Mostro…
ecco cos’era. Nient’altro che un mostro.
Se
lo ripeteva spesso lui, ogni giorno, da un tempo interminabile ormai.
Se
lo ripeteva da quando, rubando una vita che non gli apparteneva, si era
risvegliato
dal sonno a cui lui stesso si era costretto e, per sopravvivere, si era
appropriato di un’esistenza a cui non aveva diritto.
Aveva
mentito, aveva tradito, aveva ucciso. Lui, che in passato aveva
così tanto
cercato la pace, aveva portato con sé nient’altro
che morte.
Assassino.
Quella
voce dentro di lui glielo urlava in ogni momento e lui sapeva che era
la
verità.
Abbassò
lo sguardo sulle sue mani. Quanto sangue avevano versato? Quante
persone erano
morte a causa sua? Troppe. E tutto per cosa?
Involontariamente
guardò verso il letto. Distesa su lenzuola disfatte,
c’era lei.
Già,
lei… Era per lei che aveva fatto tutto questo…
solo per lei. Per proteggerla,
per salvarla.
Eppure
non era riuscito a tenerla lontana dall’unico essere che
poteva davvero
distruggerla.
Un
sorriso amaro piegò le sue labbra. Aveva fallito. Aveva
condannato la donna che
amava a vivere nel peccato del sangue. Le aveva portato via la sua
preziosa umanità,
privandola della vita felice e spensierata che con tanto sacrificio le
aveva
regalato sua madre. L’aveva contaminata e l’aveva
resa impura, avvelenandola
col suo stesso sangue.
Come
aveva potuto?
Egoista.
La
verità era solo questa. Lui aveva voluto
che ciò accadesse, lo aveva desiderato con ogni fibra del
suo essere. Era
rimasto ad osservarla per dieci lunghi anni, in disparte, aspettando
solo il
momento in cui, di nuovo, sarebbe stata sua.
Quante
volte aveva dovuto far tacere quella voce che lo torturava, quella voce
che gli
gridava di prenderla? Era stato così difficile resistere
alla fame di lei, e un
sollievo così grande quando, finalmente, aveva potuto
affondare i denti nella
sua soffice carne.
E
doveva ringraziare Rido per questo. Perché se lui non avesse
cercato di
ucciderla, non avrebbe mai avuto il pretesto per giustificare il suo
colpevole
gesto.
E
ci aveva provato gusto. Aveva goduto nel cibarsi di lei…
aveva goduto nel
contaminare così irrimediabilmente la sua anima.
Lentamente
si avvicinò al letto. Il corpo della ragazza giaceva inerte,
avvolto solo in
parte dalle lenzuola. Vistose macchie rosse sporcavano la sua pelle
candida in
vari punti… là dove lui l’aveva morsa.
Una visione terribile, quella, eppure
così splendida.
Col
dorso della mano le accarezzò il viso. Piano le
disegnò i contorni dell’ovale
perfetto per poi arrivare a quelle labbra appena socchiuse,
così piene e
sensuali, che ancora conservavano il sapore del sangue che anche lei
gli aveva
rubato.
Dio
quanto la desiderava! Possibile che non riusciva mai a saziarsi di lei?
Avvicinò
il viso al suo e con avidità catturò le sue
labbra, strappandola a quel sonno a
cui, languidamente, si era abbandonata. La ragazza gemette, protestando
appena.
Per lui, fu solo una dolce provocazione che gli infiammò i
sensi.
Le
sue mani andarono a serrarle i polsi, quasi a evitare che potesse
scappargli.
Le
sue labbra si spostarono lungo l’esile collo e, lentamente,
scesero fino all’incavo
della spalla dove, con la lingua, iniziò a tracciare i
contorni di quella profonda
ferita che le aveva procurato appena qualche ora prima.
Yuuki
inarcò la schiena e gemette di nuovo. Fu quello
l’invito. Ingenua creatura, gli
aveva appena offerto il suo corpo. Non poteva resistere… non
voleva resistere.
Senza
esitare un solo istante, affondò i canini nello stesso punto
in cui l’aveva già
morsa. Il sapore del suo sangue lo inebriava e, più ne
beveva, più voleva
berne.
La
amava… era solo quello il problema. La amava così
tanto da non riuscire a
contenere quell’insana passione che lo logorava e che lo
spingeva, ogni volta,
a nutrirsi di lei così avidamente…
così ferocemente.
I
sui denti affondarono ancora di più nella carne della
ragazza e il dolore fu
talmente violento per lei, che non poté fare a meno di
gridare. Kaname alzò il
viso appena in tempo per vedere le lacrime scendere dagli occhi della
sua
piccola principessa.
«Mi
dispiace», sussurrò colpevole.
Lei
scosse la testa. «Non fa niente, Onii-sama».
Ed
ecco il secondo errore. Perché
non lo
aveva fermato? Possibile che lei non capisse quanto era difficile, per
lui,
trattenersi?
Il
ragazzo si chinò di nuovo sul suo collo e, di nuovo,
affondò i denti.
Note:
Poche
parole: è la prima ff che scrivo sul fandom…
spero non risulti OOC…
Cronologicamente, l'ho inserita nell'anno che Kaname e Yuuki hanno trascorso insieme e di cui non sappiamo niente.
Ringrazio
in anticipo chi la leggerà e chi, eventualmente, la
commenterà.
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bacio e alla prossima!