Storia vera!!!!!!!! Un po’ Scema, ma io ho vissuto tutto questo!
Un capitolo sui sogni
<
Perché siamo qui? > chiesi.
Faccio
notare a voi lettori, che questa storia è verissima.
<
Perché ti lamenti? > ribatté Fulvio.
<
Perché voglio sapere perché siamo qui! E soprattutto dove siamo? >
<
In una prigione! > mi fece notare Alessandra.
Esatto!
Eravamo in una lurida gabbia, perché c’eravamo finiti, nessuno lo seppe mai.
Oltre
a me c’erano: Alessandra, Viviana, Fulvio e Gerardo.
Eravamo
come già detto, in una cella, molto sporca. La cella era quadrata, due brande,
una sull’altra, a castello, occupavano quasi tutta la
parete di fronte le sbarre.
Il
pavimento era lurido, sporco e appiccicoso, così il muro, l’unica differenza
era che sul muro c’erano varie scritte quasi tutte: “A morte il re!”.
Negl’angoli qualcosa di bianco che sembrava orrendamente a ossa di
piccoli animali, sperando non fossero ossa di topo mi sforzai di non guardarle,
era purtroppo impossibile siccome camminavo avanti e dietro per la stanzetta.
Alessandra,Viviana e Gerardo erano seduti vicini sul letto più basso,
Fulvio era steso su quello più alto e lanciava contro il soffitto una piccola
pallina grigia.
<
L’unica cosa che mi preoccupa > ripeteva Gerardo < è
non finire la versione di Greco. Avete visto quanto è lunga? Sono sedici righi!
Non ne abbiamo avute mai così lunghe! Io ho fatto i
primi tre righi, perché c’è un participio che…>
<
ZITTO! > urlarono contemporaneamente Alessandra, Fulvio e Viviana.
<
Come si può pensare ai compiti in un momento del genere? > disse Viviana.
Eravamo
in un posto davvero strano, dalla piccola finestrella di fronte la nostra cella
vedevamo un po’ di paesaggio, mi soffermai su quello.
Fuori
si vedevano montagne, non molto alte, tutte verdi, poi si
vedevano piccole casette, con un tetto di paglia. Fuori un andirivieni
di persone a cavallo vestite in un modo strano.
<
Con le nostre cognizioni geografiche, potremmo magari capire dove siamo. >
dissi, attirando l’attenzione degl’altri che stavano
litigando. < Allora: ci sono montagne, non troppo alte. Ci sono casette con
tetto di paglia e tante persone che vestite in un modo strano cavalcano
cavalli. Quale delle popolazioni che abbiamo studiato andava ancora a cavallo e
viveva in una casetta di paglia? >
Tutti
si misero a riflettere, io di fronte a loro mi aspettavo
una risposta sicura. Ad un tratto Fulvio si mise a sedere con uno sguardo
accigliato: < A cosa ci serve? >
< A capire dove siamo. > rispose Viviana con aria sicura.
<
Ah! > disse Fulvio e si ristese.
Tutti
ripresero a pensare, io a camminare. Fulvio si rialzò: < Scusa? > mi disse,
io mi voltai < Che c’è? >
<
E a che cosa ci serve? >
<
Ma sei stupido? > gridò Viviana,
Fulvio smise di parlare.
<
Posso dirvi una cosa? > chiese Gerardo. Tutti ci voltammo
verso di lui, lui riprese: < Non ho mai studiato la geografia! >
<
Neanche io! > disse Fulvio.
<
Io solo qualche volta. > disse Viviana < ma
Alessandra la studia sempre. Vero? >
Alessandra
tentennò con il capo.“Evvai!” mi dissi “siamo qui, non
sapendo perché e dove!”
Il
silenzio scese di nuovo, fino a quando: < Ehi ho un’idea! > dissi, tutti mi guardarono raggianti e felici.
<
Dilla! > disse Viviana.
<
Potremmo scappare. > esclamai felice, tutti mi guardarono
con espressione delusa.
<
Oh! > disse Gerardo < Non l’avremo mai pensato!
>
<
Uff! > ripresi < So come scappare! > Tutti
mi prestarono nuovamente attenzione.
In
quello strano paese, c’erano una strana usanza, e cioè:
i prigionieri fatti per strada, che dovevano essere condotti in una vera
prigione, all’ora di pranzo venivano liberati provvisoriamente, perché
mangiassero con chi li aveva catturati. Questo era il nostro caso.
Ebbene,
accadde che ci fecero uscire dalla prigione e ci
portarono in una sala dove ci fecero sedere vicini, così continuammo a
parlottare per il nostro piano d’evasione. Erano le nove di sera. Dopo un’ora erano tutti ubriachi, tentammo la fuga.
A
uno a uno ci abbassammo e sotto al tavolo strisciammo, tra scarpe resti di
cibo, posate e posso ben dirlo, calci.
Io
ero davanti a tutti e guidavo i miei amici verso la libertà, che durò dieci
minuti. Difatti non tutti erano completamente ubriachi, uno dei nostri
carcerari si accorse della nostra assenza e ci acciuffò sotto il tavolo, ci
riportò nella cella e se ne andò sbandando un po’.
<
Oh! Bel piano davvero! Che bella la libertà! >
disse Fulvio arrabbiato.
<
è stata colpa tua! > gli dissi
< Se tu non avessi starnutito…>
<
è stata colpa del tuo stupido piano! >
<
Che ora ci tirerà fuori…> dissi.
<
In che modo? > chiese Fulvio.
Aprii
la mano destra e mostrai a tutti una grande chiave.
< L’ho fregata a quel tizio! > dissi felice.
Scoprimmo
anche che a mezzanotte non c’era nessuna sentinella intorno
la cella, per uno strano motivo o forse per un’altra stupida usanza che
magari ci avrebbe salvato la vita.
Mancavano
dieci minuti a mezzanotte e decidemmo che dovevamo cominciare ad aprire la
cella e uscire di soppiatto, mentre le sentinelle
ancora dovevano arrivare.
Aprimmo
la cella e uscimmo, salimmo alcune scale, ritrovandoci nella sala dove ancora
qualcuno beveva. Invece di tentare la fuga dalla
porta centrale ne cercammo una secondaria, la trovammo, la varcammo e uscimmo.
<
Da qui non si esce! > esclamò Viviana.
<
Siamo in una…> iniziai.
<
Stalla > finì Alessandra.
Molti
cavalli erano legati ognuno al proprio posto e alcuni mangiavano da una
mangiatoia colma di paglia.
<
Da li si esce! > esclamò Gerardo.
<
Uhm! Hai ragione! > disse Fulvio.
<
Andiamo su! > dissi spingendoli avanti, questa volta volevo starmene dietro
per assicurarmi che ci fossero tutti.
Mentre
camminavamo, sempre acquattati, Fulvio che era davanti a me mi
fermò: < Guarda! > mi sussurrò indicando un punto indefinito.
Anche Viviana si fermò: < Che succede? > chiese.
<
Ha visto qualcosa! >
<
No > disse Fulvio < Ho visto qualcuno! >.
Un
bambino di circa dieci anni era seduto sulla paglia guardandoci.
<
State scappando? > chiese.
A
quel punto Alessandra e Gerardo, che erano andati più
avanti, si fermarono e tornarono indietro: < Cosa fate? > chiese
Alessandra, mi limitai ad indicare il ragazzino.
<
Tranquilli > disse lui < conosco bene questo
posto, vi faccio uscire io! >
Ci
portò quasi all’uscita della stalla e poi disse: < Aspettiamo la mezzanotte
precisa! > mancavano pochi minuti.
Eravamo
seduti dietro una trave, nell’ombra, nessuno ci avrebbe visti,
Gerardo e Alessandra però parlottavano tra di loro, cercai di ascoltare
e raccolsi alcuni brandelli della loro conversazione.
<
Hai letto il libro? >
<
Ma sei pazzo? > rispose Alessandra.
<
Ma la professoressa ha detto che dobbiamo leggere “Il
resto di niente”.>
<
Si lo so, lo leggerò, prima o poi! >
<
Ragazzi. > dissi io, loro non mi sentirono.
<
La Romano sarà impazzita…non mi piace, cosa significa:
Il resto di niente, cosa significa? >
<
Eh boh! >
<
Silenzio! > bisbigliai, rivolta a loro.
<
Ma poi hai visto la versione di Greco? >
<
Uff, tu e questa versione! >
<
RAGAZZI! > urlai, tutti si voltarono verso di me, indice premuto sulla bocca
< Shhhh!> fecero.
Una
campana indicò l’ora che stavamo aspettando e alzandoci andammo verso la porta,
il ragazzino l’aprì poi si girò e rivolgendosi a me disse: < Mi dispiace.
Fuori c’è molta gente, vi conviene uscire da un’altra
porta! > poi se ne scappò.
Mi
guardai intorno e vidi una porta: “Magari è quella!” mi dissi, mi avvicinai e
l’aprii.
Non
era la porta giusta, dentro due vecchiette filavano la lana, non mi avevano visto, ma colta di sorpresa, io urlai.
Una
vecchietta si alzò, mi buttò da una parte e corse ad avvisare qualcuno, intanto
i miei codardi amici se n’erano scappati ed io rimasta sola con Viviana cercavo
come uscirne viva.
Il
ragazzino che ci aveva condotto fino là mi guardava
con aria saputella e scuoteva la testa. Non sapevo che fare.
Viviana
propose di uscire dalla porta principale, mentre lei usciva
una signora mingherlina entrò e disse: < Sei tu il capo di questa banda da
quattro soldi? >
<
Che? > feci.
Quella,
con la mano fece segno di avvicinarsi, io obbedì e mi avvicinai.
Mi
prese per l’orecchio e mi condusse fuori dove c’era una grossa e grassa signora
e Viviana che mi aspettava. La signora che mi teneva l’orecchio
se ne andò e mi lasciò dietro quella signora.
Allora
la scena era questa: c’era questa signora enorme, che mi dava le spalle e
Viviana di fronte.
Questa
montagna di donna si girò verso di me con una specie di manganello e disse:
< Avanti! >
“Cosa vuole?” dissi fra me e notai che la donna aveva un
occhio nero e un altro giallo.
Mi
accostai a Viviana, in modo che capisse le mie intenzioni.
<
Dove vai! Cacciate il naso!
>
“Cacciare
il naso?!” Viviana ed io ci guardammo.
<
Il secondo naso! > ribadì la gigante.
<
Non abbiamo altri nasi! > disse Viviana.
<
Come? > chiese la donna < Tutti hanno due nasi!
>
<
Beh! > dissi io < Tutti tranne noi! > presi Viviana per il braccio la
spinsi in avanti e cominciai a correre per alcuni vicoletti
stretti.
D’un
tratto qualcuno mi afferrò per il braccio e urlò: < L’ho presa! Ho preso il
capo! > mi divincolai ma non riuscii a scappare.
<
VIVIANA! > urlai < AIUTAMI! > lei si voltò e
mi guardò, poi si guardò intorno, avanzò verso di me e
poi…
Poi
mi sono svegliata nel mio letto, e per fortuna sempre con un solo naso!
Che ve ne pare, una cosa orribile, eh? Ma
i miei sogni sono strani come me! Però è successo
davvero.