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Autore: nightswimming    30/09/2010    2 recensioni
Quando torni da me sembri sempre appena rientrato da una guerra.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Brian.M/Matthew.B
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Cahiers Françaises'
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Note: Brian Molko e Matthew Bellamy non mi appartengono e nemmeno si appartengono fra loro – un vero peccato. Tutto questo non è mai successo, sia ringraziato il Signore, perché è spaventosamente depresso e lugubre fino all’ultima molecola, e il fatto forse che io gioisca profondamente nel scrivere cose come questa è un chiaro sintomo di follia (okay, con queste premesse adesso nessuno andrà più avanti a leggere XD). Scrivo per pura soddisfazione personale e non per lucro.

 

 

 

 

 

 

 

 

If I could tear you from the ceiling
(I know best have tried…)
I’d fill your every breath with meaning.
 
- Blind-, Placebo

 

 

 

 

 

 

 

Quando mi sveglio, la stanza è ancora in penombra, fresca e ventilata. Prima di andarsene, Brian ha socchiuso la finestra curandosi di tenere le tende tirate. Sa quanto mi piaccia che sia un piccolo soffio d’aria nuova a scuotermi dal torpore del sonno.
E’ un piacere atavico, fatto di niente e quasi impalpabile. A malapena ne sono cosciente io.
Brian è così: sensibile, devoto, attentissimo a ogni tua minima richiesta – muta o esplicita che sia – e nel contempo crudele al punto da piantare il coltello  - ogni volta, continuamente, con clinica precisione - nel punto in cui sa che fa più male.
Questo centro di massima esposizione concessa - possiamo dire - egli eventi, questo fulcro di emozioni fragili e irrinunciabili, non è uguale per tutti. Varia a seconda delle persone, e malgrado le apparenze non è facile scoprirlo: spesso è situato in un parte così intima del proprio essere da venire schermato, protetto, nascosto fino a quando è possibile, fino alla fine.
A volte passa tutta una vita senza che nessuno sia nemmeno riuscito a intravederlo.
Ho la sensazione che Brian questo mio tallone d’Achille, questa porzione di me così delicata e indifesa da pregiudicare, se intaccata, tutta la mia esistenza, l’abbia in pugno dal primo momento in cui gli ho permesso di avvicinarmi.
Non c’è niente che mi spaventi e mi renda più felice di questo.
 
Non è il tradimento in sé che mi ferisce. Ho tradito anch’io, nella mia vita, ben cosciente dell’ebbrezza e del brivido che il solo atto di clandestinità suscitava in un’esperienza altrimenti ordinaria.
Per questa ragione non giudico, ma nemmeno esalto. Se Brian fosse il mio compagno, il mio fidanzato, per assurdo anche mio marito, sarebbe tutto diverso. L’imposizione di qualsiasi catena diviene sopportabile solo con la concessione ogni tanto di qualche ora d’aria – lo so bene.
Ma Brian non è niente di tutto questo. Brian mi ama ma non si rivestirà mai di nessun ruolo amoroso nei miei confronti; se lo facesse, il suo continuo spingersi al limite finirebbe per logorare il senso della nostra unione – e non c’è niente di cui lui abbia più paura.
Non abbiamo niente da perdere. Non c’è mai stato niente – non una felice convivenza, non una casa dove abitare insieme, non un’identità di coppia, non dei figli – e proprio per questo motivo, tutto il resto ci si impone con una forza ed una violenza tali da risultare quasi insostenibile.
E’ l’amore tutto il resto, Brian? Quell’amore crudo, spoglio, compreso in sé stesso, auto-celebrativo e auto-punitivo che racchiude e definisce ciò che siamo? Cosa siamo?
 
No, quello che mi uccide è il vedere come tu divenga incapace di parlare, Brian, di camminare, di pensare, di respirare se non puoi vedermi e toccarmi quanto e quando vorresti, e come tu lo scopra ogni maledetta volta sulla pelle di un altro. Non cerchi nessun valore aggiunto, non soddisfi nessun desiderio nascosto e impronunciabile, e non ti appaghi: ma lo fai in continuazione, incessantemente.
Quando torni da me sembri sempre appena rientrato da una guerra. Nei tuoi occhi leggo che pensi che questa è vita, dannazione, mentre mi cerchi instancabile, questo è giusto, mentre mi baci, questo è tutto ciò che ha un senso ed una bellezza, mentre fai l’amore con me come se dovessimo morire domani. Ogni cosa acquista la sua ragion d’essere e la ricerca si conclude dov’è iniziata.
Con me.
 
Io sono incapace persino di concepire l’idea di qualcun altro che non sia tu. Mi sembra semplicemente una cosa fuori dal mondo, una volgarità inutile e gratuita, uno sfregio su un’opera d’arte.
So che se ti tradissi tu ne moriresti. Mi conosci, sai quanto sia forte e completo il legame che mi unisce a te – sai che se cercassi qualcosa di diverso sarebbe non una fuga dal dolore, ma una precisa dichiarazione di ostilità e repulsione nei tuoi confronti. Sai che non voglio né più né meno di te, anche quando sono al limite. Anche quando sarebbe giusto, sacrosanto, volere altro da te.
Ma le variabili non sono comprese né accettate, e non lo sono saranno mai - perché non hanno ragione di esistere.
I binari su cui mi hai fatto correre sono dritti e ben direzionati, sin dal principio.
Io sono quello superiore a queste cose. Io sono quello che accolgo, non quello che viene accolto. Io perdono e riporto le cose nel loro giusto assetto. Io sono quello integro, intelligente, sano, di valore, fragile e bellissimo – oh, me lo dici troppo spesso - proprio a causa di questa mia fragilità.
Ti odio per avermi reso così perfetto. Ti odio perché non lo sono. Ti odio perché mi fai sentire quasi onnipotente, ma non è vero.
Se lo fossi, condurrei io il gioco. Se lo fossi, ti terrei vicino a me senza soffocarti, ti darei quello che ti spetta e che tu continui a rifiutare, ti farei dimenticare la tua solitudine… Ti farei credere che non sia mai esistita.
Se lo fossi, tu ora saresti qui, e io potrei ingannarmi e promettermi di non lasciarti andare più via da questa stanza, qualsiasi cosa accada – ed essere felice, e renderti felice una volta per tutte.
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice: come potrete facilmente intuire da temi e ambientazioni affini, questa mini-storiella è complementare a “La Pathétique” – forse ne è il suo doppio mattesco, o forse no, visto che i due sono menosi uguali ma soffrono per motivi diversi :D
Scriverle entrambe è stato molto facile, nel senso di spontaneo, relativamente veloce e poco soggetto a rimaneggiamenti post-rilettura (che personalmente odio, non perché non sia una perfezionista, ma perché per me la storia è quello che ti viene di getto, non quella che riscrivi - ma non è sempre così, ne convengo); e per questo gioisco non poco *sospira sollevata*
Mi sa tanto che ce ne sarà una terza e che proprio per questo motivo il tutto diventerà una serie, allegra come una mezzanotte in un cimitero. Orsù, la lettura è libera, nessuno vi obbliga XD
P.S. notare la raffinatezza della canzone dei Muse nel capitolo di Brian e di quella dei Placebo nel capitolo di Matt. Sapete come si chiama questa? Variatio! 
*muore schiacciata da un’antologia di Seneca*
P.P.S. il titolo è preso dal sottotitolo di un bellissimo romanzo giovanile di Marguerite Yourcenar, “Alexis” o – appunto – “Trattato della lotta vana”.

   
 
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