Gli eredi dell'ombra
cap. 1: Anarion
Anarion conosceva bene l'odore del sangue, ormai gli
era diventato familiare, nel corso degli anni, e il suo non faceva certo
eccezione. Era un odore dolciastro, penetrante e che gli aveva sempre dato
l'idea di qualcosa di sporco e impuro, probabilmente mettendolo in relazione ai
campi di battaglia che gli scorrevano davanti agli occhi da quella che gli
sembrava una vita intera. Ed ora che era lì, disteso a pancia in
giù, con la guancia premuta contro la panca di legno e i vestiti
impregnati di sangue, quell'odore lo sentiva distintamente.
“Vado?” La voce gutturale di Atan lo
strappò ai suoi pensieri e il ragazzo voltò lo sguardo a guardare
il mezz'orco da sopra la propria spalla. Annuì senza parlare, impedito
dal pezzo di stoffa arrotolato che teneva in bocca, e il bastardo tirò,
estraendo la freccia, strappano al giovane elfo un mugolio di dolore, mentre il
sangue riprendeva a scorrergli lungo la schiena dalla ferita aperta.
Sospirò, riprendendo fiato, mentre l'altro gli ripuliva la ferita. Non
era quella la parte peggiore, quella arrivò subito dopo, quando il mezzo
gli premette il piatto della lama incandescente di un pugnale sul buco lasciato
dalla freccia. Il ragazzo urlò, la voce attutita dalla stoffa,
stringendo i pugni sul bordo della panca, facendosi sbiancare le nocche. Alcuni
istanti di dolore intenso, che poi andò scemando.
Sentì Atan ridacchiare, mentre riponeva i ferri
e si girò, fulminandolo con lo sguardo. “Lo trovi
divertente?” Domandò, in un sibilo, tirandosi a sedere e togliendo
lo straccio dalla bocca.
“Ti sta bene. La prossima volta mi ascolterai, quando ti
dirò che la cotta di cuoio non basta per fermare le frecce. Non
sottovalutare i tuoi avversari, nemmeno se credi che siano armati solo di torce
e bastoni.” Replicò l'altro, con un
ghigno che mise in mostra una dentatura niente affatto rassicurante.
Atan non era la persona migliore con cui attaccare
briga. Era un bestione dalla pelle scura e inquietanti occhi gialli, la testa
rasata e una dentatura eccezionalmente sviluppata. Avrebbe
potuto essere scambiato per un uruk-hai, al primo sguardo, ma i suoi
lineamenti erano umani e anche sufficientemente belli da far chiedere ad
Anarion, che pure non era certo un intenditore di bellezza maschile, perchè mai non avesse ancora trovato una compagna.
Il ragazzo sospirò, lasciando che il mezz'orco
gli fasciasse schiena e torace. “Ho capito...”
Mormorò, lo sguardo perso davanti a sé, verso il telo bianco
della tenda, senza in realtà vederla, ripensando a cosa era successo
solo quel pomeriggio. Come spesso accadeva nel Mark, era scoppiato un piccolo
focolaio di rivolta. E come altrettanto spesso accadeva, Mordor aveva mandato
una divisione della Guardia a risolvere la faccenda. Cioè lui e la sua
compagnia. Si detestava ogni volta che gli affidavano un incarico del genere e,
forse proprio per questo, la cosa capitava fin troppo spesso.
I ribelli si erano accampati in uno dei tanti piccoli
boschi che punteggiavano la regione, stanarli non era stato facile, aveva perso
parecchi esploratori, poi la ricerca aveva dato i suoi frutti e avevano trovato
un piccolo villaggio all'interno del bosco. Piccolo... ma troppo grande per
contenere solo pochi ribelli, avrebbe dovuto intuirlo. Ma non lo aveva fatto. O
forse non aveva voluto pensarci. Non voleva sapere che lì c'erano anche
donne e bambini. Perché l'ordine di Sauron era sempre lo stesso: non
fate prigionieri.
L'inferno si era scatenato appena avevano fatto
irruzione nel villaggio. Sapeva già che non sarebbe stata una battaglia
ad armi pari quanto più una carneficina, lo sapeva, lo aveva visto altre
volte, ma colpire gente che non poteva difendersi, donne con bambini in
braccio, sentire il loro sangue... Anarion non riusciva a liberarsi dell'eco di
quelle urla, né della nausea che lo aveva preso a sentire l'odore di
quel sangue che bagnava il terreno.
Qualcuno aveva appiccato il fuoco alle casupole di
legno e lui aveva visto, attraverso il fumo, una donna scappare nel bosco col
figlio per mano. Aveva incitato il cavallo all'inseguimento, aveva alzato la
spada, mentre il tempo pareva allungarsi all'infinito. Poi aveva calato la
spada di colpo, sentendo il cranio spaccarsi, ritraendo poi la lama sporca di
sangue e materia cerebrale. Fermò il cavallo e torno sui suoi passi,
osservando il cadavere a terra. L'orco era caduto a faccia in giù e il
sangue imbrattava di nero l'erba. Si voltò a seguire con lo sguardo la
madre e il figlio, ma erano già spariti tra gli alberi. Meglio
così. Un colpo di talloni ed era tornato verso il campo di battaglia ed
era stato più o meno a quel punto che la freccia lo aveva colpito, ma
aveva continuato a combattere senza fermarsi a pensare a nulla, senza quasi
rendersi conto di quel che succedeva. E anche ora, con la battaglia lontana, la
mente rifiutava di ricordare quei momenti.
Anarion si alzò in piedi non appena il
mezz'orco ebbe terminatola fasciatura andando a prendere un'altra camicia.
“Lasciami solo, adesso.” Un ordine, anche se dal tono si sarebbe
detto più una richiesta. Atan non fece domande e uscì in
silenzio. quanto ad Anarion, per alcuni istanti rimase immobile, in piedi, lo
sguardo fisso davanti a sé e la camicia ancora aperta prima di tornare a
sedersi sulla panca, passandosi una mano tra i capelli, chiedendosi dove
sarebbe stato in quel momento se, a suo tempo, ci fosse stato qualcuno ad
aiutare lui e sua madre.
Lothlorien era sotto assedio da settimane, ormai e,
per quanto molti lo ritenessero impossibile, era un dato di fatto che presto le
ondate di Mordor avrebbero sfondato.
Sulaure era una dei cantori, una di coloro che
sapevano plasmare, attraverso il canto e la musica, la magia dei valar e quella
sera era stata chiamata da Galadriel.
La regina stava immobile alla finestra del talan, lo
sguardo perso nel buio della notte, illuminato dalle luci degli elfi e dalle
fiamme degli orchi, così tremendamente vicini. Non si voltò
subito quando la giovane entrò, rimanendo ancora alcuni minuti alla
finestra. “Il mondo che noi conosciamo sta finendo...”
Mormorò, voltandosi a guardare Sulaure solo dopo aver pronunciato quelle
parole e, malgrado il volto d'ella restasse
impassibile, nei suoi occhi la più giovane delle due immortali
poté leggere ansia e tristezza.
“Non sono ancora entrati.” Un mormorio
sulle labbra della cantrice, che s'affiancò alla regina, mentre anche il
suo sguardo veniva attratto dalla linea del fronte. Parole ridicole, che non
rassicuravano nemmeno lei. Galadriel rise sommessamente, senza alcuna gioia,
prendendo tra le sue le mani della giovane.
“Mia cara Sulaure... Nemmeno tu credi che
possiamo resistere, in realtà.” Sorrideva,
gli occhi sempre tristi stringendo piano le mani di lei tra le sue. “Ho
bisogno che tu faccia due cose per me. Che mi faccia due promesse.” La
donna sentì le mani della ragazza ricambiare la sua stretta con forza,
quasi spaventata da quella richiesta che ancora non aveva esplicitato, annuendo
semplicemente. “Innanzitutto, voglio che tu e tuo figlio lasciate Lorien.”
“Mia signora...”
La regina elfica posò due dita sulle labbra della giovane, bloccando
ogni suo tentativo di replica, guardandola con occhi dolci.
“Voglio che ve ne andiate.” ripeté.
“Voglio che tu sia felice con Anarion, lontano da qui.”
Sulaure si sottrasse alla presa della donna, scuotendo
il capo, smarrita, lo sguardo di nuovo attratto da quella lontana, luminosa
linea di confine. “Mi chiedi di essere felice, mia signora... ma come
potrei esserlo lontano da Lorien?” Si voltò a guardarla,
avvicinandosi di nuovo ad ella di un passo. “Il mio posto è con te...” Tentò di replicare, la voce bassa, eppure
sicura, guardando la regina come a supplicarla di non allontanarla da sé
ma questa sorrise ancora, prendendole di nuovo una mano.
“Il tuo posto non è più qui da
tempo...” Sussurrò, dolce, sfiorando
l'anello che la giovane portava al dito. Un anello d'oro, troppo grande per
essere da donna, con un sigillo inciso sopra. Lo stemma della casata di
Thranduil. Sulaure ritrasse la mano, coprendo, quasi inconsciamente, l'anello
con la destra.
“Da quanto...”
Una domanda inespressa, a cui la regina rispose solo con un sorriso.
“Ormai dovresti saperlo, Sulaure... poche cose
accadono a Lorien senza che io le sappia.” Affermò, lasciando poi
che il silenzio calasse nuovamente su lei e la cantrice.
La giovane non disse nulla, lo sguardo che si fece
piuttosto ancora più triste, come se le parole le avessero riportato
alla mente ricordi che avrebbe voluto cancellare. Galadriel le carezzò
una guancia con dolcezza, richiamandola alla realtà. “Non lo puoi
sapere...” Sussurrò, semplicemente.
Anarion sentiva il cuore di sua madre battere forte
mentre camminavano nel bosco, protetti dal buio della notte e dai mantelli
elfici. Procedevano a piedi, non sarebbe stato possibile superare le linee di
Mordor a cavallo. Dovevano essere furtivi, cercare di evitare il grosso dell'esercito
e passarvi silenziosamente attraverso.
I loro passi non facevano rumore nonostante si
muovessero veloci, e anche se il bambino aveva l'impressione che i battiti di
quel cuore li avrebbe sentiti chiunque, non sembrò arrivare nessuno e a
poco a poco Sulaure si calmò.
D'un tratto la donna si fermò di colpo,
addossandosi ad uno dei grandi mallorn, accovacciandosi tra le radici di questi
e avvolgendo lei e il bambino nel mantello grigioverde. Anarion alzò gli
occhi, confuso, chiedendo silenziosamente alla madre che cosa stesse accadendo,
ma lei rispose solo premendosi un dito sulle labbra e carezzando la testa
bionda del bambino.
La risposta ai dubbi del piccolo si
materializzò pochi minuti dopo, preceduta da un gran fracasso di versi,
passi, rami spezzati, ringhi e imprecazioni in una lingua sconosciuta. E poi li
vide. Bassi, dalla pelle scura e lineamenti deformati e
grotteschi, avvolti in strane pelli e in pezzi spaiati di armature
malconce. Orchetti.
Il bambino si strinse di più alla madre, come a
nascondersi alla vista di quegli esseri. Poi li sentì annusare, e
udì il rumore dei loro passi che si avvicinavano. Affondò ancora
di più il viso contro il seno della madre, stringendo forte la stoffa
del suo abito. Lei lo stringeva, senza parlare. E poi, d'un tratto, Sulaure
cominciò a cantare. Cominciò a cantare non con la voce melodiosa
che lui era abituato a sentire, ma aveva un tono profondo, metallico, che aveva
un che di affascinante e ripugnante insieme.
Anarion ancora non conosceva nulla della magia e si
chiese semplicemente perché sua madre cantasse in quel momento, quando
era così facile essere scoperti. Poi quei pensieri furono spezzati da
uno scricchiolio sinistro, e l'albero sopra di loro parve inclinarsi in avanti,
piegandosi su di loro. Il bambino urlò, spaventato, ma l'urlo
uscì attutito dall'abbraccio di sua madre. Poi anche gli orchi urlarono,
molto più a lungo di lui, fino a che le loro grida non
s’interruppero in un rantolo strozzato. Quando Anarion aprì gli
occhi e sollevò di nuovo il volto vide i corpi degli orchi pendere come
grottesche decorazioni dai rami degli alberi, strettamente annodati intorno ai
loro colli.
“Vieni, Anie.” Sulaure lo rimise in piedi,
la voce di nuovo dolce, un sorriso stentato ma affettuoso, come a volerlo
rassicurare. Lui obbedì, in silenzio, seguendo sua madre, tenendo
stretta la sua mano.
Ora si muovevano più velocemente, quasi di
corsa, e Sulaure si voltò spesso a guardarsi intorno, come se temesse di
essere seguita, ma dopo quella volta non incontrarono più altre
pattuglie.
Raggiunsero il Nimrodel verso l'alba, Anarion ne
udì per primo il rumore delle acque e lasciò la mano di sua
madre, correndo in avanti, certo che si fossero ormai lasciati gli orchi alle
spalle. “Anie, torna qui!” La voce di sua madre pareva insieme
preoccupata e arrabbiata, mentre lo inseguiva attraverso gli alberi, ma lui non
l'ascoltò e superò di corsa una delle passerelle che conducevano
sull'altra sponda. Solo il fatto che ci fossero avrebbe dovuto fargli capire
che l'esercito Mordoriano era passato da quelle parti ma, in fondo, cosa ne
può sapere un bambino?
“Anie!” Lei lo chiamò ancora,
palesemente arrabbiata, ora, tanto che il bambino si fermò di colpo una
volta arrivato sull'altra sponda e fu a quel punto che vide il cavaliere vestito
di nero. Lo vide cavalcare tra gli alberi, senza che gli zoccoli del cavallo in
corsa facessero alcun rumore.
“Mamma, attenta!” Un grido spontaneo,
ancora più acuto in quella voce da bambino. Sulaure si fermò,
voltandosi, in tempo per vedere il cavaliere ma non per scansarsi. Lui
l'afferrò per i capelli trascinandola in avanti per diversi metri, prima
di lasciarla andare, facendola cadere a terra. Anarion la chiamò,
spaventato, facendo per oltrepassare di nuovo la passerella. “Resta
lì!” Questa volta non esitò ad eseguire gli ordini della
madre, rimanendo immobile sull'altra riva, gli occhi sbarrati, osservandola
rimettersi in piedi. Il cavaliere la fissava, immobile, come se la stesse sfidando.
La voce di sua madre di nuovo lo sorprese, di nuovo
profonda, metallica, simile all'abbattersi di una tempesta. L'acqua del fiume
ribollì e diversi flutti si alzarono, prendendo la forma di quello che
al bambino parve un grande serpente marino, che s'abbatté sul cavaliere,
disarcionandolo.
Sulaure si voltò, senza infierire,
attraversando di corsa la passerella, raggiungendo il figlio e prendendolo in
braccio, continuando a correre.
D'un tratto, fu come se un vento violentissimo li
sollevasse, facendoli roteare in aria, prima di rigettarli a terra, diversi
metri più avanti. Sulaure cadde di schiena, sempre tenendo stretto il
figlio, proteggendolo. Anarion la sentì tossire, senza fiato, mentre si
girava su un fianco, lasciandolo andare e cercando di riprendere fiato.
Il cavaliere fu loro addosso. Letteralmente. Afferrò
Sulaure, sbattendola contro un albero, bloccandola col suo corpo e coprendole
la bocca con una mano, impedendole di cantare.
Le stava vicino, tanto che la donna poteva sentirne il
respiro mentre l'osservava. “Io so chi sei...”
Un sussurro sulle labbra del cavaliere, mentre il suo corpo premeva contro quello della donna, che in quella stretta continuava a
ribellarsi inutilmente.
“Lasciala stare!” Anarion gridò,
gettandosi contro il cavaliere con la sola forza dei suoi pugni, cercando di
colpirgli la gamba e i fianchi. Fu il dolore di un attimo, un calcio nello
stomaco che lo fece volare, per alcuni metri, cadendo sull'erba, vicino al
fiume. Vomitò e tossì, senza riuscire a respirare, svenendo poco
dopo.
A mente fredda, quell'intervento da parte del bambino
fu davvero un'azione stupida e patetica. Del resto, se anche fosse scappato in
quel momento sarebbe sicuramente morto di fame perdendosi nel bosco, e svenendo
si era almeno risparmiato lo spettacolo di ciò che venne fatto a sua
madre.
Anarion si svegliò diverse ore dopo, quando il
sole era sorto e poi calato di nuovo. Si trovava in una gabbia montata su un
carro, immobile in mezzo ad altre gabbie simili, occupate da mannari e altre
creature niente affatto amichevoli.
Il bambino singhiozzò, spaventato, andando a
rifugiarsi nell'angolo più remoto della gabbia, abbracciandosi le gambe
e chiudendo gli occhi, fino a che delle mani artigliate non lo afferrarono.
Gridò, agitandosi, cercando di ribellarsi, mentre l'orchetto lo
trascinava fuori. “Se non la pianti ti taglio le orecchie!” Il
ringhio dell'essere e il suo mostrare la rozza spada ricurva bastò a
sedare, almeno momentaneamente, la reticenza del bambino, che si fece
trascinare per l'accampamento mordoriano fino ad una grande tenda che sorgeva
al centro di questo. L'orco entrò, mollando il bambino all'interno e
svignandosela con una certa fretta, senza mai voltare le spalle.
Anie si guardò intorno e non notò subito
l'uomo in piedi accanto all'ingresso, la sua attenzione fu tutta per la madre,
seduta su una specie di letto,che si alzò in
piedi non appena l'orco lo lasciò andare, allargando le braccia per
accogliere il bambino. Indossava solo una casacca da uomo, fortunatamente
abbastanza grande da coprirla fino a metà coscia, e aveva sul volto un
grosso livido, come se l'avessero picchiata.
Il bambino si strinse ancora a lei, senza dire nulla,
lasciandosi solo andare a singhiozzi nervosi.
Ci volle un po' perché anche lui s'accorgesse
della figura n piedi accanto alla soglia. Un elfo, a prima vista, dai lunghi capelli
neri che incorniciavano un volto affilato ed eburneo, su cui spiccavano
lineamenti affilati, di una bellezza inquietante, le labbra piegate in un
sorriso crudele e gli occhi... forse la cosa più inquietante di quella visione: allungati verso l'alto, penetranti, e di
un colore rosso fiamma, come se ardessero di fuoco, la pupilla sottile, come
quella di un rettile.
Era solo un bambino, ma perfino Anarion si rese conto
di chi aveva di fronte. Il loro nemico. Sauron, l'oscuro signore.
Sua madre lo strinse più forte, sollevando uno
sguardo fiero a fissare quella figura, prima che questa se ne andasse, uscendo
dalla tenda, senza una parola.
A quattordici anni di distanza, Anarion si
passò una mano sul volto, premendo i polpastrelli sulle palpebre, fino a
veder danzare nel buio stelle e scie luminose, poi
riaprì gli occhi.
C'era poco da fare... loro non erano stati così
fortunati da cavarsela ed ora, se volevano uscire da quella situazione,
potevano contare solo sulle loro forze.
Salve a tutti. Era un pezzo che volevo tornare a
scrivere su efp ma, per un motivo o un altro, ho sempre dovuto rimandare.
Già da qualche tempo avevo annunciato che
volevo riscrivere la storia di “Ombre” ed ora ecco il mio ultimo
lavoro. Purtroppo gli aggiornamenti, almeno nel primo periodo, non saranno
frequenti, dato che non ho internet, al momento, e devo scroccare quello
dell'università. Cercherò comunque di non lasciar languire la mia
creatura troppo a lungo. ;)
Avviso fin d'ora che ci saranno dei cambiamenti nella
trama e i vecchi lettori se ne saranno già accorti vedendo la figura di
Atan. Dal prossimo capitolo cercherò di essere un po' più
descrittiva, dato che mi sono accorta di aver ridotte davvero all'osso le
descrizioni, in questo primo capitolo. Perdonatemi, ma ho preferito dare
più risalto al ritmo della storia. E sempre a questo proposito,
preparatevi a lunghi flash back in stile Holly e Benji.
xD
Credo sia tutto. Un saluto ai nuovi lettori e un ben ritrovati a quelli vecchi.
Arrivederci a presto,
Elfa
Seconda stesura del primo capitolo: c'erano degli
errori ed ho preferito sistemare la faccenda il prima
possibile, sperando di farvi cosa gradita. ^-^
A proposito…
grazie, Thiliol.