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Autore: rees    23/09/2010    5 recensioni
Di cosa ha bisogno Patrick per lasciarsi andare con Teresa?
Una piccola one-shoot tutta Jisbon.
Come sempre i personaggi non sono miei ma di Bruno Heller, anche se vorrei tanto tenermeli tutti per me...specialmente la coppia Jane Lisbon.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Patrick Jane, Teresa Lisbon
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'What does 'romantic' means?'
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Mi svegliai a causa del sole che filtrava tra le tende bianche. Una luce rosea e pallida che non avrebbe svegliato nessuno. Ma dopotutto dovevo ringraziare di essermi addormentato la sera prima. Anzi, dovevo chiedermi perché mi ero addormentato. Solitamente i sonniferi mi intorpidivano le membra ma non mi donavano il sonno. La sera prima invece quella chiamata mi aveva fatto correre dalla donna che ora era al mio fianco, rannicchiata in un angolino del suo letto.
Lisbon mi aveva chiamato terrorizzata. Aveva sentito dei rumori e si era trovata davanti la porta di casa il cadavere di una donna mai vista prima con la gola che presentava tagli e lì vicino, a terra, la firma dell'uomo a cui tanto davamo la caccia. Con una frase scritta sempre con il sangue. “Tu sei la prossima”.
E avevo finito per dormire lì, nella sua casa, nel suo letto. L'avevo tenuta stretta cingendole le spalle con le braccia per confortarla e lei mi si era aggrappata con tutte le sue forze, le unghie strette sulla mia camicia in una morsa ferrea, la testa poggiata sul mio petto che fremeva ad ogni suo singhiozzo disperato. E con calma, dopo averla tranquillizzata ed averle giurato di proteggerla il sonno l'aveva catturata, le sue braccia mi avevano cinto la vita, il volto si era disteso in un sorriso appena accennato e il suo capo si era accoccolato nell'incavo del mio collo. Ed io ero rimasto così, immobile, ad accarezzarle la schiena finché anche i miei occhi si erano stancati di osservare il soffitto e avevano ceduto alla stanchezza. L'ultima cosa che avevo sentito era stato il suo odore di fragole e cannella, odore che era mancato appena sveglio. Evidentemente si era svegliata accorgendosi della posizione intima e intrecciata dei nostri corpi. Credevo fosse impossibile spostarsi così tanto in un letto matrimoniale.
Mi girai su un fianco puntellandomi su di un gomito per poterla osservare. Anche se mi dava le spalle non mi era difficile immaginare il suo volto. Probabilmente disteso in un sorriso ma con quell'adorabile rughetta tra le sopracciglia dovuta all'ansia che non l'aveva abbandonata nemmeno nel sonno.
Uno spasmo la fece raggomitolare in posizione fetale, la maglietta del Lisbona che lasciava facilmente intravedere l'intimo che indossava.
Con la voce ancora impastata dal sonno e senza voltarsi mi fece capire di essersi svegliata.
-Jane? Hai dormito qui?
-Già, mi sono addormentato poco dopo di te.
-Meno male. Se fossi andato via mi avrebbe uccisa.
-Non ti ucciderà, anche a costo di rimanere al tuo fianco ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette.
-Magari.
Era stato solo un mugugno, ma abbastanza udibile da farla scattare come una molla per sedersi e portarsi le mani alla bocca.
-Intendevo...beh...in modo che non mi uccida...ovviamente.
-Lisbon, non mentirmi.
Con un tono giocoso e canzonatorio mi ero avvicinato a lei cingendole le spalle con un braccio e di nuovo l'odore di fragole e cannella invase le mie narici inebriandomi. Questa piccola grande donna mi faceva letteralmente impazzire, ma era facile resistere quando eravamo al CBI o quando rimanevamo soli per un motivo di lavoro o in situazioni di panico. Ma qui, nel suo letto, con lei che indossava solo quella t-shirt e un completino intimo, non era poi così semplice.
-Non ti sto mentendo.
Si era voltata e quella frase la soffiò sul mio viso. Era migliorata parecchio con le bugie, si capivano, ovvio, ma non era più imbarazzata nel mentirmi. Come se non ne avesse un motivo serio. Ma volevo sentirmi dire da lei quello che sapevo da anni. Volevo sentirle dire di essere innamorata di me per poter giocare con lei ed amarla comunque, indipendentemente da John.
-Peccato. Ho letto male tra le righe.
-Peccato?
-Beh, si. Sai, con John che vuole ucciderti credevo che avresti smesso di farti duemila problemi.
-Problemi per cosa?
-Per le regole.
-Le...regole?
-Non capisci?
-Sto cercando di evitare di pensarci.
-Pensare a cosa?
-A quello cui stai pensando tu.
-Quindi sai cosa sto pensando?
-Che ti piacerebbe ti dicessi che ti amo. Ma non accadrà.
-L'hai appena fatto.
-Era per un esempio.
-Ma lo hai detto.
-Se è per questo tu me l'hai detto molto tempo fa.
-Davvero?
-Già. Abbiamo finto di essere sposati, ricordi?
-Mmm. Non sarà che tu lo ricordi perché ti è piaciuto sentirti dire che ti amo?
-Beh si, ma...ehi!
Le pizzicai il naso con la punta delle dita.
-Ho vinto.
Arricciò il labbro inferiore sporgendo il mento in un broncio a dir poco adorabile. Avvicinai il mio volto alle sue labbra e ne baciai un angolo.
-Ricordo perfettamente di averti detto che ti amo.
Questa volta fu lei a poggiare le sue labbra sulle mie fino a schiuderle per cercare un mio bacio che non dovette nemmeno aspettare molto.
Si rigirò nel mio abbraccio fino a trovarsi difronte a me per affondare le sue dita tra i miei capelli. Ci sdraiammo di nuovo tra le lenzuola candide e in quel momento John non sembrò più un problema.



Eccomi qui chicche, una fan fiction piccina picciò, per poco non è una flash fiction, ma comunque spero possa piacervi e spero di meritare anche una mini recensione *-* Giuls
   
 
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