Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: AkaneTachibana    23/09/2010    0 recensioni
Una porta che apriva mondi infiniti nella vita di un bambino. Cosa ne rimane dei suoi poteri, una volta cresciuti?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Da piccolo varcare quella porta significava entrare nel mondo dei sogni: il mar dei Caraibi pullulante di pirati assetati di sangue, la profonda Africa dalla cui intricata foresta uscivano sempre selvaggi con ossa al naso o nei capelli. Ed io ero sempre l’eroe di quei sogni ad occhi aperti, un piccolo bambino dai poteri eccezionali.

A nessun adulto era concesso di entrare nella stanza, almeno non in mia presenza, anche perché ogni volta la trovavo straordinariamente pulita, cosa che in seguito mi portò ad intuire che mia madre entrava spesso per pulirla. Mai la colsi sul fatto. Dicevo, nessun adulto vi poteva entrare perché non sarebbe riuscito a capire i poteri magici di quella stanza, per loro era solo una banale camera contornata da quattro pareti celesti, un soffitto costellato di stelle fluorescenti e un pavimento ricoperto caoticamente di giocattoli.

Erano passati diversi anni da quei momenti felici della mia fanciullezza, ma ancora ne sentivo la mancanza e quel giorno avevo deciso di fare ritorno a casa per varcare nuovamente quella porta. L’unica mia speranza in quel momento.

Ero seduto in treno in uno scompartimento completamente vuoto e guardando fuori dal finestrino il verde che si susseguiva ripensavo alle cose successe nei giorni precedenti e da cui stavo scappando.

Mi ero trasferito in città e avevo trovato lavoro come rappresentante farmaceutico, dopo cinque lunghi e faticosi anni di università. Mi occupavo di diverse farmacie del centro, ma la mia preferita era un piccolo negozio in una via sperduta. Era gestito da due donne, madre e figlia e non c’è bisogno di spiegare che ciò che mi faceva prediligere tale farmacia era appunto la figlia: capelli lisci, castani, lunghi fino al collo, nasino all’insù e due occhi marroni grandi e molto profondi. E mi soggiunse alla mente mio nonno che mi avrebbe chiesto in quel momento: “Tette e culo?”. Dai, nonno, ti sembrano domande da fare queste? Davvero un grand’uomo mio nonno.

Ma riprendiamo le fila del discorso: il suo nome era Ludmilla, molto timida e riservata, un po’ come me. A tal punto che nelle prime mie visite ci scambiammo a malapena un saluto, però sorrideva sempre, con quel sorriso che poteva riportare in vita un defunto. Dopo diverso tempo ero riuscito a chiederle un appuntamento, saremmo dovuti uscire domani, ma a questo punto…

Cinque giorni prima, stavo tornando di nuovo alla farmacia con dei nuovi prodotti che l’azienda mi aveva appena consegnato, quanto attraversando il parco lì vicino mi sentii d’improvviso strattonare il braccio.

“Che diavolo succede…”

Ci mise un paio di secondi per mettere a fuoco un tizio che stava correndo a perdifiato con la mia ventiquattrore al petto.

“Al ladro, al ladro” Iniziai a gridare accennando uno scatto, ma ben sapendo di non riuscire a colmare quel gap, specialmente con scarpe di cuoio e abito. In quel momento si parò di fronte al ladro un signore grassottello, sulla cinquantina, che si gettò letteralmente sulla valigia, finendo a terra insieme al ladro.

Fui meravigliato della sua ostinazione nel non lasciare andare quell’oggetto, nemmeno di sua proprietà, nonostante il ladro avesse iniziato a malmenarlo. Vedendomi avvicinare e sentendosi ora in posizione di minoranza il ladro rifilò una gomitata in viso all’uomo e si dette alla fuga.

Diedi immediatamente una mano ad alzarsi al mio salvatore, che come prima cosa mi restituì la valigetta, ancor prima di alzarsi, sorridendomi. Ma il suo sorriso cozzava un po’ con il resto del visto. Infatti la sua azione gli era costata cara: aveva un sopracciglio che gli sanguinava copiosamente e l’occhio che stava iniziando a gonfiarsi e aveva assunto un colore violaceo. Anche il suo abito non era da meno, la giacca era strappata almeno in un paio di punti e si era creato un buco su un ginocchio dei suoi pantaloni, probabilmente per la caduta.

Nonostante questo sembrava una persona per bene e il suo viso aveva un che di buffo: probabilmente per la sua larghezza, il doppio mento e un grosso naso a patata.

“Non so proprio come ringraziarla. Però, ora dobbiamo medicarla. Venga con me, qui vicino c’è una piccola farmacia”

L’uomo sorrise e mi seguì placidamente , ponendosi sulla ferita il fazzoletto che gli porgevo, riuscendo a malapena a frenare il fiotto di sangue che colava. Durante il breve percorso cercai un modo per ricompensare quell’uomo che aveva strenuamente lottato per una borsa di medicinali, ma sul momento non avevo nemmeno i contanti per poterlo risarcire dei danni al suo vestito. Mi sarei fatto lasciare un suo contatto. Si presentò come Riccardo Fiorentini e mi diede il uso biglietto da visita: Società di compravendita titoli INJ e sotto recava l’indirizzo della sede, il suo nome e il numero di cellulare.

“Bene, così la contatterò per invitarla almeno a cena per ringraziarla e per risarcirla dell’abito”

“Ma no, non si preoccupi, non è stato niente” e sorrideva. Era proprio un tipo buffo, un brav’uomo, una di quelle persone che non sarebbero capaci di fare male ad una mosca. Non aveva nemmeno reagito ai colpi dell’aggressore, si era limitato solamente a sorreggere con tutte le forze la valigetta.

“Entri, prego”

Aprii la porta della farmacia e spiegai tutto alla titolare. Ludmilla assisteva alla scena da distanza. Medicato l’uomo, decisi che era il momento di congedarmi, ringraziai nuovamente Riccardo e lo lasciai alle cure delle due donne. Avevo un altro appuntamento di lì a poco, sarei passato da solo per mostrare i nuovi prodotti successivamente. Ludmilla sorrise di nuovo e in quel sorriso lessi: “A giovedì”, il giorno del nostro primo appuntamento, o forse me lo sognai solamente.

Qualche ora dopo il mio cellulare iniziò a vibrare nella tasca. Ho sempre odiato le suonerie, anche perché tenendo per pigrizia sempre quella standard del telefono, non riuscivo mai a riconoscere se era veramente il mio a suonare o quello di qualche passante. Sicché impostavo sempre in modalità vibrazione. Presi il cellulare dalla tasca e osservai lo schermo: era lei. Perché mi chiamava? Voleva forse annullare il nostro appuntamento? Forse avevo davvero letto il messaggio sbagliato nel suo sorriso. Fui quasi tentato di  non rispondere, poi prendendo un grande respiro e facendomi coraggio premetti il tasto verde avvicinando l’auricolare all’orecchio.

“Pronto?”

“Ciao, scusami se ti disturbo”

“No, no, non preoccuparti. Dimmi pure”

“Il signor Fiorentini è rimasto qui con noi dopo che te ne sei andato e ci ha parlato del suo lavoro e proposto un investimento molto vantaggioso. Secondo te ci possiamo fidare?”

“Ma certo, è un brav’uomo, in pochi avrebbero fatto quello che ha fatto lui per me”

“Se ce lo assicuri tu, ci fideremo. Grazie ancora. A presto”

“A presto”

Sarebbe stato molto presto in effetti. Chissà quale affare aveva proposto loro. Già, fra l’altro doveva contattarlo a sua volta.

Lasciai passare un paio di giorni, in cui fui tremendamente assorbito dalle mie visite e poi mi decisi e presi il biglietto da visita che avevo accuratamente riposto nel mio portafoglio e digitai il numero sul cellulare. Rispose una voce di donna:

“Informazione gratuita: il numero da lei selezionato è inesistente”

Riattaccai. Dovevo aver sbagliato a digitare il numero. Lo ricomposi, ma ottenni lo stesso risultato. Molto strano, è difficile sbagliare il proprio numero sui biglietti da visita, anche perché non conviene molto alla propria attività lavorativa. Per fortuna avevo l’indirizzo del suo ufficio, era anche molto vicino a dove mi trovavo, mi sarei fatto una passeggiata. Arrivato lì, mi accolse una segretaria molto carina e tutta sorridente.

“Salve, posso esserle d’aiuto?”

“Salve, sì, stavo cercando il signor Riccardo Fiorentini”

Vidi il viso della ragazza annuvolarsi.

“Qui non lavora nessun Riccardo Fiorentini. Non è il primo che viene a cercare quel truffatore. Purtroppo, sì, quello con cui ha avuto a che fare è truffatore. Posso solo sperare che non le abbia chiesto troppi soldi…”

La ragazza accennò un sorriso consolatorio, ma non sortì alcun effetto. In quel momento mi era passato sopra un TIR, che non sicuro di aver fatto un buon lavoro, aveva innestato pure la retromarcia.

Ringraziai ed uscii dal locale appoggiandomi alla vetrina,senza forze, esautorato di ogni linfa vitale.

Cosa potevo fare a questo punto? Potevo informarmi se gli avevano già consegnato i soldi, in caso contrario le avrei avvisate che si trattava di un delinquente. Ma un truffatore difficilmente sta in gioco per così tanto tempo, sicuramente aveva concluso tutto il giorno seguente. Quanto avrebbe voluto fra le mani e picchiarlo proprio come aveva fatto il ladro, ma ben più duramente. Il ladro. Solo allora mi resi conto che era stata tutta una messinscena, un amo ben tornito per un bel luccio: il sottoscritto. Persi ogni forza e le ginocchia iniziarono a piegarsi, scesi con la schiena lungo il vetro, finendo seduto sul marciapiede.

Decisi di agire nella maniera che mi esponesse minormente. Le inviai un SMS:

“Ciao, come stai? Poi com’è finito l’investimento col sig. Fiorentini?”

Ci vollero pochi minuti per ricevere una risposta. Afferrai il cellulare tra le mani unendole e pregai che il buonsenso avesse suggerito loro di non dare soldi ad uno sconosciuto. Pregai anche se non avevo mai creduto in nessuna divinità.

Purtroppo non era andata come speravo:

“Ciao, tutto bene. Abbiamo concluso già tutto. Proprio un brav’uomo. Ti racconto tutto giovedì, ciao”

Merda, non c’era più niente da fare e anche io vi sarei finito in mezzo, come colui che aveva presentato loro il truffatore. Non c’era più speranza fra me e Ludmilla. Forse avrei perso pure il lavoro.

Fu a quel punto che ricordai la porta che dischiusa dava origine ai miei sogni infantili. Decisi di tornare nella casa dei miei genitori ed è per questo che mi trovavo a quel punto sul treno.

“Prossima fermata… Prossima fermata…”

Ero arrivato, presi la mia ventiquattrore e mi avviai alle porte. Di lì a poco il treno si fermò e scesi, avviandomi verso casa mia a piedi. Vivevo in un piccolo paese e la mia casa era molto vicina alla stazione. Passai davanti ad una anziana signora che spazzava davanti casa. La conoscevo: la signora Maria, così l’avevo sempre chiamata. Mi riconobbe subito:

“Mamma mia, sei tu, Gianluca? Quando sei tornato?”

“Be’, vengo ora dalla stazione”

“Come mai sei tornato adesso? La festa d’autunno è finita ieri”

Parlava di una festa che si tiene nel mio paese per festeggiare l’arrivo dell’autunno, dura una decina di giorni ed è una sorta di sagra paesana con qualche evento collaterale.

Non avevo molta voglia di rispondere alle domande curiose della donna. Lì vicino si trovava un distributore di lattine automatico. Mi avvicinai ed infilai le monete.

“Prendo una lattina…”

Ma la donna non desistette e continuò a martellarmi di domande.

“D’accordo, ma che mi racconti? Hai trovato la tua futura sposina in città?”

Ed iniziò a ridere, già pregustando un possibile gossip da spifferare alle altre vecchie del paese, sia in caso di risposta favorevole che negativa. A quella domanda mi apparve in mente il viso di Ludmilla.

Sbrigativamente salutai la donna e proseguii il cammino verso casa mia, con la lattina che mi ghiacciava la mano. A distanza di sicurezza trovai una panchina e mi fermai per riflettere.

Bella cazzata, che avevo fatto. Ero fuggito, non avevo fatto niente, così non avrei fatto altro che peggiorare la mia situazione. Ludmilla. Non avrei potuto più guardarla negli occhi, non avrei più potuto vedere il suo sorriso. Niente. Si fece coraggio, continuò il percorso verso casa, ormai era giunto fin lì. Poi sarebbe tornato subito in città.

Bussò a casa, le aprii la madre. Era quasi ora di pranzo e dopo alcuni abbracci e qualche discorso generale, la madre le propose subito di fermarsi a pranzo e corse letteralmente in cucina per preparare uno dei suoi pranzi coi fiocchi. Quei pranzi che potrebbero sfamare almeno dieci persone, nonostante a tavola fossero solo tre.

Iniziò a salire le scale e attraversò il corridoio buio, non accese la luce, non ne aveva bisogno e in quel momento l’oscurità rappresentava meglio il suo stato d’animo. Arrivò davanti alla porta, a quella porta che l’aveva reso felice per diversi anni. Quella stanza che poteva far diventare realtà qualsiasi desiderio.

Ti prego, portami a tre giorni fa, ti prego. Aprì quella porta, era tutto buio all’interno, la finestra era oscurata dalla tapparella. Vide la sedia a dondolo e vi si sedette. Iniziò a dondolare. Quel dondolio favorì lo sgorgare delle sue lacrime, pianse in silenzio per alcuni minuti.

Sono venuto ad aggrapparmi ad un filo di speranza? Doveva tornare e l’avrebbe fatto immediatamente. Uscì di casa senza nemmeno avvertire sua madre. L’avrebbe chiamata più tardi e tornò di nuovo in stazione.

La signora Maria era ancora lì che spazzava.

“Mamma mia, Gianluca, ma quando sei tornato?”

Tirai a dritto, senza porle attenzione. Mi sa che la vecchia era alquanto rimbambita col tempo.

Per fortuna c’era un treno di lì a pochi minuti, timbrò il biglietto e salì a bordo. Il treno iniziò il suo percorso. Vide dal finestrino il luogo dove si teneva la festa d’autunno, ma non sembrava che stessero smantellando le strutture, anzi sembrava quasi che quella sera ci sarebbe stato un altro evento. Le persone scaricavano cibo e vivande, altri pulivano i tavoli. Forse la vecchia era davvero rimbambita.

Si aprì la porta dello scompartimento ed entrò un uomo con il cappello: il controllore.

“Biglietto prego”

Alzai il mio fondoschiena dal sedile e con la mano presi il portafoglio e da una tasca laterale tirai fuori il biglietto che glielo consegnai. Lo guardò per qualche attimo stupito.

“C’è qualcosa che non va?”

“La macchinetta dove lo ha fatto probabilmente doveva essere settata male. E’ datato 25 settembre.”

“Scusi, perché che giorno è oggi?”

“Il 22” E mi riconsegnò il biglietto.

Prima ancora di essere colto dallo stupore sentii vibrare il cellulare nella mia tasca. Attivai la conversazione, ma non ebbi la forza nemmeno di dire “pronto”.

“Ciao, scusami se ti disturbo”

Era Ludmilla, ancora Ludmilla.

“Dimmi pure”

“Il signor Fiorentini è rimasto qui con noi dopo che te ne sei andato e ci ha parlato del suo lavoro e proposto un investimento molto vantaggioso. Secondo te ci possiamo fidare?”

“No! No! E’ un truffatore! Non fatevi abbindolare!” Urlai, sfogando tutta la frustrazione che avevo accumulato.

“Come immaginavo. Era una proposta troppo bella. Diceva di essere tuo amico”

“Ha ingannato pure me. Avverti la polizia, prima che si faccia vedere di nuovo.”

“D’accordo. Ma il nostro appuntamento di giovedì è sempre valido?”

“Ah, sì sì, ceramente.

“Meno male che il truffatore non sei tu, Gianluca”

In quel momento mi tornò alla mente una scena che avevo vissuto: avevo sei o sette anni e mi ero accucciato davanti alla porta e con un coltello incisi nella parte bassa di quella porta una scritta: la porta che porta ovunque.

“Pronto? Ci sei?”

Sorrisi.  

  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: AkaneTachibana