Fuckin’
the Future.
Si erano trovati almeno altri
cinque casi di detenuti malati e tutti erano stati trasferiti al
Seiretei nel
reparto di malattie infettive. L’ospedale era pieno di
poliziotti e questo
innervosiva la maggior parte dei restanti pazienti ricoverati. Anche
molte
infermiere si erano iniziate a lamentare ma dopo un paio di settimane,
il tempo
massimo per curare la Peste uno alla volta, tutti i carcerati con
annesse
guardie erano andate via facendo tornare il tutto alla
normalità. Più
o meno.
I'll be standing stong
like a tree in the wind
Nothing is gonna move
this mountain or change my direction
Forse doveva sul serio tornare
a dieci anni prima quando la vita con Grimmjow era un continuo
supportarsi a
vicenda.
Quando si sentì meglio Urahara
non gli impedì di alzarsi dal letto non ritendolo
più contagioso. Gli consegnò
una mascherina anche se ormai avrebbe dovuto essere immune al tipo di
malattia
del paziente che sapeva stava andando a trovare.
«
È raro che stia sveglio per
più di una manciata di minuti. Bisogna far riposare il
signor Jaegerjaques. »
Lui
aveva annuito ormai
abituato alle stranezze di quel dottore e si era incamminato con ancora
il
pigiama indosso verso la stanza che ospitava da ormai due settimane il
detenuto
più famoso del Seiretei. Si parlava molto di loro due in
giro per l’ospedale ma
ringraziava il cielo di non aver mai detto nulla a nessuno per non
accertare le
voci.
Camminando piano arrivò fino
alla stanza e non si premurò di bussare o annunciarsi una
volta varcata la
soglia trasparente, chiuse le tende che mostravano il contenuto della
camera al
corridoio e aprì quelle che davano sulla strada cercando di
illuminare
l’ambiente.
Sul
letto c’era Grimmjow e
anche se ne era consapevole, era andato in quel luogo per incontrarlo e
magari
parlargli, il vederlo steso sulle lenzuola candide
dell’ospedale con indosso un
semplice pigiama azzurro lo aveva sorpreso più di quanto si
aspettasse. Lo
aveva visto dormire tante volte eppure quello che aveva davanti non era
più il
ragazzo di una volta.
I capelli stavano tornando del
colore naturale e quasi se ne dispiaceva. Erano belli azzurri,
pensò mentre
passava la mano tra quei fili scuri e morbidi. Non aveva paura che si
svegliasse e che lo trovasse a coccolarlo un po’. Era grande
per vergognarsi di
certe cose e sapeva che infondo anche lui aveva bisogno di piccoli
gesti
d’affetto. La sua fronte era ancora calda segno che la febbre
non era ancora
scesa del tutto ma sapendo quello che aveva passato quel lieve calore
era quasi
rassicurante.
Passò leggermente le dita
sulle palpebre chiuse che tremarono leggermente nel sonno. Doveva star
sognando
qualcosa ma era contento che finalmente riuscisse a dormire
tranquillamente.
Aveva passato brutti momenti. Una malattia del genere vissuta poi in
luogo
angusto come una prigione doveva essere stata una tortura. Ogni volta
che
ripensava alle parole del poliziotto con cui aveva parlato il primo
giorno
quasi arrossiva e ne gioiva internamente.
Dopo tutto quel tempo se stava
male pensava ancora a lui. Anche se gli aveva detto mille volte che non
voleva
essere chiamato Fragolino.
Buttò
la mascherina nel
cestino all’angolo della stanza e si appoggiò
pesantemente alla poltrona a
pochi passi dal letto.
Era comoda ma fredda. Nessuno
si era seduto su quella sedia per tutto quel tempo, glielo aveva
confermato
Tatsuki, che durante il suo periodo di isolamento gli passava
informazioni
attraverso un vetro spesso.
Grimmjow non aveva mai parlato
molto della sua famiglia e lui, egoisticamente, non aveva mai fatto
troppe
domante alle quali in determinati momenti era anche stato propenso a
rispondere. Erano stati insieme dopotutto! Si sentiva frustrato da
quella
totale ignoranza. Sentiva spesso crescere a dismisura il suo battito
cardiaco
ogni volta che ci pensava e per tranquillizzarsi cercò di
sintonizzare la sua
frequenza cardiaca a quella del ragazzo davanti a lui ancora attaccato
alle
grosse macchine che lo monitoravano.
Mandavano leggeri suoni
intermittenti. Erano regolari e tranquilli, due aggettivi che
stranamente
potevano essere accumunati a un elemento come il paziente sul letto
della
stanza numero sei.
Chiuse gli occhi e riuscì a
respirare con i suoi stessi respiri, a far battere il suo cuore delle
stesse
pulsazioni che pompava il suo. Era una bella sensazione, era come
quando tanti
anni prima facevano l’amore e divenivano una persona sola.
Molto spesso riuscivano a
essere uno.
I
loro cuori persero un
battito quasi in contemporanea quando Grimmjow aprì gli
occhi.
«
Cazzo ci fai tu qui? »
La
voce gli usciva dalla gola
a stento, appesantita dalla malattia, ma riusciva a fendere la carne
anche in
quello stato. In un attimo perse tutta la connessione che aveva cercato
per
tutto quel tempo.
«
Ti faccio una visita di
cortesia, deficiente. »
« Ma vaffanculo. Chi la vuole
la tua cortesia. »
« Certo che riesci a essere
stronzo anche dopo un’esperienza di merda come questa, tu.
»
« Anche più di prima, caro
Fragolino. »
« Quante volte t… »
Che
la frase fosse la solita
lo sapevano entrambi, l’avrebbe finita più per il
gusto di pronunciarla che per
cercare di convincerlo realmente a smettere con quel soprannome, eppure
quando
i loro sguardi si incrociarono nel mezzo del piccolo rituale era
tornati
ragazzi.
Il sorriso spensierato di chi
non ha troppi problemi o che li nasconde troppo bene, il ghigno
beffardo di un
ventenne con una fedina penale non così sporca e che si
diverte a fare il cattivo
– riuscendogli anche abbastanza bene –, due amici,
due amanti. La conversazione
era trascorsa così facilmente che li aveva portati indietro
proiettandoli nel
futuro.
Perché quell’incontro non
poteva essere un caso, Ichigo lo sapeva. E non se fregava nulla di
quello che
Grimmjow aveva fatto per meritarsi una cella a Las Noches, lui era
sempre stato
quello che lo accettava comunque, che lo avrebbe accolto in qualsiasi
circostanza, dopo litigi e scazzottate, con un calcio nel sedere
magari, ma
l’avrebbe voluto al suo fianco lo stesso.
Era questo che si era sempre
ripromesso, dal momento in cui si era accorto di essere innamorato di
quel
deficiente dagli occhi di ghiaccio.
«
Dannazione! »
Con
un pugno fin troppo forte
il medico ancora in pigiama si era alzato e aveva rovesciato il
bicchiere per
fortuna vuoto rimasto appoggiato sul comodino.
«
Che cazzo ti prende? »
« Non posso, dopo dieci anni,
essere ancora così maledettamente innamorato di te.
Vaffanculo Grimmjow,
vaffanculo. »
Il
silenzio calò improvvisamente
nella stanza nel momento esatto in cui il ragazzo dai capelli arancioni
si
sedette nascondendo il volto tra le mani. Non voleva dirglielo
così, forse non
voleva dirlo affatto.
Aveva passato quelle settimane
a pensare a lui e a proiettarlo negli anni. Aveva immaginato una vita
relativamente normale, un futuro con lui, un futuro litigioso e pieno
di
momenti tragici come quelli che aveva vissuto nel periodo in cui si
erano
conosciuti ma saporito e vitale.
Aveva trascurato la prigione,
l’ospedale e il fatto che negli anni Grimmjow poteva aver
amato altri. Aveva
solo considerato loro due e quello che era nato nella sua testa era
così
esaltante che si era quasi convinto di poterlo mettere in atto.
Era stato uno sciocco a
esporsi in quella maniera ma lui era fatto così. Agiva e le
conseguenze delle
sue azioni erano pensieri che raramente lo sfiorava. Lui combatteva,
correva e
difendeva chiunque ne avesse bisogno. Adesso quello che aveva bisogno
di essere
portato in salvo era la vita che aveva sognato insieme a Grimmjow.
«
Sei proprio un bambino del
cazzo. »
« Ah sì? Sono rimasto un
bambino del cazzo, secondo te? »
« Certo. Fai due calcoli,
Kurosaki. Sono passati dieci anni e a quel tempo forse potevi parlare a
vanvera
o sognare l’amore e altre cazzate come questa ma ormai
è cambiato tutto. Io
sono cambiato e non sono più il ragazzo di una volta.
»
« Questo lo so. Allora voglio
innamorarmi anche di questo Grimmjow, cazzo. »
Ed
era così raro fare una
discussione seria con quel ragazzo che la situazione sembrava quasi
irreale. Il
silenzio teso, così diverso da quello scandito dai loro
battiti, gravava sulla
testa ancora convalescente di entrambi provocando un senso di nausea
continuo.
«
Vattene. »
« Stai scappando eh? Di nuovo…
»
« No, ti sto fottutamente
cacciando via da questa stanza. Prendi quel culo e portalo via di qua.
Ora. »
Da
quando quel giorno aveva
messo il piede destro fuori da quella stanza, con ancora un mezzo
sguardo
rivolto verso il malato, non l’aveva più visto.
Sapeva che dopo dieci giorni
Urahara lo aveva dichiarato del tutto guarito e lo aveva rimandato a
Las Noches
facendo partire anche l’ultimo di quel pazienti scomodi.
Dentro di se era cambiato
qualcosa, lo sentiva.
Aveva ancora una voglia matta
di rincorrerlo, di lottare, eppure le sue parole lo avevano colpito
ancora e
forse più a fondo di quanto non avessero mai fatto. Solo lui
poteva ferirlo in
quel modo così come solo lui poteva guarirlo del tutto.
Cosa sarebbe successo se si
fosse presentato alla prigione con l’intenzione di fargli
visita? Lo avrebbe
mandato via esattamente come aveva fatto dalla stanza? Quelle parole
parlavano
solo della camera dell’ospedale o una volta per tutte lo
aveva cacciato dalla
sua vita intimandogli a fare lo stesso?
«
Kurosaki o riporti la testa
tra di noi o è la volta buona che rimani ricoverato per
più di due settimane. »
La
dottoressa Yoruichi era
quella di sempre, violenta e materna nello stesso istante, brava come
pochi
altri nel riportarlo alla realtà. La guardò negli
occhi nocciolati e seri per
qualche istante lasciandosi infondere la sensazione di
tranquillità che
emanava.
«
Visto che sei tornato, porta
queste carte a Kisuke. Veloce. »
Sventolò
delle carte davanti
al suo naso che lui afferrò prontamente per poi gettarsi nel
primo ascensore
libero che arrivò nel piano. La musichetta noiosa della
cabina claustrofobica
gli riempiva la testa ma quando abbassò gli occhi suoi fogli
stampati che aveva
stretto tra le mani si rese conto del contenuto.
Il rapporto finale degli
avvenimenti dell’ultimo tumultuoso mese riportava diverse
volte il nome del
ragazzo tinto. Era ancora a metà strada quando
iniziò a leggere i vari
fascicoli. E se quelli sulla malattia del detenuto e degli altri
pazienti tra
cui lui stesso li sapeva a memoria alcuni erano così
interessanti che si
dimenticò di scendere al suo piano.
Non seppe mai perché anche il
verbale della polizia, con tanto di data di scarcerazione del recluso,
fosse
necessario in verbali come quello ma fu più che felice di
scorgere una data e
un orario da appuntare.
The courage that's
inside is gonna break my fall
Nothing is gonna dim
my light within
Non
aveva mai visto la
prigione di Las Noches da così vicino e mai aveva sperato di
avere tale onore
ma doveva ammettere che era davvero imponente e così bianca
da far male agli
occhi.
Non si era azzardato ad
entrare ma sapeva che l’unica porta dalla quale Grimmjow
avrebbe potuto uscire
era quella davanti a lui. Sarebbe dovuto essere scarcerato un quarto
d’ora fa
ma non aveva idea dei tempi che qualcuno poteva prendersi per uscire di
prigione.
Non si aspettava di certo un
ricongiungimento idilliaco ma non aveva paura di essere lì.
Non aveva paura di
lui, non ne aveva mai avuta affrontandolo sempre a testa alta ponendosi
come
suo pari.
Quando
si aprì la porta che
una volta doveva essere stata dipinta di un bianco candido la figura
imponente
di Grimmjow apparve più grande di quanto la ricordasse.
Aveva uno zaino sulle
spalle e i capelli di nuovo tinti di quel colore sgargiante almeno
quanto il
suo. Alzò gli occhi solo dopo aver fatto qualche passo e lo
scorse appoggiato a
una vecchia macchina verde bottiglia ma non sembrò sorpreso
della sua presenza.
«
Sei fottutamente
prevedibile, Kurosaki. »
Ghignava
consapevole del suo
comportamento assurdamente contraddittorio. Non sarebbe stato facile,
gli stava
dicendo.
Appena fu a pochi passi da lui
giocò con il magnetismo dei suoi occhi che da sempre
riuscivano a confonderlo e
sorrise. Senza alcun preavviso lo baciò ferocemente,
artigliandosi al suo volto
e mordendogli le labbra.
«
Prova un’altra volta a
parlare di amore, futuro
o cazzate simili e ti uccido,
Fragolino. »
« Non chiamarmi Fragolino,
stronzo. »
Fine.
E
ce l’ho fatta. Yatta! Ho
finito la trilogia sul GrimmIchi
che
mi ero prefissa con questo capitolo che ha come prompt Futuro,
esattamente come
avevo promesso. L’avrei postato anche ieri se il tempo mi
fosse rimasto amico
ma almeno m me lo sono stampato e riletto a scuola. Diciamo che ci sono
alcune
scene che mi piacciono particolarmente nonostante l’OOC di
questi –Ichigo che
passa le mani tra i capelli di Grimmjow?!- e altre che trovo abbastanza
inconcludenti ma tutto sommato sono soddisfatta. Volevo l'happy ending,
va bene?!
Non ho ancora deciso su cosa
andare a parare prossimamente. Sì è arrivato quel
momento in cui anche io
rimango senza idee ma qualcosa mi inventerò. Forse
scriverò di nuovo su questi
due nei prompt che seguono questo giusto per concludere ancora di
più xD ricordo
che ho postato due capitoli di una long su questa coppia. Non il
GrimmIchi in
generale, ma proprio questi due Ichigo e Grimmjow nel periodo in cui si
sono
conosciuti U.U
Adoro
questa coppia e adoro tutte
voi che leggete e commentate! Un ringraziamento specialissimo a Mocchi
che -Buonddio-
ha commentato tutti i miei recenti aggiornamenti in una giornata *w*
Un altro saluto e
ringraziamento alla mia Sacchan e a Yoko-kun. Io vi adoro <3
Nacchan.
P.S. la canzone che spezza i momenti della storia si chiama Believe me di Dima Bilan. Ve la consiglio vivamente soprattutto nella versione con il violinista Edvin Marton *lovelove*
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Farai felice milioni di
scrittori.