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Autore: fanny6    04/10/2010    2 recensioni
“Sono stato innamorato. È doloroso, senza senso e sopravvalutato.” [Damon Salvatore]
Audrianne Light è appena arrivata a Mystic Falls, per accompagnare sua madre nella fuga dal passato. Damon Salvatore ha aperto la cripta senza trovare traccia di Katherine, ed è più arrabbiato e vendicativo che mai. Le loro storie si incroceranno per le strade spettrali della piccola cittadina della Virginia.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert, Nuovo personaggio, Stefan Salvatore
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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NOTA: Questa storia non tiene conto del ritorno di Katherine, e di tutte le sue conseguenze, si svolge dopo l’apertura della cripta e la scoperta che Katherine non è lì, che è viva e che non ha fatto nulla per cercare né Stefan né Damon.


“Sono stato innamorato. È doloroso, senza senso e sopravvalutato.” [Damon Salvatore]


Il suo nome è Audrianne Light. Non avrebbe mai voluto trasferirsi a Mystic Falls, ma lei e sua madre erano state costrette: l’ultimo fidanzato dell’ex signora Light si era rivelato un tipo piuttosto violento, troppo violento, e quando Joanne Light si era rifiutata di dargli i soldi che chiedeva per lasciarle in pace l’aveva riempita di botte. E ora, lei e le sue figlie, Audrianne, che era all’ultimo anno di liceo e aveva quindi diciassette anni, e Melanie, di cinque, erano dovute scappare un’altra volta, e Mystic Falls era parso il luogo ideale: cittadina piccola, poco frequentata, anonima.
Iniziare l’ultimo anno a Novembre, in una nuova scuola, non è mai una buona idea, pensò Audrianne, mentre si vestiva in quella fredda mattinata.
Si guardò nello specchio, e giudicò di sembrare accettabilmente carina: aveva messo una cura particolare nel prepararsi, perché non voleva che sua madre vedesse il suo disappunto e si preoccupasse. I jeans a sigaretta, scuri, le fasciavano le gambe tornite. Una camicetta bianca a righe azzurre, con sopra un maglione di lana blu, dava un impressione ordinata, accentuata dagli orecchini a perla. A completare il tutto, i suoi lunghi e ricci capelli scuri, la sua cosa preferita del suo aspetto, e un filo di trucco.
Se solo non fosse stata freddolosa, avrebbe potuto evitare di mettere gli UGG boots neri ai piedi, che non andavano certo d’accordo con il suo look ordinato ed elegante.
Afferrò la borsa, si mise sciarpa, guanti e giacca e scese in cucina.
-Mamma sono in ritardo, prendo la macchina e spero di non perdermi, ci vediamo verso le quattro!- annunciò, scendendo le scale della piccola casa in fretta e furia. Sua madre non ebbe nemmeno tempo di salutarla che già era uscita nel gelo mattutino.
Trovare il liceo non fu difficile: la città era davvero piccola come se la immaginava, e si sorprese che ci fossero state tante morti quante aveva lette su internet, anche se a causa di un animale.
L’edificio non era grande, ed era affollato di studenti e macchine, notò Audrianne, facendo scorrere i suoi occhi castano chiaro, circondati da ciglia lunghe e folte, sul cortile della scuola.
Mentre camminava verso l’entrata, qualcosa di luccicante per terra attrasse la sua attenzione: era un braccialetto. Prendendolo come segno di buona fortuna, lo infilò in tasca.
-Forza e coraggio- si disse. Dopotutto il suo sorriso, fatto di denti bianchi e regolari, era la sua seconda cosa preferita di se stessa, bastava sfoderarlo con convinzione!
Fu più difficile di quanto pensasse. Andò in segreteria a prendere il proprio orario, con la lista delle aule dove doveva andare, e si avventurò nei corridoi del liceo.
Le facce, anche se sconosciute, le lasciavano immaginare il tipo di persona che ci si nascondeva dietro: atleta, cheerleader, secchione, emo un po’ sfigato… sempre le solite ‘categorie’ da liceo che non aveva mai potuto sopportare, forse anche perché lei era sempre la poveraccia con famiglia difficile che non riesce ad integrarsi.
Sperava che a Mystic Falls sarebbe stato diverso, che sarebbe riuscita a lasciare il proprio ottimismo e la propria solarità a briglia sciolta, e i presupposti c’erano tutti: la città era piccola, e quindi non c’erano troppi snob,la scuola non sembrava una di quelle infestate dallo spirito di comitiva scolastica… insomma, forse una chance c’era per non passare subito per caso pietoso.

Alla lezione di storia, fu costretta a prendere uno dei banchi in prima fila.
-Buongiorno ragazzi- entrò il professore, un uomo di bell’aspetto sulla quarantina al massimo.
La classe brontolò qualcosa in risposta, mentre lui apriva il registro e ne estraeva un foglio –Vedo che abbiamo una nuova alunna fra noi… Benvenuta .. Audrianne Light- le sorrise gentilmente –Sono Alaric Saltzman, professore di storia. Spero che ti troverai bene-
-Grazie- rispose Audrianne, un po’ a disaggio sotto lo sguardo della classe, probabilmente non molto abituata ai volti nuovi.
-Se ti trovassi indietro in qualcosa puoi chiedere gli appunti a Bonnie o ad Elena, sono sicuro che i loro sono piuttosto esaurienti- aggiunse Saltzman, indicando le due ragazze che le sorrisero cordialmente.
Finiti i convenevoli, la lezione ebbe inizio.
Quando terminò due ore dopo, le due ragazze indicate dal professore la raggiunsero in corridoio.
-Hey, sono Bonnie!- disse la prima, capelli neri, pelle scura e due occhi chiari stupefacenti
-Piacere, Audrianne…chiamatemi pure Audrey-
-Okay Audrey, io sono Elena- rispose l’altra, che aveva un viso molto bello e dei lunghissimi capelli castani
-Da dove vieni?- domandò Bonnie, mentre uscivano in cortile per la pausa pranzo.
-Prima di venire qui ho vissuto due anni in Massachussets, prima invece vivevo in North Carolina, e prima ancora in Pennsylvania- raccontò Audrey, spostandosi i lunghi ricci morbidi dietro le orecchie
-Wow! Ne hai visti tanti!-
-Già… beh, ora sono qui- fece Audrey, sperando che non indagassero oltre per non essere costretta a mentire o, ancora peggio, raccontare la sua disastrosa storia familiare.
-Ti invidio, noi siamo sempre vissute qui!- esclamò Bonnie, con un sorriso
-Ti va di mangiare con noi?- propose Elena, indicando l’edificio della mensa
-Volentieri! Grazie!- rispose Audrey con il suo bel sorriso di denti bianchi.
-Vedrai, imparerai presto a conoscere Mystic Falls…è un posto davvero minuscolo- la incoraggiò Bonnie, mentre entravano nella mensa ed occupavano un tavolo piuttosto piccolo
-Ho notato, ma a me non dispiace così… è più tranquillo-
Bonnie ed Elena si scambiarono un’occhiata rapida.
-Che strano il tuo ciondolo!- fece allora Audrianne, per stemperare la tensione, indicando il monile al collo di Elena, che sorrise imbarazzata
-Già.. è un regalo del mio ragazzo, Stefan… forse lo vedrai qui a scuola, lui non la frequenta molto, apparteneva alla sua famiglia-
-E’ molto particolare- apprezzò Audrianne
-Grazie…lo prendo come un complimento- scherzò Elena, mentre una ragazza bionda si sedeva con loro
-Ho discusso con Matt. Di nuovo- disse, con tono isterico –Oh, ciao ragazza nuova- aggiunse, rivolta ad Audrianne
-Si chiama Audrey- la apostrofò Bonnie, scuotendo la testa.
-Comunque… dice che non ho abbastanza tatto. Voglio dire, pronto?- e la ragazza bionda, che Audrey scoprì si chiamava Caroline, si lanciò in un invettiva che durò per tutto il pranzo. Quando la campanella suonò, Bonnie ed Elena si fermarono per lasciare i loro numeri di telefono ad Audrianne.
-Nel caso ti servissero, chiama per qualsiasi cosa- le disse Bonnie, con una strizzata d’occhio

Tutto sommato, la giornata non era stata affatto male, anzi, era stata piuttosto bella, pensò Audrianne mentre rincasava. Salutò allegramente sua madre, che fortunatamente lavorava come traduttrice e quindi poteva farlo da lì, e diede un bacino sulla guancia a sua sorella Melanie, prima di salire in camera ed iniziare a fare i compiti.
Aveva qualche materia da recuperare, mentre su altre per fortuna era avanti col programma. La stesura del saggio di storia le impiegò un’ora, e il ripasso di biologia un’altra.
Si riscosse dallo studio quando la voce di sua madre le annunciò che doveva andare a fare la spesa, perché lei non aveva ancora finito di lavorare.
Fuori ormai era buio, e Audrianne uscì di casa sperando di trovare ancora qualche negozio aperto, o il giorno dopo non avrebbero avuto colazione.
Non prese la macchina: la città era così piccola da permetterle di fare due passi nella sera fredda, ignara del fatto che un vampiro potente e accecato dalla rabbia  avesse appena giurato di tornare ad essere più spietato di prima.
Superato il quartiere ‘residenziale’ della cittadina, si trovò nel centro popolato di negozi. Il piccolo supermercato era ancora aperto, unica luce nella strada deserta.
Entrò e prese l’indispensabile: latte, pane, qualche primo surgelato per le emergenze, olio, sale, verdura e frutta. Pagò e ringraziò la vecchia commessa, che le sorrise benevola, prese il resto infilandolo nella tasca dei jeans, e stringendosi la sciarpa al collo con la mano libera dal sacchetto si avviò verso casa, il vento tagliente che le faceva bruciare la pelle olivastra.
Per ben due volte prese la strada sbagliata, e maledicendo il proprio senso dell’orientamento dovette correggere la direzione: era molto freddo, adesso, e voleva arrivare a casa in fretta.
In quel momento, una densa nebbia cominciò a farsi strada verso di lei, mentre imboccava una piccola traversa che, era sicura, era quella giusta.
Piuttosto impressionata dal silenzio e dal denso fumo biancastro, accelerò il passo, stringendosi ancora una volta la sciarpa al collo, i capelli ricci che si agitavano come fruste dietro di lei.
Aveva l’orribile sensazione di essere osservata, sentiva movimenti sinistri da tutte le parti.
“E’ solo la tua immaginazione” si ripetè, accelerando così tanto che ormai quasi correva.
Fu un attimo, una presa d’acciaio la costrinse da dietro, mentre una mano gelata le tirava indietro la testa
-Mi dispiace per il pane…pare che lo mangeranno i randagi- disse una voce beffarda al suo orecchio.
-No..No ti prego…ti prego non uccidermi…- la voce le uscì incontrollabilmente soffocata e terrorizzata
La presa si allentò e in un secondo il ragazzo stava di fronte a lei, un sorriso simile ad un ghigno sulle labbra che non arrivava agli occhi azzurro chiaro. Fece schioccare la lingua, iniziando a girarle intorno.
-Ops, mi dispiace, credo che non potremo trovare un accordo su questo argomento- disse, sempre con quel tono beffardo.
Audrianne tentò di correre via mentre lui era dietro di lei, ma fece qualche metro per poi ritrovarselo davanti. Terrorizzata, paralizzata, lo guardò mentre gli occhi le si riempivano di lacrime.
-Se è per i soldi ho solo cinque dollari…- disse, la voce tremante. Lui, qualsiasi cosa fosse, rise crudelmente –Ti prego non mi uccidere, ti prego…ho solo diciassette anni- e ora Audrianne parlava solo per cercare di prendere tempo, sperando che qualcuno passasse di là –Io…non uccidermi- mormorò, sconnessamente, mentre il suo intero corpo tremava come una foglia –Non uccidermi ti prego, non uccidermi- ripetè, quasi in trance. Il suo castigatore stava lì, davanti a lei, l’aspetto che contrastava così incredibilmente con la sua natura, salvo per gli occhi che dardeggiavano e a tratti diventavano rossi, quasi bestiali.
Per un secondo, lui parve esitare. Abbassò lo sguardo.
-Fanculo. Non si può neanche cacciare senza dover assistere a certe cose. Forse mi sto davvero rammollendo a furia di stare con mio fratello- mormorò, la voce piena di disgusto –Avrei dovuto ucciderti subito, mi hai fatto passare la fame-
-F-fame…?- squittì Audrianne, al limite del proprio terrore
Lui, qualsiasi cosa fosse, la guardò fisso negli occhi con uno sguardo penetrante, ipnotico.
-Tu ti dimenticherai di avermi visto qui, dimenticherai tutto quello che era successo. Raccoglierai la spesa e andrai a casa. Chiaro?-
Audrianne annuì debolmente –S-si- riuscì solo a dire. Se il suo silenzio era il prezzo da pagare per non morire, non avrebbe aperto bocca.
-Bene- la voce amara di lui la raggiunse, ma il ragazzo, chiunque fosse davvero, era sparita, lasciandola sola in mezzo alla strada con la propria spesa. Corse a raccoglierla e iniziò una corsa a perdifiato verso casa, la paura folle che ancora le accecava la mente.
A casa corse in camera senza troppe spiegazioni, dove pianse senza riuscire a calmarsi: cosa diavolo era successo? Non riusciva a spiegarselo, era quasi convinta di esserselo immaginato tanto era stato terribile e spaventoso. Soltanto qualche ora dopo, cambiandosi per dormire, si ritrovò in tasca il braccialetto. Lo strinse. Forse portava davvero fortuna.

 

 

  
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