Maledizione.
Maledizione! Era in ritardo mostruoso, la consegna andava fatta -controllò
velocemente l’orologio- ORA! Maledizione. Stupidi, stupidissimi treni con i
loro stupidi, stupidissimi ritardi.
Camminava
velocemente per le vie di Milano, non prestando attenzione a chi urtava, ai
semafori, a nulla. Sarebbe stato un disastro se non avesse consegnato entro i
prossimi cinque minuti.
Il
cellulare prese a squillare: ecco, era arrivata la sua fine. Quello era
sicuramente Frollini e la sua non era certo una
chiamata di piacere. Con la cartelletta sottobraccio aprì la borsa che ora
penzolava scompostamente dal braccio e frugò dentro alla ricerca del
telefonino. Può una borsa contenere così tante cose? Agenda, portafogli,
chiavi, BAM!
Un carro
armato. Era morta!
“Oddio!
Mi scusi, signorina!”- un ragazzo sulla ventina l’aveva appena travolta e
stesa. E aveva parlato inglese, con uno strano accento. Si guardò intorno,
ormai le sue capacità di percepire il mondo circostante erano nulle, ma riuscì
comunque a capire che i fogli e gli oggetti sparsi attorno erano i suoi. Oh,
no. No! Prese la mano che il ragazzo le porgeva e iniziò a raccogliere i fogli.
Lui la aiutò continuando a scusarsi, mortificato. Lo avrebbe ucciso solo più
tardi.
“Mi
dispiace davvero”- continuava quello, con gli occhioni
da cerbiatto e le lunghe ciglia che sbattevano.
“Si
figuri, è anche colpa mia”- fece lei, guardandolo in viso. Quello fece una
faccia strana che sul momento non riuscì a decifrare per poi sussurrare “Ti
prego, non urlare”. Non capiva e nemmeno le importava capire. Gli lanciò uno
sguardo sconcertato, infilò tutto nella borsa e continuò a correre, lasciando
il ragazzo lì, impalato a fissarle la schiena. Pregò di fare in tempo.
***
Incredibile.
Quella ragazza –quel gran pezzo di ragazza!, si corresse-
non l’aveva riconosciuto. Teneva ancora in mano un bigliettino e delle chiavi:
era fuggita in quarta e non era stato abbastanza pronto da inseguirla. Non che
sarebbe stato facile, in mezzo a quel putiferio. Ripensò a ciò su cui stava
riflettendo prima di scontrarsi con la ragazza: ragazze, per l’appunto! In
particolare al discorso fatto con suo fratello, la sera prima.
-Ma cosa pretendi, eh? Aspetti
che aprano un negozio? Le ragazze le devi cercare e conquistare non puoi stare
ad aspettare il miracolo.
-Non trovo quella adatta, Tom.
Non posso farci niente, amano il mio nome, non me!
-Ma figurati! È perché tu non sai
fare altro che nasconderti dietro quel nome.
-No, sai benissimo qual è il
problema: interessano il mio nome e i soldi. Se solo riuscissi…
Il fratello a quel punto aveva
sbuffato sonoramente, prospettando un’altra litania in stile
nessuno-mi-capisce-sono-destinato-a-restare-solo-per-il-resto-della-vita.
-Possibile che tu non conosca
nemmeno una ragazza?! Solo fans e amici maschi?-
gemette esasperato. Come poteva essere suo fratello, sangue del suo sangue?
-Ma non è questo! Ne conosco fin
troppe di ragazze, ma non fanno per me. Senza contare che la metà di loro mi
odia perché me le sono portate a letto e basta e l’altra metà finge di essermi
amica perché sono famoso.
-Ti prego, Nate, non ricominciare
con la tua lagna!
-Tom,
non è una lagna! È la nuda e cruda verità.
-Io rimango del parere che la
colpa sia tua. Non puoi aspettare che la tua fiaba si realizzi per miracolo,
perché non ci sarà nessun ballo, non troverai nessuna ragazza bellissima con
cui ballare per tutta la notte e nemmeno una scarpetta da far provare in tutto
il regno. Datti una mossa, mettiti davvero in gioco e forse la trovi la santa
che ti sopporta.
Con un mezzo sorriso si alzò,
stiracchiandosi, per poi uscire dalla stanza senza una parola. La faceva facile
lui.
Si, ma
forse aveva ragione. Aveva riflettuto tanto prima di decidersi e si sentiva un
idiota mentre percorreva la via che aveva letto sul bigliettino. Era il
biglietto da visita che recava un indirizzo: probabilmente lavorava lì quella
ragazza. Accarezzò l’idea di tornarsene indietro. Era tutto così assurdo!
Ma no, è facile, si disse, mi presento, le restituisco le sue cose e la invito a prendere un
caffè. Facile.
Oh, si
sarebbe reso davvero ridicolo.
***
La luce
della pallida luna filtrava dalla grande finestra spalancata per il caldo,
disegnando riflessi chiari sulle morbide onde d’ebano che erano i capelli di
lei. Osservò la figura addormentata fra le sue braccia, la pelle candida, le
palpebre che nascondevano grandi occhi color del cielo, che tante volte
l’avevano incatenato a lei. Quella notte l’aveva presa più volte, affondando
sempre più in lei, portandola all’apice, provando un’immensa eccitazione nel
vedere il suo viso travolto dal piacere. Era la sua Regina, di nome e di fatto.
Accarezzandola non poté fare a meno di ripensare, per l’ennesima volta, a quel
loro primo, impacciatissimo e imbarazzante
appuntamento. Quasi l’aveva costretta a prendere quel caffè macchiato. Ricordò
il viso preoccupato di lei quando pensò fosse un maniaco. E poi, quando
finalmente le aveva strappato quella risata cristallina che l’aveva
ipnotizzato. Dopo gli aveva scritto il numero sul braccio. E quella sera,
tornando a casa, aveva sbirciato fuori dalla finestra, incontrando lo sguardo
complice della luna piena che sembrava comunicargli che quello era l’inizio di
qualcosa di grande.
E poi
c’era stato il loro primo bacio, lento e superficiale all’inizio, ma che poi
era sfociato in un bacio infuocato che rivelava la reciproca attrazione fra i
due. La loro prima volta, quando aveva sentito le unghie di lei penetrare nella
carne, strappandogli un gemito di dolore ed eccitazione. Come l’aveva stretta a
sé quella notte e tutte quelle successive. E il ricordo più bello di tutti:
quella sera, senza preavviso, quelle due parole che gli erano uscite
direttamente dal cuore e che avevano scaldato istantaneamente quello di lei,
che ricordò, aveva preso a battere furiosamente contro il petto d lui. Un
leggero rossore le aveva colorato le gote e aveva ripetuto quelle piccole
parole che rivelavano qualcosa di infinito. Infinito e indissolubile era
l’amore che li legava l’uno all’altra. Osservando il dolce viso della donna che
amava seppe che mai l’avrebbe lasciata. Non si erano più detti nuovamente di
amarsi, non ce n’era bisogno. Eppure in quel momento avvertì il bisogno di
dichiararlo ancora, in un sussurro a fior di labbra.
-Ti amo.
***
Aveva
paura. Aveva una fottutissima paura. Dopo quindici giorni si era finalmente
decisa, col cuore in gola, ma infondo non se l’aspettava di vedere quella
sottile linea azzurra. Ma come era successo? E ora che avrebbe fatto? E…
La sua
mente volò al viso di lui, ai suoi capelli soffici e dorati, ai suoi occhi neri
come la pece, alle labbra carnose e alle sue spalle larghe, alle mani che
sapevano possederla e proteggerla con forza e tenerezza.
Aveva
una fottutissima paura.
Respirò
a fondo cercando di trovare la calma. Non era pronta. E nemmeno lui. E non
voleva rovinare la brillante carriera di Nate. Aveva raggiunto il successo con
molta fatica, spesso e volentieri perdeva il sonno per comporre nuovi versi,
migliorarsi, dimostrare che aveva talento vero e non solo un bel faccino.
Ricordava ancora quando l’aveva sentito intonare una dolce melodia ispirata
“dalla sua Musa”. Era riuscita a percepire con i sensi e la mente, ma
soprattutto col cuore, il sentimento di amore e passione, rispetto e devozione
che lo riempivano e lo facevano palpitare. Per lei, solo per lei.
Aveva
una fottutissima paura.
E che
dire di lei? Beh, onestamente non voleva rovinare nemmeno la sua di carriera!
Aveva fallito così tante volte, prima di pubblicare una serie di successo.
Avrebbe
dovuto provare gioia. Eppure era pervasa solo dalla paura, paura del rifiuto,
dell’abbandono.
Stava
dimenticando una cosa fondamentale: lui l’amava.
Inspirò
a fondo, riempiendo i polmoni e contando fino a tre prima di espirare. Trovò
così un po’ di calma e attese, pronta a fare ciò che sapeva andasse fatto.
Doveva dirglielo. Qualunque cosa avrebbe fatto in seguito, doveva prima
parlarne con lui. Si sedette sul divano e attese. Aveva una fottutissima paura.
***
“Ma
come, non dovevi uscire?”- la baciò e le rivolse un dolce sorriso. Era appena
tornato, era affaticato. Quasi si tirò indietro. In quel momento avrebbe solo
voluto vederlo dormire fra le sue braccia, coccolarlo e stringerlo al petto. Ma
inspirò profondamente e decise di affrontare la cosa e dirla tutta d’un fiato,
o non sarebbe riuscita a…
Incontrare
il suo sguardo le fece mancare il respiro. Era così bello.
“Nate,
possiamo parlare?”. Brutale. Assolutamente brutale, non sapeva bene se per il
tono o per le parole stesse. Lo vide sbiancare, spalancare impercettibilmente
gli occhi. Chissà cosa pensò in quel momento? Non riuscì a chiederselo
veramente, in quel momento era importante solo ciò che aveva da dire. In quel
momento era importante solo analizzare la sua reazione alle sue parole.
“Siediti,
perfavore”.
Inespressiva,
come mai era stata, non con lui perlomeno. Lo guardò fisso negli occhi, il
cuore prese a battere furiosamente.
Tutto d’un fiato.
“è
successa una cosa…”.
Dove diamine era finito il “tutto
d’un fiato”?!
“Per
favore, amore. Parla.”- la guardò supplichevole. Non sapeva che aspettarsi, ma
qualcosa gli diceva che non era nulla di buono.
Lei
strinse i pugni, prese fiato e lo fece. Lo disse. Tutto d’un fiato.
“Sono
incinta”.
Lui fece
un piccolo balzo all’indietro. Si alzò in piedi dandole le spalle, voltato
dall’altra parte. E lei non resse più. Il cuore le si riempì di un grave peso,
il peso della paura. Terrore allo stato puro. Non voleva rinunciare alla sua
felicità, che coincideva con lui. D’istinto si levò, allungando una mano, alla
ricerca di un qualche contatto fisico. Quei pochi istanti le parvero infiniti.
Ritrasse la mano e abbassò lo sguardo. Forse il suo corpo aveva già accettato
quello che la mente ancora non aveva realizzato.
“Avremo
un bambino!!”- si girò, la prese fra le braccia e la strinse forte, gridando di
gioia. Il cuore di lei si alleggerì e finalmente fu pervaso da amore e gioia,
gli unici sentimenti che avrebbe dovuto provare fin dall’inizio. Si sciolse
finalmente in un luminoso sorriso e lo guardò nuovamente. Incontrando le iridi
scure del suo uomo vi vide riflesse la sincerità e la profondità dei suoi
sentimenti. Lo vide poi inginocchiarsi e baciarle il ventre, in un gesto di
adorazione che la fece finalmente sentire in pace.
***
Stringeva
fra le braccia il piccolo gioiello che li avrebbe uniti per sempre. La piccola Keira, che portava il nome della nonna paterna, era nata
con un mese di anticipo, durante l’equinozio di primavera, e lui già sapeva che
sarebbe sbocciata proprio come un fiore, al pari della sua Regina. La bimba
aveva ancora gli occhi chiusi. Fece un lungo sbadiglio, per poi reclamare le
braccia della madre, che la prese fra le braccia rivolgendole lo sguardo
d’amore che riservava solo a loro due. Sbirciò fuori dalla finestra: la luna
splendeva e sembrava sorridere alla loro direzione. Nate ricambiò il sorriso,
complice, e ringraziò quel cielo che, comprese, gli rivelava nuovamente che
quello era solo l’inizio di qualcosa di grande.
Aiutooooo!!!!!
Sono agitatissima, in parte perché ho scritto e pubblicato nel giro di
pochissimo senza nemmeno rileggere!! Ero troppo ansiosa!! Vi prego di
commentare in maniera da farmi capire cosa vi è piaciuto e cosa invece va
rivisto! Come ho scritto sulla mia pagina, infatti, voglio fare un po’ di
esercizi di scrittura prima di pubblicare (sempre che alla fine riesca a
scriverla) la long!!
Vi prego quindi di spendere un
pochino di tempo in più per leggere qui sotto!
Nella prima parte volevo far
intuire la fretta di Regina, che ritardava una consegna (si è capito che fa la
scrittrice??). Poi, con quel “Ti prego, non urlare” e con la parte dopo volevo
far comprendere che Nate è un musicista piuttosto noto e che ha problemi con le
ragazze, che lo considerano soprattutto per il suo nome, ed è proprio per
questo che fa la pazzia di provarci con Regina, che sembra non conoscerlo.
Nella terza sequenza abbiamo un
salto temporale. Stanno già insieme da un po’ e sono in un momento di intimità
dove abbiamo la descrizione fisica di lei e un breve riassunto di ciò che è
successo. Spero si sia intuita la profondità dei sentimenti che legano i due.
Abbiamo poi un altro salto
temporale, dove lei capisce di essere incinta. Qui il mio intento era far
trasparire la sua confusione, la paura delle conseguenze.
Non sono molto orgogliosa della
scena successiva (purtroppo tendo ad essere sintetica e a pensare per immagini
e sensazioni che fatico a porre per iscritto). Comunque, volevo che per un
attimo pensaste che l’avrebbe lasciata o qualcosa del genere, volevo che si
sentisse l’ansia provata da Regina e poi il sollievo che la fa finalmente
sentire in pace.
C’è infine la brevissima scena
finale, quando Keira (omaggio all’attrice Keira Knightely, oltre a essere
un nome che adoro) nasce. La frase di chiusura è invece un richiamo al loro
primo incontro. Nella terza sequenza, infatti, si dice che Nate la sera del
loro incontro ha visto la luna piena che sembrava sorridergli e rivelare che
era l’inizio di qualcosa.
Sono riuscita a fare qualcosa di
buono?? Siate sincere e aiutatemi a migliorare!! Anche tramite messaggio
privato, come preferite insomma!!
La scena che preferisco è la
terza, di cui sono abbastanza orgogliosa e su cui ho riflettuto maggiormente.
Le altre sono venute un po’ da sole xD immagino si
noti che siano un po’ frettolose…ma ero così
impaziente!! Come ultima curiosità ecco una cosa su cui potrete prendere in
giro fino alla nausea: il nome del capo di Regina è saltato fuori dai biscotti
che avevo davanti mentre scrivevo xD che babba! Vorrei poi far notare il titolo in francese Fable che
riprende il discorso del fratello di Nate - Non puoi aspettare
che la tua fiaba si realizzi per miracolo, perché non ci sarà nessun ballo…- e il nome di Regina (farlo anche
per il protagonista maschile sarebbe risultato ridicolo! Che nome gli davo?
Avevo in mente Prince ma alla fine mi sono rifiutata xD).
Infine il ruolo della luna che dà un po’ di magia fiabesca al tutto!!
Commentate, xoxo
miriel