Shine
Le
molle del divano
cigolavano. Il copridivano stampato di una minuta e polverosa
fantasia floreale scivolò dallo schienale ammassandosi in
pieghe
molli sui cuscini della seduta.
Ogni dettaglio del
salotto, alla luce del giorno, risaltava in una nitidezza nuova e
quasi inquietante.
Forse per questo
Dominic amava fare sesso sul divano, nel sole che lasciavano passare
le portefinestre che davano sul giardino.
I dettagli fanno la
differenza - il diavolo non è forse nei dettagli?
Quella goccia di
sudore assorbita dal sopracciglio di Matt, quelle minuscole e
brillanti come perline sul suo labbro superiore, quelle raccolte
nella fossetta fra le clavicole dove il sangue pulsava veloce sotto
la pelle.
Il taglio del rasoio
sul mento, i nei sparsi sulle sue guance, la ruga verticale poco
sopra l'attaccatura del naso.
Di giorno, Matt
conservava poco del mistero conferitogli dall'atmosfera della camera
da letto ed era meglio così, in fondo.
Indifeso e molle,
sotto le spinte di Dominic, ai suoi occhi appariva infinitamente
più
bello anche nei piccoli - e grandi - difetti del suo fisico.
Lentamente Matt
allungò il collo pallido all'indietro, sul bracciolo del
sofa,
venendo tiepido sul suo ventre e quello di Dominic.
Mormorò qualcosa di
indistinto, inarcando la schiena e quasi sollevando l'altro per
cercare di mantenere il contatto con il suo corpo: poi ricadde sui
cuscini pesantemente, sorridendo.
Come obbedendo ad un
tacito accordo, si sdraiò su di un fianco lasciando a
Dominic
l'opportunità di rannicchiarsi fra sé e lo
schienale del sofa e di
coprire entrambi con il leggero copridivano fiorato.
Era un momento
strano, quello dopo il sesso con Matthew: quando anche quel canestro
d'ossa che era il suo amante riusciva ad assumere una parvenza di
tenerezza, come se lo accogliesse una volta di più e gli
offrisse
ancora il suo corpo, stanco ed illanguidito dal piacere.
La sua schiena era
umida, arrossata dalla frizione con la stoffa ruvida di cui i cuscini
del divano erano rivestiti. La pelle di Matthew era piuttosto
delicata, si irritava facilmente.
Dominic premette
sollecitamente un indice contro la fragile scapola di fronte a
sé.
- Ti fa male? -
L'altro si mosse
leggermente, cercando una posizione più comoda della
precedente.
- Perché? Ho un
livido? -
- No, sei rosso. -
- Ah... No, comunque
non mi fa male. -
A distanza di giorni
da quell'incontro, Dominic ne ricordava addirittura lo scambio di
battute più insulso ed ordinario... Forse per via del fatto
che ne
avesse preceduto uno ben più corposo ed impegnativo.
Da come era
iniziata, con la voce di Matthew ridotta ad un miagolio soddisfatto
dall'orgasmo, non avrebbe mai immaginato a cosa sarebbero approdati.
- Hai già pensato a
cosa fare, adesso che il tour europeo è terminato? -
Dominic gli infilò
un avambraccio fra l'omero ed il fianco, stringendolo poi attorno
alla vita.
- Sto valutando
delle opzioni... Tu? -
- Pensavo di andare
a Los Angeles... Mi manca sentirmi un po' frivolo. -
- ... disse Matthew
Bellamy, l'uomo che suonava una chitarra rossa glitterata. -
Matthew sbuffò un
accenno di risata, e l'altro ne approfittò per strofinargli
il naso
dietro l'orecchio e proporre in un mormorio pigro: - A me Los Angeles
non piace granché... Ti va di tornare in Francia? Ho ancora
casa a
Nizza, di questi tempi c'è poca gente ed il tempo
è fantastico. -
Si stupì
dell'improvviso, lievissimo irrigidirsi del corpo di Matthew -
talmente leggero che se non l'avesse avuto fra le braccia senza
vestiti lo avrebbe perso.
Ispirando fiato in
un breve sibilo, il più piccolo parlò nel suo
solito modo
precipitoso.
- No... Io vado a
Los Angeles. -
- Devi sempre
decidere tu, cazzo... Despota. -
Quello era
decisamente il peggiore dei difetti di Dominic: scorgere il pugno che
stava per schiantarglisi dritto dritto contro il naso e pensare di
poterlo evitare facendo semplicemente finta che fosse un buffetto
innocente.
Il montante infatti
arrivò lo stesso, secco e destinato al punto che faceva
più male.
- Dom, ci vado da
solo. -
Lo aveva già
capito, non c'era bisogno di scandirlo in quella maniera precisa ed
innaturale per lui che le parole le trattava e spesso usava malissimo
nel colloquiare.
Dominic chiuse gli
occhi, ingoiando a vuoto per inghiottire il suo timore.
Forse era meglio
risputarlo fuori, però, alla ricerca di spiegazioni.
- Che vuoi dire? -
- Che non verrai con
me... Ci ho pensato, in questi giorni, e forse è il caso che
ci
stacchiamo per un po'. -
Quando aveva avuto
il tempo di maturare quella decisione? Due giorni prima c'erano stati
i concerti di Wembley e lui era parso così... Tranquillo,
così
carico e felice di essere lì, come se per la testa non gli
passassero altro che musica e grida di fans.
Erano entrambi
felici. Non era successo nulla di strano.
- In base a cosa ne
saresti convinto? -
... non era successo
nulla di strano?
Dominic si morse il
labbro inferiore per soffocare una bestemmia astiosa.
Con il tono di voce
più ragionevole e convincente che riuscì ad
accroccare, affermò: -
Matt, per l'ultima volta... Scherzavo. -
- E' quello che dici
sempre quando ti accorgi di aver cagato fuori dal vaso. -
constatò
Matthew, senza acredine.
- Ero ubriaco,
cazzo! Sai come sono quando bevo, no? Dico stupidaggini per fare il
fico e... -
- Eri serio. -
- Ed è per questo
che...! -
- Ci serve del tempo
per capirci qualcosa, Dom... Non è facile, anche se di fatto
non è
nemmeno qualcosa da scartare a priori. - ponderò Matthew.
Le braccia dei due
erano immobili, incastrate fra loro in una parodia di abbraccio che
di intimo non aveva più nulla.
Si erano ritrovati
in quella posizione scomoda, e nessuno dei due aveva davvero idea di
come trovarne una migliore, in quello spazio così angusto.
La storia della loro
vita, assolutamente.
- Sai quante cose
cambierebbero? Quante persone sconvolgeremmo? -
Il
solito, sacrosanto discorso del circo mediatico e degli amici e
familiari scandalizzati dall'inaspettato outing del frontman e del
batterista dei Muse, ma il nucleo vero del problema - quello che ogni
volta, anche in quell'istante, faceva ammettere a Matthew di non
poterlo fare a cuor leggero
- era da ricercarsi altrove.
Non era all'esterno,
il loro enorme punto debole.
- Puoi andare a
Londra... Quanto tempo è che non vai a casa tua o a trovare
i tuoi
parenti? Potresti far loro una sorpresa. -
- Sì, un cazzo. -
- Piantala. Lo sto
dicendo per te. -
In uno scatto
rabbioso, Dominic calciò letteralmente via Matthew per
scendere dal
divano, rischiando di farlo cadere a terra.
Non cercò neanche i
vestiti; si voltò a gambe larghe e mani sui fianchi verso il
compagno, esclamando: - Io sono etero. Sono stato fidanzato solo con
ragazze al di fuori di questo cazzo di ambiente che ci dà da
mangiare. Sono stato alle tue condizioni, non ho detto nulla nemmeno
a Chris prima che me ne dessi il permesso, porco cane! Non provare a
fingere che questa tua decisione sia per il mio bene quando tutto e
sottolineo tutto quello che ho fatto negli ultimi tre anni è
stato
davvero per te, davvero per rendere le cose più facili! -
Sapeva di essere
ingiusto. Era ridicolo pretendere di poter incolpare Matthew di
quanto quella... Realtà, poteva chiamarla così...
Fosse delicata da
gestire, degli sforzi che richiedeva semplicemente per esistere.
Matthew era solo più
bravo di lui a non farsi schiacciare da quel peso, ed a non
pretendere troppo da loro stessi.
- Se sei davvero
convinto che di te non me ne freghi nulla cosa cazzo ci fai ancora
qui, eh? Sto cercando di proteggerti! -
- Mi stai
allontanando! Si chiama "proteggere" andartene in
California dopo che ho osato esprimere il desiderio di farla finita
con questa puttanata di rapporto nascosto? -
Rabbiosamente,
Dominic raccolse gli skinnies neri gettati prima sul tappeto e
tentò
di infilarseli; cambiò poi idea, sbattendoli a terra
frustrato ed
allargò le braccia in un gesto di totale impotenza: - Io
devo sapere
se ci stai, Matt... Se c'è qualcosa per cui vale la pena
rinunciare
ad altro. Perché certe volte non lo so neanche io. -
Si sedette
pesantemente sul pavimento, infilandosi nervosamente le mani fra i
capelli biondi; quella stanza sembrava gli si stesse accartocciando
addosso esattamente come la sua vita sentimentale, ed entrambe gli
rendevano difficile respirare.
La voce di Matthew
gli fu vicina un istante dopo, paziente e calda come le sue dita
callose sulla nuca.
- Si tratta di
questo... Come facciamo a saperlo? -
Le mani di Dominic
ammorbidirono la presa sulle ciocche che stavano tormentando, mentre
il partner gli addolciva la pillola in modo scorretto - non aveva
ancora imparato a non trovare quella voce ipnotica, nelle sue note
più basse e quando occasionalmente i discorsi di Matthew non
costituivano un nastro grinzoso di parole incollate fra loro.
- Non sappiamo
nemmeno cosa voglia dire stare lontani... Non ho la minima idea di
cosa significhi fare a meno di te. Non è giusto, non
è... Sano. -
Smettila. Smettila di
aver ragione, Matt.
- Potrebbe essere
qualcosa che morirebbe se lo portassimo allo scoperto, ed allora
sarebbe stato tutto inutile e non si potrebbe più tornare
indietro.
-
... cazzo, ti ho detto
di smetterla.
- Zia Alma puzza di
gatto e non sa cucinare. Non voglio andare a trovarla. -
mugugnò
Dominic, sventolando di malavoglia la proverbiale bandiera bianca.
Odiò il suono della
risata di Matthew, e quel suo stupido dente sporgente fra gli altri
sotto il labbro superiore rosso e sottile.
Raddrizzandosi,
l'uomo si stiracchiò come un gatto appena svegliato.
- Vado a farmi una
doccia... C'è del gelato nel freezer. Menta e cioccolato
fondente,
mhm? -
- Mhm. -
L'immagine
del corpo
nudo di Matt, allungato ed esile, diretto a passi lunghi ed
oscillanti verso l'enorme sala da bagno di Villa Bellini
indugiò a
lungo dietro le palpebre mollemente chiuse di Dominic.
I Phoenix erano la
colonna sonora dell'ultimo tratto di viaggio a bordo di quel mefitico
pullman puzzolente d'umanità varia ed eventuale; nel giro di
una
canzone, il mezzo si fermò nel parcheggio apposito e
scaricò i
passeggeri.
Una successione di
scuri, enormi archi in mattoncini si stampava contro l'orizzonte
grigio e freddo, percorsa a gran velocità da un treno di un
grigio
appena più scuro.
Il frastuono degli
autobus con i motori accesi e della gente che ne saliva e scendeva in
frettolosa e loquace processione era un suono decisamente familiare,
per quanto lontano nel tempo.
A nove anni compiuti,
Dominic si era ritrovato immerso nello straordinario - perlomeno ai
suoi occhi di bambino - ambiente della stazione di Stockport per la
prima volta in vita sua.
I treni erano più
lenti, allora, e rumorosi. Ricordava come i sedili fossero soffici ed
un po' impolverati, ed i finestrini appannati dal freddo.
Aveva addirittura
impressa l'immagine del suo indice che rigava il suo nome... No, non
il nome, solo "Dom"... sulla superficie umida del vetro,
mentre sua madre gli parlava entusiasta della città nella
quale
sarebbero andati ad abitare.
Teignmouth è
affacciata sul mare, è pulitissima e non ci sono i piccioni,
ma solo
gabbiani. A Teignmouth nevica sempre, d'inverno. A Teignmouth ci sono
tanti parchi e tantissimi bambini. Ti piacerà, Dom, vedrai.
Nei pensieri del bimbo
di nove anni che fu, Teignmouth si era trasformata in una sorta di
avventurosa piccola Neverland nel cuore del Devonshire, dove
d'inverno si giocava a tirare palle di neve contro i gabbiani nei
parchi.
Suo padre li stava già
aspettando nella nuova casa, quella bianca e piccola della fotografia
con il giardino verde decorato da riproduzioni dei Sette Nani in
gesso colorato.
Al Dominic di nove anni
non dispiaceva il fatto di andare a vivere a Teignmouth.
A quello di trent'anni
suonati e passati già da un po', dava i brividi anche solo
l'idea di
tornarci.
Non aveva smesso di
pensare a Matthew durante il viaggio da Manchester, alle sue parole
ed all'ispirazione che gli avevano procurato.
Se il fine ultimo di
quella separazione forzata era dimenticare per un po' cos'erano e
cosa sarebbero stati in futuro, non poteva tornare né a
Londra né
tantomeno a Teignmouth.
L'ideale era provare a
ripartire da qualcosa che fosse solo suo, non dei Muse o di Matt.
L'ideale era Stockport,
e chi non l'aveva mai lasciata.
Pregò che l'indirizzo
fosse quello di sempre, e si diresse verso l'ufficio informazioni per
comprare un biglietto dell'autobus.
Il costo era aumentato,
da quando aveva smesso di usufruire dei trasporti pubblici... Ma era
pur sempre vero che il suo potere d'acquisto era aumentato di pari
passo, nel corso degli anni.
Il sapore esotico del
tornare ad abitudini da persona normale lo impressionò
piacevolmente
quando trovò un posto a sedere sul bus, cedendolo due
fermate dopo
ad una vecchina malferma curva sotto il peso della sporta della
spesa.
Sono
ancora un bravo ragazzo,
dichiarò ironico a sé stesso.
Un bravo, famoso,
ricchissimo ragazzo.
Dietro
la porta di
vetro smerigliato ed alluminio, una figurina chiara e minuta si
avvicinava a piccoli passi rumorosi.
Subito dopo, Dominic si
trovò di fronte una bambina ricciuta e mingherlina con un
paio di
tondi occhiali rosa ed una generosa spruzzata di lentiggini sul
nasino a patata.
Prima che l'uomo
potesse qualificarsi o che la ragazzina potesse chiedere
alcunché,
altri passi risuonarono giù per la rampa di scale che
portava al
primo piano della casa.
- Kim, chi é? Zia
Leonore? -
Senza staccare lo
sguardo dal volto di Dominic, la piccola trillò: - No,
è un
signore! -
- Un amico. - precisò
il "signore" in questione, credendo fosse opportuno
tranquillizzare la bambina e sua madre circa la propria
identità -
anche se quando lei l'avrebbe visto in faccia, non ci sarebbe stato
bisogno di parlare.
Scesa in corridoio, la
donna bisbigliò a mezza bocca a sua figlia: - Cosa ti ho
detto? Non
devi aprire a chi non conosci. - prima di sollevare lo sguardo sul
visitatore.
Impiegò poco più di
un secondo, per riconoscerlo.
- Dominic... - mormorò
infatti, restando poi a bocca aperta.
Dietro di lei la
bambina aggrottò le sopracciglia e si avvicinò
per stringerle una
mano in atteggiamento protettivo, provocando una mezza risata da
parte di Dominic.
- Buongiorno, Mia. -
Per un attimo, nessuno
dei tre proferì parola.
In seguito, il
conseguente abbraccio affettuosamente stritolatore di Mia ne
durò
molti di più, dei quali la piccola approfittò per
assistere alla
scena in assoluto e confuso silenzio.
Guardandola da sopra
una spalla della donna, Dom sillabò a fatica: - Tua figlia? -
Finalmente Mia lo
rilasciò, indicando allegramente la bambina con il pollice.
- Si, Kim. Ha otto
anni. -
- Ti somiglia un sacco.
-
Mia sorrise a trentadue
denti, esclamando: - Sì, è spaventoso... Tipo un
clone! La chiamo
così, infatti. "Il mio dolce clone."-
Scosse il capo, e con
esso tutta una matassa di ricci castani e crespi, sollevando le mani
come per riordinare le idee e calmarsi un po' - non era mai stato
facile per lei contenersi, neanche da ragazzina.
Riconoscere quella
gestualità tipica, quel modo di parlare fu un tuffo al cuore
ed una
rassicurazione al tempo stesso.
Non era cambiata per
niente, a prima vista.
La donna gli fece
strada fino alla cucina, gettando un'occhiata al piccolo trolley che
Dominic si trascinava dietro.
- Ok, piuttosto... Come
mai qui? Siete in tour da queste parti? Non vedo molta TV e non ci
sono manifesti in giro, quindi... -
- Viaggio di piacere. -
la informò telegraficamente l'altro, sedendosi sulla sedia
impagliata che Mia gli aveva offerto.
La donna aprì un
pensile, fissandolo allo stesso tempo con aria scettica e rischiando
fra l'altro così di rimediare un bel ceffone dallo sportello
-
proprio la solita, imbranatissima Mia.
-
Qui a Stockport? Sentivi davvero
nostalgia
di questo posto? -
No. No che non la
sentiva. Era un esperimento, il suo.
- Ehi, io me ne sono
andato... Potevi fare lo stesso! - le ritorse contro Dominic,
semi-serio.
Quando si era trattato
di trasferirsi a Teignmouth, ciò di cui aveva più
sofferto era
stato non solo non poter più vedere la sua compagna di
giochi, ma il
fatto di lasciarla ai suoi genitori i quali litigavano sempre, anche
in sua presenza. Mia se ne lamentava spesso, ed una volta aveva
ammesso che sarebbe partita volentieri con lui anche per non doverli
più sentire.
Ovviamente era un
progetto inattuabile, ma in estate di solito lo veniva a trovare e
per un certo periodo di tempo avevano intrattenuto una fitta
corrispondenza epistolare.
Un anno, Mia non era
potuta venire in vacanza da Dominic: in compenso al ragazzo era
arrivata una lunghissima lettera scritta in inchiostro viola
profumato al mirtillo, nella quale lei confessava di essere
innamorata di lui da moltissimo tempo e di non poter più
tornare a
Teignmouth in veste di semplice amica.
L'estate seguente, si
erano messi insieme - per il grande disappunto di Matthew, che non
aveva mai potuto soffrire la ragazza; all'inizio dell'inverno erano
già tornati buoni amici, concordi sul fatto di non poter
reggere una
relazione a distanza.
L'ultima volta che si
erano visti lei stava già insieme al tipo che avrebbe
sposato e lui
era il batterista ventiquattrenne di una band con due album alquanto
di successo all'attivo in vacanza dai parenti. Dopodiché,
ogni tanto
si erano telefonati o inviati qualche cartolina senza rivedersi mai a
tu per tu.
- Mhm... E'
l'abitudine. Parlare male di Stockport dopo che ci hai vissuto per
quasi trentadue anni è più convenzione che altro.
- considerò Mia,
riempiendo il bollitore del té e mettendolo poi sul fuoco.
Si asciugò le mani con
uno strofinaccio, prima di adagiarsi sulla sedia di fronte a Dominic
ed incrociare le braccia sul tavolo in formica.
- Come ti vanno le
cose? Ormai ti vedo solo sulle copertine dei giornali... -
- Bah... Sono sempre in
viaggio per i concerti, vado ad un mucchio di feste, compro un sacco
di vestiti... - elencò Dominic, e l'amica scoppiò
a ridere: - Lo
dici come se non fosse il sogno di metà della popolazione
mondiale!
-
- Be', quando rimane
solo un sogno quasi tutto è più che accettabile. -
Mia annuì lievemente,
prima di prorompere in un allegro: - Rimani a cena, stasera, vero?
Devi raccontarmi tante cose... -
Si chinò verso di lui
e terminò, sollevando le sopracciglia: -... comprese quelle
che Kim
non può sentire. -
Prometteva di essere
una lunga serata, la loro.
Nel
lasso di tempo
intercorso fra la cena ed il momento di andare a letto per Kim,
Dominic aveva sbobinato tutta una serie di piccoli aneddoti riguardo
il jet-set nel quale era immerso con tutti i sacri crismi da qualche
anno.
Era sorprendente, la
mole di stronzate che combinavano le star e starlette che frequentava
abitualmente - ovviamente, le più scabrose le aveva tenute
per il
giusto pubblico e la fascia oraria più consona.
Arrivati alla
mezzanotte, Mia aveva tirato fuori una bottiglia di Bordeaux per
rinfrancare le loro gole arse dalle chiacchiere non-stop della serata
e Dominic aveva rispolverato una delle più impressionanti
vicende accadutegli.
-... oh, santo Dio... E
poi che è successo? - mormorò Mia, riempiendo di
nuovo il bicchiere
di Dominic ed incastrandosi poi in un angolo del divano in soggiorno.
L'uomo, accomodatosi
nella poltrona di fronte al sofa, agitò in moto circolare il
vino
rosso nel calice panciuto, rabbrividendo al ricordo di quella notte
lontana in cui aveva involontariamente sperimentato gli effetti della
paralisi nel sonno.
- Niente, mi sono
svegliato ed i goblin sono spariti all'improvviso... Me la sono fatta
addosso, cazzo, sembravano veri e avevano circondato il letto da ogni
lato... Spero non mi accada più. -
Terrificata, Mia annuì
ed affermò: - Una volta avevo deciso di provare qualcosa del
genere... Sai, i sogni lucidi... Perché l'idea di poter
manovrare un
sogno a mio piacimento mi intrigava da matti ma non ce l'ho fatta. -
- Come mai? Ti è
successa la stessa cosa? - volle sapere Dominic, e l'amica
sollevò
le spalle candidamente.
- No, mi sono
addormentata davvero. -
Mentre l'ospite rideva
già un po' alticcio, con una mano a coprirsi la fronte e
l'altra che
minacciava di perdere la presa sullo stelo del bicchiere, Mia
cambiò
argomento.
- Comunque credevo
fosse Matt quello strambo! -
Quel nome colse Dominic
alla sprovvista, ancora scosso dalla risa ed accaldato dall'alcool;
il vino lambì il bordo del calice senza per fortuna
fuoriuscirne,
quando l'uomo si fermò e cercò di ricomporsi.
Mia sorrise ironica
della sua goffaggine, aggiungendo curiosa: - Come sta? Vi fa ancora
impazzire? -
Ecco. Cosa risponderle?
Sì.
Sì, mi fa ancora impazzire come quando l'ho trovato
attraente in
quel senso per
la prima volta in vita mia... Non è neanche passato tanto
tempo.
Saranno cinque anni. Più o meno quando abbiamo cominciato a
diventare davvero grandi, a credere di poter davvero sfondare nel
mondo della musica.
... ma io tutto
questo mica posso confessartelo adesso, Mia. La storia dello Chateau
Miraval e della pioggia e della batteria non te la posso spiegare in
cinque minuti ed è già così tardi...
- E' il solito. -
troncò Dominic, non avendo la minima idea di cos'altro
replicare;
Mia invece sollevò le gambe per distenderle sulla seduta del
divano,
facendo cadere un paio di cuscini mentre ricordava allegramente: - Ho
ancora impressa la sua faccia quella volta che ha fatto irruzione in
camera tua, mentre eravamo sul letto...
"Domhoscrittountestoincredibiledeviassolutamenteleggerlo-oh.
Ciao." -
La donna rise
sonoramente, chinandosi a raccogliere un cuscino.
- Mi ha fulminato con
lo sguardo... Non gli piacevo poi così tanto, vero? -
In effetti no, Matthew
di Mia non aveva una bella opinione: la trovava sciocca, imbranata ed
un po' superficiale.
Avevano litigato
parecchie volte, lui e Dominic, per questo motivo - Matthew non
risparmiava frecciatine velenose ed immeritate le rare volte in cui
Mia veniva alle prove dei Gothic Plague, e quando andava via Dominic
lo rimbeccava puntualmente per ogni cattiveria proferita.
Sapeva essere ingiusto,
Matthew. Ingiusto e geloso di qualunque cosa o persona considerasse
all'interno del proprio campo d'azione.
Tranne in quel caso.
Anzi, era stato felice del suo ritorno a Stockport - aveva provveduto
ad informarlo, da onesto amante segreto quale era. Avrebbe potuto
fargli credere che si sarebbe dato ad una settimana di follie
sessuali e di poker a Las Vegas, o ad un ritiro in qualche monastero
giapponese da cui sarebbe uscito con la pace interiore in tasca e la
totalità della sua chioma asceticamente rasata a zero.
Ma no, la verità
innanzi tutto. Come se dall'altra parte fosse stato certo lo stesso
trattamento nei suoi riguardi, eh?
Mia - che non era né
sciocca né superficiale, ma solo poco a suo agio nella
propria pelle
- rispettò la pausa di silenzio che Dominic non avrebbe
voluto vi
fosse nel discorso, prima di sospirare.
- Dom... Possiamo far
finta che tu sia qui perché volevi rivedere la
città nella quale
hai trascorso i primi nove anni della tua vita... Che può
anche
essere vero, per carità, ma forse ti sarebbe più
utile se mi
raccontassi cosa ti ha spinto a farlo. -
Diretta come un tram.
Un pugno di ferrea logica in un guanto di vellutata sbadataggine.
Prendendo tempo,
Dominic posò il calice vuoto sul tavolino basso di fronte a
sé.
- Volevo rivedere te. -
- Motivo? -
Sei una delle
persone più care che ho e con i Muse non c'entri nulla, o
quasi.
- Voler rivedere te,
punto... L'ultima volta che ci siamo incontrati avevi ancora gli
occhiali! - esclamò Dominic, indicandola in volto.
- Quindi sono
passati... Mhm... Dieci anni. E tu in dieci anni non hai dato segni
di vita. - ribatté la donna, mettendo Dominic
improvvisamente sulla
difensiva e dandogli lo spunto per sviare la conversazione dal motivo
della sua visita: - Oh, be', neanche tu! Perché non mi parli
di cosa
è successo qui? -
- Lo sai già...
Sposata, avuto Kim, picchiata da mio marito fino a svenire,
divorziata, trovato lavoro come infermiera, ricevuto tua visita.
Palloso, lo so. - enumerò Mia con voce quasi annoiata senza
stupire
Dominic, già al corrente dell'esito dello sfortunato
matrimonio con
quell'essere ignobile e già preda di una punta di fastidioso
senso
di colpa al pensiero di non aver potuto difendere l'amica, ancora una
volta.
Sbagliava sempre modi e
tempistica, nell'esserci. Con tutti.
Piuttosto, sillabò con
tono comicamente suadente: - Hai avuto tempo di pensare a me? -
Mia spalancò i tondi
occhi color cioccolato, riprendendolo con finta indignazione: -
Dominic James Howard, non mi dire che ci stai provando! Sei...
Incorreggibile. -
- ... nonché giovane,
ricco e prestante. Fossi in te ci farei un pensierino. -
Tornando ad un tono più
serio, Mia si informò: - Quindi fra te e quella ragazza,
Jessica...
Non c'è più niente? -
- Ci siamo lasciati tre
anni fa. -
- Peccato, era carina.
Avevi altro per le mani? -
Non servì rispondere a
voce - anche perché non sarebbe rientrato nelle
possibilità
effettive di Dominic, in quel frangente.
Il pudore di cui amava
ammantare la sua vita privata, in quel caso, veniva raddoppiato dal
timore di lasciarsi sfuggire qualunque indizio circa
l'identità di
chi al momento deteneva il legittimo possesso di buona parte della
sua testa, e del suo cuore.
Cautamente, Mia
proseguì nella sua indagine: - ....ok, avevi altro per le
mani... E
la conosco? Nel senso... E' famosa? -
- Sì. -
- Mhm. E' bella? -
- No, no... Direi
tutt'altro. Cioè, per me lo è, ma per chiunque
altro non innamorato
di lei... No, non credo. - ammise in tutta franchezza Dominic, pur
sapendo che le sue parole non rientravano di certo nel canone del
perfetto innamorato. Mia non glielo fece notare.
- Anni? -
- Uno meno di me. -
- Occhi? -
- Due. -
- Scemo. -
- Ehi, è vero! -
- E' impegnata?
Sposata, fidanzata... -
- Lo è stata.
Fidanzata, intendo. -
- E allora? Qual è il
problema? -
Che
non si tratta di una lei,
tanto per cominciare.
- Non vuole che si
venga a sapere... Sarebbe troppo complicato per tutta una serie di
motivi che... -
- Tu lo vuoi, invece? -
... quello forse era il
problema principale, in effetti.
- Sono qui per
scoprirlo. -
Per il momento Mia
sembrava essere soddisfatta; si alzò in piedi, portando via
i
bicchieri e la bottiglia di vino, e disse: - Domani sono di turno
fino alle due del pomeriggio... Dove alloggi? -
- Al Bredbury Hall. -
- Benissimo. Domani ti
porto a pranzo e poi a fare un giro, in nome dei vecchi tempi. -
Un
museo dedicato ai
cappelli... Persino questo posto ha i suoi angoli
d'assurdità.
La Hat Works, premiata fabbrica di cappelli, aveva
chiuso i battenti dopo un secolo abbondante di attività per
poi
convertirsi a museo monotematico, omaggiando per l'appunto
l'importanza del ruolo del copricapo attraverso i secoli.
Dominic e Mia
trascorsero un'ora buona a parlare mentre Kim trotterellava a poca
distanza per le sale a quell'ora deserte, ridendo dei cappelli
più
buffi esposti nelle teche, alcuni appartenuti a personaggi piuttosto
in vista ed altri semplicemente pezzi unici in puro stile Ascot
ceduti al museo da altolocate signore eccentriche.
Di
fronte ad un elmo risalente alla Prima Guerra Mondiale, Dominic
chiese in tono casuale:
-
Com'è essere sposati con prole al seguito? -
- Stai chiedendo alla
persona sbagliata, perché potrei risponderti solo "botte,
umiliazione, soffocare, avere una paura fottuta di stare dentro e
fuori casa"... Per quanto riguarda la parte dell'essere sposati,
almeno. Sul lato prole ho avuto più fortuna. -
replicò con una
risatina Mia, stringendo i lembi aperti del cardigan che indossava ed
iniziando a chiuderlo bottone per bottone: poi lo fissò,
interrogandolo ironicamente: - Hai voglia di mettere la testa a
posto, mhm? -
Perché no? Con i figli
di Chris, dopotutto, ci sapeva fare... Anche se a calcio era una
schiappa e rimediava puntualmente delle sonore batoste da parte del
piccolo ed estremamente competitivo Alfie, per non parlare delle
pallonate che "casualmente" il ragazzino gli indirizzava
direttamente addosso e che Ava Jo si preoccupava di medicare con un
"bacino sulla bua".
Il tutto, mentre Chris
e Matt ghignavano come iene seduti a bordo campo e Kelly sorrideva
sotto i baffi nel rimproverare il figlio troppo violento nei
confronti del "povero zio Dom". Che manica di stronzi.
- La vita di un
capofamiglia ha il suo fascino... - si lasciò andare
Dominic,
immaginando un ipotetico bambino biondo seduto dietro una batteria
con le bacchette alzate ed un enorme sorriso.
Mi insegni, papà?
... no. Sul serio, gli
stava dando di volta il cervello.
Il ragazzino sfumò nel
nulla, fugato anche dall'espressione scettica di Mia.
-
Tu
come
capofamiglia? -
- ... darti della
grandissima stronza sarebbe riduttivo, sai? -
La donna rise di gusto,
alzando le mani come a chiedere scusa.
- No, è che da te non
ci si aspetta delle dichiarazioni del genere... Questa donna deve
davvero averti fatto il lavaggio del cervello! -
-
Delle volte me lo chiedo anch'io, sai? Mi fa sentire una femminuccia
isterica. - tirò fuori l'uomo in uno sfogo a metà
fra il serio ed
il faceto - se anche nelle coppie omosessuali esisteva una
ripartizione di ruoli riconducente al modello tradizionale di
ménage
amoroso, sicuramente lui avrebbe ricoperto il ruolo di donna della
situazione agli occhi di Matthew... E
probabilmente del mondo intero.
- Solo perché cerchi
conferme e sei disposto ad impegnarti? Non può essere una
donna,
forse è un travestito. - considerò dubbiosa Mia,
picchiettandosi il
mento con la punta dell'indice.
Tornò seria per
controllare dove fosse Kim, assorta nell'osservazione di un copricapo
indiano adorno di una raggiera in piume bianche e marroni, prima di
stringere il polso di Dominic confidenzialmente.
- Ascolta... Non so
nulla di voi due, anche perché ti ostini a non scucire un
dettaglio
di tutta questa storia, però... So per esperienza che
può capitare
di vedere delle cose in certe persone, in certi rapporti... Che in
realtà sono solo nella tua testa, perché ne hai
bisogno. Hai
bisogno di credere che certi campanelli di allarme siano solo invidia
da parte della gente o stanchezza, stress, qualsiasi altra cosa da
parte della persona che ami. -
Fu vistosamente
difficile per lei parlare a quel modo - era evidente cosa vi fosse
dietro quel discorso.
- ... tu di cosa hai
bisogno, Dom? Lo sai? -
La
notte che Dominic
aveva già deciso sarebbe stata l'ultima che avrebbe
trascorso nella
città natìa passò lenta e per lo
più insonne, fra il letto e
l'iPhone che a partire dall'inizio del suo viaggio alla riscoperta di
radici non intrecciate a quelle di Matt aveva già perso due
tacche
di batteria.
Lo aveva tenuto acceso
giorno e notte, sul comodino, fin troppo consapevole di aspettare un
segnale di qualsiasi genere da lui.
Quella sera, dopo la
cena con Mia, non aveva più potuto resistere.
Il numero
selezionato non è raggiungibile.
Era
un bene, a dirla tutta - un'intercontinentale
da cellulare? Sul serio, Dominic, hai soldi da buttare?
Oh, sì. Ne ho a
palate, volendo, ma meglio lo shopping da Dior che una strigliata in
diretta dalla California.
La sveglia sul comodino
proiettava l'ora sul soffitto in un poco discreto fascio di luce
rossa.
Le tre del mattino, e
non aveva sonno - la melatonina era in valigia, ma gli risultava
gravoso persino il pensiero di alzarsi per prenderla.
Che cazzo di vita.
Pasticche per dormire e pasticche per tirarsi su.
Sentimenti
nati in cattività, cronici ed asfissianti; sentimenti che
ormai
seguivano percorsi obbligati, il pegno da pagare quando il
sogno si
avverava ed automaticamente perdevi il diritto a volere ed ottenere
altro.
L'unica soluzione nella
sua testa, nonostante tutte le riserve del caso, rimaneva sempre e
solo una: far saltare in aria tutto e vedere cosa sarebbe
sopravvissuto all'esplosione.
Matthew non voleva
capire che se da una parte Dominic non provava alcuna vergogna di
ciò
che li legava, dall'altra odiava mettersi sempre in discussione.
Doveva essere sicuro di
qualcosa. A trent'anni passati chiunque aveva delle certezze sulle
quali contare, lui no.
Dominic aveva voglia
solo di dire la verità, di lasciare ad altri il compito di
giudicare
e pontificare sul loro rapporto e finalmente poter respirare e
dormire e finirla con le domande, gli equilibrismi e le sfumature.
E se poi non avesse
funzionato...
L'uomo si rigirò sul
copriletto, affondando la faccia nel cuscino per soffocare un urlo
rabbioso.
Matthew era nel giusto,
Cristo santo, ma anche lui lo era!
Non ti stanchi mai
di questa situazione? Non arrivi a comprendere che prima ci liberiamo
di questa stracazzo di farsa prima potremo capire cosa fare di... Di
questo amore che... Che io penso sia amore ma...
- ... ho bisogno di te.
- mormorò riluttante sulla federa.
Non facile da
accettare, non onorevole, non una soluzione ai loro problemi e, anzi,
forse era proprio il loro guaio peggiore - quello a cui avevano
cercato di rimediare mettendo miglia e miglia di distanza l'uno
dall'altro.
Ma era una verità,
almeno quella.
-
Allora ciao, Kim. -
Una pioggia sottile e
fredda come un brivido picchiettava Stockport dall'alba, quando
Dominic l'aveva vista venire giù con le sue prime gocce dal
cielo
perfettamente grigio.
Alle
otto di mattina -
saremo già sveglie tutte e due, vienici a salutare -
l'uomo era sulla soglia della casetta di Mia ad accomiatarsi, prima
di recarsi in stazione.
Kim annuì in silenzio,
ed arrossì violentemente quando Dominic le
scompigliò
affettuosamente i capelli.
Evidentemente per
trarla d'impaccio, Mia le disse dolcemente: - Vai a prendere la
cartella, fra un po' dobbiamo andare anche noi. -
In breve la figlia
sparì su per le scale, e la donna bisbigliò: -
Ieri sera, quando le
ho rimboccato le coperte, mi ha chiesto se tu eri proprio quello dei
giornali... Io le ho risposto di sì, ed è
diventata tutta rossa.
Credo che tu sia la sua prima cotta. -
Dominic sbarrò gli
occhi dalla sorpresa, volgendo istintivamente lo sguardo nel punto in cui
aveva visto la piccola per l'ultima volta; Mia alzò le
spalle,
commentando: - Tale madre... -
Di punto in bianco, lo
abbracciò con slancio e gli sussurrò
all'orecchio: - Buon
viaggio... E non far passare altri dieci anni prima di venirmi a
trovare, stronzo. -
- E tu ogni tanto fai
una salto dalle parti di Highsbury, stronza. - ritorse Dominic,
ricambiando la stretta altrettanto calorosamente.
- Highsbury? Non è un
quartiere gay? -
- Ribadisco: sei
stronza come pochi, davvero. -
Dominic si voltò,
separandosi dall'amica; arrivato in fondo al vialetto dove il taxi lo
aspettava per portarlo alla stazione, le dedicò un'ultima
occhiata.
Da chissà dove, Mia
aveva tirato fuori un fazzoletto bianco e lo stava sventolando con
aria commossa; sillabò con le labbra un comico "Addio" da
melodramma, e Dominic decise in quel momento che dieci anni di
lontananza erano stati davvero troppi, ed allo stesso tempo
pochissimi.
Il
pullman del ritorno
era molto più confortevole, e Dominic si concesse un
pisolino dal
quale si risvegliò in tempo per occhiare il cartello di
benvenuto a
Manchester.
Tirò fuori il
cellulare pigramente per controllare l'orario.
Una chiamata persa.
MB.
Dominic indugiò con il
pollice su quelle iniziali, sui dettagli della chiamata -
avrebbe dovuto attivare la suoneria, lo dimenticava ogni volta. E
avrebbe dovuto richiamarlo, forse, perché magari era
importante.
Le due lettere
divennero sfocate, mentre lasciava che il sonno l'avesse di nuovo
vinta per i restanti minuti che gli restavano da trascorrere in
viaggio.
... più tardi, eh?
Ok... *emozionata*
Come
già scritto nello spazio dedicato alla descrizione della
fic, Shine
è una sorta di figlia spirituale di Ragionevole Dubbio:
diciamo che
ne amplia il discorso e dà spazio ad un'idea di BellDom che,
lo
ammetto, è la mia preferita e quella che ritengo
più plausibile.
Mia
e Kim sono personaggi miei miei miei di me, il titolo è
tratto dalla
canzone dei Muse che ha ispirato tutto questo papello di roba
deprimente XD, non conosco Dominic Howard e Matthew Bellamy
né tanto
meno mi appartengono (ma va'?) e non c'è prova tangibile che
intrattengano una relazione del tipo descritto nella storia. Sowwy.
:3
Oh,
il punto in cui Dominic nomina lo Chateau Miraval, la pioggia e la
batteria altro non è se non un rimando a Hoodoo
di
Leia,
fic che amo tantissimo -
così "atmosferica" <3
A
breve (...spero) pubblicherò anche il punto di vista di quello che per
ora,
porcocan, non sono riuscita a non far passare per il cattivo della
situazione, temo XD Alias, il caro Meffiu. Se vorrete dare
un'occhiata, ne sarò felice :) Esattamente come
sarò felice che
qualcuno sia arrivato alla fine di questa fiction... Cheers! :*****