatto nella saletta delle prove, mentre stavamo cominciando ad incidere i primi pezzi del nuovo album.

Non ricordo scena più imbarazzante di quella.

Ah sì, forse quando Pete ci beccò in bagno, mentre pomiciavamo fino a consumarci le labbra e lui aveva già i pantaloni calati, pronto per sedersi sulla tazza del cesso.

Ancora oggi fatico a guardare negli occhi Pete e cercare di non ridere.

La sua faccia era da immortalare.

Comunque sia, finalmente il freddo inverno aveva lasciato spazio alla primavera. E presto sarebbe stato il compleanno di Bden (non fate quella faccia, a lui piaceva quel soprannome.) Volevo comprargli qualcosa di memorabile, ma non troppo.

“Io so cosa piacerebbe ricevere a Brendon per il suo compleanno.” Jon mi si era avvicinato più silenzioso di un serpente e con quell’aria da saputello che mi metteva ansia.

Avevo l’impressione che lui sapesse le cose prima di tutti.

“Tipo?” chiesi, sfogliando con disinvoltura un giornale di articoli da regalo.

Lui fece un gesto eloquente con la mano e si beccò uno schiaffo dietro la nuca. “Era solo un consiglio! Non c’è bisogno di essere così violento!” borbottò, massaggiando la testa.

“No darò mai a Brendon quello che pensi che io gli voglia dare!” esclamai, facendo girare diversi tecnici del suono verso di noi. Diventai rosso come la camicia che indossavo e nascosi il viso dentro le pagine del giornale.

“Non essere così puritano ora. Non lo sei mai stato.”  Mi rinfacciò Jon, inarcando le sopracciglia.

Non feci in tempo a rispondere perché due braccia mi circondarono l’addome e il respiro caldo di Brendon mi solleticò il collo.

“Di che state parlando?” chiese, posandomi un bacio sulla spalla.

“Nulla! Tu piuttosto dove sei stato?” dissi, cercando di cambiare discorso, mentre passavo il giornale a Jon che lo nascose dietro alla schiena.

Complimenti Walker, gran bel nascondiglio. 

Lo stavamo aspettando da più di un’ora per provare e lui invece di essere puntuale aveva deciso di andare a zonzo per la città.

“Ti ho preso una cosa.” Disse, con voce eccitata, battendo le mani come un cretino.

Avevo seriamente timore nel scoprire cosa conteneva quel sacchetto bianco che Brendon mi faceva ciondolare davanti agli occhi. “ è solo un pensiero…” aggiunse quando me lo posò sul palmo della mano.

“Ehm, Jon? Potresti…?” disse Brendon rivolto a Jon, facendo segno di andarsene e chiudere la porta.

Quando se ne andò, mi ritrovai il mio ragazzo a una spanna dal naso, che mi sorrideva felice.

“Non lo apri?”

“Oh sì, certo!” risposi, cominciando a stracciare la carta chiusa con del nastro adesivo.

Quando mi ritrovai con il mio regalo fra le mani, sospirai, sollevato.

“Ti piace?” chiese, prendendo tra le mani il bracciale da cordino nero per infilarlo al mio polso sinistro.

Attorno ad esso c’erano delle lettere colorate scritte su piccoli dadi bianchi.

Formavano il suo nome.

Brendon. 

Mi piaceva eccome, anche se non ne capivo il senso.

Forse l’aveva visto per caso e l’aveva preso così, tanto per sfizio.

In realtà non era così.

Il suo significato nascosto in quel banale braccialetto valeva molto di più.

“ Ho pensato che se avevi questo addosso non ti saresti mai dimenticato di me…” mi spiegò, con quel sorriso sincero che ogni volta mi spiazzava il cuore. “ e che sei mio.”

Non c’era alcuna maligna possessività in quelle parole, solo il suo amore per me che ogni volta non smetteva mai di sorprendermi.

“E’ una stupidata lo so!” esclamò all’improvviso, grattandosi la guancia con fare imbarazzato.

“No! Non lo è!” ribattei, sorridendogli. “ è meraviglioso, grazie.” Mi appoggiai al tavolo dietro di noi e lo attirai per il gilet grigio che aveva lasciato aperto.

Più passavo il tempo insieme a lui più mi rendevo conto di non poter essere alla sua altezza.

Anche se ci amavamo, lo sentivo così distante da me, anche se potevo toccarlo.

A volte, però, mi bastava guardare il suo sorriso per togliermi dalla testa quei pensieri malevoli.

“Cosa c’è?” mi chiese, mentre mi avvolgeva nel suo caldo abbraccio.

“Nulla.” Mormorai, prima di fiondarmi su quelle labbra per ringraziarlo a dovere.

Fu notevolmente diverso dai soliti baci, che normalmente erano dolci anche se passionali.

Quel bacio era diverso.

Passionale certo, ma anche… affamato. Come se volessimo mangiarci a vicenda e la cosa mi lasciò senza fiato.

Sorrisi lievemente affannato, mentre gli circondavo il viso con le mani per riprendere a baciarlo.

Poi ci fu un boato.

Ci scostammo come scottati solo per girarci verso la grande vetrata della sala prove che aveva offerto il nostro spettacolo praticamente a tutti.

Con tanto di altoparlanti in funzione.

Volevo morire, mentre Spencer, Pete, Jon e gli altri applaudivano come degli idioti.

Scivolai dalle braccia di Brendon per sedermi sul pavimento, con l’imbarazzo che aveva raggiunto livelli improponibili di sopportazione.

E lui che faceva? Stava ringraziando ovviamente! Facendo profondi inchini per incitare il nostro pubblico ad applaudire ancora di più.

Innamorato di lui?

Come no, in quel momento avrei voluto fucilarlo.

 

 

 

 

L’anniversario della morte di mio padre era passato da qualche giorno e una strana tristezza albergava in casa.

Il fatto era che rivedere quella tomba mi aveva riportato alla luce tutto quello che per colpa sua avevo passato.

Mi dispiaceva della sua morte.

Insomma era pur sempre mio padre, anche se non era stato uno dei migliori. Anzi probabilmente il peggiore.

Ma più passava il tempo, più mi fermavo a pensare su fatto che io non avevo fatto niente per essere per lui un figlio migliore.

Non potevo tornare indietro per recuperare hai nostri errori.

Sorrisi a Hobo mentre l’accarezzavo dolcemente sotto il muso. Ero accoccolato sul divano di casa, con il mio cane fra le braccia e Bogart hai miei piedi. Brendon stava, a quanto sentivo, distruggendo la cucina, mentre cercava di preparare la cena o una bomba nucleare.

La televisione mi riservava le immagini di “Nightmare before Christmas”, visto e rivisto, che quella sera davano sulla tv via cavo.

“Okay, è quasi pronto!” mi urlò Brendon dalla cucina, dopo un assordante rumore di piatti che cozzavano l’uno contro l’altro.

Arrivò cinque minuti dopo con due piatti di pasta.

“Tutto questo tempo per condire dei maccheroni con burro e formaggio?” chiesi, mentre prendevo il mi piatto e analizzavo con circospezione il contenuto.

“Ehi! Un po’ di gratitudine per il mio impegno!”  esclamò, rifilandomi uno scappellotto in testa. Io risi e appoggiai il piatto sul tavolino di fronte al divano.

“Grazie…” gli soffiai prima di baciarlo. E lo pensavo davvero, perché come sempre lui era lì, per me.

Per farmi ridere, per sostenermi e consolarmi.

Non l’avrei mai ringraziato abbastanza per tutto l’amore che ci metteva nel rendermi…felice.

“Di che?” sorrise, scostandomi i capelli dal viso. Risposi al suo sorriso, prima di lanciarmi di nuovo sulle sue labbra e passargli le braccia dietro al collo per attirarlo a me.

Credo che Hobo e Bogart, fuggirono dalla stanza, appena Brendon mi distese sul divano così aprii le gambe per farlo accomodare su di me, senza smettere di violentare quelle labbra meravigliose.

Non era la prima volta che finivamo in quella posizione, ma non succedeva mai nulla di troppo, come dire, completo. Solo qualche toccatina o qualche fregamento fugace per mettere a tacere quella voglia impellente di fare l’amore.

Il fatto era che non mi sentivo pronto e la cosa mi rendeva ancora più imbarazzato e stupido di quanto già in realtà non fossi. Brendon era stato piuttosto comprensivo e molto, molto paziente.

A volte mi dispiaceva lasciarlo a metà, ma io non ci potevo fare nulla, era più forte di me.

“Aspetta Ryro…” sussurrò al mio orecchio, mentre io trafficavo con la sua t-shirt.

“Cosa?” risposi.

“Se andiamo avanti, questa volta non mi fermerò.” Esclamò con sguardo risoluto. “cioè… se a te va…” aggiunse, tornando a mostrare quel suo carattere insicuro che adoravo.

Non gli risposi, ma pensai che il mio bacio fosse una risposta più che sufficiente.

Le sue mani vagavano da tutte le parti, facendomi tremare di aspettativa.

Cazzo, sembravo una vergine la sera della notte di nozze.

Ero patetico, mi sentivo patetico, ma non riuscivo a fermarmi o a fermare lui.

Mi slacciò i bottoni della camicia con lentezza posando teneri baci ogni volta che un lembo di pelle veniva scoperto.

E ogni volta che un bottone veniva aperto lui scendeva sempre di più, finchè la sua bocca non sfiorò la cintura dei miei pantaloni. Non aveva mai smesso di guardarmi negli occhi e per quanto fossi  in imbarazzo non riuscivo a distogliere lo sguardo dal suo nemmeno per un secondo. Sussultai quando cominciò a passare la lingua attorno all’ombelico per poi scendere e giocherellare con il bordo dei boxer.

Quello era dannatamente piacevole.

Mi sollevai giusto un poco per riuscire a sfilargli la t-shirt e buttarla Dio solo sa dove.

Brendon aveva un bel corpo, non muscoloso, ma abbastanza tonico e liscio.

Mi piaceva passare le mani sull’addome contratto e disegnare la lievissima forma dei pettorali.

Potevo perdermi in quelle cose.

Nonostante fossi stato solo con donne, con i loro seni e la loro pelle morbida, toccare Brendon era qualcosa che aveva la capacità di triplicare la voglia che avevo di lui. Gli passai i polpastrelli sulle ossa sporgenti del bacino, facendolo ansimare.

La cosa strana di fare l’amore con un uomo non è tanto l’essere anatomicamente uguali, ma il sapere esattamente cosa fare, dove toccare, perché sono le stesse cose che vorresti che ti facessero.

Si spinse verso di me con vigore, facendo scontrare la sua erezione contro la mia, che mi lasciò senza fiato.

Feci congiungere le nostre labbra ancora una volta, coinvolgendolo in un bacio vorace e umido, mentre lui cercava di slacciarmi la cintura dei pantaloni che si era incastrata in uno dei passanti. Quando finalmente ci riuscì lo sentii sospirare soddisfatto, aprendo anche il bottone e la cerniera del pantalone per sfilarmeli con facilità.

Si sedette sulle ginocchia e mi guardò per qualche secondo, mentre in totale imbarazzo cercavo di nascondere il mio “piccolo” problemino racchiuso nei boxer bianchi.

“Sei…” iniziò, con le guancie rosse. “sei meraviglioso Ryan…” si chinò verso di me, senza però toccarmi, posando le mani sopra la mia testa.

Stavo per rispondergli, quando il mio occhio cadde al mio fianco.

Bogart.

Era hai piedi del divano che ci guardava scodinzolante.

“Brend…” lui sollevò il capo che aveva abbassato per riuscire a baciarmi meglio il collo. “Bogart ci sta guardando.”  Dissi imbarazzato.

Brendon girò il capo per fulminare con lo sguardo il suo cane, che per tutta risposta abbaiò felice.

“Bogart vattene!” ringhiò. Sapevo che dopo si sarebbe pentito di averlo trattato così male. Bogart però non aveva nessuna intenzione di spostarsi da lì.

Mi portai la mano davanti alla bocca per evitare di ridere in faccia a Brendon che pareva molto incazzato.

“Ho capito, se le cose stanno così.” borbottò alzandosi in piedi. “su alzati..” mi disse, afferrando la mia mano per poi trascinarmi in camera sua.

“Prova anche solo ad abbaiare Bogart!” minacciò, chiudendo la porta della stanza a chiave. Si appoggiò per un attimo l’imposta, sospirando. “più tardi dovrò chiedergli scusa.” Mi disse, mentre io mi sedevo sul letto, ancora scosso dalle risate.

“Non ridere!” esclamò, offeso, gonfiando le guancie.

Invece gli sorrisi, scostandomi i capelli scompigliati dagli occhi. “Piuttosto dove eravamo rimasti?” ammiccai, mentre lui si avvicinava, mordendosi le labbra. Per un attimo restai indeciso sul da farsi, quando mi ritrovai davanti agli occhi l’allacciatura dei suoi pantaloni. Quando alzai le mani per accarezzargli le cosce, vidi che stavano tremando e quindi feci molta fatica a slacciare il bottone dei jeans che non voleva affatto collaborare con me.

A Brendon però non sembrava dispiacere, perché mi regalò diversi ansiti di apprezzamento. Quando finalmente fu libero di pantaloni e boxer mi fece arretrare fino a raggiungere i cuscini, dove appoggiai la testa, cercando di calmarmi.

Poteva venirmi un attacco epilettico dall’agitazione.

“Tutto okay?” mi chiese, mentre faceva calare i miei boxer prima di buttarli a terra. Annuii e lui mi baciò il collo, succhiando con vigore la pelle sotto l’orecchio.

Sentirlo nudo contro di me era una sensazione meravigliosa.

Il suo corpo così caldo e forte era la stupenda metà del mio. Gli accarezzai la schiena dolcemente, mentre iniziavo a muovere il bacino contro il suo in cerca di soddisfazione. Gemette e credetti di morire sotto quell’assalto così sensuale e arrendevole.

Volevo essere suo, anche se sapevo già di appartenergli.

Fu dolcissimo il suo modo di prepararmi a qualcosa che non avevo mai provato in vita mia che mi spaventava da morire, ma mi rendeva felice.

“Se ti faccio male, dimmelo e io mi fermo.” Mi sussurrava all’orecchio. “e se non dovessi farlo picchiami!” aggiunse facendomi ridere. Risata che si spezzò in un ansito, a un suo lieve movimento.

Mi scappò solo una lacrima e ricacciai un urlo mordendogli la spalla. Ma mi sentivo bene perché mi rendevo conto che era la cosa giusta, che noi eravamo giusti l’uno per l’altro.

Fu lento, e non perché mi facesse male, il male era passato da un pezzo, ma perché non riuscivano a smettere di guardarci e non volevamo che finisse. Era come stare in un mondo tutto nostro.

Quando sentii che il suo piacere era vicino, lo spinsi contro di me più forte, lasciandogli il segno delle mie mani sulla pelle delicata del bacino e sulla schiena.

Tutto finì in un grande scoppio di urla e caleidoscopi vorticanti che mi fecero vedere le stelle.

Ero sbalordito di me stesso.

Negli attimi prima che avevano preceduto l’orgasmo ero arrivato alla conclusione che fare l’amore con un uomo era la cosa più piacevole del mondo. Solo che quell’uomo poteva essere unicamente Brendon.

“Che pensi?” mi chiese, avvolgendosi nel lenzuolo e aprendo le braccia per accogliermi. Sospirai soddisfatto sul suo petto, lasciando che mi accarezzasse la base della schiena con la punta delle dita, mentre l’altra mano si intrecciava alla mia.

“A Bogart.” Risposi, mugugnando contrariato quando mi pizzicò una natica. “ sei stato crudele!”

“lo so, credo che per sta notte lo farò dormire qui.” Rispose, dispiaciuto.

“Tu avevi intenzione di dormire?” chiesi, inarcando un sopraciglio. “pensavo che avremmo potuto riparlare in modo molto più approfondito della questione che abbiamo concluso poco fa…” ammiccai. Sollevandomi sul gomito per guardarlo meglio, mentre si mordeva le labbra indeciso.

Poi, mi saltò praticamente addosso, ributtandomi tra i cuscini, facendomi ridere.

“Credo che Bogart potrà aspettare fino a domani per le scuse…” mormorò.

Innamorarmi di Brendon è stata la cosa migliore che abbia mai fatto nella mia vita, e il fatto che lui mi aveva permesso di far parte della sua mi aveva reso l’uomo più felice del mondo.

 

 

 

Era appena iniziato il tour di promozione per il nuovo cd e il piccolo caravan hippie che avevo comprato non aveva suscitato nessun tipo di eccitazione da parte dei miei compagni.

Ma perché scusa? Ancora oggi me lo chiedo.

Era meraviglioso. E soprattutto hippie. Avevo urlato dalla gioia mentre tutti montavamo su quel piccolo gioiellino e acconsentendo a Brendon di prendere la guida. Per quanto spericolato fosse era davvero bravo e la sua andatura regolare mi rilassava. Per ore aveva tenuto la sua mano sulla mia gamba accarezzando il tessuto liscio dei pantaloni con dolcezza, almeno finchè non doveva staccarsi per cambiare marcia.

Ci fermammo molte ore dopo, in una vecchia stazione di servizio, per sgranchirci le gambe e mettere a tacere le proteste di Spencer che voleva scendere e fare una pisciata lunga un kilometro. Sue testuali parole. Per ammazzare il tempo io e Brend cominciammo a canticchiare, con tanto di chitarre acustiche alla mano.

Di “Pretty Odd” c’erano diverse canzoni che inequivocabilmente mi riportavano alla mente la mia storia con lui.

Ci piaceva canticchiarle dopo aver fatto l’amore o come in quel momento, seduti su un marciapiede isolato dal resto del mondo.

Jon ci venne presto incontro e presto mettemmo su un piccolo concerto riservato solo a una coppia di vecchietti che poco più in là faceva benzina.

Ripartimmo presto e dopo solo mezz’ora di viaggio, il caravan si fermò di colpo.

O meglio, Brendon l’aveva fermato di colpo.

Spencer che stava sonnecchiando sbattè la testa contro il finestrino procurandosi un grossissimo bernoccolo sulla fronte.

“Ma sei scemo?!”  gli urlò, cercando di acciuffarlo e picchiarlo, ma il mio ragazzo era già smontato e guardava con occhi scintillanti il mare a qualche metro da noi.

“Ryro! Il mare!” urlò, cominciando a saltellare come un pazzo. Si tolse le scarpe da ginnastica con una velocità impressionante, affondando i piedi nella sabbia fine.

“Voi che ne dite? Ci facciamo un tuffo?”  chiese Jon, affrettandosi a raggiungere l’amico che come un demente stava facendo le capriole a mezz’aria.

Io e Spencer ci guardammo per un attimo prima di scuotere le spalle e seguirli.

Non avevamo nessuno che ci correva dietro e perché non approfittarsene e divertirsi? Raggiunsi Brendon abbracciandolo da dietro e lui si girò, fino ad avere il suo bel viso vicino al mio.

“Sei peggio di un bambino…” gli mormorai, adocchiando un gruppo di ragazzini che si stavano dilettando nell’arte di fare castelli di sabbia.

“Non mi ameresti nello stesso modo se fossi un mollaccione privo di senso dell’umorismo!” ribatté, sorridendomi.

Io scoppiai a ridergli in faccia, avvolgendogli le braccia dietro a collo.

Non mi interessava di dare scandalo, o impressionare qualche famigliola.

Tutte le volte era come se io e lui ci fossimo ritagliati un piccolo angolo di mondo che non aveva a che fare con nessuno.

Solo noi due.

Mi sorrise dolcemente, prima di scostarmi i capelli scompigliati da vento.

“Non mi tentare Ross.” Mi avvertì, mordicchiandosi le labbra.

“Tentare? Io? E perché mai?”  risposi, malizioso, facendo scontrare i nostri bacini delicatamente.

“La mia passione per l’esibizionismo mi sta pregando di baciarti…” mormorò, ridacchiando.

“Nessuno te lo impedisce, Urie.”

Non so quando ero diventato così incline a mostrare a tutti le mie relazioni personali, ma la realtà è che con Brendon non mi importava di nessuna opinione.

E questo era strano perché mi piaceva essere riservato e tenere per conto mio le cose care.

Posò le labbra sulle mie con passione, facendo piegare la mia schiena lievemente all’indietro. Dietro di noi partì un lungo fischio, probabilmente da parte di Jon, che era già pronto per tuffarsi, dopo aver mollato i suoi vestiti a riva.

“Li raggiungiamo?” chiese Brendon ridendo alla vista dei boxer rosa fluorescenti di Spence.

“E se ci facciamo una passeggiata?!” proposi, indicando il bagnasciuga illuminato dal sole in tramonto.

Volevo stare solo con lui.

A costo di sembrare una ragazzina presa della magia del momento.

“Va bene!” acconsentì, prendendomi la mano e intrecciando le dita alle mie e iniziando a camminare, lasciandoci bagnare i piedi dall’acqua fresca del mare.

Quella volta non parlammo.

C’era un silenzio pacato e intrinseco di felicità che se avessimo detto anche solo una parola, quella sarebbe stata inopportuna.

Arrivammo in un piccolo tratto di spiaggia isolato, anche se si potevano ancora distinguere le sagome di Spencer e Jon, intenti ad affogarsi a vicenda. Lì Brendon si fermò e prese a spogliarsi, togliendosi velocemente la giacca e la camicia per buttarli scompostamente a terra.

“Che fai? Non mi segui?” mi incitò agitando con le mani l’acqua fredda del mare.

“Ehm, okay…”

Presi a spogliarmi del gilet scuro e della canotta bianca che indossavo, fino a rimanere in boxer, mentre mi scioglievo la bandana legata attorno alla fronte e nascosta dai ciuffi ribelli dei miei capelli castani.

Ci misi circa una decina di minuti prima di decidermi a entrare nell’acqua, che era sempre più fredda con il calare della sera intorno a noi, finchè appunto, Brend non mi raggiunse con poche falciate e caricandomi sulle spalle mi trasportò velocemente sotto acqua.

Lo maledissi, cento, mille volte, prima di essere baciato con irruenza.

Gli afferrai i capelli, tirando leggermente quelle ciocche bagnate per non farlo staccare così in fretta dalle mie labbra.

Lo sentii sospirare, accarezzandomi con entrambe le mani la schiena, facendomi rabbrividire. Non c’era una singola emozione o sensazione che con il tempo si era smarrita o affievolita. Mi aggrappavo a lui ogni volta, spaventato di poterlo perdere.

Era talmente grande quell’amore, che traboccava dal mio cuore incapace di trattenersi.

“Hai freddo?” chiese, staccandosi da me con lentezza. “stai tremando.”

Gli sorrisi, posandogli un lieve bacio sulla punta del naso.

“Ho voglia di fare l’amore.”

Brendon scosse le ciglia, spalancando le labbra allibito.

Okay, probabilmente la sua reazione era assurdamente esagerata.

“Non era la risposta che mi aspettavo.” Commentò, diventando malizioso.  “ma credo che posso adattarmi alle sue esigenze, Mister Ross…” aggiunse.

Forse non era saggio farlo in un posto come quello, ma ne sentivo il bisogno. Era quasi come il bisogno d’aria.

Ma quando cominciammo ad amarci, sentii il respiro mozzare e morire sulle sue labbra.

Lento, poi sempre più veloce, cullati dal mare che, con le sue lente onde, ci trasportava sempre più lontano dalla realtà.

Mi aggrappai alle sue spalle con veemenza, mentre lo sentivo dentro di me e i suoi gemiti nascosti nel mio collo, che baciava con ardore, mi estasiavano, facendomi pregare che la fine non arrivasse mai.

 

 

 

Avevo passato diversi momenti della mia vita creandomi un’immagine che potesse somigliare a quello che sentivo dentro. Cercando sempre di essere definitivamente stabile.

Ma nulla di tutto quello era accaduto.

Ero ancora in cerca di qualcosa di me che non riuscivo ad afferrare.

Mi allacciai la cravatta alla perfezione, guardando nello specchio, della mia stanza, il mio riflesso racchiuso in un completo color ocra.

Cosa c’è? Mai visto una persona indossare un completo ocra? Con quello addosso mi sentivo il re del mondo.

Non scherzo.

Sorrisi smagliante e soddisfatto prima di uscire con passo sicuro. Avevamo un incontro importante quella mattina e volevo essere all’altezza.

Jon era sul divano che fischiettando guardava Hobo rincorre una pallina fucsia per il salotto.

“ Però Ross, ci siamo tirati a  lucido, a quanto vedo.”  Esclamò, alzandosi in piedi.

Pompai il petto, assolutamente fiero di me stesso.

Poi li notai.

Ebbi quasi un attacco epilettico.

“Jonathan Jacob Walker!” urlai, spaventando Hobo. “Cos’è quella roba che porti hai piedi?”

“Ehm, infradito?” mormorò Jon, arretrando di qualche passo.

“Ma sei scemo?! Abbiamo un incontro importante con i produttori e tu ti presenti in ciabatte?!?!?”

“Tecnicamente non sono ciabatte, ma infradito!” ribatté lui, alzando gli occhi al cielo.

“E’ lo stesso. Togli immediatamente quelle cose, ti presto un paio di scarpe!

“Neanche per sogno! Tu pensi di essere meglio con quel completo color catarro?

“E’ ocra! Cosa sei? Daltonico?” mi infuriai, lisciando le pieghe della giacca.

“Ma se non sai nemmeno che vuol dire Daltonico!”

Fu, ovviamente, l’inizio della fine.

Arrivammo in ritardo, tutti e due imbronciati e Jon rimase con le sue infradito.

La One Heaven Music ci accolse con gioia, anche se irritata per il ritardo. I produttori del disco che io e Jon eravamo decisi a incidere, ci guardavano come dei ragazzi con stupide manie da divi.

I The Young Veins, erano nati dopo la mia decisione di lasciare i Panic At The Disco e la sorpresa dell’adesione di Jon a questo nuovo progetto che pensavo da mesi.

Avevano tutti delle facce serie, completamente diverse da Pete e dai suoi tanti collaboratori della Decay.

Eravamo seriamente intimiditi, ma decisi a continuare a darci dentro.

Tra loro c’era una faccia conosciuta, che scoprimmo essere un vecchio amico di Pete che per necessità era entrato a far parte della One per aiutare il cognato.

Ci sorrise e ci abbracciò, ringraziandoci di essere lì.

“Sono contento di avere due così grandi talenti!” esclamò, scuotendoci le spalle con le sue grosse mani.

Faceva quasi paura, grande e grosso com’era, ma sapevo che era una brava persona.

Parlò per un po’ con Jon di non so cosa, ero talmente agitato da non riuscire ad ascoltare nulla se non i battiti del mio cuore in preda a una forte tachicardia.

“Allora Ryan! E Brendon? Come sta?” esclamò, sorridendo in un modo quasi abbagliante. “mi ricordo di voi come la grande coppia affiatata, di gran lunga una splendida coppia.” Annuì convinto delle sue stesse parole.

Serrai per un momento i pugni, poi senza riuscire a guardarlo negli occhi, mi grattai la testa.

“Io e Brendon non stiamo più insieme.”

Già.

La nostra storia era finita alla deriva l’anno prima.

Lo stesso giorno del nostro quarto anniversario, Brendon mi aveva lasciato.

“Oh.” Pronunciò, corrugando le sopraciglia in un’espressione dispiaciuta.

“Non preoccuparti Mark, è tutto okay.” Gli sorrisi, mostrandomi tranquillo, quando in realtà gli occhi cominciavano già a pizzicarmi. Sentii Jon stringermi gentilmente la manica della giacca, e mi girai per essere consolato dal suo sorriso dolce e comprensivo.

“Siamo tornati a essere molto amici!” inventai, con le mani tremanti. “usciamo tutti i venerdì sera, sai? Appena lo vedo gli porto i tuoi saluti, va bene?”  borbottai qualche altra menzogna e senza rendermene conto stavo già arretrando per fuggire. “ora, vado un attimo in bagno… io…”

Poi fuggii, con Jon che chiamava il mio nome. Mi nascosi in un corridoio vuoto e fottutamente bianco.

Avevo perso tutta la mia sicurezza in un solo attimo.

Nessuno si era azzardato a chiedermi di Brendon, dopo la nostra rottura. E forse per questo che non ero preparato a quelle domande che mi hanno rilanciato come una molla nei miei, nei nostri ricordi più cari.

Brendon se ne era andato portando via ogni mia certezza più assoluta, allontanando sempre di più quello che volevo.

“Forse non ti amo abbastanza…”

Frase che rincorre i miei sogni ogni notte trasformandoli in incubi.

“Non riesco a guardarti senza pensare quanto male ho fatto alla mia famiglia.”

Sentirsi un totale sbaglio, quanto l’amore che c’era fra noi era una delle cose più pure e meravigliose di questo mondo.

Con lui in quel momento c’era Sarah.

Che nome banale e che personalità anonima per stare con uno come te eh, Brend?

Cercavo ancora una valida spiegazione al disgusto della sua famiglia e capire perché una persona così libera, così fottutamente menefreghista dovesse preoccuparsi della reazione dei famigliari.

Lui semplicemente non aveva retto alle pressioni, alle mille telefonate fatte senza alcuna risposta, al matrimonio della sorella che al quale non era stato invitato.

E questo era perché, stava con me.

Possiamo farcela insieme, gli faremo capire quanto ci amiamo. E quando capiranno, ti accetteranno di nuovo.

Quelle parole erano servite solo ad alleviare quello che oramai era irreparabile.

Ancora non ci credevo che il nostro tempo fosse finito.

La mattina mi giravo ancora verso la parte di letto vuota, accarezzando le lenzuola, immaginandomi il suo corpo caldo.

Era da pazzi sperarci ancora, era come attendere qualcosa di impossibile.

Guardai il mio polso sinistro, accarezzando con le dita il braccialetto che più lo guardavo e più mi ricorda quanto, nonostante tutto, mi sentissi ancora suo.

Ebbi lo strano impulso di strapparlo e gettarlo lontano dalla mia vista e dal mio cuore.

Certo, come se mi avrebbe permesso di soffrire meno.

“Ryan?”

Non mi ero accorto della presenza di Jon di fronte a me. “Non pensavo che…” non finì la frase, forse perché non trovava le parole giuste per finirla e così mi abbracciò, passandomi le mani tra i ricchi, in una carezza fraterna.

“Ora mi passa.” Borbotta, bagnandogli la camicia di lacrime. Per tutta risposta, lui intensificò l’abbraccio.

Rimanemmo lì finchè Mark con un sorriso di scuse ci venne a chiamare, dicendo che gli altri erano pronti per la riunione.

La mia fuga era stata giustificata come un attacco di panico per l’incontro di quella mattina e io, ancora oggi, non smetterò mai di ringraziare Mark per avermi salvato da un sacco di domande imbarazzanti.

Nel pomeriggio ricevetti la telefonata di Linda Thompson, la mia agente immobiliare, dicendomi che aveva trovato degli acquirenti per la vendita dell’appartamento che io e Brendon avevamo comprato anni prima e che lui aveva lasciato di corsa.

Non riuscivo più a viverci.

Quelle mura mi soffocavano.

Abitavo a casa di Jon da pochi mesi, in attesa di trovare qualcosa di mio. Me l’aveva proposto lui, perché non riteneva una cosa normale il mio dormire fuori dalla porta invece che sul letto. Letto dove io e Brendon avevano fatto l’amore centinaia di volte, dove c’eravamo dette parole importanti, dove avevamo scherzato, giocato e dormito per quattro anni.

Poteva sembrare stupido, ma era più forte di me.

Ero riuscito a calmarmi, grazie anche alla notizia della nostra entrata ufficiale nella One Heaven Music.

Raggiunsi l’appartamento in auto, dopo una doccia veloce e un cambio a casa di Jon.

Linda non era ancora arrivata, così invece che aspettarla fuori entrai, facendo girare le chiavi nella toppa lentamente.

Nulla era cambiato. Avevo lasciato tutto com’era, senza spostare nessun mobile o nessun televisore. In giro c’erano ancora diverse cianfrusaglie e le coperte posate sul divano.

Volevo vendere tutto.

Dimenticare tutto quello che ogni cosa di quell’appartamento mi riportava a lui.

Entrai nella camera da letto con passo lento, accarezzando la superficie liscia e impolvera del comò. Il letto, con la trapunta rossa, era perfettamente intatto e oltre al mio dolore, che anche se il tempo passava, non voleva diminuire, si insinuò la nostalgia di momenti perfetti.

Chissà se era felice ora. Ora che la sua famiglia l’aveva di nuovo accolto come un figlio, ora che c’era Sarah, ora che si stavano per sposare.

Essì, sposarsi.

Me l’aveva riferito Jon, che l’aveva sentito da Spencer giorni prima. Me lo aspettavo infondo.

Chissà se erano riusciti a programmargli la vita proprio come avevano sempre sperato di fare.

Prima il college, ma la sua scelta di cantare, poi io e la sua decisione influenzata di lasciarmi per seguire le idee di persone che dicevano di amarlo.

Affondai le unghie nel legno scuro del comò, ringhiando.

Era una cosa che oltre ad uccidermi mi faceva incazzare. Non credevo che bastasse una sola parola per far crollare tutto il mondo che c’eravamo costruiti attorno.

Sentii la porta di casa aprirsi e richiudersi velocemente. La risata acuta di Linda mi arrivò alle orecchie.

“Linda, sono qui.” La chiami, prendendo tra le mani un portafoto con un sorriso triste.

Adoravo quella foto, non era nulla di che.

Niente di artistico o troppo elaborato.

Solo un abbraccio, un sorriso, e le guancie rosse di freddo.

L’avevamo fatta a Natele di tre anni prima.

Se era necessario vendevo anche quella, pur di non ritrovarmela sotto gli occhi.

“Oh, Ryan.” Linda era una donna di mezz’età, che aveva acconsentito ad aiutarmi a vendere quell’appartamento. Lei mi piaceva, era simpatica e molto professionale. “ vieni, ti presento la persona ch è interessata a comprare la casa.” Mi disse, sorridendomi dolcemente.

“Okay, arrivo.” Risposi al sorriso, posando il portafoto esattamente dov’era prima. La seguii il salotto dove una figura, stava seduta comodamente sul divano.

“Signor Urie, le presento il proprietario dell’appartamento.”

Brendon si alzò con eleganza, salutandomi con un sorriso, che non aveva niente di allegro o ostile.

Era triste.

“Ehi, Ryro…” mormorò, guardando con difficoltà i miei occhi pieni di stupore.

“Vi conoscete?! Oh, splendido!” stava esultando Linda, senza essere minimamente ascoltata.

Portava gli occhiali da vista quel giorno e i capelli neri un po’ più corti del solito gli ricadevano scomposti sulla fronte. Indossava un completo elegante che lo slanciava e lo rende più bello che mai.

Non accennai nemmeno ad un saluto e mi rivolsi a Linda, posandole una mano sulla spalla.

“Puoi lasciarci soli? Per favore.”

“Sì certamente!” acconsentì e dopo un saluto uscì chiudendo con un tonfo pesante la porta.

“Cosa ci fai qui?” chiesi, sperando che non si fosse accorto della mia voce tremante.

“Ho saputo che volevi venderla.”  Rispose, scrollando le spalle.

“Scusa se non ti ho avvertito, in fondo è anche tua.” Ribattei, evitando accuratamente di guardarlo negli occhi.

“Non importa.”

“Vuoi dirmi cosa sei venuto a fare?” richiesi, cominciando a perdere quel poco di controllo rimastomi.

“Voglio comprarla” disse solo, avvicinandosi di qualche passo.

“E’ già tua non ce ne è bisogno e stammi lontano per favore.”  Ribattei portando le mani avanti.

Non sopporterei di sentirlo così vicino.

“ Vuoi vedere i nostri ricordi?”

“Tu conosci un modo migliore per dimenticarli?” esclamai. “ma se la vuoi, tienila, è tutta tua.”  Feci un gesto ampio della mano per indicare quell’appartamento.

Feci per uscire e nel passargli accanto gli sfiorai per sbaglio la spalla, facendo si che i miei occhi si scontrassero con i suoi.

Cercai di trattenere le lacrime.

Era indescrivibile riavere per me quello sguardo.

Anche se era solo per così poco.

Lo amavo così tanto, che se mi avesse chiesto qualsiasi cosa io avrei acconsentito.

“ Non andare.” Sussurrò, allungando una mano per trattenermi. “devo dirti una cosa.”

Abbassai lo sguardo e rimasi a fissargli le scarpe eleganti, finchè lui non parlò.

“Oggi dovevo sposare Sarah.”

Gelai.

Era venuto per quello? Per dirmi quanto è contento del suo matrimonio?

“Non lo sapevo, beh congratulazioni.” Esclamai sarcastico. “ora per favore lasciami, devo andare.” La presa sul mio braccio si rafforzò, facendomi, nonostante tutto, battere il cuore all’impazzata.

“Ascoltami Ryro.”

“Non chiamarmi Ryro.”

“Ti prego, ascoltami, poi puoi anche schiaffeggiarmi e mandarmi a fanculo.”

Mi rilassai leggermente, ritornando a guardarlo negli occhi.

Che fatica, cercare di non piangere.

“Sta mattina mi sono svegliato e dopo aver indossato questo stupido vestito da cerimonia sono andato in chiesa. La chiesa era piena di gente. Mia madre era così contenta e papà aveva lo sguardo fiero.

Basta.

Non dire altro.

“Sarah era bellissima, veramente.” Aggiunse, sospirando. “però a un certo punto mi sono chiesto che cosa ci facevo lì in mezzo. E perché erano tutti così raggianti, mentre io volevo solo andarmene più lontano possibile.

Non volevo più ascoltarlo, le sue parole mi riempivano di una stupida speranza e io non volevo sperare per paura di ricaderci.

“Ryro, io volevo essere qui. Tra tutti i posti del mondo io vedevo casa nostra. Vedevo noi. Volevo noi.”

Cazzate. Ogni fottuta parola che usciva da quelle labbra era una cazzata.

“Brend, smettila.”

“No, voglio che tu lo sappia, che ho sbagliato, che in questo anno ho commesso più stronzate io che qualsiasi altro deficiente sulla faccia della terra!”

Poi pianse.

Il suo sguardo disperato nel mio, mentre congiungeva le mani in una preghiera silenziosa.

“Come faccio a crederci, eh? Dopo tutto quello che è successo…” mormorai, mentre la mia mano correva sul suo viso per asciugargli le lacrime.

“Voglio te, Ryro. Non una moglie o l’amore della mia famiglia. Te.” era così sicuro che per un attimo mi fece sorridere.

“Perché non me l’hai detto prima? Perché hai aspettato così tanto?”

Non mi rispose, ma abbassò il capo mentre il suo corpo veniva scosso dai singhiozzi, mormorando di amarmi.

Potevo crederci?

Non ne ero sicuro, per niente.

“Non scherzare Brend…”

Lui scosse il capo con enfasi, prendendo la mia mano, ancora appoggiata sul suo viso, fra le sue.

Si allungò verso di me, baciandomi con dolce disperazione.

Volevo trovare le forze per non rispondere a quel bacio, ma non ce la faci. Mi aggrappai ad esso come un naufrago, assaggiando il sapore delle lacrime mischiato al sapore così unicamente di Brendon.

“Ora mi picchierai?” chiese, quando ci staccammo per mancanza di fiato. Risi tra le lacrime che non mi ero accorto di aver versato.

“Non sai quanto vorrei!” esclamai, tirandogli un pizzicotto sul fianco. “prometti una cosa però.”

Lui smise di sorridere guardandomi seriamente. “Tutto quello che vuoi.”

“Non lasciarmi mai più.”

Non lo fare, ne morirei.

“Mai, lo prometto.”

Per il momento, non chiedevo altro.

 

The end.

 

 

Okay, ringrazio infinitamente chi leggerà e chi recensirà questo mio primo tentativo di Ryden!

Ditemi cosa ne pensate eh!

 

Grè <3

  
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