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Autore: imtheonekeepingyoualive    30/09/2010    8 recensioni
Nascose il viso fino al naso nel tessuto caldo e sbirciò in giro. Sembrava che avessero tolto tutti i colori, tutto era grigio, scuro, chiaro, come un film in bianco e nero, persino le persone parevano spente. Continuò a scivolare con lo sguardo lungo il paesaggio fino a che un colore non lo colpì come una folgorazione. Erano i capelli di un ragazzo, arancioni, corti, un pò a spazzola, con un ciuffo tenuto su con del gel, sulla fronte; un flash in quel mondo monocromatico.
Si mise un pò più dritto e continuò a fissarlo, respirando meno forte. Era seduto su una panchina del binario opposto, proprio lì di fronte.
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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just like a movie Disclaimer: Pura invenzione, non è vero niente, non intendo dare caratteri vieriteri a Gee e Frank, che non mi appartengono o sarei in galera per schiavitù, e soprattutto non mi pagano. Eh, dura e triste verità :(




My favourite scene


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Sospirò e si sistemò meglio la sciarpa attorno al collo, per evitare di esporre la gola al freddo. Era una di quelle persone che avevano spesso mal di gola ed aveva superato il suo odio per le sciarpe quando aveva perso la voce per tre volte di fila l'inverno passato.
Scese saltellando le scale, per velocizzare il passo, e raggiunse il binario. Era in anticipo, il treno non sarebbe arrivato che da lì a dieci minuti, e quindi si appoggiò al tabellone degli orari con la schiena ed incrociò le braccia al petto. Alle sette e venti del mattino le panchine erano tutte occupate da studenti, uomini in giacca e cravatta e signore con l'aria sbattuta, probabilmente esauste dal doppio lavoro per mantenere i figli.
Nascose il viso fino al naso nel tessuto caldo e sbirciò in giro. Sembrava che avessero tolto tutti i colori, tutto era grigio, scuro, chiaro, come un film in bianco e nero, persino le persone parevano spente. Continuò a scivolare con lo sguardo lungo il paesaggio fino a che un colore non lo colpì come una folgorazione. Erano i capelli di un ragazzo, arancioni, corti, un pò a spazzola, con un ciuffo tenuto su con del gel, sulla fronte; un flash in quel mondo monocromatico.
Si mise un pò più dritto e continuò a fissarlo, respirando meno forte. Era seduto su una panchina del binario opposto, proprio lì di fronte. Poteva vederlo bene mentre trafficava col cellulare e scherzava coi compagni, che gli davano pacche sulle spalle per attirare la sua attenzione e gli dicevano cose che non riusciva a cogliere data la lontananza.
Era carino, decisamente. Aveva il viso regolare, sopracciglia scure in contrasto con la carnagione chiara, un bel nasino ed un piercing al labbro, di cui si accorse solo dopo qualche minuto di osservazione, quando mosse la bocca per rispondere ad uno dei ragazzi che lo attorniavano.
Poi rise. Ed improvvisamente gli sembrò che il mondo fosse appena un pò cambiato. In meglio.
L'aveva sentita, la risata, era come se tutto il resto della stazione fosse stata zittita e che solo la squillante nota di colore che era quel ragazzo, lui, la sua risata, il suo essere, valesse la pena di essere guardata ed ascoltata. Era bella, sentì il bisogno impellente di stirare le labbra in un sorriso anche lui, così, per accompagnarlo.
Poi lo vide alzarsi in piedi, girarsi appena verso un ragazzo castano e parlargli. Quasi gli venne un infarto quando il serprente di metallo gli sfrecciò davanti, muovendo l'aria che gli sferzò il viso e gli sbatacchiò le ciocche di capelli attorno agli occhi, per fermarsi lungo il binario.
Lo guardò male, dimentico che era lì proprio per prenderlo ed andare a scuola, ma quel ragazzo era diventata l'unica cosa che gli aveva riempito il cervello per dieci minuti interi.
Gli sembrava di essere appena tornato a galla da una lunga apnea e si sentiva fuori posto, il cuore gli batteva forte per lo spavento e la testa pulsava fastidiosamente. Sbuffò dal naso irritato e salì sul vagone, per prendere posto nel primo sedile libero che avrebbe trovato.
Camminò attraverso lo stretto corridoio fino ad un posto accanto ad una ragazza con lunghi capelli neri e gli occhi troppo truccati per essere mattina, probabilmente arrivava da una notte in un locale. La sbirciò mentre si sedeva silenziosamente, rinfrancato almeno dalla temperatura calda nella vettura e sorrise, sbirciando dal finestrino.
Il ragazzetto era ancora lì, l'unica nota di colore in quel film così sbiadito.


"Vieni con noi, no? Non capisco perchè tu debba sempre fare così lo stronzo ed evitare di uscire con me ed i miei amici-" Urlò, forse a voce un pò troppo alta per il luogo in cui si trovava. Non che ci fosse in giro qualcuno, faceva troppo freddo ed il parcogiochi era pieno solo d'estate, ma a lui piaceva sedersi sull'altalena e dondolarsi appena.
Certamente, in quel momento l'altalena era l'ultimo dei suoi pensieri, da quando quello stronzo del suo ragazzo aveva deciso di lasciarlo solo come al solito. Alzò gli occhi al cielo e strinse un pò di più la presa attorno al cellulare.
"-Senti, so che magari siamo troppo chiassosi, piccoli e fuori contesto per te, ma potresti almeno sforzarti di capire che ho 18 anni! No, senti non è assolutamente vero, l'ultima volta che sei uscito con noi, poi io sono venuto via con te e siamo andati a casa tua a fare sesso, quindi non venirmi a dire che non ti guardo quando sono insieme alla band perchè-"
Rimase in silenzio per un attimo, ascoltando l'altra voce, mangiucchiandosi lo smalto nero dalle unghie, e muovendo nervosamente la gamba nella terra ammorbidita dall'umidità del clima freddo e dalle piogge di un paio di giorni prima.
"Che cosa stai dicendo?" Chiese, abbassando immediatamente la mano e spalancando gli occhioni.
Sentì il cuore perdere un battito ed il respiro accelerare. Non poteva davvero stare accadendo, non in quel modo, non così.
"Non mi starai lasciando per telefono, tu, brutto bastardo!" Sputò, velenoso.
L'altalena da cui si era alzato di scatto, cigolò alle sue spalle, dondolando a scatti. L'unico rumore a parte la sua voce graffiata dal pianto ed il suo cuore che piano piano si spegneva.
"Tu- Non- Vaffanculo, pezzo di merda!"
L'ultimo pezzo della frase l'aveva urlato al mondo, mentre il cellulare volava fino allo scivolo, scagliato con forza in un attacco d' ira. Bene, aveva anche rotto il fottuto telefono, ed ora chi la sentiva mamma. L'avrebbe ucciso.
Beh, poco male, era appena stato lasciato -per telefono!- dal suo ragazzo. E lui voleva solo averlo davanti per dargli tanti pugni e farlo pentire di ciò che aveva fatto e poi gli sarebbe piaciuto anche annodarglielo perchè-
Si calmò, perchè davvero, gli stava venendo caldo a pensare a quelle cose, la rabbia lo stava bruciando e non gli serviva sentirsi male per lui, si sarebbe fatto venire la febbre o solo lui sapeva cosa.
Fottuto organismo che si faceva sconfiggere da un paio di batterucoli. Tra tutte le sfighe che potevano capitargli, proprio le difese immunitarie inesistenti. Bello.
Sospirò con la faccia affondata nelle mani e cominciò a pensare.
Era solo, adesso. Single. Scompagnato. Zitello.
Cazzo, non era single dall'asilo. Cioè, non che all'asilo fosse fidanzato e promesso sposo, però c'era una tale Jennifer a cui aveva dato un bacio e, sì, si erano detti che stavano assieme.
Poi l'aveva mollato perchè Justin -quel fottuto fighetto di Justin Chamberlane- aveva un giubbotto più bello del suo e Jennifer l'aveva scaricato. Così.
Per il giubbotto!
Robe da ragazze, davvero, bah, chi le capiva. Per quello aveva cominciato a preferire i maschi, almeno non ti mollavano perchè uno si vestiva con un giubbotto azzurro invece che giallo.
Che poi il suo giubottino giallo era bellissimo, tralasciando tutto.
Calciò un gruppetto di sassolini e mise le mani in tasca, mentre cominciava a camminare svogliatamente verso i resti del suo-una-volta-cellulare. Si inginocchiò e raccolse i pezzi, uno alla volta, dispiaciuto di averlo fatto.
Fanculo, era anche bello. Per lo meno funzionava ancora, il suo dovere lo faceva.
Se li mise tutti in tasca e grugnì di insoddisfazione. Che cazzo di compleanno gli si prospettava, se a due settimane da quello, veniva scaricato. E gli si rompeva il cellulare.
Con una faccia degna di uno zombie uscì dal parco, le Converse tutte sporche di terra, e s'incamminò. In realtà non aveva una meta, stava solo seguendo il marciapiede, prima o poi sarebbe arrivato da qualche parte.
Al massimo avrebbe chiama- Ah no, cazzo, era vero. Il cellulare non esisteva più.
No, okay, avrebbe capito dov'era e sarebbe tornato a casa in men che non si dica.
Si guardò attorno, certo di conoscere il posto, perchè andiamo, non poetva aver fatto tanta strada in così poco tempo. E poi Newark era casa sua.
Sì, in realtà Belleville era casa sua, ma essendo appiccicata a Newark non era difficile conoscerla, andava a scuola lì per giunta. Ci arrivava in treno tutte le maledette mattine!
Solo che il tragitto stazione-scuola non passava di lì, no. Questo posto di Newark non l'aveva mai visto e sinceramente non aveva la più pallida idea di dove fosse finito.
Se almeno fosse riuscito a capire da dove era arrivato, invece di camminare come un idiota sovrappensiero e non guardare dove metteva i piedi, sarebbe arrivato al parco e da lì alla stazione. Ma, no, niente.
Black out totale. E tutto sembrava uguale in quel fottuto posto.
Fece un verso sconsolato ed incassò la testa nel busto, arrabbiato con Steve, sé stesso ed il mondo, perchè o aveva un karma di merda oppure qualcuno lassù si era dimenticato di lui. Probabilmente tutte le opzioni assieme.
Mentre ancora tentava di capire quale direzione fosse meglio prendere, scorse un locale, dall'altra parte dell'incrocio. Aveva due ampie ventrate che si congiungevano all'angolo della strada, davanti al semaforo con i cartelli delle vie.
Tanto valeva entrare e chiedere dove fosse, qualcuno gli avrebbe detto da che parte andare per la stazione, no? Sì, certo.
Non si curò di guardare il semaforo ed attraversò la strada, obliquamente, fino ad arrivare dall'altra parte. Fortuna nessuno era passato, o ciao ciao anche al karma e alla sfortuna direttamente.
Sbirciò di sfuggita il nome stampato sul vetro e spinse la porta di legno bianco che si aprì con uno scampanellio. L'interno era carino, molto luminoso per via della luce che arrivava da fuori e con molto legno. Bianco.
Taanto bianco.
Accogliente però. C'era qualche tavolino davanti ai vetri che davano sulla strada ed un bancone con degli sgabelli su cui sedersi ed ordinare. Peccato che fosse abbastanza vuoto, se non per un paio di avventori ed una ragazzetta con l'apparecchio che leggeva ad un tavolino. Si era accorto dell'apparecchio perchè stava sorridendo mentre leggeva. Si chiese che libro fosse.
"Arrivo subito!" Disse una voce squillante, probabilmente dal retro.
Aggrottò la fronte e si avvicinò ulteriormente al bancone, per poi appoggiarci sopra i gomiti e sospirare. Gli occhi gli caddero sul menù.
Pensandoci bene una birretta se la sarebbe fatta volentieri, così, per risollevarsi il morale dopo una così incantevole giornata. Tanto, non che dovesse guidare, visto che sua madre non gli faceva usare la macchina e a diciott'anni gli toccava andare ancora in giro in treno.
Sbuffò pensandoci e non si accorse del- gran paio di occhi che gli si erano presentati davanti. Ah, quando era successo tutto quello?
"Cosa posso portarti?" Gli chiese il proprietario dei meravigliosi occhi, con un sorriso gentile sulle labbra sottili. Wow, era carino, però. Sul serio.
I capelli neri facevano risaltare gli occhi verdi, aveva un segno rosso sotto quello destro, che si notava parecchio visto che era pallido da far paura e-
Si riscosse dai suoi pensieri, facendo dapprima un 'eeehhmm' davvero molto intelligente e poi un qualcosa come 'ahssì', che completò l'opera.
L'altro ridacchiò divertito con un block notes in mano, perchè sì, stava aspettando la sua ordinazione.
"U- Una birra, grazie." Riuscì a dire, più o meno.
Il tizio alzò un sopracciglio. "Hai sedici anni, la birra non te la do."
Spalancò la bocca sconvolto. "Non ho sedici anni! Solo perchè sono leggermente più basso della media, non vuole dire che sia un ragazzino!"
"Hai ventun'anni, quindi?"
"...No."
"Appunto, niente birra. Ti portò un caffè ed un pezzo di torta, okay?" Concluse l'altro, serafico, sempre con il suo sorriso strafottente -e carinissimo, e davvero, oh, gli occhi e basta, ripigliati- come se avesse davvero ragione lui e fosse un bambino.
Lo guardò mentre metteva il blocchetto nella tasca posteriore dei- apperò, buongiorno- strettissimi jeans neri e gli voltava le spalle per afferrare la brocca del caffè e versarne un pò dentro una tazza.
"E, per tua informazione, ho diciott'anni." Mormorò piccato, ancora punto nel vivo.
"Allora tra poco ti crescerà la barba." Rispose questo, appoggiando la tazza davanti al suo gomito e lanciandogli un'occhiata divertita che da una parte gli fece ammettere che fanculo, non era divertente e dall'altra che sì, okay, le sue labbra erano invitanti e rosa ma che, per diana, non era una ragazzina con gli ormoni in subbuglio.
"Siete tutti così simpatici qui a Newark?" Sputò fuori, mentre inziava a sorseggiare il suo caffè.
L'altro ridacchiò, il coltello in mano per tagliare una fetta di quella torta invitante. Ebbe i brividi, solo per un secondo, quando lo sentì.
"Più o meno. Perchè, tu di dove sei?" Rispose, nell'esatto momento in cui affondava la lama nella pasta.
"Belleville."
Altra scossa, stavolta più forte, quando il ragazzo scoppiò a ridere fragorosamente, quasi facendolo spaventare perchè non se l'aspettava.
"Qui a Newark! Io pensavo fossi del Kansas o che ne so. Abiti qui a fianco."
"Sì ma qui a fianco sono più carini." Rimbeccò, pensando in realtà che no, qui in questo locale erano più carini. D'aspetto, come maniere lasciavano alquanto desiderare.
"Ho abitato a Belleville per qualche anno, ma non vedo tutta questa differenza da qui. Se lo dici tu, sarà vero per forza."
Lo fissò guardingo. "Perchè?"
"Perchè si sa cosa dicono, no? I bambini sono la bocca della verità." Si sganasciò questo, lasciandolo di stucco.
Carino, ma cafone. Tutti così.
"Ah ah ah, non sei per niente divertente. Senti, dimmi da che parte è la stazione, me ne vado." Disse, con voce piatta, facendo per alzarsi.
"Ma dai, aspetta. Non hai ancora finito il tuo caffè, non hai mangiato la torta, anzi, non ti sei nemmeno tolto il cappotto. Su dai, scusami, giuro che la smetto di scherzare. Mi comporterò bene." Disse l'altro, con voce veramente dispiaciuta mettendosi una mano sul cuore ed avvicinandosi a lui, sempre però rimanendo dall'altra parte del bancone.
Si fermò immediatamente, già in piedi e pronto a voltarsi verso la porta, ma in quel preciso istante non riusciva a muovere un muscolo. Erano gli occhi, il viso dell'altro a bloccarlo.
Sospirò e lo fissò guardingo. Il moro sorrise e fece un gesto come per dire che era serio e non avrebbe più scherzato, quindi decise di credergli; si risedette sullo sgabello e cominciò a slacciarsi il giubbotto.
Il fatto di essere così osservato però lo metteva non poco a disagio quindi alzò lo sguardo verso di lui, dopo averlo tenuto saldamente appiccicato alla fetta di torta, che aveva preso a mangiucchiare in silenzio, per i successivi cinque minuti dalla fine degli scherzi. Trovò nuovamente il colore verde che tanto l'aveva colpito e quasi ci si perse dentro.
Erano occhi che non aveva mai visto, a volte sembravano verdi, altre nocciola, chiari, scuri, alla luce erano spettacolari. Si schiarì la voce ed il ragazzo ridacchiò poco lontano da lui, braccia appoggiate sul bancone e mani sui gomiti.
"Non ti ho mai visto, nemmeno una volta, qui al locale." Iniziò questi, dopo qualche secondo in cui si erano reciprocamente fissati.
Scosse la testa. "Infatti non ero nemmeno mai venuto in questa parte della città, a dirla tutta."
"Ah no? E dire che Newark non è poi così grande."
"Sì, ma io vengo solo a scuola qui, non che conosca tutti gli anfratti o le viette."
"Viette... E' uno degli incroci principali, questo." Rimbeccò il più alto.
Aggrottò le sopracciglia e lo guardò male. "Senti, ma la smetti di contraddire tutto quello che dico?"
Per tutta risposta ricevette una risata e un'altra scarica di brividi lungo la schiena.
"Okay, okay, scusa." Uno sguardo fuori dalle vetrate e poi i suoi occhi ancora addosso. "Oggi c'è tranquillo."
"Così sembrerebbe." Annuì, finendo il dolce e poi prendendo un sorso di caffè.
"Posso chiederti come ti chiami?" Domandò il più grande, con voce calma.
Lo guardò per un secondo e poi sorrise. "Certo. Mi chiamo Frank."
L'altro ricambiò e gli si fece ancora più vicino. "Piacere Frank di Belleville, io sono Gerard. Di Newark, sì." Disse ridacchiando e porgendogli una mano.
Frank la strinse e sentì che era fredda, gelida. Eppure lì dentro non faceva freddo, anzi, si stava parecchio bene. La sua in confronto sembrava andare a fuoco, come tutto il suo corpo.
"Com'è che ti interessa sapere dov'è la stazione? Devi tornare a casa?" Riprese quasi subito a parlare, e Frank era ancora così preso dalle sue constatazioni di quanto fosse bello e strano quel ragazzo che non rispose subito.
Alzò lo sguardo dalle dita affusolate dell'altro, per portarlo sul suo viso e rimase un secondo a bocca aperta. "Ehm, sì, sì, devo tornare a casa. Non so nemmeno che ore sono. Che ore sono? Cazzo, ho rotto il telefono e adesso non so nemmeno gli orari del prossimo treno e se quello stronzo di Steve non mi avesse piantato così solo a quest'ora forse sarei già sotto la doccia e alle prove-" Cominciò a parlare a macchinetta, senza quasi respirare ed agitandosi sullo sgabello.
Gerard lo guardava divertito e sconvolto, con un sorriso sghembo sulle labbra.
"Ehi, calmati, non ho quasi capito niente di quello che hai detto. Che ore sono?" Si voltò un secondo verso un orologio appeso alla parete e poi ritornò alla posizione di prima. "Le cinque e un quarto."
"Cazzo, spero ci siano ancora treni."
"Direi proprio di sì."
"Cazzo, devo andare in stazione. Solo che se non ci fossero treni come chiamo mia madre?"
"Tua madre?"
"Eh, per farmi venire a prendere. Ho il cellulare rotto. Cioè, in realtà l'ho lanciato." Ammise, storcendo il naso.
Gerard lo guardò ancora più divertito. "L'hai lanciato? E perchè?"
"Ehm, il mio ragazzo mi ha lasciato via telefono. Poco fa. E..." Mormorò sottovoce, un pò perchè non gli andava di ammetterlo apertamente col mondo e non sapeva perchè l'avesse detto a lui, forse sì, era ancora l'ascendente che i suoi occhi avevano su di lui, e anche un pochino perchè quando rivelavi di essere omosessuale, non tutti reagivano alla stessa maniera.
Sperò solo che il ragazzo di fronte a lui non si rivelasse un emerita testa di cazzo omofoba, o davvero, sarebbe uscito e la stazione l'avrebbe trovata a costo di setacciare passo passo la città.
"Oh cazzo, e quindi l'hai lanciato perchè lui è stato chiaramente uno stronzo di prima categoria. Lasciarti per telefono, dico io..." Rispose però Gerard, con tono partecipe e pure appoggiandogli una mano sulla spalla.
Frank non si accorse di aver la bocca aperta e gli occhi completamente spalancati fino a che Gerard non glielo fece notare con un risolino.
Si rimise in condizioni di apparire normale -anche se ormai...- e si schiarì la voce "Non che il mio intento fosse quello di prendermela con il cellulare, che in realtà mi piaceva anche, però ho il vizio di essere impulsivo. E quindi prima di rendermene anche solo conto, era già distrutto sotto allo scivolo."
Gerard rise e Frank fece una specie di smorfia che sarebbe dovuta essere un sorriso. "Capisco sai? Però ora come farai a tornare a casa? Intendo, se non ci sono treni e non puoi neppure chiamare tua madre..."
"Eh, troverò un telefono da qualche parte. Sempre se ho abbastanza spiccioli per-"
"Senti, giuro che non sono un maniaco. Ma se hai tempo fino alle sei, io stacco a quell'ora. Ti porto a casa io."
Frank smise di parlare, respirare, pensare, di fare tutto. Era sconvolto.
Cioè, in bene. Ma era sconvolto.
Non se l'aspettava proprio. Cioè, apparte il fatto che non lo conosceva che da un'oretta e mezza, il gesto era carino.
"Non voglio portarti chissà dove e violentarti, cioè- Davvero. Sono a posto." Si difese Gerard, preoccupato dal suo silenzio.
"No, no, lo so, ti credo. E poi non hai l'aria del maniaco. Sono rimasto sorpreso, tutto lì." Sorrise e Gerard tirò un sospiro di sollievo evidente. "Sei- Sei carino a dirlo, ma non voglio disturbarti."
"Ma non mi disturbi, ho la macchina qui dietro, e Belleville è a nemmeno dieci minuti da qui, quindi davvero, non mi pesa." Disse questo, annuendo.
Frank lo guardò per un pò, indeciso. Quel ragazzo prima era un cafone, poi si rivelava uno dei migliori che gli fosse capitato di incontrare da quando era al mondo.
Era pure carino, con dei jeans stretti da morire e tutto il resto da infarto. Non che volesse sembrare disperato, cioè, ci teneva a non sembrare un bambino che a diciott'anni non ha l'auto e deve andare in giro con la mamma e in treno. Però sì, come ci tornava a casa se non con lui, ora?
"Frank."
"Va bene. Ma mi sdebiterò in qualche modo, okay?"
Gerard rise. "Ci hai messo più o meno mezz'ora a decidere che cosa fare e fra nemmeno cinque minuti stacco, ti avrei convinto comunque a venire con me. Ora stai qui un secondo che vado a togliermi questa roba di dosso, il capo starà per arrivare."
Frank lo seguì con lo sguardo mentre spariva nel retro e dopo un paio di minuti rispuntava, senza grembiule e con un giubbotto di pelle.
Bene, come se non fosse abbastanza infatuato così, ci voleva pure il chiodo. Frank sospirò e si disse di non essere stupido, in un'ora e mezza aveva lasciato perdere Steve e aveva solo pensato a quanto fosse figo quel cameriere.
Gli passava in fretta la sofferenza per la rottura, a quanto pareva. O forse c'era rimasto così tanto male per come si era comportato Steve che non appena aveva trovato qualcun'altro, più carino -decisamente- del suo ex, che si interessava a lui anche solo per dargli un passaggio in auto, che subito tutto scompariva e riprendeva ad essere il Frank di prima.
Prima che si decidesse a stare con Steve, prima che tutto cambiasse, prima dei litigi per le prove della band e perchè lui non voleva uscire con dei ragazzini più piccoli e tutte quelle storie che Steve gli rifilava da sette mesi a quella parte.
Dio, si rendeva conto di essere stanco, molto prima che l'altro lo lasciasse, e si chiese perchè non l'avesse fatto lui. Forse si era abituato a tutto quello e non ci aveva minimamente pensato.
Venne riscosso dal rumore della porta che veniva aperta e Gerard che salutava qualcuno. Alzò lo sguardo e vide un uomo abbastanza muscoloso, con un cappellino da baseball calato sugli occhi ed un giaccone da vento verde che sorrideva e salutava con la mano.
"E' tutto a posto Gee?" Esordì, con un viocione profondo.
"Certo, ho acceso la macchina del caffè e la griglia, sarà calda fra venti minuti." Rispose Gerard alle sue spalle.
Frank capì che Gee doveva essere il diminutivo di Gerard e la cosa gli piacque, era simpatico come nomignolo.
"Bravo ragazzo, puoi pure andare se vuoi. Dì a tuo padre che domani mattina passerò a portargli il mio furgone, perchè comincia a darmi problemi. Buona serata, salutami tutti a casa."
Gerard gli appoggiò una mano sulla schiena, per fargli capire che stavano andando, e Frank sobbalzò dalla sorpresa. Voltò il viso verso il suo per guardarlo e lui gli lanciò uno sguardo di scuse, sempre sorridendo. "Okay Jeff, saluterò tutti, grazie. E dirò anche a mio padre del furgone, hai bisogno che ti passi a prendere in officina?"
"No, verrò a piedi, tranquillo. Domani hai il turno di sera, ti ricordi vero?" Disse l'altro, mentre si slacciava anche la camicia da boscaiolo che indossava sotto la giacca.
"Certo che sì, come ogni mercoledì."
"Esatto."
"Va bene, ciao Jeff a domani." Salutò Gerard, andando verso la porta. Frank lo seguì, col suo giubbotto allacciato e ancora la sensazione della mano di Gerard tra le scapole. Mentre la porta si chiudeva alle loro spalle, la voce di Jeff arrivò alle loro orecchie.
"Ciao Gerard!"
Frank camminava di fianco a Gerard e lo controllava per vedere dove andava, e lo vide allungare la mano verso le tasche del giubbotto e tirarne fuori un pacchetto di sigarette ed un accendino.
"Fumi?" Gli chiese, mentre apriva la parte superiore del pacchetto per tirarne fuori una stecca.
"Sì, ma tranquillo, ho le mie." Disse, mostrando il suo pacchetto.
Imitò l'altro e si accese una sigaretta, per poi soffiare fuori il fumo. Ci andava proprio.
"La mia auto è quella, siamo arrivati." Indicò il moro con un dito, e Frank vide che era un'auto scura, forse blu, con così poca luce non riusciva a capire.
Annuì e lo seguì dall'altra parte della strada, come al solito non curandosi di guardare se arrivasse qualcuno. Gerard se ne accorse, perchè glielo disse. "Ma tu non guardi mai quando attraversi?"
"Hm?"
"Un giorno ti stireranno se fai così, non è prudente." Affermò, mentre tirava fuori un mazzo di chiavi tintinnanti dalla tasca dei pantaloni ed apriva l'auto.
"Ero sicuro non ci fosse nessuno."
"Ma non importa, se fosse spuntata un'auto a velocità sostenuta, non avresti fatto in tempo ad evitarla."
"Ho seguito te, mi fidavo." Disse, innocentemente.
Gerard si zittì, come colpito.
"Quindi se cammino io, cammini tu?" Chiese, a bassa voce.
"Più o meno, sì."
"Sei un pazzo. Sali, dai."
Aprì la portiera e, un pò a disagio, entrò. Aveva buttato via il mozzicone non ancora del tutto terminato e sentiva l'odore del fumo ovunque. E caffè. E qualcos'altro, forse deodorante per auto, alla fragola o qualcosa del genere.
Gli cadde l'occhio sulle mani di Gerard e le trovò affascinanti da morire, così pallide contro il nero dell'interno dell'auto.
"Quando arriviamo a Belleville, mi dirai la strada per arrivare a casa tua." Disse il più grande, accendendo il motore ed uscendo dal parcheggio.
Frank annuì, improvvisamente ammutolito. Per qualche secondo rimasero entrambi in silenzio, Gerard preso dalle manovre per immettersi sulla strada principale e lui ad ammirarlo con la coda dell'occhio, per non farsi scoprire.
Poi Gerard accese la radio -grazie al cielo, stava diventando una cosa insopportabile- e il clima si distese.
Prese un respiro profondo, mentre il famigliare paesaggio di Belleville gli scorreva sotto gli occhi. "Frank, come sei taciturno.Tutto okay?"
Si voltò subito verso di lui, colpito. "Oh? Oh, certo, certo, sto bene."
"Se stai ancora pensando che voglia fare qualcosa che-"
"No, davvero, lo so che tu sei a posto, tranquillo. No, è che mi dispiace ancora che tu mi stia accompagnando a casa quando abiti là."
"Dillo un'altra volta e ti butto giù dall'auto in corsa, okay?"
Finalmente rise e il ghiaccio si ruppe definitivamente. "Okay, okay."
"Dove devo andare, piuttosto?" Chiese Gerard, rallentando per essere pronto a girare in qualunque momento.
Frank si ricordò solo in quel momento di cosa stesse accadendo, quindi si guardò attorno per capire da che parte fossero e fece un verso che fece voltare gli occhi al più grande.
"Cosa?"
"Hm, l'abbiamo superata."
"Ah. Okay, aspetta entro qui ed esco dall'altra parte." Disse, mettendo la freccia e controllando che non arrivasse nessuno da dietro, prima di girare ed infilarsi in una via.
"Sì, ecco, aspetta gira qui, ci si arriva comunque da qua." Gli indicò Frank con un dito.
Gerard fece la stessa cosa di poco prima e sterzò a sinistra. "Poi?"
"Sempre dritto fino alla terza via, poi a destra."
"Praticamente avrei dovuto girare non appena entrato a Belleville, ma qualcuno qui era troppo occupato a pensare che mi fosse di peso per accorgersene." Ridacchiò il più grande, lanciandogli un'occhiata.
Frank si fece più piccolo nel sedile e Gerard rise più forte.
"Dai, scherzavo. La via è questa?"
"Sì, sì, è questa. Casa mia è quella lì." Mormorò facendogli segno.
Gerard frenò dolcemente davanti al giardino di una piccola villetta e le diede un veloce sguardo, prima di posarlo su Frank, con un grande sorriso sulle labbra.
"Eccoti a casa."
Frank sospirò, il viaggio era durato pochissimo e un'eternità nello stesso modo, e lui avrebbe potuto dire, fare tante cose e invece era stato zitto e aveva pure fatto la figura del cretino.
Bravo Frank complimentoni.
"Già. Ehm, grazie ancora Gerard, per tutto. Sei stato gentilissimo e non mi conosci nemmeno."
"Io ti avevo già visto."
"...Eh?"
Gerard fece una risata tranquilla, mentre portava la mano destra verso di lui e... Gli toccava i capelli.
Frank spalancò gli occhi, col cuore a mille e le guance rosse.
"Ti avevo già visto, in stazione a Newark, una mattina di due settimane fa." Ripetè, mentre i suoi occhi verdi si spostavano dai capelli al suo viso.
Frank non riusciva a dire niente, solo a cercare di respirare normalmente.
"Mi sei rimasto impresso, perchè eri l'unica nota di colore in un film in bianco e nero. Erano tutti grigi e spenti, la stazione, le persone, il cielo, persino i treni erano grigi. Ma tu, tu sei tanti colori insieme. I capelli arancioni, il giubbotto azzurro, la tua risata. Ho pensato che fossi la cosa più bella che avessi visto ed ho sperato di rivederti ancora, tutte le mattine. Arrivo in stazione e controllo il binario, in cerca di te. Ma no, non ti ho più rivisto. Fino ad oggi, quando, inaspettatamente, tu hai trovato me."
O dio, stava per sentirsi male, le dita fredde di Gerard gli stavano sfiorando la tempia. Si chiese se riuscisse a percepire il battito esagerato del suo cuore da lì, probabilmente lo sentiva battere come un tamburo.
"Perchè- Perchè non me l'hai detto, prima?" Sospirò, la forza annullata da tutto quello che stava accadendo.
Gerard alzò appena le spalle, con un sorriso. "Non sapevo come. E poi non che potessi venire lì e dirti 'ciao, ti ho visto una mattina in stazione e da allora non penso che a te. Ah, comunque io sono Gerard.' Capisci?"
Frank spalancò gli occhi e Gerard sorrise di più.
"N-Non pensi che a me?"
"Te l'ho detto, tutte le mattine spero di rivederti. E per il resto della giornata mi chiedo se mai riuscirò ad incontrarti di nuovo, magari in giro o magari se la mattina successiva avrò più fortuna."
"...Oh dio." Sussurrò, incantato.
"Eri così bello, un altro mondo, che mi hai rapito."
"Anche tu." Disse, prima di rendersene conto.
Gerard lo guardo, non capendo. "Come?"
Frank fece un respiro ed abbassò gli occhi verso le sue mani sudaticce. Tanto valeva dirgli che da quando lo aveva visto non aveva fatto altro che pensare quanto fosse carino e poi quanto fosse gentile e tutto.
"Quando sono entrato al locale oggi, avevo intenzione solo di chiedere da che parte fosse la stazione. Ma poi ho visto i tuoi occhi e... E non ho più pensato alla stazione o nient'altro che non fossero loro, il colore dei tuoi capelli e la tua pelle pallidissima. Ad un certo punto ho rischiato di strozzarmi quando ho visto i tuoi jeans." Ridacchiò a disagio e Gerard lo imitò. "Pensavo di essere un ragazzino con gli ormoni in subbuglio."
"Io ho ventidue anni eppure ho pensato un pò le stesse cose quando ti ho visto, non c'entra essere ragazzini. A me piaci tu."
Il respiro di Frank si fermò per l'emozione. Era la prima volta che qualcuno usava delle parole del genere per lui.
Si specchiò nei suoi occhi e, come ogni volta, pensò che fossero meravigliosi. Forse anche di più in quel momento.
"Se ti baciassi ora sarebbe scorretto?" Chiese improvvisamente Gerard, facendo quasi sobbalzare Frank. "In fondo tu ti sei appena lasciato col tuo ragazzo, e probabilmente sei vulnerabile ed io un grande stro-"
Dio, parlava troppo nei momenti meno opportuni quel ragazzo. Così decise che l'unico modo per zittirlo fosse baciarlo.
Sentì la sorpresa fargli aprire la bocca e subito ci infilò la lingua, in cerca della sua. Gerard rispose con entusiasmo quasi subito, sporgendosi verso di lui ed afferrandolo per la vita.
Checazzo, oltre ad essere un figo baciava pure bene. Poteva dire che forse il karma l'aveva finalmente premiato.
Giocò con la sua lingua e le sue labbra ancora per un pò, quando poi si staccarono, bisognosi d'aria. Oh fanculo, chi l'aveva inventata?
Gerard rise e come sempre rabbrividì, ma stavolta era perchè ci era appiccicato contro e l'effetto era stato moltiplicato per dodicimila.
"Sembra davvero come in un film." Disse, soffiando sulle sue labbra.
Frank lo guardò negli occhi ed annuì.
"Questa è la mia scena preferita."





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