Libri > Il Signore degli Anelli e altri
Segui la storia  |       
Autore: Elfa    04/10/2010    2 recensioni
Cosa sarebbe successo se Sauron si fosse ripreso l'anello? Quale sarebbe stato il destino della Terra di Mezzo? Si può ancora essere felici in un mondo del genere, dove pare ci sia posto solo per la guerra?
Questa è la storia di due fratelli alla ricerca di un'occasione di riscossa, o forse, solo di un pò di pace in una terra che sembra non averne più.
-Questa è (spero) la versione definitiva della storia "Ombre" e riunisce sia l'antefatto che la storia vera e propria. Tuttavia questa storia presenta alcune differenze nei personaggi e nella trama, quindi non è un copia e incolla, lo dico per i miei vecchi lettori. Detto questo, vi lascio al racconto. Buona lettura.-
Genere: Avventura, Dark, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Legolas, Nuovo personaggio, Sauron
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Gli eredi dell'ombra

 

cap. 1: Anarion

 

Anarion conosceva bene l'odore del sangue, ormai gli era diventato familiare, nel corso degli anni, e il suo non faceva certo eccezione. Era un odore dolciastro, penetrante e che gli aveva sempre dato l'idea di qualcosa di sporco e impuro, probabilmente mettendolo in relazione ai campi di battaglia che gli scorrevano davanti agli occhi da quella che gli sembrava una vita intera. Ed ora che era lì, disteso a pancia in giù, con la guancia premuta contro la panca di legno e i vestiti impregnati di sangue, quell'odore lo sentiva distintamente.

“Vado?” La voce gutturale di Atan lo strappò ai suoi pensieri e il ragazzo voltò lo sguardo a guardare il mezz'orco da sopra la propria spalla. Annuì senza parlare, impedito dal pezzo di stoffa arrotolato che teneva in bocca, e il bastardo tirò, estraendo la freccia, strappano al giovane elfo un mugolio di dolore, mentre il sangue riprendeva a scorrergli lungo la schiena dalla ferita aperta. Sospirò, riprendendo fiato, mentre l'altro gli ripuliva la ferita. Non era quella la parte peggiore, quella arrivò subito dopo, quando il mezzo gli premette il piatto della lama incandescente di un pugnale sul buco lasciato dalla freccia. Il ragazzo urlò, la voce attutita dalla stoffa, stringendo i pugni sul bordo della panca, facendosi sbiancare le nocche. Alcuni istanti di dolore intenso, che poi andò scemando.

Sentì Atan ridacchiare, mentre riponeva i ferri e si girò, fulminandolo con lo sguardo. “Lo trovi divertente?” Domandò, in un sibilo, tirandosi a sedere e togliendo lo straccio dalla bocca.

“Ti sta bene. La prossima volta mi ascolterai, quando ti dirò che la cotta di cuoio non basta per fermare le frecce. Non sottovalutare i tuoi avversari, nemmeno se credi che siano armati solo di torce e bastoni. Replicò l'altro, con un ghigno che mise in mostra una dentatura niente affatto rassicurante.

Atan non era la persona migliore con cui attaccare briga. Era un bestione dalla pelle scura e inquietanti occhi gialli, la testa rasata e una dentatura eccezionalmente sviluppata. Avrebbe potuto essere scambiato per un uruk-hai, al primo sguardo, ma i suoi lineamenti erano umani e anche sufficientemente belli da far chiedere ad Anarion, che pure non era certo un intenditore di bellezza maschile, perchè mai non avesse ancora trovato una compagna.

Il ragazzo sospirò, lasciando che il mezz'orco gli fasciasse schiena e torace. “Ho capito...” Mormorò, lo sguardo perso davanti a sé, verso il telo bianco della tenda, senza in realtà vederla, ripensando a cosa era successo solo quel pomeriggio. Come spesso accadeva nel Mark, era scoppiato un piccolo focolaio di rivolta. E come altrettanto spesso accadeva, Mordor aveva mandato una divisione della Guardia a risolvere la faccenda. Cioè lui e la sua compagnia. Si detestava ogni volta che gli affidavano un incarico del genere e, forse proprio per questo, la cosa capitava fin troppo spesso.

I ribelli si erano accampati in uno dei tanti piccoli boschi che punteggiavano la regione, stanarli non era stato facile, aveva perso parecchi esploratori, poi la ricerca aveva dato i suoi frutti e avevano trovato un piccolo villaggio all'interno del bosco. Piccolo... ma troppo grande per contenere solo pochi ribelli, avrebbe dovuto intuirlo. Ma non lo aveva fatto. O forse non aveva voluto pensarci. Non voleva sapere che lì c'erano anche donne e bambini. Perché l'ordine di Sauron era sempre lo stesso: non fate prigionieri.

L'inferno si era scatenato appena avevano fatto irruzione nel villaggio. Sapeva già che non sarebbe stata una battaglia ad armi pari quanto più una carneficina, lo sapeva, lo aveva visto altre volte, ma colpire gente che non poteva difendersi, donne con bambini in braccio, sentire il loro sangue... Anarion non riusciva a liberarsi dell'eco di quelle urla, né della nausea che lo aveva preso a sentire l'odore di quel sangue che bagnava il terreno.

Qualcuno aveva appiccato il fuoco alle casupole di legno e lui aveva visto, attraverso il fumo, una donna scappare nel bosco col figlio per mano. Aveva incitato il cavallo all'inseguimento, aveva alzato la spada, mentre il tempo pareva allungarsi all'infinito. Poi aveva calato la spada di colpo, sentendo il cranio spaccarsi, ritraendo poi la lama sporca di sangue e materia cerebrale. Fermò il cavallo e torno sui suoi passi, osservando il cadavere a terra. L'orco era caduto a faccia in giù e il sangue imbrattava di nero l'erba. Si voltò a seguire con lo sguardo la madre e il figlio, ma erano già spariti tra gli alberi. Meglio così. Un colpo di talloni ed era tornato verso il campo di battaglia ed era stato più o meno a quel punto che la freccia lo aveva colpito, ma aveva continuato a combattere senza fermarsi a pensare a nulla, senza quasi rendersi conto di quel che succedeva. E anche ora, con la battaglia lontana, la mente rifiutava di ricordare quei momenti.

Anarion si alzò in piedi non appena il mezz'orco ebbe terminatola fasciatura andando a prendere un'altra camicia. “Lasciami solo, adesso.” Un ordine, anche se dal tono si sarebbe detto più una richiesta. Atan non fece domande e uscì in silenzio. quanto ad Anarion, per alcuni istanti rimase immobile, in piedi, lo sguardo fisso davanti a sé e la camicia ancora aperta prima di tornare a sedersi sulla panca, passandosi una mano tra i capelli, chiedendosi dove sarebbe stato in quel momento se, a suo tempo, ci fosse stato qualcuno ad aiutare lui e sua madre.

 

Lothlorien era sotto assedio da settimane, ormai e, per quanto molti lo ritenessero impossibile, era un dato di fatto che presto le ondate di Mordor avrebbero sfondato.

Sulaure era una dei cantori, una di coloro che sapevano plasmare, attraverso il canto e la musica, la magia dei valar e quella sera era stata chiamata da Galadriel.

La regina stava immobile alla finestra del talan, lo sguardo perso nel buio della notte, illuminato dalle luci degli elfi e dalle fiamme degli orchi, così tremendamente vicini. Non si voltò subito quando la giovane entrò, rimanendo ancora alcuni minuti alla finestra. “Il mondo che noi conosciamo sta finendo...” Mormorò, voltandosi a guardare Sulaure solo dopo aver pronunciato quelle parole e, malgrado il volto d'ella restasse impassibile, nei suoi occhi la più giovane delle due immortali poté leggere ansia e tristezza.

“Non sono ancora entrati.” Un mormorio sulle labbra della cantrice, che s'affiancò alla regina, mentre anche il suo sguardo veniva attratto dalla linea del fronte. Parole ridicole, che non rassicuravano nemmeno lei. Galadriel rise sommessamente, senza alcuna gioia, prendendo tra le sue le mani della giovane.

“Mia cara Sulaure... Nemmeno tu credi che possiamo resistere, in realtà.” Sorrideva, gli occhi sempre tristi stringendo piano le mani di lei tra le sue. “Ho bisogno che tu faccia due cose per me. Che mi faccia due promesse.” La donna sentì le mani della ragazza ricambiare la sua stretta con forza, quasi spaventata da quella richiesta che ancora non aveva esplicitato, annuendo semplicemente. “Innanzitutto, voglio che tu e tuo figlio lasciate Lorien.”

“Mia signora...” La regina elfica posò due dita sulle labbra della giovane, bloccando ogni suo tentativo di replica, guardandola con occhi dolci.

“Voglio che ve ne andiate.” ripeté. “Voglio che tu sia felice con Anarion, lontano da qui.”

Sulaure si sottrasse alla presa della donna, scuotendo il capo, smarrita, lo sguardo di nuovo attratto da quella lontana, luminosa linea di confine. “Mi chiedi di essere felice, mia signora... ma come potrei esserlo lontano da Lorien?” Si voltò a guardarla, avvicinandosi di nuovo ad ella di un passo. “Il mio posto è con te...” Tentò di replicare, la voce bassa, eppure sicura, guardando la regina come a supplicarla di non allontanarla da sé ma questa sorrise ancora, prendendole di nuovo una mano.

“Il tuo posto non è più qui da tempo...” Sussurrò, dolce, sfiorando l'anello che la giovane portava al dito. Un anello d'oro, troppo grande per essere da donna, con un sigillo inciso sopra. Lo stemma della casata di Thranduil. Sulaure ritrasse la mano, coprendo, quasi inconsciamente, l'anello con la destra.

“Da quanto...” Una domanda inespressa, a cui la regina rispose solo con un sorriso.

“Ormai dovresti saperlo, Sulaure... poche cose accadono a Lorien senza che io le sappia.” Affermò, lasciando poi che il silenzio calasse nuovamente su lei e la cantrice.

La giovane non disse nulla, lo sguardo che si fece piuttosto ancora più triste, come se le parole le avessero riportato alla mente ricordi che avrebbe voluto cancellare. Galadriel le carezzò una guancia con dolcezza, richiamandola alla realtà. “Non lo puoi sapere...” Sussurrò, semplicemente.

 

Anarion sentiva il cuore di sua madre battere forte mentre camminavano nel bosco, protetti dal buio della notte e dai mantelli elfici. Procedevano a piedi, non sarebbe stato possibile superare le linee di Mordor a cavallo. Dovevano essere furtivi, cercare di evitare il grosso dell'esercito e passarvi silenziosamente attraverso.

I loro passi non facevano rumore nonostante si muovessero veloci, e anche se il bambino aveva l'impressione che i battiti di quel cuore li avrebbe sentiti chiunque, non sembrò arrivare nessuno e a poco a poco Sulaure si calmò.

D'un tratto la donna si fermò di colpo, addossandosi ad uno dei grandi mallorn, accovacciandosi tra le radici di questi e avvolgendo lei e il bambino nel mantello grigioverde. Anarion alzò gli occhi, confuso, chiedendo silenziosamente alla madre che cosa stesse accadendo, ma lei rispose solo premendosi un dito sulle labbra e carezzando la testa bionda del bambino.

La risposta ai dubbi del piccolo si materializzò pochi minuti dopo, preceduta da un gran fracasso di versi, passi, rami spezzati, ringhi e imprecazioni in una lingua sconosciuta. E poi li vide. Bassi, dalla pelle scura e lineamenti deformati e grotteschi, avvolti in strane pelli e in pezzi spaiati di armature malconce. Orchetti.

Il bambino si strinse di più alla madre, come a nascondersi alla vista di quegli esseri. Poi li sentì annusare, e udì il rumore dei loro passi che si avvicinavano. Affondò ancora di più il viso contro il seno della madre, stringendo forte la stoffa del suo abito. Lei lo stringeva, senza parlare. E poi, d'un tratto, Sulaure cominciò a cantare. Cominciò a cantare non con la voce melodiosa che lui era abituato a sentire, ma aveva un tono profondo, metallico, che aveva un che di affascinante e ripugnante insieme.

Anarion ancora non conosceva nulla della magia e si chiese semplicemente perché sua madre cantasse in quel momento, quando era così facile essere scoperti. Poi quei pensieri furono spezzati da uno scricchiolio sinistro, e l'albero sopra di loro parve inclinarsi in avanti, piegandosi su di loro. Il bambino urlò, spaventato, ma l'urlo uscì attutito dall'abbraccio di sua madre. Poi anche gli orchi urlarono, molto più a lungo di lui, fino a che le loro grida non s’interruppero in un rantolo strozzato. Quando Anarion aprì gli occhi e sollevò di nuovo il volto vide i corpi degli orchi pendere come grottesche decorazioni dai rami degli alberi, strettamente annodati intorno ai loro colli.

“Vieni, Anie.” Sulaure lo rimise in piedi, la voce di nuovo dolce, un sorriso stentato ma affettuoso, come a volerlo rassicurare. Lui obbedì, in silenzio, seguendo sua madre, tenendo stretta la sua mano.

Ora si muovevano più velocemente, quasi di corsa, e Sulaure si voltò spesso a guardarsi intorno, come se temesse di essere seguita, ma dopo quella volta non incontrarono più altre pattuglie.

Raggiunsero il Nimrodel verso l'alba, Anarion ne udì per primo il rumore delle acque e lasciò la mano di sua madre, correndo in avanti, certo che si fossero ormai lasciati gli orchi alle spalle. “Anie, torna qui!” La voce di sua madre pareva insieme preoccupata e arrabbiata, mentre lo inseguiva attraverso gli alberi, ma lui non l'ascoltò e superò di corsa una delle passerelle che conducevano sull'altra sponda. Solo il fatto che ci fossero avrebbe dovuto fargli capire che l'esercito Mordoriano era passato da quelle parti ma, in fondo, cosa ne può sapere un bambino?

“Anie!” Lei lo chiamò ancora, palesemente arrabbiata, ora, tanto che il bambino si fermò di colpo una volta arrivato sull'altra sponda e fu a quel punto che vide il cavaliere vestito di nero. Lo vide cavalcare tra gli alberi, senza che gli zoccoli del cavallo in corsa facessero alcun rumore.

“Mamma, attenta!” Un grido spontaneo, ancora più acuto in quella voce da bambino. Sulaure si fermò, voltandosi, in tempo per vedere il cavaliere ma non per scansarsi. Lui l'afferrò per i capelli trascinandola in avanti per diversi metri, prima di lasciarla andare, facendola cadere a terra. Anarion la chiamò, spaventato, facendo per oltrepassare di nuovo la passerella. “Resta lì!” Questa volta non esitò ad eseguire gli ordini della madre, rimanendo immobile sull'altra riva, gli occhi sbarrati, osservandola rimettersi in piedi. Il cavaliere la fissava, immobile, come se la stesse sfidando.

La voce di sua madre di nuovo lo sorprese, di nuovo profonda, metallica, simile all'abbattersi di una tempesta. L'acqua del fiume ribollì e diversi flutti si alzarono, prendendo la forma di quello che al bambino parve un grande serpente marino, che s'abbatté sul cavaliere, disarcionandolo.

Sulaure si voltò, senza infierire, attraversando di corsa la passerella, raggiungendo il figlio e prendendolo in braccio, continuando a correre.

D'un tratto, fu come se un vento violentissimo li sollevasse, facendoli roteare in aria, prima di rigettarli a terra, diversi metri più avanti. Sulaure cadde di schiena, sempre tenendo stretto il figlio, proteggendolo. Anarion la sentì tossire, senza fiato, mentre si girava su un fianco, lasciandolo andare e cercando di riprendere fiato.

Il cavaliere fu loro addosso. Letteralmente. Afferrò Sulaure, sbattendola contro un albero, bloccandola col suo corpo e coprendole la bocca con una mano, impedendole di cantare.

Le stava vicino, tanto che la donna poteva sentirne il respiro mentre l'osservava. “Io so chi sei...” Un sussurro sulle labbra del cavaliere, mentre il suo corpo premeva contro quello della donna, che in quella stretta continuava a ribellarsi inutilmente.

“Lasciala stare!” Anarion gridò, gettandosi contro il cavaliere con la sola forza dei suoi pugni, cercando di colpirgli la gamba e i fianchi. Fu il dolore di un attimo, un calcio nello stomaco che lo fece volare, per alcuni metri, cadendo sull'erba, vicino al fiume. Vomitò e tossì, senza riuscire a respirare, svenendo poco dopo.

A mente fredda, quell'intervento da parte del bambino fu davvero un'azione stupida e patetica. Del resto, se anche fosse scappato in quel momento sarebbe sicuramente morto di fame perdendosi nel bosco, e svenendo si era almeno risparmiato lo spettacolo di ciò che venne fatto a sua madre.

 

Anarion si svegliò diverse ore dopo, quando il sole era sorto e poi calato di nuovo. Si trovava in una gabbia montata su un carro, immobile in mezzo ad altre gabbie simili, occupate da mannari e altre creature niente affatto amichevoli.

Il bambino singhiozzò, spaventato, andando a rifugiarsi nell'angolo più remoto della gabbia, abbracciandosi le gambe e chiudendo gli occhi, fino a che delle mani artigliate non lo afferrarono. Gridò, agitandosi, cercando di ribellarsi, mentre l'orchetto lo trascinava fuori. “Se non la pianti ti taglio le orecchie!” Il ringhio dell'essere e il suo mostrare la rozza spada ricurva bastò a sedare, almeno momentaneamente, la reticenza del bambino, che si fece trascinare per l'accampamento mordoriano fino ad una grande tenda che sorgeva al centro di questo. L'orco entrò, mollando il bambino all'interno e svignandosela con una certa fretta, senza mai voltare le spalle.

Anie si guardò intorno e non notò subito l'uomo in piedi accanto all'ingresso, la sua attenzione fu tutta per la madre, seduta su una specie di letto,che si alzò in piedi non appena l'orco lo lasciò andare, allargando le braccia per accogliere il bambino. Indossava solo una casacca da uomo, fortunatamente abbastanza grande da coprirla fino a metà coscia, e aveva sul volto un grosso livido, come se l'avessero picchiata.

Il bambino si strinse ancora a lei, senza dire nulla, lasciandosi solo andare a singhiozzi nervosi.

Ci volle un po' perché anche lui s'accorgesse della figura n piedi accanto alla soglia. Un elfo, a prima vista, dai lunghi capelli neri che incorniciavano un volto affilato ed eburneo, su cui spiccavano lineamenti affilati, di una bellezza inquietante, le labbra piegate in un sorriso crudele e gli occhi... forse la cosa più inquietante di quella visione: allungati verso l'alto, penetranti, e di un colore rosso fiamma, come se ardessero di fuoco, la pupilla sottile, come quella di un rettile.

Era solo un bambino, ma perfino Anarion si rese conto di chi aveva di fronte. Il loro nemico. Sauron, l'oscuro signore.

Sua madre lo strinse più forte, sollevando uno sguardo fiero a fissare quella figura, prima che questa se ne andasse, uscendo dalla tenda, senza una parola.

 

A quattordici anni di distanza, Anarion si passò una mano sul volto, premendo i polpastrelli sulle palpebre, fino a veder danzare nel buio stelle e scie luminose, poi riaprì gli occhi.

C'era poco da fare... loro non erano stati così fortunati da cavarsela ed ora, se volevano uscire da quella situazione, potevano contare solo sulle loro forze.

 

 

Salve a tutti. Era un pezzo che volevo tornare a scrivere su efp ma, per un motivo o un altro, ho sempre dovuto rimandare.

Già da qualche tempo avevo annunciato che volevo riscrivere la storia di “Ombre” ed ora ecco il mio ultimo lavoro. Purtroppo gli aggiornamenti, almeno nel primo periodo, non saranno frequenti, dato che non ho internet, al momento, e devo scroccare quello dell'università. Cercherò comunque di non lasciar languire la mia creatura troppo a lungo. ;)

Avviso fin d'ora che ci saranno dei cambiamenti nella trama e i vecchi lettori se ne saranno già accorti vedendo la figura di Atan. Dal prossimo capitolo cercherò di essere un po' più descrittiva, dato che mi sono accorta di aver ridotte davvero all'osso le descrizioni, in questo primo capitolo. Perdonatemi, ma ho preferito dare più risalto al ritmo della storia. E sempre a questo proposito, preparatevi a lunghi flash back in stile Holly e Benji. xD

Credo sia tutto. Un saluto ai nuovi lettori e un ben ritrovati a quelli vecchi.

Arrivederci a presto,

 

Elfa

 

 

Seconda stesura del primo capitolo: c'erano degli errori ed ho preferito sistemare la faccenda il prima possibile, sperando di farvi cosa gradita. ^-^

A proposito grazie, Thiliol.

 

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Il Signore degli Anelli e altri / Vai alla pagina dell'autore: Elfa