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Autore: Stregatta    25/09/2010    4 recensioni
Se il fine ultimo di quella separazione forzata era dimenticare per un po' cos'erano e cosa sarebbero stati in futuro, non poteva tornare né a Londra né tantomeno a Teignmouth.
{Seguito/spin-off/figlia spirituale di Ragionevole Dubbio}
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dominic Howard, Matthew Bellamy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Hearts in a Cage'
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Shine



Le molle del divano cigolavano. Il copridivano stampato di una minuta e polverosa fantasia floreale scivolò dallo schienale ammassandosi in pieghe molli sui cuscini della seduta.
Ogni dettaglio del salotto, alla luce del giorno, risaltava in una nitidezza nuova e quasi inquietante.
Forse per questo Dominic amava fare sesso sul divano, nel sole che lasciavano passare le portefinestre che davano sul giardino.
I dettagli fanno la differenza - il diavolo non è forse nei dettagli?
Quella goccia di sudore assorbita dal sopracciglio di Matt, quelle minuscole e brillanti come perline sul suo labbro superiore, quelle raccolte nella fossetta fra le clavicole dove il sangue pulsava veloce sotto la pelle.
Il taglio del rasoio sul mento, i nei sparsi sulle sue guance, la ruga verticale poco sopra l'attaccatura del naso.
Di giorno, Matt conservava poco del mistero conferitogli dall'atmosfera della camera da letto ed era meglio così, in fondo.
Indifeso e molle, sotto le spinte di Dominic, ai suoi occhi appariva infinitamente più bello anche nei piccoli - e grandi - difetti del suo fisico.
Lentamente Matt allungò il collo pallido all'indietro, sul bracciolo del sofa, venendo tiepido sul suo ventre e quello di Dominic.
Mormorò qualcosa di indistinto, inarcando la schiena e quasi sollevando l'altro per cercare di mantenere il contatto con il suo corpo: poi ricadde sui cuscini pesantemente, sorridendo.
Come obbedendo ad un tacito accordo, si sdraiò su di un fianco lasciando a Dominic l'opportunità di rannicchiarsi fra sé e lo schienale del sofa e di coprire entrambi con il leggero copridivano fiorato.
Era un momento strano, quello dopo il sesso con Matthew: quando anche quel canestro d'ossa che era il suo amante riusciva ad assumere una parvenza di tenerezza, come se lo accogliesse una volta di più e gli offrisse ancora il suo corpo, stanco ed illanguidito dal piacere.
La sua schiena era umida, arrossata dalla frizione con la stoffa ruvida di cui i cuscini del divano erano rivestiti. La pelle di Matthew era piuttosto delicata, si irritava facilmente.
Dominic premette sollecitamente un indice contro la fragile scapola di fronte a sé.
- Ti fa male? -
L'altro si mosse leggermente, cercando una posizione più comoda della precedente.
- Perché? Ho un livido? -
- No, sei rosso. -
- Ah... No, comunque non mi fa male. -
A distanza di giorni da quell'incontro, Dominic ne ricordava addirittura lo scambio di battute più insulso ed ordinario... Forse per via del fatto che ne avesse preceduto uno ben più corposo ed impegnativo.
Da come era iniziata, con la voce di Matthew ridotta ad un miagolio soddisfatto dall'orgasmo, non avrebbe mai immaginato a cosa sarebbero approdati.
- Hai già pensato a cosa fare, adesso che il tour europeo è terminato? -
Dominic gli infilò un avambraccio fra l'omero ed il fianco, stringendolo poi attorno alla vita.
- Sto valutando delle opzioni... Tu? -
- Pensavo di andare a Los Angeles... Mi manca sentirmi un po' frivolo. -
- ... disse Matthew Bellamy, l'uomo che suonava una chitarra rossa glitterata. -
Matthew sbuffò un accenno di risata, e l'altro ne approfittò per strofinargli il naso dietro l'orecchio e proporre in un mormorio pigro: - A me Los Angeles non piace granché... Ti va di tornare in Francia? Ho ancora casa a Nizza, di questi tempi c'è poca gente ed il tempo è fantastico. -
Si stupì dell'improvviso, lievissimo irrigidirsi del corpo di Matthew - talmente leggero che se non l'avesse avuto fra le braccia senza vestiti lo avrebbe perso.
Ispirando fiato in un breve sibilo, il più piccolo parlò nel suo solito modo precipitoso.
- No... Io vado a Los Angeles. -
- Devi sempre decidere tu, cazzo... Despota. -
Quello era decisamente il peggiore dei difetti di Dominic: scorgere il pugno che stava per schiantarglisi dritto dritto contro il naso e pensare di poterlo evitare facendo semplicemente finta che fosse un buffetto innocente.
Il montante infatti arrivò lo stesso, secco e destinato al punto che faceva più male.
- Dom, ci vado da solo. -
Lo aveva già capito, non c'era bisogno di scandirlo in quella maniera precisa ed innaturale per lui che le parole le trattava e spesso usava malissimo nel colloquiare.
Dominic chiuse gli occhi, ingoiando a vuoto per inghiottire il suo timore.
Forse era meglio risputarlo fuori, però, alla ricerca di spiegazioni.
- Che vuoi dire? -
- Che non verrai con me... Ci ho pensato, in questi giorni, e forse è il caso che ci stacchiamo per un po'. -
Quando aveva avuto il tempo di maturare quella decisione? Due giorni prima c'erano stati i concerti di Wembley e lui era parso così... Tranquillo, così carico e felice di essere lì, come se per la testa non gli passassero altro che musica e grida di fans.
Erano entrambi felici. Non era successo nulla di strano.
- In base a cosa ne saresti convinto? -
... non era successo nulla di strano?
Dominic si morse il labbro inferiore per soffocare una bestemmia astiosa.
Con il tono di voce più ragionevole e convincente che riuscì ad accroccare, affermò: - Matt, per l'ultima volta... Scherzavo. -
- E' quello che dici sempre quando ti accorgi di aver cagato fuori dal vaso. - constatò Matthew, senza acredine.
- Ero ubriaco, cazzo! Sai come sono quando bevo, no? Dico stupidaggini per fare il fico e... -
- Eri serio. -
- Ed è per questo che...! -
- Ci serve del tempo per capirci qualcosa, Dom... Non è facile, anche se di fatto non è nemmeno qualcosa da scartare a priori. - ponderò Matthew.
Le braccia dei due erano immobili, incastrate fra loro in una parodia di abbraccio che di intimo non aveva più nulla.
Si erano ritrovati in quella posizione scomoda, e nessuno dei due aveva davvero idea di come trovarne una migliore, in quello spazio così angusto.
La storia della loro vita, assolutamente.
- Sai quante cose cambierebbero? Quante persone sconvolgeremmo? -

Il solito, sacrosanto discorso del circo mediatico e degli amici e familiari scandalizzati dall'inaspettato outing del frontman e del batterista dei Muse, ma il nucleo vero del problema - quello che ogni volta, anche in quell'istante, faceva ammettere a Matthew di
non poterlo fare a cuor leggero - era da ricercarsi altrove.
Non era all'esterno, il loro enorme punto debole.
- Puoi andare a Londra... Quanto tempo è che non vai a casa tua o a trovare i tuoi parenti? Potresti far loro una sorpresa. -
- Sì, un cazzo. -
- Piantala. Lo sto dicendo per te. -
In uno scatto rabbioso, Dominic calciò letteralmente via Matthew per scendere dal divano, rischiando di farlo cadere a terra.
Non cercò neanche i vestiti; si voltò a gambe larghe e mani sui fianchi verso il compagno, esclamando: - Io sono etero. Sono stato fidanzato solo con ragazze al di fuori di questo cazzo di ambiente che ci dà da mangiare. Sono stato alle tue condizioni, non ho detto nulla nemmeno a Chris prima che me ne dessi il permesso, porco cane! Non provare a fingere che questa tua decisione sia per il mio bene quando tutto e sottolineo tutto quello che ho fatto negli ultimi tre anni è stato davvero per te, davvero per rendere le cose più facili! -
Sapeva di essere ingiusto. Era ridicolo pretendere di poter incolpare Matthew di quanto quella... Realtà, poteva chiamarla così... Fosse delicata da gestire, degli sforzi che richiedeva semplicemente per esistere.
Matthew era solo più bravo di lui a non farsi schiacciare da quel peso, ed a non pretendere troppo da loro stessi.
- Se sei davvero convinto che di te non me ne freghi nulla cosa cazzo ci fai ancora qui, eh? Sto cercando di proteggerti! -
- Mi stai allontanando! Si chiama "proteggere" andartene in California dopo che ho osato esprimere il desiderio di farla finita con questa puttanata di rapporto nascosto? -
Rabbiosamente, Dominic raccolse gli skinnies neri gettati prima sul tappeto e tentò di infilarseli; cambiò poi idea, sbattendoli a terra frustrato ed allargò le braccia in un gesto di totale impotenza: - Io devo sapere se ci stai, Matt... Se c'è qualcosa per cui vale la pena rinunciare ad altro. Perché certe volte non lo so neanche io. -
Si sedette pesantemente sul pavimento, infilandosi nervosamente le mani fra i capelli biondi; quella stanza sembrava gli si stesse accartocciando addosso esattamente come la sua vita sentimentale, ed entrambe gli rendevano difficile respirare.
La voce di Matthew gli fu vicina un istante dopo, paziente e calda come le sue dita callose sulla nuca.
- Si tratta di questo... Come facciamo a saperlo? -
Le mani di Dominic ammorbidirono la presa sulle ciocche che stavano tormentando, mentre il partner gli addolciva la pillola in modo scorretto - non aveva ancora imparato a non trovare quella voce ipnotica, nelle sue note più basse e quando occasionalmente i discorsi di Matthew non costituivano un nastro grinzoso di parole incollate fra loro.
- Non sappiamo nemmeno cosa voglia dire stare lontani... Non ho la minima idea di cosa significhi fare a meno di te. Non è giusto, non è... Sano. -

Smettila. Smettila di aver ragione, Matt.
- Potrebbe essere qualcosa che morirebbe se lo portassimo allo scoperto, ed allora sarebbe stato tutto inutile e non si potrebbe più tornare indietro. -
... cazzo, ti ho detto di smetterla.
- Zia Alma puzza di gatto e non sa cucinare. Non voglio andare a trovarla. - mugugnò Dominic, sventolando di malavoglia la proverbiale bandiera bianca.
Odiò il suono della risata di Matthew, e quel suo stupido dente sporgente fra gli altri sotto il labbro superiore rosso e sottile.
Raddrizzandosi, l'uomo si stiracchiò come un gatto appena svegliato.
- Vado a farmi una doccia... C'è del gelato nel freezer. Menta e cioccolato fondente, mhm? -
- Mhm. -


L'immagine del corpo nudo di Matt, allungato ed esile, diretto a passi lunghi ed oscillanti verso l'enorme sala da bagno di Villa Bellini indugiò a lungo dietro le palpebre mollemente chiuse di Dominic.
I Phoenix erano la colonna sonora dell'ultimo tratto di viaggio a bordo di quel mefitico pullman puzzolente d'umanità varia ed eventuale; nel giro di una canzone, il mezzo si fermò nel parcheggio apposito e scaricò i passeggeri.
Una successione di scuri, enormi archi in mattoncini si stampava contro l'orizzonte grigio e freddo, percorsa a gran velocità da un treno di un grigio appena più scuro.
Il frastuono degli autobus con i motori accesi e della gente che ne saliva e scendeva in frettolosa e loquace processione era un suono decisamente familiare, per quanto lontano nel tempo.
A nove anni compiuti, Dominic si era ritrovato immerso nello straordinario - perlomeno ai suoi occhi di bambino - ambiente della stazione di Stockport per la prima volta in vita sua.
I treni erano più lenti, allora, e rumorosi. Ricordava come i sedili fossero soffici ed un po' impolverati, ed i finestrini appannati dal freddo.
Aveva addirittura impressa l'immagine del suo indice che rigava il suo nome... No, non il nome, solo "Dom"... sulla superficie umida del vetro, mentre sua madre gli parlava entusiasta della città nella quale sarebbero andati ad abitare.
Teignmouth è affacciata sul mare, è pulitissima e non ci sono i piccioni, ma solo gabbiani. A Teignmouth nevica sempre, d'inverno. A Teignmouth ci sono tanti parchi e tantissimi bambini. Ti piacerà, Dom, vedrai.
Nei pensieri del bimbo di nove anni che fu, Teignmouth si era trasformata in una sorta di avventurosa piccola Neverland nel cuore del Devonshire, dove d'inverno si giocava a tirare palle di neve contro i gabbiani nei parchi.
Suo padre li stava già aspettando nella nuova casa, quella bianca e piccola della fotografia con il giardino verde decorato da riproduzioni dei Sette Nani in gesso colorato.
Al Dominic di nove anni non dispiaceva il fatto di andare a vivere a Teignmouth.
A quello di trent'anni suonati e passati già da un po', dava i brividi anche solo l'idea di tornarci.
Non aveva smesso di pensare a Matthew durante il viaggio da Manchester, alle sue parole ed all'ispirazione che gli avevano procurato.
Se il fine ultimo di quella separazione forzata era dimenticare per un po' cos'erano e cosa sarebbero stati in futuro, non poteva tornare né a Londra né tantomeno a Teignmouth.
L'ideale era provare a ripartire da qualcosa che fosse solo suo, non dei Muse o di Matt.
L'ideale era Stockport, e chi non l'aveva mai lasciata.
Pregò che l'indirizzo fosse quello di sempre, e si diresse verso l'ufficio informazioni per comprare un biglietto dell'autobus.
Il costo era aumentato, da quando aveva smesso di usufruire dei trasporti pubblici... Ma era pur sempre vero che il suo potere d'acquisto era aumentato di pari passo, nel corso degli anni.
Il sapore esotico del tornare ad abitudini da persona normale lo impressionò piacevolmente quando trovò un posto a sedere sul bus, cedendolo due fermate dopo ad una vecchina malferma curva sotto il peso della sporta della spesa.
Sono ancora un bravo ragazzo
, dichiarò ironico a sé stesso.
Un bravo, famoso, ricchissimo ragazzo.


Dietro la porta di vetro smerigliato ed alluminio, una figurina chiara e minuta si avvicinava a piccoli passi rumorosi.
Subito dopo, Dominic si trovò di fronte una bambina ricciuta e mingherlina con un paio di tondi occhiali rosa ed una generosa spruzzata di lentiggini sul nasino a patata.
Prima che l'uomo potesse qualificarsi o che la ragazzina potesse chiedere alcunché, altri passi risuonarono giù per la rampa di scale che portava al primo piano della casa.
- Kim, chi é? Zia Leonore? -
Senza staccare lo sguardo dal volto di Dominic, la piccola trillò: - No, è un signore! -
- Un amico. - precisò il "signore" in questione, credendo fosse opportuno tranquillizzare la bambina e sua madre circa la propria identità - anche se quando lei l'avrebbe visto in faccia, non ci sarebbe stato bisogno di parlare.
Scesa in corridoio, la donna bisbigliò a mezza bocca a sua figlia: - Cosa ti ho detto? Non devi aprire a chi non conosci. - prima di sollevare lo sguardo sul visitatore.
Impiegò poco più di un secondo, per riconoscerlo.
- Dominic... - mormorò infatti, restando poi a bocca aperta.
Dietro di lei la bambina aggrottò le sopracciglia e si avvicinò per stringerle una mano in atteggiamento protettivo, provocando una mezza risata da parte di Dominic.
- Buongiorno, Mia. -
Per un attimo, nessuno dei tre proferì parola.
In seguito, il conseguente abbraccio affettuosamente stritolatore di Mia ne durò molti di più, dei quali la piccola approfittò per assistere alla scena in assoluto e confuso silenzio.
Guardandola da sopra una spalla della donna, Dom sillabò a fatica: - Tua figlia? -
Finalmente Mia lo rilasciò, indicando allegramente la bambina con il pollice.
- Si, Kim. Ha otto anni. -
- Ti somiglia un sacco. -
Mia sorrise a trentadue denti, esclamando: - Sì, è spaventoso... Tipo un clone! La chiamo così, infatti. "Il mio dolce clone."-
Scosse il capo, e con esso tutta una matassa di ricci castani e crespi, sollevando le mani come per riordinare le idee e calmarsi un po' - non era mai stato facile per lei contenersi, neanche da ragazzina.
Riconoscere quella gestualità tipica, quel modo di parlare fu un tuffo al cuore ed una rassicurazione al tempo stesso.
Non era cambiata per niente, a prima vista.
La donna gli fece strada fino alla cucina, gettando un'occhiata al piccolo trolley che Dominic si trascinava dietro.
- Ok, piuttosto... Come mai qui? Siete in tour da queste parti? Non vedo molta TV e non ci sono manifesti in giro, quindi... -
- Viaggio di piacere. - la informò telegraficamente l'altro, sedendosi sulla sedia impagliata che Mia gli aveva offerto.
La donna aprì un pensile, fissandolo allo stesso tempo con aria scettica e rischiando fra l'altro così di rimediare un bel ceffone dallo sportello - proprio la solita, imbranatissima Mia.
- Qui a Stockport? Sentivi
davvero nostalgia di questo posto? -
No. No che non la sentiva. Era un esperimento, il suo.
- Ehi, io me ne sono andato... Potevi fare lo stesso! - le ritorse contro Dominic, semi-serio.
Quando si era trattato di trasferirsi a Teignmouth, ciò di cui aveva più sofferto era stato non solo non poter più vedere la sua compagna di giochi, ma il fatto di lasciarla ai suoi genitori i quali litigavano sempre, anche in sua presenza. Mia se ne lamentava spesso, ed una volta aveva ammesso che sarebbe partita volentieri con lui anche per non doverli più sentire.
Ovviamente era un progetto inattuabile, ma in estate di solito lo veniva a trovare e per un certo periodo di tempo avevano intrattenuto una fitta corrispondenza epistolare.
Un anno, Mia non era potuta venire in vacanza da Dominic: in compenso al ragazzo era arrivata una lunghissima lettera scritta in inchiostro viola profumato al mirtillo, nella quale lei confessava di essere innamorata di lui da moltissimo tempo e di non poter più tornare a Teignmouth in veste di semplice amica.
L'estate seguente, si erano messi insieme - per il grande disappunto di Matthew, che non aveva mai potuto soffrire la ragazza; all'inizio dell'inverno erano già tornati buoni amici, concordi sul fatto di non poter reggere una relazione a distanza.
L'ultima volta che si erano visti lei stava già insieme al tipo che avrebbe sposato e lui era il batterista ventiquattrenne di una band con due album alquanto di successo all'attivo in vacanza dai parenti. Dopodiché, ogni tanto si erano telefonati o inviati qualche cartolina senza rivedersi mai a tu per tu.
- Mhm... E' l'abitudine. Parlare male di Stockport dopo che ci hai vissuto per quasi trentadue anni è più convenzione che altro. - considerò Mia, riempiendo il bollitore del té e mettendolo poi sul fuoco.
Si asciugò le mani con uno strofinaccio, prima di adagiarsi sulla sedia di fronte a Dominic ed incrociare le braccia sul tavolo in formica.
- Come ti vanno le cose? Ormai ti vedo solo sulle copertine dei giornali... -
- Bah... Sono sempre in viaggio per i concerti, vado ad un mucchio di feste, compro un sacco di vestiti... - elencò Dominic, e l'amica scoppiò a ridere: - Lo dici come se non fosse il sogno di metà della popolazione mondiale! -
- Be', quando rimane solo un sogno quasi tutto è più che accettabile. -
Mia annuì lievemente, prima di prorompere in un allegro: - Rimani a cena, stasera, vero? Devi raccontarmi tante cose... -
Si chinò verso di lui e terminò, sollevando le sopracciglia: -... comprese quelle che Kim non può sentire. -
Prometteva di essere una lunga serata, la loro.

Nel lasso di tempo intercorso fra la cena ed il momento di andare a letto per Kim, Dominic aveva sbobinato tutta una serie di piccoli aneddoti riguardo il jet-set nel quale era immerso con tutti i sacri crismi da qualche anno.
Era sorprendente, la mole di stronzate che combinavano le star e starlette che frequentava abitualmente - ovviamente, le più scabrose le aveva tenute per il giusto pubblico e la fascia oraria più consona.
Arrivati alla mezzanotte, Mia aveva tirato fuori una bottiglia di Bordeaux per rinfrancare le loro gole arse dalle chiacchiere non-stop della serata e Dominic aveva rispolverato una delle più impressionanti vicende accadutegli.
-... oh, santo Dio... E poi che è successo? - mormorò Mia, riempiendo di nuovo il bicchiere di Dominic ed incastrandosi poi in un angolo del divano in soggiorno.
L'uomo, accomodatosi nella poltrona di fronte al sofa, agitò in moto circolare il vino rosso nel calice panciuto, rabbrividendo al ricordo di quella notte lontana in cui aveva involontariamente sperimentato gli effetti della paralisi nel sonno.
- Niente, mi sono svegliato ed i goblin sono spariti all'improvviso... Me la sono fatta addosso, cazzo, sembravano veri e avevano circondato il letto da ogni lato... Spero non mi accada più. -
Terrificata, Mia annuì ed affermò: - Una volta avevo deciso di provare qualcosa del genere... Sai, i sogni lucidi... Perché l'idea di poter manovrare un sogno a mio piacimento mi intrigava da matti ma non ce l'ho fatta. -
- Come mai? Ti è successa la stessa cosa? - volle sapere Dominic, e l'amica sollevò le spalle candidamente.
- No, mi sono addormentata davvero. -
Mentre l'ospite rideva già un po' alticcio, con una mano a coprirsi la fronte e l'altra che minacciava di perdere la presa sullo stelo del bicchiere, Mia cambiò argomento.
- Comunque credevo fosse Matt quello strambo! -
Quel nome colse Dominic alla sprovvista, ancora scosso dalla risa ed accaldato dall'alcool; il vino lambì il bordo del calice senza per fortuna fuoriuscirne, quando l'uomo si fermò e cercò di ricomporsi.
Mia sorrise ironica della sua goffaggine, aggiungendo curiosa: - Come sta? Vi fa ancora impazzire? -
Ecco. Cosa risponderle?
Sì. Sì, mi fa ancora impazzire come quando l'ho trovato attraente
in quel senso per la prima volta in vita mia... Non è neanche passato tanto tempo. Saranno cinque anni. Più o meno quando abbiamo cominciato a diventare davvero grandi, a credere di poter davvero sfondare nel mondo della musica.
... ma io tutto questo mica posso confessartelo adesso, Mia. La storia dello Chateau Miraval e della pioggia e della batteria non te la posso spiegare in cinque minuti ed è già così tardi...
- E' il solito. - troncò Dominic, non avendo la minima idea di cos'altro replicare; Mia invece sollevò le gambe per distenderle sulla seduta del divano, facendo cadere un paio di cuscini mentre ricordava allegramente: - Ho ancora impressa la sua faccia quella volta che ha fatto irruzione in camera tua, mentre eravamo sul letto... "Domhoscrittountestoincredibiledeviassolutamenteleggerlo-oh. Ciao." -
La donna rise sonoramente, chinandosi a raccogliere un cuscino.
- Mi ha fulminato con lo sguardo... Non gli piacevo poi così tanto, vero? -
In effetti no, Matthew di Mia non aveva una bella opinione: la trovava sciocca, imbranata ed un po' superficiale.
Avevano litigato parecchie volte, lui e Dominic, per questo motivo - Matthew non risparmiava frecciatine velenose ed immeritate le rare volte in cui Mia veniva alle prove dei Gothic Plague, e quando andava via Dominic lo rimbeccava puntualmente per ogni cattiveria proferita.
Sapeva essere ingiusto, Matthew. Ingiusto e geloso di qualunque cosa o persona considerasse all'interno del proprio campo d'azione.
Tranne in quel caso. Anzi, era stato felice del suo ritorno a Stockport - aveva provveduto ad informarlo, da onesto amante segreto quale era. Avrebbe potuto fargli credere che si sarebbe dato ad una settimana di follie sessuali e di poker a Las Vegas, o ad un ritiro in qualche monastero giapponese da cui sarebbe uscito con la pace interiore in tasca e la totalità della sua chioma asceticamente rasata a zero.
Ma no, la verità innanzi tutto. Come se dall'altra parte fosse stato certo lo stesso trattamento nei suoi riguardi, eh?
Mia - che non era né sciocca né superficiale, ma solo poco a suo agio nella propria pelle - rispettò la pausa di silenzio che Dominic non avrebbe voluto vi fosse nel discorso, prima di sospirare.
- Dom... Possiamo far finta che tu sia qui perché volevi rivedere la città nella quale hai trascorso i primi nove anni della tua vita... Che può anche essere vero, per carità, ma forse ti sarebbe più utile se mi raccontassi cosa ti ha spinto a farlo. -
Diretta come un tram. Un pugno di ferrea logica in un guanto di vellutata sbadataggine.
Prendendo tempo, Dominic posò il calice vuoto sul tavolino basso di fronte a sé.
- Volevo rivedere te. -
- Motivo? -
Sei una delle persone più care che ho e con i Muse non c'entri nulla, o quasi.
- Voler rivedere te, punto... L'ultima volta che ci siamo incontrati avevi ancora gli occhiali! - esclamò Dominic, indicandola in volto.
- Quindi sono passati... Mhm... Dieci anni. E tu in dieci anni non hai dato segni di vita. - ribatté la donna, mettendo Dominic improvvisamente sulla difensiva e dandogli lo spunto per sviare la conversazione dal motivo della sua visita: - Oh, be', neanche tu! Perché non mi parli di cosa è successo qui? -
- Lo sai già... Sposata, avuto Kim, picchiata da mio marito fino a svenire, divorziata, trovato lavoro come infermiera, ricevuto tua visita. Palloso, lo so. - enumerò Mia con voce quasi annoiata senza stupire Dominic, già al corrente dell'esito dello sfortunato matrimonio con quell'essere ignobile e già preda di una punta di fastidioso senso di colpa al pensiero di non aver potuto difendere l'amica, ancora una volta.
Sbagliava sempre modi e tempistica, nell'esserci. Con tutti.
Piuttosto, sillabò con tono comicamente suadente: - Hai avuto tempo di pensare a me? -
Mia spalancò i tondi occhi color cioccolato, riprendendolo con finta indignazione: - Dominic James Howard, non mi dire che ci stai provando! Sei... Incorreggibile. -
- ... nonché giovane, ricco e prestante. Fossi in te ci farei un pensierino. -
Tornando ad un tono più serio, Mia si informò: - Quindi fra te e quella ragazza, Jessica... Non c'è più niente? -
- Ci siamo lasciati tre anni fa. -
- Peccato, era carina. Avevi altro per le mani? -
Non servì rispondere a voce - anche perché non sarebbe rientrato nelle possibilità effettive di Dominic, in quel frangente.
Il pudore di cui amava ammantare la sua vita privata, in quel caso, veniva raddoppiato dal timore di lasciarsi sfuggire qualunque indizio circa l'identità di chi al momento deteneva il legittimo possesso di buona parte della sua testa, e del suo cuore.
Cautamente, Mia proseguì nella sua indagine: - ....ok, avevi altro per le mani... E la conosco? Nel senso... E' famosa? -
- Sì. -
- Mhm. E' bella? -
- No, no... Direi tutt'altro. Cioè, per me lo è, ma per chiunque altro non innamorato di lei... No, non credo. - ammise in tutta franchezza Dominic, pur sapendo che le sue parole non rientravano di certo nel canone del perfetto innamorato. Mia non glielo fece notare.
- Anni? -
- Uno meno di me. -
- Occhi? -
- Due. -
- Scemo. -
- Ehi, è vero! -
- E' impegnata? Sposata, fidanzata... -
- Lo è stata. Fidanzata, intendo. -
- E allora? Qual è il problema? -
Che non si tratta di una
lei, tanto per cominciare.
- Non vuole che si venga a sapere... Sarebbe troppo complicato per tutta una serie di motivi che... -
- Tu lo vuoi, invece? -
... quello forse era il problema principale, in effetti.
- Sono qui per scoprirlo. -
Per il momento Mia sembrava essere soddisfatta; si alzò in piedi, portando via i bicchieri e la bottiglia di vino, e disse: - Domani sono di turno fino alle due del pomeriggio... Dove alloggi? -
- Al Bredbury Hall. -
- Benissimo. Domani ti porto a pranzo e poi a fare un giro, in nome dei vecchi tempi. -


Un museo dedicato ai cappelli... Persino questo posto ha i suoi angoli d'assurdità.
La Hat Works, premiata fabbrica di cappelli, aveva chiuso i battenti dopo un secolo abbondante di attività per poi convertirsi a museo monotematico, omaggiando per l'appunto l'importanza del ruolo del copricapo attraverso i secoli.
Dominic e Mia trascorsero un'ora buona a parlare mentre Kim trotterellava a poca distanza per le sale a quell'ora deserte, ridendo dei cappelli più buffi esposti nelle teche, alcuni appartenuti a personaggi piuttosto in vista ed altri semplicemente pezzi unici in puro stile Ascot ceduti al museo da altolocate signore eccentriche.
Di fronte ad un elmo risalente alla Prima Guerra Mondiale, Dominic chiese in tono casuale:
- Com'è essere sposati con prole al seguito? -
- Stai chiedendo alla persona sbagliata, perché potrei risponderti solo "botte, umiliazione, soffocare, avere una paura fottuta di stare dentro e fuori casa"... Per quanto riguarda la parte dell'essere sposati, almeno. Sul lato prole ho avuto più fortuna. - replicò con una risatina Mia, stringendo i lembi aperti del cardigan che indossava ed iniziando a chiuderlo bottone per bottone: poi lo fissò, interrogandolo ironicamente: - Hai voglia di mettere la testa a posto, mhm? -
Perché no? Con i figli di Chris, dopotutto, ci sapeva fare... Anche se a calcio era una schiappa e rimediava puntualmente delle sonore batoste da parte del piccolo ed estremamente competitivo Alfie, per non parlare delle pallonate che "casualmente" il ragazzino gli indirizzava direttamente addosso e che Ava Jo si preoccupava di medicare con un "bacino sulla bua".
Il tutto, mentre Chris e Matt ghignavano come iene seduti a bordo campo e Kelly sorrideva sotto i baffi nel rimproverare il figlio troppo violento nei confronti del "povero zio Dom". Che manica di stronzi.
- La vita di un capofamiglia ha il suo fascino... - si lasciò andare Dominic, immaginando un ipotetico bambino biondo seduto dietro una batteria con le bacchette alzate ed un enorme sorriso.
Mi insegni, papà?
... no. Sul serio, gli stava dando di volta il cervello.
Il ragazzino sfumò nel nulla, fugato anche dall'espressione scettica di Mia.
-
Tu come capofamiglia? -
- ... darti della grandissima stronza sarebbe riduttivo, sai? -
La donna rise di gusto, alzando le mani come a chiedere scusa.
- No, è che da te non ci si aspetta delle dichiarazioni del genere... Questa donna deve davvero averti fatto il lavaggio del cervello! -
- Delle volte me lo chiedo anch'io, sai? Mi fa sentire una femminuccia isterica. - tirò fuori l'uomo in uno sfogo a metà fra il serio ed il faceto - se anche nelle coppie omosessuali esisteva una ripartizione di ruoli riconducente al modello tradizionale di ménage amoroso, sicuramente lui avrebbe ricoperto il ruolo di donna della situazione agli occhi di Matthew...
E probabilmente del mondo intero.
- Solo perché cerchi conferme e sei disposto ad impegnarti? Non può essere una donna, forse è un travestito. - considerò dubbiosa Mia, picchiettandosi il mento con la punta dell'indice.
Tornò seria per controllare dove fosse Kim, assorta nell'osservazione di un copricapo indiano adorno di una raggiera in piume bianche e marroni, prima di stringere il polso di Dominic confidenzialmente.
- Ascolta... Non so nulla di voi due, anche perché ti ostini a non scucire un dettaglio di tutta questa storia, però... So per esperienza che può capitare di vedere delle cose in certe persone, in certi rapporti... Che in realtà sono solo nella tua testa, perché ne hai bisogno. Hai bisogno di credere che certi campanelli di allarme siano solo invidia da parte della gente o stanchezza, stress, qualsiasi altra cosa da parte della persona che ami. -
Fu vistosamente difficile per lei parlare a quel modo - era evidente cosa vi fosse dietro quel discorso.
- ... tu di cosa hai bisogno, Dom? Lo sai? -


La notte che Dominic aveva già deciso sarebbe stata l'ultima che avrebbe trascorso nella città natìa passò lenta e per lo più insonne, fra il letto e l'iPhone che a partire dall'inizio del suo viaggio alla riscoperta di radici non intrecciate a quelle di Matt aveva già perso due tacche di batteria.
Lo aveva tenuto acceso giorno e notte, sul comodino, fin troppo consapevole di aspettare un segnale di qualsiasi genere da lui.
Quella sera, dopo la cena con Mia, non aveva più potuto resistere.
Il numero selezionato non è raggiungibile.
Era un bene, a dirla tutta -
un'intercontinentale da cellulare? Sul serio, Dominic, hai soldi da buttare?
Oh, sì. Ne ho a palate, volendo, ma meglio lo shopping da Dior che una strigliata in diretta dalla California.
La sveglia sul comodino proiettava l'ora sul soffitto in un poco discreto fascio di luce rossa.
Le tre del mattino, e non aveva sonno - la melatonina era in valigia, ma gli risultava gravoso persino il pensiero di alzarsi per prenderla.
Che cazzo di vita. Pasticche per dormire e pasticche per tirarsi su.
Sentimenti nati in cattività, cronici ed asfissianti; sentimenti che ormai seguivano percorsi obbligati, il pegno da pagare quando
il sogno si avverava ed automaticamente perdevi il diritto a volere ed ottenere altro.
L'unica soluzione nella sua testa, nonostante tutte le riserve del caso, rimaneva sempre e solo una: far saltare in aria tutto e vedere cosa sarebbe sopravvissuto all'esplosione.
Matthew non voleva capire che se da una parte Dominic non provava alcuna vergogna di ciò che li legava, dall'altra odiava mettersi sempre in discussione.
Doveva essere sicuro di qualcosa. A trent'anni passati chiunque aveva delle certezze sulle quali contare, lui no.
Dominic aveva voglia solo di dire la verità, di lasciare ad altri il compito di giudicare e pontificare sul loro rapporto e finalmente poter respirare e dormire e finirla con le domande, gli equilibrismi e le sfumature.
E se poi non avesse funzionato...
L'uomo si rigirò sul copriletto, affondando la faccia nel cuscino per soffocare un urlo rabbioso.
Matthew era nel giusto, Cristo santo, ma anche lui lo era!
Non ti stanchi mai di questa situazione? Non arrivi a comprendere che prima ci liberiamo di questa stracazzo di farsa prima potremo capire cosa fare di... Di questo amore che... Che io penso sia amore ma...
- ... ho bisogno di te. - mormorò riluttante sulla federa.
Non facile da accettare, non onorevole, non una soluzione ai loro problemi e, anzi, forse era proprio il loro guaio peggiore - quello a cui avevano cercato di rimediare mettendo miglia e miglia di distanza l'uno dall'altro.
Ma era una verità, almeno quella.


- Allora ciao, Kim. -
Una pioggia sottile e fredda come un brivido picchiettava Stockport dall'alba, quando Dominic l'aveva vista venire giù con le sue prime gocce dal cielo perfettamente grigio.
Alle otto di mattina
- saremo già sveglie tutte e due, vienici a salutare - l'uomo era sulla soglia della casetta di Mia ad accomiatarsi, prima di recarsi in stazione.
Kim annuì in silenzio, ed arrossì violentemente quando Dominic le scompigliò affettuosamente i capelli.
Evidentemente per trarla d'impaccio, Mia le disse dolcemente: - Vai a prendere la cartella, fra un po' dobbiamo andare anche noi. -
In breve la figlia sparì su per le scale, e la donna bisbigliò: - Ieri sera, quando le ho rimboccato le coperte, mi ha chiesto se tu eri proprio quello dei giornali... Io le ho risposto di sì, ed è diventata tutta rossa. Credo che tu sia la sua prima cotta. -
Dominic sbarrò gli occhi dalla sorpresa, volgendo istintivamente lo sguardo nel punto in cui aveva visto la piccola per l'ultima volta; Mia alzò le spalle, commentando: - Tale madre... -
Di punto in bianco, lo abbracciò con slancio e gli sussurrò all'orecchio: - Buon viaggio... E non far passare altri dieci anni prima di venirmi a trovare, stronzo. -
- E tu ogni tanto fai una salto dalle parti di Highsbury, stronza. - ritorse Dominic, ricambiando la stretta altrettanto calorosamente.
- Highsbury? Non è un quartiere gay? -
- Ribadisco: sei stronza come pochi, davvero. -
Dominic si voltò, separandosi dall'amica; arrivato in fondo al vialetto dove il taxi lo aspettava per portarlo alla stazione, le dedicò un'ultima occhiata.
Da chissà dove, Mia aveva tirato fuori un fazzoletto bianco e lo stava sventolando con aria commossa; sillabò con le labbra un comico "Addio" da melodramma, e Dominic decise in quel momento che dieci anni di lontananza erano stati davvero troppi, ed allo stesso tempo pochissimi.


Il pullman del ritorno era molto più confortevole, e Dominic si concesse un pisolino dal quale si risvegliò in tempo per occhiare il cartello di benvenuto a Manchester.
Tirò fuori il cellulare pigramente per controllare l'orario.
Una chiamata persa.
MB.
Dominic indugiò con il pollice su quelle iniziali, sui dettagli della chiamata - avrebbe dovuto attivare la suoneria, lo dimenticava ogni volta. E avrebbe dovuto richiamarlo, forse, perché magari era importante.
Le due lettere divennero sfocate, mentre lasciava che il sonno l'avesse di nuovo vinta per i restanti minuti che gli restavano da trascorrere in viaggio.
... più tardi, eh?


Ok... *emozionata*
Come già scritto nello spazio dedicato alla descrizione della fic, Shine è una sorta di figlia spirituale di Ragionevole Dubbio: diciamo che ne amplia il discorso e dà spazio ad un'idea di BellDom che, lo ammetto, è la mia preferita e quella che ritengo più plausibile.
Mia e Kim sono personaggi miei miei miei di me, il titolo è tratto dalla canzone dei Muse che ha ispirato tutto questo papello di roba deprimente XD, non conosco Dominic Howard e Matthew Bellamy né tanto meno mi appartengono (ma va'?) e non c'è prova tangibile che intrattengano una relazione del tipo descritto nella storia. Sowwy. :3
Oh, il punto in cui Dominic nomina lo Chateau Miraval, la pioggia e la batteria altro non è se non un rimando a
Hoodoo di Leia, fic che amo tantissimo - così "atmosferica" <3
A breve (...spero) pubblicherò anche il punto di vista di quello che per ora, porcocan, non sono riuscita a non far passare per il cattivo della situazione, temo XD Alias, il caro Meffiu. Se vorrete dare un'occhiata, ne sarò felice :) Esattamente come sarò felice che qualcuno sia arrivato alla fine di questa fiction... Cheers! :*****

Oh, e... Sì, blind_blind, il gelato è tuo. :P
   
 
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